EMERA
Ad Asgard, tra le macerie del palazzo reale ormai in rovina, diverse figure osservavano perplesse e preoccupate il cielo, dove quel che restava di una scia di luce si stava rapidamente dissolvendo.
"È salita al cielo l'armatura di Odino, e insieme a lei la spada Balmung... perché? Anche se Hela è sconfitta, non posso credere ci abbia abbandonati..." disse Ilda, ripensando a quel che era accaduto appena pochi momenti prima. Lei ed i pochi superstiti stavano ancora piangendo i caduti di quella terribile guerra, quando la corazza si era improvvisamente staccata dal suo corpo, riassemblandosi da sola prima di volare via nella notte.
"Si è diretta a Sud... verso Avalon!" notò Toro. "Che sia andata in soccorso di Pegasus e gli altri?"
"E' come dici..." esclamò Virgo, avanzando di un passo. "Anche da così lontano, i miei sensi riescono a percepire l'eco della guerra: i nostri amici stanno affrontando Erebo in questo momento!"
Uno sguardo misto di soddisfazione e paura serpeggiò tra i presenti, in particolare Ioria e Toro, che ben ricordavano il loro breve incontro con la Prima Ombra.
Flare rialzò la testa, gli occhi ancora rossi per le lacrime. "Tutti... tutti loro?"
"Tutti loro!" la rassicurò Virgo, ma non a tutti sfuggì l'ombra che gli velava il viso. Percepiva appena i cosmi dei cinque Cavalieri, e solo sfruttando al massimo le sue capacità, ma anche in questo modo era impossibile non accorgersi di quanto fossero stremati e moribondi, sorretti prevalentemente dalla loro strenua forza di volontà.
Ioria cercò parole per rassicurarlo, ma non ne aveva nessuna. Si sentiva svuotato, emotivamente oltre che fisicamente. Guardò Ilda in cerca di risposte, ma per una volta persino la Celebrante sembrava aver perso la tempra d'acciaio che l'aveva contraddistinta finora. La scomparsa di Orion, dissoltosi senza neppure lasciarle il tempo per un ultimo commiato, le aveva chiaramente causato più dolore dei colpi segreti di Hela.
Spostò lo sguardo sul cadavere di Castalia che giaceva ai suoi piedi, accudito da Tisifone. Pensava di poter capire quel che Ilda provava, ma al tempo stesso, in cuor suo, dubitava di esserne certo.
"Ci sono riusciti... hanno raggiunto Erebo!" mormorò Syria, riportandolo alla realtà.
"Hanno bisogno di tutto il nostro aiuto... per questo l'armatura di Odino è andata in soccorso!" esclamò Flare, congiungendo le mani in preghiera e chiudendo gli occhi.
Annuendo, Asher strinse la presa sull'asta spezzata di Sleà Bua e poggiò l'altra mano sulla spalla di Tisifone, incrociandone lo sguardo. "Pegasus... come sempre nulla riesce a fermarti. Non possiamo essere con voi in questa battaglia, ma i nostri spiriti e i nostri cuori sono al vostro fianco!" sospirò.
"Eppure non capisco... con la caduta del sommo Odino, l'armatura è rimasta a lungo inerte, sorda alla guerra in corso attorno a lei, venendo in nostro aiuto solo dopo aver sentito la fedeltà della regina Ilda. Come può adesso aver avvertito che era il momento di aiutarli? A parte il Cavaliere della Vergine, noi non riusciamo nemmeno a percepire i cosmi che si agitano ad Avalon..." disse Mizar.
Fu nuovamente Virgo a rispondere, in tono piatto e distaccato. "Qualcun altro ha mosso quelle vesti: la flebile ombra di un cosmo è comparsa qui per un istante, per condurle via con sé. E' ad Avalon ora, la sento accanto ai nostri compagni".
"Perché tu solo l'hai sentito? Per quanto debole, avremmo dovuto accorgercene!" notò Tisifone.
"Perché era celata nel massacro che ci circonda... ma io ho già incontrato in prima persona quell'aura in passato, e non è sensazione che sia possibile dimenticare..." rispose il custode della sesta casa, alzando preoccupato gli occhi al cielo.
***
Nel palazzo reale di Avalon, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix osservavano sbalorditi ed ammirati le armature che adesso coprivano i loro corpi. Le corazze di Zeus, Apollo, Odino, Ares ed Hades, forti persino delle loro armi leggendarie. Quella del Dio del Nord aveva alcuni danni e scalfitture, ma le altre rifulgevano splendenti.
"Sono proprio loro... le vesti degli Dei giunte in nostro aiuto!" sussurrò sorpreso Andromeda, guardando con occhi spalancati la corazza che ora lo proteggeva. La vista della Surplice di Hades avrebbe dovuto ripugnarlo, ma non c'era malvagità in essa, ed anzi rispondeva obbediente a qualsiasi suo gesto o pensiero.
"Queste ali..." mormorò Cristal, notando i cambiamenti alla corazza di Odino rispetto all'ultima volta che l'aveva vista.
"Non sono l'unica stranezza... sembra che molto sia successo dopo la nostra partenza!" disse Sirio, notando i danni sull'armatura dell'amico, ma anche i raggi solari che aveva sulla propria schiena, e che non ricordava dal duello con Apollo. Parimenti, Phoenix impugnava una lancia sconosciuta.
Gli eroi non erano i soli ad essere sbalorditi. Erebo li fissava con occhi sgranati, la bocca leggermente aperta in una smorfia.
"Con le mie mani avevo distrutto quelle armature e gli Dei che se ne vantavano, è impossibile si siano già rigenerate! E come sono potute giungere da sole fino a qui, superando le difese di Avalon ed il mio cosmo di tenebra?!" si chiese, prima che un lampo di comprensione gli attraversasse lo sguardo.
"La sento, anche se flebile... un'aura le ha protette... un'aura lontana... ah!" esclamò. Alzando lo sguardo, la vide comparire sopra i cinque eroi, riconoscendola immediatamente.
"Non potevi essere che tu, l'unico scampato al mio massacro!" ruggì velenoso.
Seguendo la sua linea visiva, i Cavalieri alzarono la testa e spalancarono stupefatti gli occhi. Era solo una visione tremulante, ma come potevano non riconoscere quei lunghi capelli corvini, o quello sguardo profondo come l'oceano?
"Hades?!"
"Ci rivediamo, protetti di Atena..." li salutò serafico il loro antico nemico, ma lo sguardo era fisso su Erebo, e le labbra piegate nel più lieve dei sorrisi. "Sembri preoccupato, sterminatore di Dei. La vittoria che desideri non è più così vicina?"
"Persino tu, che come me aneli a morte ed oscurità, dalle profondità del Tartaro porti soccorso ai protetti della luce?" sibilò la Prima Ombra in tono d'accusa.
"Fazioni e vecchie contese intestine non hanno più importanza, tu stesso hai riunito schieramenti da lungo tempo divisi. Distruggendo l'Olimpo, hai mosso indistintamente guerra a tutta la stirpe di Crono!" rispose Hades, fissandolo con durezza.
"Eppure, questa non può essere solo opera tua! Non sei che uno spirito, l'eco di un cosmo... è impossibile tu abbia il potere non solo per spostare, ma anche per rigenerare quelle corazze!" esclamò allora Erebo.
Hades chiuse gli occhi, e stavolta la sua espressione non poteva celare un pizzico di soddisfazione.
"Mpf... non sono il solo, negli abissi ululanti del Tartaro, che è pronto a tutto pur di ostacolarti!" rispose. La sua aura si allargò, e alle sue spalle sorsero numerose figure di nero vestite, rette e fiere, avvolte in lunghi mantelli. Due uomini in particolare si stagliavano innanzi agli altri, spalla a spalla come veri fratelli.
"Iperione dell'Ebano, Ceo del Fulmine Nero, e la stirpe dei Titani!" li riconobbe allibito Erebo, che li aveva scorti nei ricordi di Oberon.
"I Titani... che anni fa si scontrarono con i Cavalieri d'Oro per il dominio del mondo!" balbettò Pegasus, riconoscendone i nomi se non l'aspetto.
"Si dice che i custodi dorati seppero toccarne le corde del cuore... molti di loro, prima di cadere, donarono spontaneamente al nemico le ultime forze..." ricordò Sirio.
"Sono venuti in nostro aiuto, riconoscendoci come successori dei Cavalieri d'Oro, e protettori del mondo!" disse Andromeda.
Per lunghi secondi, i cinque fissarono quelle figure sconosciute, leggendone i visi e le espressioni. I loro sguardi erano un misto di emozioni, in taluni casi anche noia, ironia o malcelato disprezzo. Ma Iperione, Ceo ed altri alle loro spalle avevano occhi nobili e determinati, capaci di infondere una muta fiducia. Sapere che anche loro, dopo gli Dei dell'Olimpo, avevano deciso di aiutarli, diffuse un senso di orgoglio tra i cinque eroi.
Ad un tratto, la risata sprezzante di Erebo riportò tutti loro alla realtà.
"E così, colui che era stato signore dell'aldilà, non esita ad aiutare gli uomini che l'hanno detronizzato e sconfitto... mentre coloro che alla stirpe di Zeus avevano dichiarato guerra, improvvisamente appoggiano gli esseri umani... Uh uh uh, che miserabili! Quando avrò vinto, scenderò personalmente nel Tartaro a strappare anche quel che resta delle vostre anime!" li schernì Erebo, con evidente disprezzo, prima di innalzare il suo cosmo ed investire quelle immagini, facendole rapidamente disperdere.
Prima di svanire però, Hades lanciò un'occhiata ai paladini di Atena. "Le armi che mio fratello aveva proibito di usare durante la scalata sono ora nelle vostre mani, fatene buon uso..." disse soltanto, senza un sorriso o uno sguardo di incoraggiamento. Ma, per la prima volta, nei suoi occhi blu gli eroi scorsero rispetto.
Pegasus annuì e, stringendo la presa sullo scettro di Zeus, ne sollevò la punta in direzione di Erebo. "Da troppo tempo va avanti questa guerra: è ora di concluderla!"
In risposta, il cosmo del Flagello degli Dei avvampò e, portate le mani alla schiena, staccò una delle sue lame. "Venite pure! Non importa quali armature indossiate o quali armi impugniate, il destino che vi attende è sempre solo la morte!"
In un risplendere di aure lucenti, i Cavalieri si aprirono a ventaglio e lanciarono contro il nemico, Pegasus al vertice. Quando non furono che a pochi passi di distanza, proprio contro di lui Erebo sferrò il primo attacco, aprendo di scatto il palmo per lasciar esplodere un'onda nera.
Con un movimento talmente rapido da essere quasi invisibile però, l'eroe si librò in aria, schivando con un salto che stupì anche lui.
"E' straordinario, quest'armatura è leggerissima, ed obbedisce a qualunque mio pensiero!" realizzò, sentendo per la prima volta la vittoria davvero alla sua portata.
"E ora, proviamo l'attacco! Fulmine di Pegasus!!"
Più brillanti che mai, simili a vere stelle cadenti che sfrecciano nella notte, le meteore saettarono contro il bersaglio, centrandolo in pieno e arrestandone la carica, per poi iniziare addirittura a spingerlo indietro di centimetri.
Sorpresa, poi rabbia attraversarono lo sguardo di Erebo, che piantò stabilmente i piedi a terra e sibilò "Non... sopravvalutarti!" per poi lasciar partire da ciascun dito cinque sfere nere, ognuna con movimenti indipendenti, ma tutte indirizzate sul paladino.
Pegasus schivò le prime con una serie di movimenti laterali, facendo ruotare contemporaneamente lo scettro di Zeus per intercettarne altre, ma due lo raggiunsero alla schiena, facendolo vacillare e rallentando per un istante la sua difesa. Subito però, cristalli di ghiaccio affilati come pugnali saettarono a proteggerlo, mentre Balmung tranciava le ultime rimaste con fulminei fendenti argentati.
"Per Atena!!!" gridò intanto Sirio, avventandosi sul nemico con una ginocchiata ricolma di energia. Nel medesimo momento, dal lato opposto, Phoenix fece lo stesso come il pugno, ardente quanto il cuore di una stella.
Colpito ai fianchi, Erebo tradì una smorfia, prima di scaraventare indietro la Fenice con un'ondata di energia, e calare un fendente nero verso Sirio. Non abituato ad essere privo di uno scudo, il ragazzo esitò pericolosamente un attimo, ma la spada di Hades si frappose a difenderlo.
Con un clangore minaccioso, le due lame color pece si scontrarono, strisciando l'una sull'altra in una pioggia di scintille. Quasi immediatamente, l'impeto e il peso di Erebo iniziarono a predominare, piegando Andromeda in ginocchio. "Abbandona le armi, non hai scampo!"
In tutta risposta, folate di vento si levarono dal corpo dell'eroe, stridendo sulla corazza della Prima Ombra per ristabilire l'equilibrio. Alle spalle dell'amico, il cosmo di Sirio esplose. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
Nonostante la distanza ravvicinatissima, il Flagello dell'Olimpo reagì con la rapidità del lampo, bloccando le fauci del dragone con la mano libera. I due cosmi uniti però iniziarono a spingere, ribaltando la situazione.
"Iniziamo... ad essere troppi per te?" ringhiò Phoenix, tornando alla carica con la lancia di Ares in pugno, già tesa in un affondo verso il volto del nemico.
"Folli arroganti, potreste indossare l'armatura di Fato e mi basterebbe comunque a punta di un dito per schiacciarvi!" ribatté rabbiosamente Erebo. Il suo cosmo avvampò, facendo indietreggiare Sirio e Andromeda abbastanza da permettergli un balzo all'indietro e gridare "Fiat Nox!".
Sbilanciati in avanti, i due eroi non riuscirono a difendersi in tempo e vennero scagliati malamente a terra. Il nemico però non poté pressare l'assalto, impegnato a difendersi dai fulminei affondi di Phoenix, che maneggiava con maestria la lancia di Ares, facendola strisciare contro le vesti del nemico.
Abile a sua volta, Erebo manovrava alla perfezione la sua spada, ovviando senza fatica apparente alla differenza di raggio d'azione tra le due armi. Resosene conto, Phoenix fintò un fendente, poggiando il manico dell'arma a terra e usandola come asta per colpire la Prima Ombra al petto con un calcio a piedi uniti, ma un deciso manrovescio lo raggiunse al fianco, gettandolo a terra.
Nel preciso istante in cui il suo corpo sbatté sul pavimento ormai in pezzi, colonne di ghiaccio avvolsero le gambe di Erebo, bombardato anche alla schiena da una vera e propria tempesta di meteore di luce. Con un grido di guerra, Cristal e Pegasus si lanciarono in picchiata su di lui, le armi tese in avanti.
Il viso distorto in un ghigno satanico, l'incarnazione della notte scosse la testa. I lunghi capelli bianchi si dipanarono e aprirono a ventaglio, mutandosi in sottilissime lame che tranciarono come niente marmi e colonne, prima di stridere pericolosamente sulle armature degli eroi. Quella di Pegasus sembrava reggere, ma su quella di Cristal, già danneggiata in partenza, comparvero tagli e sottili scheggiature.
Liberatosi dal ghiaccio, Erebo socchiuse gli occhi in due fessure, notando che le gole di entrambi erano vulnerabili. I capelli assassini schizzarono nuovamente in avanti, pronti a decapitarli. Come leggendogli nel pensiero però, Andromeda balzò in loro aiuto, tagliando i fili con un deciso fendente prima che potessero raggiungere il bersaglio.
Erebo sollevò la mano per colpire anche lui, quando onde di fuoco si irradiarono a terra, trasformando marmo e roccia in lava incandescente.
"Voltati, demone!" gridò Phoenix, che nel frattempo aveva preso di nuovo la lancia. Non appena l'altro si fu girato, la mosse avanti in un affondo.
"Sei troppo lontano!" pensò la Prima Ombra, ma un sorriso astuto si disegnò sulle labbra dell'eroe, il cui cosmo esplose. "Ali della Fenice!!"
L'assalto dell'uccello immortale esplose veemente, partendo non dal pugno del Cavaliere, ma dalla punta della lancia. Colpito in piena gola, Erebo barcollò di qualche passo all'indietro, solo per trovarsi nel pieno di una bufera allo zero assoluto. Venti gelidi dalla velocità incalcolabile, in mezzo ai quali non si agitavano fiocchi di neve o chicchi di grandine, ma veri pugnali di ghiaccio, affilati e taglienti, il cui interno risplendeva di tinte ambrate.
"Scintille... nella Bufera!!" urlò Cristal, spiegando al massimo le ali dell'armatura di Odino per aumentarne la potenza. Tormenta ed esplosioni che avrebbero fatto tremare persino le mura del Valhalla si abbatterono sullo sterminatore dell'Olimpo. Con gli occhi sbarrati, si accorse che piccole ma evidenti scheggiature stavano comparendo sull'armatura già danneggiata dal colpo congiunto di poco prima.
"Sono pieni padroni del nono senso, il loro potere cresce di secondo in secondo, cresce a dismisura! Presto supererà anche quello degli Dei stessi!" realizzò, rendendosi conto, forse per la prima volta, di quanto formidabili fossero.
Furioso, allargò di scatto le braccia, disperdendo il ghiaccio prima di lanciarsi in una nuova carica. Troppo veloce per l'avversario, gli arrivò a ridosso e poggiò il palmo sul torace. "Croce dell'Ebano!"
Esplodendo devastante, il colpo segreto della Prima Ombra aprì una spaccatura profonda sul pettorale delle vesti di Odino, scagliando Cristal contro una parete. Subito, Andromeda, Pegasus e Phoenix intervennero in difesa dell'amico, le armi strette in pugno.
Con un gesto imprevedibile, Erebo si portò la mano dietro la schiena, staccando l'intero blocco di lame ed impugnandolo come se fosse un mortale ventaglio. Fendette l'aria, aprendo un taglio orizzontale sul pettorale di Phoenix, costretto ad una capriola all'indietro per non essere tagliato completamente in due.
Pegasus e Andromeda esitarono alla vista di quella novità, dando al nemico la frazione di secondo necessaria per riposizionare la spada che aveva in mano e tendere l'arma in avanti. Immediatamente, le quattro lame si allungarono fulminee, schizzando verso i sorpresi Cavalieri.
Reagendo di riflesso, Pegasus riuscì a schivare, ma Andromeda e Phoenix vennero feriti di striscio e spinti indietro, accompagnati da sottili schizzi di sangue laddove le lame riuscivano a tagliare persino le loro nuove armature.
"Ha già distrutto queste corazze in passato, non possiamo permetterci di abbassare la guardia o saremo spacciati!" pensò Pegasus, correndo sotto le spade per tentare una nuova offensiva. Vedendolo arrivare, Erebo ruotò l'arma contro di lui, e nello stesso momento lo indicò con le dita, facendo partire una fitta pioggia di sottilissimi raggi neri.
Il Cavaliere però, ben abituato a tecniche di questo tipo sin dalla battaglia con Ioria, li evitò con una serie di movimenti laterali alla velocità della luce, balzando poi sulla lama distesa e usandola per darsi la spinta e sferrare un calcio in avanti.
Ugualmente agile, Erebo sollevò il braccio per pararlo, ma Pegasus si aspettava quella mossa e, aperte di colpo le ali della veste divina, frenò bruscamente la propria carica, ruotando sul suo asse e sferrando un improvviso fendente con lo scettro di Zeus. Un istante dopo, un sottile taglio diagonale comparve sul pettorale della Prima Ombra.
"Che ti succede, non riesci a starci dietro?" provocò, sornione, il Cavaliere, incassando contemporaneamente il pugno, carico di energia. "Fulmine di Pegasus!!"
Con gli occhi ardenti come braci, Erebo agitò la sua arma, tranciando le sfere del Fulmine e mirando al volto del ragazzo, solo per scontrarsi con la lama dello scettro di Zeus. Entrambi eseguirono un passo indietro, poi scattarono l'un contro l'altro, in una danza mortale di affondi, fendenti e schivate.
Defilato, ad alcuni metri di distanza, Sirio seguiva con attenzione l'evolversi degli eventi, e in particolare il modo in cui gli amici usavano le armi degli Dei.
"Avevamo già visto in azione Balmung o la spada di Hades, ma Pegasus padroneggia lo scettro come se l'avesse usato da sempre... armi di tal fattura possono essere solo opera di Efesto. Hades però ha detto che più di una era stata proibita agli Dei durante la nostra scalata, e, a parte la lancia di Ares, l'unica altra differenza è..."
Tentativamente, si portò la mano dietro la schiena, raggiungendo il disco solare che ora la decorava. Non appena l'ebbe sfiorato, i raggi centrali si piegarono su di loro e staccarono, mentre una corda sottilissima ne congiungeva le estremità. La mente dell'eroe fece appena in tempo a rendersi conto che era un arco che stringeva tra le mani, che uno dei raggi del sole che aveva sul torace si illuminò ed allungò, lasciando fuoriuscire una freccia. Non appena Sirio l'ebbe incoccata, un nuovo raggio si materializzò al posto del precedente.
"Ma certo, che sciocco! Apollo non è solo musico e cantore, ma anche l'arciere che miete vittime, insieme alla sorella Artemide!" ricordò, prendendo la mira. Prima che potesse scoccare però, accadde un nuovo prodigio: bagliori di cosmo iniziarono a fluttuare attorno alla punta della freccia, simili a lucciole che si radunavano vicino ad una fiamma. Un fenomeno raro, ma che l'eroe aveva già visto in passato, appena prima della distruzione del Muro del Pianto.
"Atena ispirò la costruzione del Grande Tempio alla struttura dell'Olimpo... che la forgia della freccia di Sagitter sia stata basata sui dardi di Apollo? Non c'è che un modo per verificarlo!" pensò, avvolgendosi del suo cosmo.
"Pegasus, allontanati da lui!!" gridò, lasciando partire il suo dardo. Un attimo dopo, lo prese di mira e scagliò la piena furia del Drago Nascente.
Con un sorriso, si accorse di aver visto giusto. Il dragone sembrò avvolgersi attorno alla freccia e scomparve, mentre il bagliore del proiettile aumentava. Vistolo, Pegasus indietreggiò con un balzo.
Ruotando sul proprio asse, Erebo intercettò la freccia e la tagliò in due appena prima che potesse colpirlo, ma, al solo tocco della punta con la lama, l'energia del Drago Nascente esplose, ben più concentrata e potente del solito. Colto alla sprovvista, la Prima Ombra barcollò indietro di un passo.
Con un movimento quasi invisibile, Sirio incoccò una seconda freccia, solo per rendersi conto che una tempesta di globi neri stava sfrecciando verso di lui con un misto di traiettorie diritte ed a parabola. Spostando la mira, ne centrò uno, immettendo nel dardo abbastanza energia da produrre un'esplosione che spazzasse via anche quelli più vicini, poi ripose l'arco e si gettò in avanti, le mani all'infuori. "Colpo dei Cento Draghi!!"
Le due tecniche sembrarono annullarsi a vicenda, ma il cosmo di Erebo era superiore e Sirio si ritrovò spinto indietro dal contraccolpo. Prima che il demone potesse approfittarne, Andromeda volò in avanti come una saetta, la spada stretta in entrambe le mani e diretta al volto del nemico. Ruotando di scatto su un piede, il Flagello degli Dei schivò, non riuscendo però impedire la comparsa di una nuova scheggiatura sulla protezione della guancia della sua maschera, appena sotto l'occhio.
"Se vuoi vendicare l'occhio di cui ti ho privato, dovrai fare molto meglio di così!" ringhiò, facendo ruotare e calando le quattro lame come un artiglio. Andromeda parò, ma altrettante spaccature si aprirono sulla sua spada, nei punti in cui le armi si stavano scontrando.
"Vuole... farla a pezzi...!" intuì, sentendo il nero cosmo del nemico stridere già contro la Surplice, spaccandola in più punti. Spostando il proprio baricentro, balzò all'indietro, cercando di mettere un po' di distanza tra sé e il nemico.
"Sciocco! Non hai armi per colpirmi da lontano, mentre io non ho limiti di sorta!" rise Erebo, pronto ad allungare le sue lame. In quel momento però, il cosmo di Andromeda esplose, avvolgendolo di rosata energia.
"Catena di Andromeda!!" gridò, sorprendendo compagni ed avversari. Al suo comando, l'aura si plasmò in decine di catene di luce, che si schiantarono con forza sull'armatura dell'avversario.
Non bastarono a fermarlo, andando subito in pezzi sulla sua veste nera, ma in quel momento il ragazzo si gettò di nuovo in avanti, la spada sollevata per vibrare un fendente. Troppo tardi Erebo si accorse che non era un colpo comune: un attimo più tardi, la parte più esterna del suo coprispalla sinistro andò in pezzi, aprendo un taglio profondo sull'invisibile corpo sottostante.
Guardando la lama, si accorse che era circondata dal vorticare di cosmo e vento. "Hai usato la stessa strategia della Nebula Chain per potenziarne il taglio!" sibilò.
"Forse dovrei chiamarla Nebula Sword!" rispose Andromeda, sostenendo lo sguardo del nemico con insolita sicurezza. Non era che apparenza: un reticolo di crepe minuscole era già comparso sulla spada, meno adatta a controllare i venti rispetto all'armatura rinata con il sangue di Eolo, ma non poteva permettere ad Erebo di accorgersi che non sarebbe potuto ricorrere a quell'espediente più di altre una o due volte al massimo.
"Una nuova arma, dunque? Mettiamola alla prova con un vero attacco!" rispose la Prima Ombra, facendo scattare le sue lame in avanti, e incassando contemporaneamente il pugno nel fianco.
In quel momento però, una fenice dagli artigli infuocati comparve alle sue spalle. "Hai ben detto, fratello! Rogo della Fenice!!" gridò Phoenix, rientrando nella mischia, e cercando di dirigere le fiamme verso le zone in cui la corazza del nemico era già danneggiata. Contemporaneamente, Andromeda fece esplodere i venti della Nebulosa, abbastanza da deviare la traiettoria delle lame.
Con un ghigno furioso, Erebo lasciò cadere un istante il cerchio di spade ed aprì i palmi verso l'esterno, liberando da ciascuno la potenza del Fiat Nox. Sia la fenice che la Nebulosa vennero spazzate via, seguiti un istante dopo dai due fratelli. Con un balzo però, Pegasus si pose a difesa di Andromeda, il cosmo luminoso come una stella.
"Lacrime di Pegasus!!" urlò, avvolgendo l'oscurità del Flagello dell'Olimpo con il proprio bagliore, fino a prenderne il controllo. "Fulmine di Pegasus!!"
Nello stesso istante, Phoenix riuscì in qualche modo ad arrestare la spinta e sollevare il braccio. Immediatamente, crepe nere si aprirono sul bracciale dell'armatura di Ares, facendo sgorgare flotti di sangue dal malconcio corpo sottostante, ma l'eroe non ci badò, prendendo piuttosto la mira per scagliare la lancia del Dio della guerra.
Erebo si avvide del pericolo, ma prima di poter parare o schivare, venne centrato dalle devastanti meteore del Fulmine di Pegasus, cariche anche del suo stesso cosmo oscuro. Raggiunto a schiena e ginocchia, barcollò, riuscendo a stento a ruotare sul proprio asse, ma non poté impedire ad un nuovo sfregio di comparirgli sul fianco sinistro.
Un secondo più tardi, draghi emeraldini e venti allo zero assoluto si abbatterono sul suo torace, mentre Sirio e Cristal scatenavano l'Aurora del Nord ed i Cento Draghi. Del tutto incapace di difendersi, venne scaraventato malamente contro una serie di colonne, per poi sbattere sulla parete del salone.
"Ci siamo quasi!" pensò Pegasus, stringendo la presa sullo scettro di Zeus e scattando in avanti per continuare l'offensiva insieme agli amici.
In tutta risposta, correnti nere dal fetore mortifero li investirono, mentre Erebo si rialzava minaccioso, ammantato da lingue di cosmo.
"Con tutti voi stessi mi combattete! E' così sbagliato desiderare un universo libero dai capricci del fato, in cui siano solo valore e merito a contare? E' così sbagliato un mondo in cui nessuno dovrà piegarsi in ginocchio al volere di un essere volubile e meschino?" ringhiò, con sincero fervore. "Il nuovo mondo che io edificherò sarà dominato da tenebre ed oscurità, ma nessuno dovrà temere la mano invisibile di un destino malefico! Badate, voi che tentate di impedirne l'avvento: le risorse di Erebo sono infinite!"
Queste ultime parole furono accompagnate da una serie di intricati movimenti con le mani. Prima che i Cavalieri potessero controbattere le sue argomentazioni, prima persino che potessero rendersi del tutto conto di cosa stesse accadendo, un'infinità di fittissimi raggi concentrici partì dal corpo della Prima Ombra, diramandosi indistintamente in tutte le direzioni.
"Fate attenzione!" urlò Cristal, creando istintivamente una barriera di ghiaccio, solo per vederla subito crollare in pezzi. Raggiunti in pieno a torso, fianchi ed arti, gli eroi vennero travolti da migliaia di colpi sempre più potenti. Per di più, a mezz'aria i raggi si curvarono in direzioni diverse, separandoli il più possibile.
Sbattendo a terra e perdendo l'elmo della Surplice, Andromeda si trovò sovrastato da Erebo. Le unghie della mano, mutate in affilatissimi artigli, gli trapassarono il braccio sinistro, strappandogli un grido che divenne agonia quando scariche nere iniziarono ad irradiarsi dal corpo del nemico.
"Andromeda!!" gridò Cristal, tentando di volare in suo soccorso attraverso la pioggia di raggi e vibrare un affondo alla gola del Dio primigenio. Balmung però non attraversò che fumo nero, mentre Erebo compariva alle sue spalle, afferrandolo alla caviglia ancora tesa a mezz'aria e facendolo ruotare vorticosamente sopra la propria testa, per poi sbatterlo a terra con tutta la forza che aveva.
Vomitando sangue, il Cigno tentò di divincolarsi, ma non abbastanza in fretta. Erebo gli poggiò la mano sul torace e sferrò la Croce dell'Ebano a distanza ravvicinatissima, aprendo una profonda spaccatura sul pettorale della veste di Odino. Schizza di linfa vitale macchiarono la veste cinerea del Dio, senza tuttavia chetarne la sete.
"Allontanati da loro!" ordinò Dragone, scoccando una dopo l'altra una pioggia di frecce. Per farlo però doveva sacrificarne la forza, caricandole solo del cosmo di cui era ormai saturo l'ambiente, ed infatti non riuscì che a distrarre il nemico, senza causargli alcun vero danno.
Nondimeno, lo sguardo di Erebo si focalizzò su di lui. Rilasciando una nuova tempesta di dardi per impedire a Pegasus e Phoenix di aiutarlo, si avventò su di lui, centrandolo con un colpo alla gola ed un altro allo stomaco.
Tossendo sangue, Sirio barcollò in avanti, mentre un terzo affondo, stavolta con la mano serrata ad artiglio, frantumava il fregio solare che aveva sulla schiena, arrivando pericolosamente vicino alle ossa sottostanti. Tentando di divincolarsi, l'eroe lasciò cadere l'arco, mutò la caduta in una capriola tese le mani verso Erebo, nella posa dei Cento Draghi.
Un dolore lancinante però gli devastò il fianco. Abbassando lo sguardi, si accorse di essere stato trafitto, trapassato da parte a parte, da una delle lame della Prima Ombra. Lasciate a terra poco lontano, le armi si erano sorprendentemente mosse da sole, allungandosi a difendere il loro signore.
Accasciandosi mentre la lama si ritraeva, il ragazzo venne centrato al viso da un calcio e spinto malamente al suolo, in una pozza scarlatta.
"Dagli occhi di Oberon ho visto che è in un luogo chiamato Cina che sei diventato Cavaliere. Esiste lì una Muraglia che si dice costruita con le ossa di coloro che furono incaricati di edificarla... stessa cosa farò io: sui vostri cadaveri costruirò il mio impero! Non meritare altra sorte per l'insistenza con cui cercate di difendere l'iniquo ordine costituito da Fato!" esclamò, concentrando il cosmo nella mano.
Una luce azzurra abbagliante lo fermò prima che potesse abbassarla.
"Mi spiace, ma quanto può esserci di condivisibile nel fine che persegui, viene più che vanificato dai mezzi che adoperi!" intervenne Pegasus, correndo verso di lui insieme a Phoenix.
Un sorriso di scherno si allargò sul viso di Erebo. "Intendi gli stessi mezzi che vi stanno annientando?" lo derise, sferrando una nuova tempesta di raggi.
"Intendo i mezzi su cui avremo ragione!" rispose il Cavaliere. Sia lui che Phoenix iniziarono a ruotare rispettivamente lo scettro di Zeus e la lancia di Ares come eliche, deviando colpo su colpo.
"Non basterà!" sibilò la Prima Ombra senza scomporsi, aumentando l'intensità dell'assalto al punto da fermare la corsa degli eroi, ed iniziare persino a spingerli indietro, facendo sanguinare le dita che stringevano le armi.
In quel preciso istante però, accadde qualcosa che nessuno si aspettava: un cosmo enorme come l'oceano, divino, avvolse tutti loro come in un abbraccio, permeando l'aria, l'acqua ed il suolo di Avalon. Penetrando in profondità, nel terreno e nelle fonti delle sorgenti, infondendo nuova vita al regno in rovina di Oberon.
Un grido d'aiuto, cui l'isola rispose, ridestandosi come dal torpore della notte. Liberi dalle catene, spiriti dei boschi, ninfe e driadi riaprirono gli occhi e spiegarono le ali, salendo al cielo come sciami dai colori dell'arcobaleno. I fiumi ripresero a scorrere, le fronde degli alberi a coprirsi di gemme.
L'intero castello tremò. Enormi radici emersero come colonne dal sottosuolo, cercando di vendicarsi di colui che aveva ucciso il loro amato signore. Erebo si trovò circondato da rami nodosi, che invano sbattevano sulla sua armatura alla ricerca di un punto debole.
Una sola emanazione della sua aura li polverizzò, ma adesso la Prima Ombra poteva avvertire gli echi di una battaglia lontana. "A chi appartengono questi cosmi in lotta?" si chiese, rendendosi subito conto che non erano esseri umani, ma divinità di contrapposte fazioni.
"Non è il momento per distrarsi!" lo redarguì Phoenix, con uno sguardo di sfida. Alle sue spalle si innalzò l'aura azzurra del primo tra i paladini di Atena. Con una mossa inaspettata, l'eroe bloccò il compagno in una stretta, gridando "Spirale di Pegasus!!!"
Avvolti in spire di luce, i due salirono verso il cielo, disegnando una parabola simile all'arco di una stella cadente per poi cadere in picchiata verso il nemico. La spinta e la velocità di rotazione del colpo segreto, unita alla resistenza delle vesti divine, li avvolse in una difesa impenetrabile contro la quale si infrangevano i dardi di Erebo.
Resosene conto, la Prima Ombra sgranò gli occhi e tentò un colpo segreto più potente, ma in quell'attimo Sirio gli afferrò la caviglia e colpì con Excalibur, scheggiando la sua corazza e distraendolo per la frazione di secondo necessaria affinché gli altri due potessero colpirlo.
Con un'esplosione di fiamme e cosmo, lo Sterminatore dell'Olimpo barcollò, solo per trovarsi nel pieno delle correnti della Nebulosa di Andromeda.
"La malvagità che emani è veleno che corrode la terra stessa! L'ho vista, riflessa nella crudeltà di Apopi, e nella malizia dei Flagelli! Niente di buono potrà mai nascere per mano di chi si circonda di tali servitori!" accusò, vibrando un fendente con la spada, nuovamente avvolta dai venti.
Con uno sguardo irato, Erebo concentrò il cosmo nella mano e la bloccò con le dita, ignorando il taglio profondo che comparve sul palmo.
"Ingenuo e pretenzioso! Tu, che chini passivamente la testa al destino, cosa potrai mai comprendere dei tormenti e delle aspirazioni di un Dio, che mira a rovesciarlo? Qualunque sacrificio varrà bene quel trionfo!" ritorse, sostenendone lo sguardo accusatorio. Pur con riluttanza, Andromeda dovette ammettere di scorgere reale convinzione, persino passione, nei suoi occhi spietati, e l'ombra di un dubbio gli attraversò la mente.
Approfittandone, Erebo lo colpì con un pugno all'addome, spaccando la Surplice e trapassandolo di energia nera, per poi afferrarlo per la gola e scaraventarlo indietro.
Il suono della vibrazione di una corda tesa lo portò a girarsi di scatto: una freccia d'oro era stata scoccata contro di lui. Contemporaneamente, tre cosmi esplosero.
"Rogo della Fenice!!"
"Cometa di Pegasus!!"
"Pienezza del Dragone!!"
Zanne, zoccoli e artigli brillarono minacciosi nell'aria, mentre i tre animali mitologici comparivano attorno al dardo, avvolgendolo fino a farlo risplendere come una scheggia di arcobaleno, un frammento degno di Bifrost stesso.
Erebo si accorse subito del rischio che correva. Sollevate entrambe le mani, concentrò quanta più energia possibile. "Croce d'Ebano!!"
Il colpo segreto intercettò la freccia a mezz'aria, ma l'esplosione fu comunque devastante, al punto da far tremare l'intero castello. Investito dal contraccolpo, il Dio venne sbalzato indietro, mentre le parti più esterne dei coprispalla e dei bracciali della sua corazza andavano in frantumi.
"Cristal... è tuo!!" gridò Sirio, accasciandosi in ginocchio per lo sforzo.
"Sì... è mio..." pensò il Cavaliere del Cigno, spiegando le ali dell'armatura di Odino. Prima che Erebo potesse reagire, enormi mura di ghiaccio spesse quasi mezzo metro ed alte fino al soffitto si innalzarono attorno a lui, imprigionandolo assieme all'eroe in una gabbia di pochi metri di diametro.
Una sola occhiata bastò alla Prima Ombra per accorgersi che quelle mura risplendevano di bagliori scarlatti. Cercò di far venire a sé le sue spade, ma esse non si mossero, prigioniere nella morsa del gelo.
"Aurora del Nord!!" ululò Cristal il Cigno, il cui cosmo aveva ormai superato i livelli divini di Odino stesso. Venti gelidi sferzarono il nemico con una tempesta allo zero assoluto. In pochi istanti, lingue di ghiaccio si arrampicarono su braccia e gambe, disegnando stalattiti che nemmeno le armi di Libra avrebbero potuto frantumare facilmente.
Bloccato, indebolito dal gelo, Erebo alzò lo sguardo ad incrociare quello dell'eroe. "Proprio tu, che persino più dei tuoi compagni hai sofferto l'ingiuria del destino, mi combatti con tutte le tue forze?" sussurrò, in un misto di accusa e sorpresa.
Nel notare la perplessità negli occhi di Cristal, proseguì "Conosco la storia delle tue sofferenze. Pensaci, cosa fu la morte di tua madre, se non un disegno di Fato per spingerti a diventare Cavaliere? Sei stato manipolato, in preparazione di questo giorno... di questa battaglia contro di me!"
L'affermazione, il tono pratico in cui era stata espressa, la sola possibilità che potesse essere vera, colpirono il ragazzo come un maglio. Battendo gli occhi, soppesò la cosa, ricordando il giorno dell'incidente, il posto mancante sulla scialuppa, l'affondamento della nave con la perdita di una sola vita. Per quanto detestasse ammetterlo, le parole di Erebo erano più che plausibili.
Intuendo di aver fatto breccia, la Prima Ombra insistette "Potresti ribellarti a colui che ti ha obbligato a questa sorte, invece di aiutare a portarla a compimento! Nessuno di voi ha i mezzi per raggiungere il più alto empireo, il cielo sopra il cielo ove aleggia Fato. Ma io posso, e lo farò! Per mia mano, un tiranno cadrà!" sibilò.
Le labbra del ragazzo tremarono, animate da un improvviso desiderio di vendetta. Poi però ricordò il futuro che aveva visitato, la disperazione che riempiva l'animo dei pochi superstiti, e la sicurezza tornò nella sua voce.
"Potrebbe anche essere come dici... potrebbe anche essere che tutti i miei patimenti siano stati pianificati a tavolino da un essere superiore. Ma di una cosa sono certo: nessun fine... giustifica mezzi così sanguinari! La madre che amavo e che mi ha cresciuto, avrebbe donato volentieri la vita per impedire l'ascesa di un regnante oscuro come te!" esclamò, facendo esplodere il suo cosmo.
"E allora morirai!" urlò Erebo, liberandosi di colpo e facendo schizzare in avanti la mano assassina.
Reagendo d'istinto, Cristal agitò indietro le ali, portandosi al di fuori della sua portata, e fece avvampare il proprio cosmo, sentendolo insinuarsi nelle mura di ghiaccio, fino a sfiorare le fiamme che riposavano al loro interno. "Scintille nella Bufera!"
Il colpo esplose devastante, investendo la Prima Ombra da tutte le direzioni, ma non bastò a spegnerne lo spirito combattivo. Dando fondo alle sue risorse, sferrò il Fiat Nox, usandolo per smorzare la forza distruttiva della tecnica del Cigno. L'abbraccio della notte si mischiò ad una fitta coltre di polvere, vapore e frammenti di ghiaccio, oscurando per un attimo il campo di battaglia.
Con un balzo, Erebo emerse improvvisamente per ghermire la vita del nemico, le unghie affilate e sottili, ma Cristal fu persino più veloce e alzò le braccia sopra la testa, calandole poi di scatto. "Per il Sacro Acquariuuuus!!"
La furia del colpo segreto investì Erebo in pieno, costringendolo a coprirsi gli occhi. "Devo impedirgli di avvicinarsi! Fiat Nox!!" pensò, circondandosi di nuovo della sua tecnica di base e attaccando alla cieca.
"E' inutileeee!" urlò Cristal, da ben più sopra di lui. Riaprendo gli occhi, Erebo vide che il Cavaliere aveva diretto parte del colpo segreto verso Balmung, e ora si stava gettando in picchiata contro di lui.
"Ha usato il ghiaccio per allungare il raggio della lama!" comprese, tentando un'ultima resistenza. Catene di cosmo però gli si avvolsero attorno alle braccia. Fece appena in tempo a scorgere Andromeda con la coda dell'occhio, che il Cigno fu su di lui, trapassandogli la gamba destra da parte a parte.
Con un grido di dolore, Erebo cadde in ginocchio. Era il momento che Dragone, Pegasus e Phoenix stavano aspettando. I loro cosmi esplosero ancora una volta, dando fondo alle ultime energie.
"Adesso, amici! Che il nostro destin si compia: Fulmine di Pegasuuuus!!"
"Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
"Ali... della Fenice!!"
Erano solo i loro colpi base, ma carichi di ogni stilla di cosmo in loro possesso. Impattarono su Erebo con forza inaudita, spaccando in più punti la sua armatura, e tramutando il suo grido in un vero ululato di agonia. Nondimeno, continuarono ad attaccare, mettendo tutto loro stessi in uno sforzo supremo.
Quando l'assalto fu finalmente terminato, la Prima Ombra crollò carponi, il corpo fumante, il cosmo drasticamente ridotto. In affanno, ansimanti, gli eroi lo osservarono, i nervi tesi, i muscoli pronti a scattare in caso di un nuovo attacco. Ugualmente pronti, Andromeda e Cristal tornarono ad affiancarli.
Non erano però preparati a quel che accadde: Erebo non rimase immobile che per alcuni istanti solamente, ma, quando si mosse, fu subito chiaro che non erano gesti volontari. Il suo corpo sembrò attraversato da violente convulsioni ed iniziò a contorcersi, il viso deformato in una maschera illeggibile.
Dopo alcuni secondi, una specie di filo di fumo emerse dal suo petto, fluttuando qualche momento nell'aria e assumendo sembianze vagamente umane, prima di disperdersi nel vento. Ben presto, altri lo seguirono, abbandonando quasi con giubilo le membra della Prima Ombra.
Guardandole con attenzione, Andromeda fu il primo a riconoscerle. "Ma quelle sono..."
"Le anime degli Dei...!" comprese anche Pegasus, riconoscendo in quelle figure tremulanti i volti di Zeus, Ercole, Apollo e tutti gli altri.
"Erebo non ha più la forza di tenerle imprigionate... stanno tornando dai loro legittimi possessori!" sussurrò Sirio, sbalordito. Come a confermarne le parole, uno degli spiriti scese delicatamente in quello che era diventato il trono della Prima Ombra.
"Oberon..." intuì Pegasus, prima di spostare di nuovo lo sguardo su Erebo, e chiedersi se anche Atena, che non aveva più membra verso cui far ritorno, sarebbe emersa. Quando l'ultimo degli spiriti, Ermes, scomparve, dovette però costringere in gola un amaro singhiozzo.
Erebo intanto era tornato perfettamente immobile, di nuovo carponi, il capo chino.
"E' la fine dei tuoi propositi di dominio! Il mondo di tenebre cui anelavi non avrà mai luogo!" esclamò, tendendo la punta dello scettro.
In risposta, un suono intellegibile riecheggiò attorno al Flagello dell'Olimpo. Per un istante, i Cavalieri si chiesero se non stesse singhiozzando, ma poi capirono che era una risata sommessa.
"Uh uh uh uh... quanto vi sbagliate..." sussurrò, incrociando i loro sguardi, e rivelando occhi che brillavano di una luce demoniaca. Allarmati, gli eroi sollevarono la guardia.
"Sarà un mondo perfetto, ma voi non vivrete abbastanza a lungo da esserne parte!Permettendo agli Dei di fuggire, avete commesso il più grave degli errori..." iniziò, mentre un cosmo più nero della pece lo avvolgeva.
L'oscurità riempì le crepe sulla sua armatura, riparandola. Ad un cenno, il cerchio di spade spaccò i ghiacci e volò da lui. Appena lo ebbe stretto nel palmo, le lame si chiusero come un ventaglio, fondendosi in una sola. Erebo la staccò, lasciando cadere con disinteresse il resto mentre si rimetteva in piedi. Nelle sue mani, la lama mutò, allungandosi a diventare uno spadone alto quasi quanto una lancia, appiattendosi fino ad avere lo spessore di un foglio di carta, allargandosi al centro e dividendo la punta in due: una centrale, più lunga, affiancata da un'altra, che partiva pochi centimetri più in basso e si ripiegava, a mezzaluna, verso l'interno.
Non era l'unica metamorfosi. L'effige di una bocca ghignante comparve a rilievo al centro del torace, gli occhi rossi come tizzoni ardenti. E intanto, il cosmo della Prima Ombra continuava ad aumentare, a dismisura.
"Che sta succedendo?!" si chiese Andromeda.
"Uh uh... sciocchi ingenui... pensavate che le anime degli Dei aumentassero la mia forza, o comunque non facessero differenza... ma sbagliavate. Una grande quantità del mio cosmo era votata al tenerle imprigionate, a consumarle per impedir loro di rinascere. Adesso che le avete liberate, posso affrontarvi con la mia vera forza!"
Queste poche parole, accompagnate da uno sguardo gelido e mortale, paralizzarono i ragazzi, spingendoli a muovere istintivamente un passo indietro.
"Vuoi dire... che finora il tuo potere era ridotto?!" mormorò Pegasus, incredulo di fronte al nuovo incubo che si stava profilando.
"Invero... credendovi morti dopo il nostro primo incontro, mossi guerra agli Dei per evitare che potessero interferire nella mia guerra a Fato. Era mia intenzione consumarne completamente le energie, facendomi forte anche dei loro cosmi prima della ribellione" spiegò, lentamente, cadenzando alla perfezione ogni parola.
"Sapendo che questo mi avrebbe lasciato temporaneamente vulnerabile, mi circondai di Flagelli e Imperatori, la cui forza avrebbe ovviato alle mie mancanze in caso di attacco improvviso da nuovi emissari di Fato. Avevo sottovalutato le sue risorse, come quelle di Atena..." disse, fissando lo sguardo su ciascuno di loro, come se li stesse vedendo realmente per la prima volta.
"Ora però gli Dei sono liberi!" notò Sirio, ma Erebo si limitò a scrollare le spalle, ed indicare il suo trono. Lo scranno era avvolto da un flebile alone, ma per il resto era immutato.
"Poco importa... a seconda delle condizioni in cui versavano, avranno bisogno di tempo per rigenerarsi del tutto... e comunque nessuna divinità può arrecarmi danno. No, l'unico vero ostacolo sul mio cammino siete voi cinque, ed ora vi annienterò con la tecnica che ho concepito per detronizzare Fato! Degni del mio rispetto, sarete i primi a vederla. I primi in assoluto!
Aμαχανία"A questa sola parola, il cosmo di Erebo avvampò inusitato, allarmando gli eroi. Anziché esplodere però, l'energia avvolse la spada, stretta nella mano sinistra, ed il pugno destro.
"Sta infondendo in loro il suo cosmo..." comprese Sirio, socchiudendo gli occhi preoccupato.
Erebo se ne accorse, e sorrise. "Giustificata è la paura che ti domina, perché ἀμ
αχανία in greco vuol dire disperazione!"Stringendo la presa sulla lancia di Ares, Phoenix scattò in avanti per primo. "Basta minacce e vuote parole, lo abbiamo già costretto in ginocchio una volta!" gridò, eseguendo un affondo.
"E per quel trionfo, soffrirete!" rispose soltanto Erebo, facendo ruotare la spada in un cerchio completo di 360 gradi e parando la punta della lancia con il piatto della lama, scheggiandola. Nello stesso, fluido, movimento, calò il taglio della mano destra contro il nemico.
Istintivamente, Phoenix parò con l'asta della sua arma, solo per vederla esplodere in centinaia di schegge al tocco del nemico. Per di più, la sua mano continuò a scendere, aprendo come niente una profonda spaccatura diagonale sul pettorale dell'eroe.
"Ma... che cosa?!" mormorò, cadendo con gli occhi sbarrati, in un lago di sangue.
Sgomenti, nonostante i movimenti lenti per la fatica e lo stupore, gli altri Cavalieri corsero ad aiutarlo.
"Excalibur!"
"Aurora del Nord!"
Impassibile, Erebo ruotò nuovamente la spada, annullando i due colpi segreti per poi far scattare la mano destra in avanti, e travolgere il Cigno con un'ondata di energia nera.
Cercando di proteggerlo, Sirio tentò di muovere la spada sacra in un affondo, ma Erebo si mosse ad una velocità enorme, afferrandolo a mezz'aria e sbattendolo per terra, per poi colpirlo all'addome con un pugno che in quel punto frantumò persino l'armatura di Apollo.
"I suoi gesti sono misurati all'inverosimile... è completamente diverso dal nemico che abbiamo affrontato finora!" pensò Andromeda, attaccando dall'alto, entrambe le mani strette attorno all'impugnatura della spada di Hades, la cui lama era nuovamente circondata dai venti della Nebulosa.
"Cosa speri di poter fare, con un'arma in condizioni così pietose?" lo derise il nemico, sollevando di scatto il pugno. I venti attorno alla spada furono dispersi come niente, la lama andò in pezzi, ed un raggio mandò in briciole il coprispalla e due delle ali, catapultando a terra il Cavaliere.
Rimasto solo, Pegasus incassò il pugno, facendo esplodere quel che restava del suo cosmo per lanciare il Fulmine, mirando proprio alla spada del nemico. "Una lama così sottile non potrà resistere a lungo!" pensò.
Una tempesta di colpi più fitta di qualsiasi altra si abbatté sull'arma, ma, per quanta energia l'eroe imprimesse, o per quanto essi fossero numerosi, non comparve nemmeno una crepa.
L'eroe si incupì, ma non demordette, concentrando i fasci in uno solo, alla massima potenza. "La fa difficile, eh? Cometa di Pegasus!!"
Di nuovo la spada di Erebo ruotò, e di nuovo il colpo segreto si infranse senza riportare alcun risultato. "
Aμαχανία, la disperazione, cominci a provarla, non è vero? Nessun potere del creato riuscirà mai a sfondare questa mia difesa invincibile: né i colpi di Fato, né certamente i tuoi!" profetizzò con assoluta sicurezza, prima di indicarlo con il palmo della mano destra e sferrare un singolo raggio nero.In affanno, il Cavaliere seguitò a far bruciare la sua aura. "Vediamo allora se i tuoi hanno maggior fortuna! Lacrime di Pegasus!!"
Come già in passato, il suo cosmo lucente avvolse l'energia del nemico, iniziando ad inglobarla. Ma, contrariamente al solito, stavolta l'oscurità contrattaccò, erodendo la luce fino a prendere il sopravvento, di fronte allo sguardo allibito dell'eroe. Un istante più tardi, una spaccatura cruciforme grondante sangue si aprì sul torace di Pegasus, che cadde all'indietro, accompagnato dalle sguaiate risate della Prima Ombra.
"Con l'Aμαχανία, nel mio pugno destro risiede il potere della Croce dell'Ebano, che frantuma ogni difesa, mentre dalla lama a tre teste spira la possanza difensiva del Fiat Nox, barriera su cui è destinato ad infrangersi qualsiasi attacco. I colpi segreti che avete conosciuto finora, non erano che un assaggio!" proclamò trionfante, avvicinandosi verso Pegasus, che, ora in ginocchio, stava tossendo sangue, e sollevando la mano per finirlo.
"Non ti permetteremo... di fargli del male!" gridarono in coro i Cavalieri, gettandosi disperatamente in aiuto dell'amico.
Il sorriso sulle labbra di Erebo si allargò in un ghigno. "E, superiore alla Croce dell'Ebano, vi è un solo colpo. Il più terribile di tutti, la tecnica fatale che presto tormenterà gli incubi di Fato e di chiunque sarà così folle da osare sfidarmi! Valle dello Sconforto!!"
Allargò di scatto le braccia, e il suo stesso corpo brillò come una stella nera. "Il terrore degli esseri umani, le loro paure più recondite, l'oblio in cui sprofondano ogni volta che temono la parte più oscura del loro essere celata dalle tenebre... è questa la sconfinata energia che io comando, e che presto vi distruggerà!" esclamò, scatenando la furia del colpo segreto, un'emanazione di energia il cui eguale non avevano mai visto, neppure negli scontri contro i Flagelli.
Investiti in pieno, i cinque Cavalieri vennero travolti, senza possibilità di difesa. Nonostante fossero vesti divine a proteggerli, ali e coprispalla, bracciali ed elmi andarono in frantumi, i muscoli si strapparono e la pelle si lacerò, devastandoli. Una pioggia di frammenti e sangue che lordò il pavimento del salone, su cui, uno dopo l'altro, gli eroi si schiantarono impotenti e agonizzanti, aprendo piccoli crateri.
"Noi... abbiamo dato tutto... mentre lui nascondeva ancora... un'arma... così... potente..." mormorò Pegasus. Tentando disperatamente di rialzarsi, aprì gli occhi, velati dallo scorrere del sangue, per trovare Erebo torreggiare sopra di lui.
Senza dargli tregua, il Dio gli calò il piede sulla schiena, colpendolo ripetutamente per farlo sprofondare sotto terra.
Agonizzante, sentendosi schiacciare, l'eroe fu tentato di cedere, ma piuttosto serrò i denti e piegò le braccia, lottando per risollevarsi. Un flebile alone azzurro circondò il suo corpo, sfrigolando a contatto con il piede di Erebo.
Incupendosi, la Prima Ombra socchiuse gli occhi in due fessure e lo sollevò per la gola, portandolo a livello con il proprio viso. "Tu sei il più pericoloso... il più determinato e incisivo. Non ti arrendi mai, continui a lottare anche quando tutto sembra perduto, e la tua testardaggine è fonte di forza per i tuoi compagni. Devi essere il primo a cadere: abbattendo te, spezzerò il loro spirito!" disse, iniziando ad espandere il suo cosmo.
Inorridendo, Pegasus vide il mantello di Erebo agitarsi ed allungarsi, avvolgendone il corpo come un sudario, mentre la bocca che era comparsa sulla sua armatura si apriva sempre di più, in una smorfia malefica. Da essa spirava un'energia, una forza di attrazione simile ad un buco nero che cercava di tirarlo a sé. In un lampo di comprensione, intuì cosa stesse per accadere.
"La sorte che fu degli Dei adesso sarà tua! Il tuo spirito mortale non resisterà che pochi minuti, non dovrò neppure sprecare energie ad imprigionarlo! Addio: Abisso del Lamento!"
La bocca si spalancò, mentre Pegasus cercava di dimenarsi e fuggire a quella sorte. Con un calcio, spezzò la presa di Erebo e rotolò a terra, ma sentiva comunque la mortale attrazione di quelle sinistre fauci che gli impediva di allontanarsi.
"E' vana ogni resistenza! Quando il cancello dell'abisso si apre, solo la caduta di un'anima può farlo chiudere di nuovo! Perditi nella notte!" proclamò, trionfante, mentre Pegasus sentiva come se una parte di sé gli stesse venendo irrimediabilmente strappata.
All'ultimo momento però, catene di cosmo si avvolsero attorno al suo corpo per cercare di tirarlo via, mentre Cristal si avventava sul nemico, vibrando un disperato fendente.
Indifferente, Erebo alzo la spada per parare. A contatto con la lama di pece, Balmung si spaccò in frantumi, simile a ghiaccio sferzato contro una parete di roccia. Neanche il tempo di guardarne atterrito i frammenti, che una colonna nera partì dal pugno della Prima Ombra e investì l'eroe, lanciandolo sanguinante contro il soffitto del salone. Sbattendo duramente con la schiena, sputò sangue e precipitò come un peso morto.
Andromeda lo vide cadere, immobile, mentre l'attenzione di Erebo tornava a focalizzarsi su di loro. Con la coda dell'occhio, gettò un'occhiata a Phoenix e Sirio, che a stento stavano cercando di rialzarsi, palesemente incerti sulle gambe. Infine guardò Pegasus, e gli sorrise, prendendo una decisione.
Girandosi di nuovo verso Erebo, lo fissò duramente negli occhi.
"Se è un'anima che brami, non sarà la sua!" disse soltanto. Con una debole raffica di vento, scaraventò via l'amico, ponendosi saldamente tra lui e la Prima Ombra. Immediatamente, sentì su di sé la forza di attrazione che prima aveva cercato di assorbire il compagno, e sorrise, intuendo che Erebo non poteva scegliere un bersaglio piuttosto che un altro.
Senza alcuna esitazione, fletté le gambe, e si gettò in avanti.
Pegasus trasalì, intuendone troppo tardi le intenzioni per riuscire a fermarlo. Il cosmo rosato dell'eroe esplose come una supernova, mentre si lanciava alla disperata contro il nemico, dando fondo a ogni iota di energia in suo possesso. "Nebulosa di Andromedaaaa!!!"
Venti di tempesta che avrebbero spazzato via una montagna si infransero impotenti sul corpo di Erebo. "E così... hai deciso di morire" sentenziò la Prima Ombra mentre le fauci sul torace si spalancavano del tutto, e gli occhi demoniaci brillavano come stelle.
Il mantello si ingrandì ancora di più, circondando l'eroe come un telo minaccioso, del tutto incurante del vento contrario. Il risucchio della bocca divenne una corrente ben visibile, un vortice cosmico simile ad un buco nero, in cui il Cavaliere si ritrovò irrimediabilmente imprigionato. Una smorfia di dolore gli si disegnò sul viso, poi l'espressione divenne vacua, gli occhi vuoti.
"Andromedaaaaa!!!" gridò Pegasus, raggiunto anche da Phoenix e Dragone, ma ormai era tardi.
Atterriti, i Cavalieri videro l'anima del loro compagno venir strappata di forza dalle membra, fluttuare un solo istante nell'aria e infine sprofondare urlante nell'abisso. Poi, la bocca si richiuse, ed il corpo del ragazzo si schiantò esanime a terra.
"A... ndromeda..." mormorò incredulo Pegasus, fissandone le membra immobili, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Dal canto suo, Erebo scoppiò a ridere. "Piangi pure il tuo compagno, versa tutte le tue lacrime! La sorte che lo attende è sorte terribile, avrà tempo di rimpiangere di non essere morto prima! Ahahahahah"
Gli occhi di Pegasus brillarono minacciosi. Il dolore già provato poco prima, quando lo avevano creduto morto per mano dei Flagelli, si riaffacciò prepotente. Ma non vi era tempo per piangerlo, solo per vendicarlo. Deglutendo, le ricacciò indietro. Dimenticata ogni prudenza, impugnò lo scettro di Zeus e mosse nuovamente un passo verso Erebo.
Braccia forti però lo bloccarono, avvinghiandolo all'addome e alla gola. Con la coda dell'occhio, vide che era Sirio a trattenerlo.
"Che stai facendo? Sei impazzito, lasciami!" disse confuso, dimenandosi, senza però riuscire a spezzare la presa.
"No, non ti permetterò di lanciarti allo sbaraglio! Il sacrificio di Andromeda sarà vano se non troviamo un modo di superare la difesa assoluta dell'Aμαχανία!" esclamò a denti stretti, la voce rotta nonostante i tentativi di tenerla salda.
"E'... vero..." concordò Phoenix, trascinandosi davanti a loro, seguito istanti dopo da Cristal, il cui corpo grondava sangue. Entrambi avevano espressioni determinate, ma anche piatte, illeggibili, come se avessero chiuso il cuore al dolore.
Il Cigno si voltò a fronteggiare Erebo, ma Phoenix mantenne lo sguardo su Sirio, fisso nei suoi occhi.
"Ogni tecnica ha un punto debole... e tu sei il più adatto a trovarlo... ricorda... quel che ti dissi prima della battaglia contro Orion... la tua saggezza ci darà la vittoria" affermò, fissando intensamente Dragone.
Colpito da quella dichiarazione di fiducia, Sirio abbassò lo sguardo, esitando. Sapeva qual'era l'unica strada che avrebbe potuto dar loro una speranza, ma sapeva anche cosa percorrerla avrebbe comportato, perché ad ogni difesa faceva seguito un mortale contrattacco.
"Ho bisogno... di vederla ancora... quante più volte sia possibile..." ammise amaramente alla fine.
Intuendo il vero significato delle sue parole, Phoenix scambiò uno sguardo d'intesa con Cristal ed annuì. "Prendi pure... le nostre vite... le doniamo spontaneamente. Costringeremo Erebo a difendersi, quante più volte avremo la forza. Scorgi la via per la vittoria!" sorrise, prima di voltarsi verso il nemico, emulato dal Cigno, mentre Dragone annuiva, il cuore straziato dai sensi di colpa.
"Cosa... vogliono fare?" mormorò Pegasus, ma in cuor suo aveva capito.
"Donarci... una speranza..." rispose soltanto Sirio.
Insieme, Cristal e Phoenix si gettarono su Erebo, i cosmi votati ormai solo all'attacco, in un misto di cristalli di ghiaccio e lingue fiammeggianti.
"Polvere di Diamanti!!"
"Ali della Fenice!!"
La Prima Ombra prima sogghignò, poi rise apertamente a quel gesto.
"E così è il suicidio la vostra scelta? Comprensibile, in fondo. Vi capisco!" disse, ignorando lo sguardo attento di Sirio, i cui occhi erano spalancati per assorbire ogni dettaglio.
Lo vide, ruotare la spada e parare i due colpi segreti, senza che essi arrecassero il minimo danno; lo vide, travolgere Phoenix con un raggio di energia cruciforme, aprendo una profonda spaccatura sulla sua corazza; e lo vide, calare la mano assassina su Cristal, frantumando il coprispalla e la clavicola, piegandolo in ginocchio, prima di trapassarne la gamba con le unghie, in gesto di vendetta per la ferita subita poco prima, quando così vicina era sembrata la vittoria. Scorse il manto nero che avvolgeva le dita della Prima Ombra, più intenso quando toccava la veste divina di Odino, ed il modo in cui gli occhi del demone sul torace brillavano quando l'abisso era in procinto di aprirsi; la postura in cui posizionava il corpo prima dell'attacco, e quella che manteneva durante la difesa.
Ma della cosa più importante, un punto debole, un anello vulnerabile in quella perfetta catena, sembrava non esserci traccia.
Ai suoi piedi, con la bocca piena di sangue, si accasciò Cristal, ormai allo stremo.
Pensò a Flare, sperando che il suo volto gli donasse la forza per un ultimo assalto. Prima che potesse anche solo tentare però, il piede del nemico gli calò sulla schiena, forte come un maglio, spaccando la protezione della veste di Odino.
La vista appannata, i sensi quasi persi, l'eroe vacillò in avanti e cadde a terra, udendo vagamente Erebo proclamare "Abisso del Lamento!". Poi non gli restò che il dolore dell'anima che gli veniva strappata, precipitando nella prigionia. Ad accompagnarne la discesa, solo il grido di un amico, colmo di amarezza.
Soddisfatto, il Flagello degli Dei scoccò uno sguardo verso Dragone e Pegasus, deciso ad occuparsi di loro adesso. Prima di poter sollevare la mano però, dovette difendersi da una nuova esplosione fiammeggiante, mentre il Rogo della Fenice si infrangeva sulla sua spada.
Barcollando, Phoenix tornò ad avanzare, avvolto da un'aura intensa come la corona solare. Trascinandosi, si pose tra Erebo ed i compagni, i pugni sollevati. "Non leverai la mano su di loro... non finché Phoenix può ancora prender fiato!" avvertì in tono grave.
La Prima Ombra sogghignò divertito. "Belle parole, ma vuote di sostanza. La vita con cui fai loro scudo è ormai agli sgoccioli, un altro colpo ancora e tu, Cavaliere della Fenice, morirai!"
"Se questa è la sorte che mi attende, la mia morte non sarà vana..." pensò l'eroe, ma, anziché dare voce a quella speranza, si gettò in avanti con una scarica di pugni infuocati alla velocità della luce.
Ridendo, Erebo indietreggiò di un passo, iniziando a schivarli uno ad uno con una serie di movimenti laterali. "Tentativi così deboli non sono meritevoli neppure di infrangersi sulla difesa suprema dell'Aμαχανία" lo derise, confermando quelle parole con un improvvisa ginocchiata che centrò Phoenix a mezz'aria, frantumando la protezione per l'addome dell'armatura di Ares.
Vomitando sangue, il Cavaliere cadde in avanti, riuscendo però ad atterrare sul palmo della mano, ruotare sul proprio asse e sferrare un calcio ascendente verso il volto del nemico. In tutta risposta, lo Sterminatore dell'Olimpo lo afferrò per la caviglia appena prima dell'impatto, sollevandolo e facendolo ruotare sopra la propria testa, prima di sbatterlo a terra come un maglio.
Attutito solo parzialmente da quel che restava delle ali, l'impatto fu comunque terribile. Gli occhi di Phoenix divennero vacui, le pupille per un attimo opache, mentre lottava per non perdere conoscenza. Intuendone la condizione, Erebo sollevò il piede e glielo calò sulla gamba sinistra con tanta forza da frantumare il suolo sotto di lui. Con uno schiocco sordo, tibia e perone si spezzarono come un ramo secco, strappando un grido al Cavaliere. Godendo della sua agonia, la Prima Ombra continuò a calpestarlo, sempre nello stesso punto.
"Phoenix!!!" urlò Pegasus, riprendendo a dimenarsi tra le braccia di Sirio, che a sua volta dovette lottare non solo per trattenerlo, ma anche per resistere al cocente desiderio di combattere al suo fianco.
Incrociando i loro sguardi, e vedendo il dolore riflesso sui loro visi, Phoenix fece una smorfia che non passò inosservata ad Erebo. "Il dolore dev'essere accecante ormai... hai deciso di farla finita?" lo provocò.
In tutta risposta, Fenice si diede forza con un colpo di reni e, sferzando l'aria con la gamba sana, sferrò un calcio a spazzare che centrò Erebo alla bocca, strappandogli uno sguardo oltraggiato.
"La smorfia era di rammarico per aver gridato per una ferita così leggera, evidentemente mi sto rammollendo!" disse in tono di sfida, tornando in piedi e concentrando il cosmo nel pugno. "Non capiterà più! Rogo della Fenice!!"
La Fenice fiammeggiante spiccò il volo verso il bersaglio, solo per essere investita dall'aura nera di Erebo.
"Come... osi?!" ruggì, bloccandola con il palmo della mano destra, e stringendo il pugno fino a soffocarla. "Con una mano anniento la tua tecnica suprema, e con molto meno annienterò te!"
La mano scattò verso il ragazzo, le dita aperte. Ciascuna penetrò in profondità nel pettorale, lasciando fuoriuscire altrettanti raggi che trapassarono il corpo di Phoenix da parte a parte. Flotti scarlatti volarono in tutte le direzioni, il polmone destro si accasciò nella cassa toracica, le costole si spezzarono in più punti. Insistendo, Erebo lo massacrò con una scarica di pugni, centrandolo al petto, al volto e alle spalle.
Tossendo di nuovo sangue, con la gamba sinistra supportata solo da quel che restava dello schiniere, l'eroe barcollò indietro. Non però per cadere, come il nemico credeva, ma per darsi la spinta e tornare alla carica.
"Ali... della... Fenice...!"
"Ora basta!" disse, ignorando il colpo segreto per centrarlo al fianco con il taglio della mano, poi al volto con un manrovescio, ed infine allo stomaco con una colonna nera, che lo scaraventò in aria.
Il Cavaliere spiegò quel che restava delle sue ali e cambiò direzione, raccogliendo da terra la punta spezzata della lancia di Ares e scagliandola in avanti. Erebo la deviò con la mano, ma in quel momento Phoenix gli fu di nuovo addosso, sostenuto dalla forza della disperazione.
"La sua difesa... devo obbligarlo a usare ancora... la sua difesa..." pensò, richiamando nel pugno le energie che gli restavano. Gli occhi concentrati solo sul bersaglio, la mente tesa alla lotta e ignara di tutto ciò che li circondava, prese istintivamente di mira la metà sinistra del corpo di Erebo. Il nemico però ruotò il busto e strinse la propria mano destra attorno a quella dell'eroe, stritolandola proprio come poco prima aveva fatto con le fiamme del Rogo. Con uno scricchiolio nauseante, anche quelle ossa si sbriciolarono.
Una nuova ginocchiata lo centrò alla bocca dello stomaco, prima che un'altra colonna di energia lo scaraventasse in aria, schiantandolo contro la volta del salone. Stavolta però fu seguita da una sfera nera, che mandò le ali in frantumi, lasciandolo precipitare come Icaro.
Anziché lasciarlo cadere, Erebo lo afferrò al volo, conficcandogli le unghie alla base del collo e tenendolo sospeso sopra la propria testa, mentre fiumi di sangue grondavano dal suolo da un'infinità di ferite.
"Mi basterebbe un solo gesto a decapitarti, anche meno per ridurti ad un vegetale incapace del più basilare dei movimenti. Un guerriero valoroso come te però merita almeno una morte rapida. Supplicami, prostrati ai miei piedi, invoca la pietà divina, e te la concederò!" sibilò, continuando a torcere gli artigli e guardandolo contorcersi, pronto a tagliargli il midollo spinale.
Inorridito, con il viso rigato dalle lacrime, Sirio non riuscì più a guardare e lasciò andare Pegasus, correndo verso di loro avvolto dal bagliore del proprio cosmo, subito affiancato dall'amico.
"Ora basta, smettila! Troveremo un altro..." iniziò, ma le parole gli morirono sulle labbra. Sollevando il braccio, Phoenix indicò nella loro direzione, alzando un muro di fuoco per fermarli.
"Per chi mi avete... preso... non... ho bisogno... del vostro aiuto..." esclamò, e su quel volto, ormai deformato in una maschera di sangue, i due amici videro un'espressione sicura, quasi arrogante, che non lasciava adito a dubbi.
A conferma di ciò, iniziò a ridacchiare sommessamente, girando il più possibile la testa per guardare il nemico negli occhi.
"Erebo... mi chiedi di supplicarti quando non ho mai pregato neanche Atena? Il più viscido dei serpenti ha maggiori speranze di te di veder Phoenix in ginocchio! Pfff" disse, sputandogli del sangue negli occhi.
Furioso, il Dio lo sollevò sopra di sé e sbatté a terra, facendo esplodere il proprio cosmo. "Pagherai caro quest'ultimo atto sprezzante! Ti spazzerò via con il mio colpo più potente! Valle dello Sconforto"
Phoenix spalancò gli occhi. "Ali della Fenice!!"
Anziché volare frontalmente, la fenice di fuoco ruotò attorno al bersaglio, cercando di colpirlo lateralmente, ma anche così le due aure si scontrarono. Il confronto era impari: come una candela di fronte ad un uragano, la fenice venne immediatamente estinta dal potere della Prima Ombra. Un istante dopo, anche Phoenix venne investito in pieno. Pettorale, coprispalla e bracciali andarono completamente in pezzi, mentre, con un boato fragoroso, persino la parete laterale della sala del trono veniva abbattuta, aprendo un enorme varco panoramico sull'intera Avalon.
Con l'armatura in frantumi, il corpo fumante e coperto di ustioni, il Cavaliere si schiantò a terra in un lago di sangue.
Soddisfatto, Erebo non lo degnò che di uno sguardo, prima di tornare a girarsi verso Pegasus e Dragone, immobili ed inorriditi, gli occhi sbarrati ed increduli. Sirio in particolare era roso dai sensi di colpa per l'azione cui sentiva di aver costretto l'amico.
"Ed ora, a voi!" sibilò, Erebo, strappandoli dal torpore, e spingendo entrambi a sollevare la guardia, in cuor loro consapevoli di non avere scampo.
Prima che il Flagello dell'Olimpo potesse compiere un solo gesto però, un cosmo di fuoco si innalzò alle sue spalle, facendolo trasalire.
Avvolto dalle fiamme, con le membra e la corazza ormai in pezzi, Phoenix si rialzò ancora una volta, fissandolo negli occhi.
"Come... com'è possibile?!" si chiese Erebo, non potendo nascondere lo sbalordimento per una volta.
"Perché tanto stupore? Sono il Cavaliere immortale... le mie fiamme arderanno sulle torce della tua pira funebre..." sussurrò minaccioso l'eroe, espandendo il suo cosmo persino più di quanto fatto finora.
Senza inizialmente neppure rendersene conto, Erebo mosse un passo indietro. Accortosene, strinse rabbiosamente il pugno. "E sia, vieni pure! Se la morte continua ad eluderti, sprofonderò anche te nell'abisso del mio essere! Il dolore che hai provato finora, oh Cavaliere, sarà niente rispetto a quello che sentirai quando la tua anima verrà fatta a pezzi!"
Il mantello nero di Erebo si agitò. La bocca demoniaca sul suo pettorale tornò ad aprirsi, gli occhi a brillare, mentre il cosmo della Prima Ombra avvampava.
Phoenix non rispose nulla, si limitò a scoccare un'occhiata verso Sirio. Concentrato al massimo, Dragone lo stava fissando.
"Fratello, tra poco ci rivedremo..." pensò allora, facendo esplodere la sua aura. "Rogo della Fenice!!"
Con uno stridio selvaggio, l'uccello di fuoco volò di nuovo all'attacco, gli artigli tesi per ghermire la preda. Il suo cosmo era immenso, stavolta Erebo non si limitò a lasciarsi colpire. La spada a tre punte ruotò. Un istante dopo, la Fenice si infranse sulla difesa dell'Aμαχανία, dissolvendosi impotente.
E Phoenix sorrise, perché era riuscito nel suo scopo: obbligare ancora una volta Erebo a usare la barriera suprema.
"Sirio... tutto è in te ora..." sussurrò, chiudendo gli occhi soddisfatto, mentre già avvertiva la fatale attrazione del cosmo nemico. Il mantello nero lo circondò, la bocca del demone si trasformò in pozzo senza fondo.
"Abisso del Lamento!"
Senza un suono, l'anima del Cavaliere gli venne strappata, ed anche Phoenix cadde.
Le lacrime scesero copiose sui visi dei due Cavalieri rimasti, Dragone in particolare strinse amaramente i denti. "Perdonami, amico mio... perdonami per il dolore cui ti ho costretto, giuro sulla tua memoria che non sarà vano..." sussurrò, superando Pegasus di un passo.
"Sirio?"
"Porta pazienza, Pegasus, presto avrai la tua occasione. Grazie a Phoenix, Cristal e Andromeda, sconfiggeremo finalmente Erebo, e tutta questa lunga guerra avrà fine!" esclamò.
Nel sentirne le parole, la Prima Ombra fece una smorfia. "Sei impazzito dopo aver visto cadere i tuoi compagni?"
"Affatto... io sono colui che annullerà... la tua tecnica invincibile" rispose soltanto, espandendo il suo cosmo.
"
Un'insana follia partorisce la tua mente. Nessuno... neppure Emera, neppure Fato potrebbe avere la meglio sull'Aμαχανία!""E' una tecnica quasi perfetta, devo dartene atto" ammise Sirio in tono grave, osservando l'arma nella mano sinistra del nemico.
"In quella spada è racchiusa tutta la straordinaria potenza del Fiat Nox, simile ad invisibile barriera che spazza via ogni assalto. È un inganno lo spessore minimo della lama, accentuato da quella forma tripunte. In realtà, qualunque colpo segreto, anche il più potente, è destinato a svanire prima di toccarla!" spiegò, memore di come tutti i loro colpi segreti fossero evaporati senza causare alcun danno. Le sue parole sorpresero Pegasus, che non aveva affatto notato quei dettagli, e fecero incupire Erebo.
Lo sguardo di Dragone si spostò sull'altra mano.
"Se la difesa è potente, altrettanto può dirsi dell'attacco. La mano destra, concentrando l'energia della Croce dell'Ebano, può spaccare qualsiasi difesa o armatura. Soprattutto, non ha limiti di forma o utilizzo: che sia il taglio, il palmo o la pressione delle dita, la sua forza rimane invariata...
"E infine la Valle dello Sconforto, il tuo colpo segreto più potente. Per usarlo, ti occorrono entrambe le braccia, ma non giova la temporanea scomparsa della difesa suprema. Esso infatti si diffonde ad ampio raggio... sono certo che, se solo lo volessi, potresti lanciarlo persino in maniera concentrica, e nessuna tecnica è abbastanza forte da superarlo per colpirti" notò, ricordando come le Ali della Fenice avessero fallito, appena pochi minuti prima. "In quel colpo hai saputo imprimere tutta l'immensa energia del tuo cosmo, tutta la profonda oscurità che permea il tuo spirito!"
"Tutto l'odio e il desiderio di libertà contro Fato... sì, hai ben detto. Non c'è pecca nella tua analisi, lo ammetto... pur vedendole solo poche volte, hai saputo leggere alla perfezione le mie tecniche definitive. Eppure, proprio per questo, dovresti aver capito che non avete scampo. E' spuntata ogni arma in vostro possesso, nessuno dei vostri colpi segreti può superare l'Aμ
αχανία, e le armature che indossate sono impotenti di fronte ai miei assalti. Siete perduti!""Lo stai ripetendo spesso... è per convincere noi, o te?" rispose Sirio, senza che la sua sicurezza vacillasse minimamente. Portandosi una mano dietro la schiena, impugnò di nuovo l'arco di Apollo. "Grazie agli Dei, che ci hanno donato le loro armi, e grazie a Cristal e Phoenix, che mi hanno indicato la via, distruggerò la tua difesa perfetta!" proclamò.
"Tenta, allora, tenta pure! La tua sorte non sarà diversa dalla loro, sempre ammesso che io ti dia il tempo di scoccare quella freccia!" ruggì Erebo, ora vistosamente infastidito. Con un movimento rapidissimo, si portò a ridosso di Sirio, calando un fendente con la mano destra.
Dragone però si lasciò cadere, facendo passare la mano assassina sopra di lui, e subito dopo si diede la spinta per un salto laterale, cercando di mettere distanza tra sé ed il nemico. In tutta risposta, la Prima Ombra sferrò una tempesta di raggi di energia, formando un reticolato all'apparenza impossibile da schivare. Non vi era che una minuscola apertura, un punto in cui i raggi erano meno fitti, all'estrema sinistra dell'eroe.
Osservandola per una frazione di secondo, Dragone socchiuse gli occhi. "E' una trappola, vuole che io mi muova in quella direzione!" pensò. Anziché saltare, concentrò il cosmo nel taglio della mano, innalzandolo più che poteva per evocare l'arma divina donatagli da Capricorn tanto tempo prima.
"Excalibur!!" gridò, fendendo frontalmente i raggi dell'avversario, sorpreso da quella strategia. Prima che Erebo potesse tentare una nuova offensiva, Sirio incoccò una freccia, colmandola di energia cosmica. "Ora scopriremo chi tra noi ha ragione! Prendi, il dardo di Apollo!!"
Avvolta da bagliori emeraldini, la freccia saettò verso il nemico più veloce della luce stessa. Gli occhi di Erebo si accesero minacciosi, mentre le labbra si allargavano in un ghigno di sfida. "E sia!" rispose, ruotando la spada nera e facendo scattare contemporaneamente la mano destra in avanti.
Con un'esplosione devastante, la freccia si infranse sulla barriera assoluta. Nello stesso momento, Sirio venne centrato in pieno petto, e una profonda spaccatura cruciforme si allargò sulla già malconcia protezione per il torace, raggiungendo le membra sottostanti. Sputando sangue, l'eroe venne catapultato indietro, finendo per sbattere malamente contro la parete e precipitare a terra.
"Siriooo!!" urlò Pegasus, correndo verso di lui. L'avvampare del cosmo della Prima Ombra però lo bloccò, obbligandolo sulla difensiva.
"Uh uh uh, paga la sua follia. Tante vuote parole non hanno prodotto risultati, come facilmente prevedibile. La freccia di cui tanto si vantava è stata vana sull'Aμ
αχανία!" proclamò.Rialzando la testa, sporca di polvere e sangue, Sirio lo osservò con attenzione. Un momento dopo, l'ombra di un sorriso gli comparve sulle labbra. "Ne... sei... sicuro? Il coprispalla sinistro... guardalo!"
Perplesso, Erebo abbassò lo sguardo, ed anche Pegasus osservò quel punto dell'armatura. All'inizio non vide nulla, ma poi si accorse che l'espressione della Prima Ombra si era improvvisamente mutata in una di rabbia e odio puro. Guardando di nuovo, con più attenzione, l'eroe si accorse di una minuscola scheggiatura, appena visibile sul bordo inferiore del pezzo.
"
I danni precedenti sull'armatura di Erebo erano scomparsi quando ha invocato l'Aμαχανία... quindi quella crepa..." comprese, girandosi verso Dragone. "Ci sei riuscito! La tua freccia è riuscita a superare la difesa perfetta!"Rialzandosi faticosamente in ginocchio, Sirio scosse la testa. "Non esiste difesa perfetta... la sua vi è più vicina di qualunque altra, ma anche lei ha un punto debole! L'ho capito... osservando Phoenix!" disse, pensando a tutte le volte in cui il Rogo della Fenice si era schiantato su quella barriera, ed al modo esatto in cui era stato respinto in ciascuna occasione.
Rimettendosi del tutto in piedi, indicò il Dio con il dito, fissando la lama nera. "La risposta è nella forma della spada, e nella rotazione che è costretto ad eseguire prima di parare!"
"La rotazione..." ripeté Pegasus, pensando al giro di 360 gradi che l'arma compiva prima di fermare i loro assalti. "Credevo servisse ad aumentarne il raggio d'azione, a proteggere la maggior parte del corpo..."
"Una conclusione legittima, perché questo è quello che Erebo voleva convincerci a pensare! Sapeva che, aumentando le dimensioni della lama, la nostra attenzione sarebbe stata attirata inconsciamente da quel dettaglio, spingendoci ad ignorarne un altro, ben più sottile e fatale: la forma bipunte dell'estremità!" esclamò, spostando ora lo sguardo sulle due punte.
"Non si tratta di un mero vezzo stilistico: è da quelle punte che si irradia la forza del Fiat Nox, ricoprendo la spada della barriera difensiva che ben conosciamo. Un potere enorme, pari a quello della Croce dell'Ebano, e per questo in grado di respingere qualsiasi nostro attacco!" disse, socchiudendo gli occhi.
Pegasus lo guardò confuso. "Sirio, non capisco... cosa c'entra tutto questo con quella rotazione, e come fa ad essere il suo punto debole?"
"Pensaci bene: il potere della Croce dell'Ebano nella mano destra non è costantemente attivato, l'alone che lo contraddistingue compare solo nel momento in cui deve colpire. Sin dall'istante in cui me ne sono accorto, quando ha sconfitto Cristal, me ne sono chiesto la ragione. E' improbabile che tema semplicemente di consumare le forze, quindi l'unica spiegazione è che neppure il suo corpo o la sua armatura possano sopportare una tale energia per troppo tempo. Dopotutto, con essa desidera distruggere Fato, un essere a lui superiore, quindi dev'essere una forza maggiore di quella normalmente in suo possesso. E se il potere della Croce dell'Ebano è pari a quello del Fiat Nox..."
"Neanche la spada può reggerlo a tempo indefinito..." concluse Pegasus, intuendo finalmente il ragionamento dell'amico.
Sirio annuì, notando il progressivo incupirsi dell'espressione di Erebo, i cui occhi ora brillavano come braci ricolme di odio.
"E' a questo che serve la rotazione, a diffondere rapidamente l'energia sulla lama, e subito dopo a dissiparla! La punta ne è l'origine: sottile, per controllarne la graduale diffusione, e doppia, per coprire rapidamente la lama intera. Ma proprio a causa di questa configurazione, un punto rimane scoperto, ed è lì che dobbiamo colpire!" disse.
Pegasus guardò di nuovo l'arma, e comprese. "L'apertura... tra le due punte... lo spazio vuoto tra la mezzaluna e la lama centrale!"
"Sì" annuì Sirio. "E' quella la cruna dell'ago, il punto in cui far passare i nostri attacchi, prima che la rapidità della rotazione lo renda meno di un miraggio. Lì, dove le lame non possono congiungersi, dobbiamo colpire!"
Per la prima volta da quando Erebo aveva sfoderato l'Aμαχανία, Pegasus sentμ rinascere la speranza. Era un punto minuscolo, in cui dovevano far passare i loro colpi in un'infinitesimale frazione di secondo, ma almeno ora avevano qualcosa su cui basarsi.
"Molto astuto..." ammise alla fine la Prima Ombra, mantenendo lo sguardo fisso su Dragone. "Hai saputo far tesoro di quel che i tuoi compagni ti hanno permesso di osservare, individuando un punto debole che non credevo neppure esistesse! Peccato però che tanta arguzia non vi sarà di alcun giovamento: cadrai ben prima di riuscire a sfiorarmi con un'altra freccia!" minacciò, scattando verso di lui, avvolto dal suo cosmo di tenebre.
"Non c'è che un modo per dimostrarlo..." rispose Sirio, incoccando un dardo e facendo lo stesso. Di fronte agli occhi di Pegasus, i due si scontrarono, in un duello all'ultimo sangue.
A pochi metri dal nemico, Sirio lasciò partire il proiettile, ma stavolta la rotazione della spada nera fu più rapida, mandandolo in pezzi. Nello stesso momento in cui i frammenti cadevano, la Prima Ombra tese la mano in avanti, sferrando la Croce dell'Ebano.
"E' dall'armatura che provengono i tuoi dardi... distruggendo quel pettorale, ti priverò anche delle frecce su cui fai tanto affidamento!" minacciò.
Nonostante la distanza ravvicinata, Sirio riuscì a piegarsi, ma anche così il suo coprispalla sinistro andò in frantumi, accompagnato da schizzi di sangue. Ignorando il dolore, Dragone scoccò una nuova freccia, stavolta dal basso verso l'alto.
Con un gesto rabbioso, Erebo l'intercettò con la mano destra, spezzandola in due. In quell'attimo però il braccio di Sirio brillò di bagliori dorati, mentre il Cavaliere colpiva a spazzare con il taglio della mano, forte della sacra Excalibur.
In tutta risposta, Erebo ruotò la spada, lasciando infrangere su di essa il fendente d'oro, e centrò il nemico al fianco scoperto, trapassandolo fino a sferzare il rene sottostante.
Con un grido di dolore, Sirio venne spinto indietro e cadde a terra. Stringendo i denti però usò la spinta per eseguire una capriola, rimettersi in piedi e scoccare un nuovo dardo. Erebo ruotò istintivamente la spada, ma la freccia lo mancò di qualche centimetro, conficcandosi al suolo alle sue spalle.
"Sei al limite, pochi istanti ancora e per te sarà la fine!" sibilò il Flagello dell'Olimpo, bombardandolo con una pioggia di pugni. Le parti più esterne del pettorale si sbriciolarono, molti dei raggi solari si spaccarono e caddero, tra chiazze scarlatte sempre più larghe. Ridendo, Erebo trapassò la gamba dell'avversario con un affondo, poi lo colpì al mento con un montante. Sputando sangue, Sirio venne sbalzato in aria e cadde molti metri più indietro.
Vedendolo precipitare, Erebo innalzò il suo cosmo al massimo. "E ora, ti finirò! Valle..."
Prima di poter eseguire il suo colpo segreto più potente però, una nuova freccia saettò verso di lui. Cambiando posizione in un unico, fluido movimento, l'intercettò con l'Aμ
αχανία, mentre il suo nemico si rialzava in piedi."L'istante di cui hai bisogno per sferrare la Valle del Tormento... non credere che te lo concederò!" avvertì a denti stretti, portandosi la mano al torace ed estraendo un'altra freccia, la cui asta fu subito ammantata di energia.
L'ombra di un dubbio velò lo sguardo della Prima Ombra. "Come può bruciare ancora il suo cosmo al punto da caricare così tanta energia in quelle frecce?! Dovrebbe essere allo stremo ormai, l'aura che spira dal suo corpo è prossima allo spegnimento. Cosa lo sostiene?!" si chiese, prima di intuire l'unica spiegazione possibile.
"La tua forza vitale... stai caricando i dardi con la tua stessa forza vitale! Arriveresti a salvare un mondo in cui non potresti vivere... a tal punto sei disposto a sacrificarti pur di sconfiggermi!" ringhiò.
Quando Sirio non rispose nulla, il cosmo di Erebo avvampò, frustrato da tanta resistenza. Poi però un nuovo pensiero gli attraversò la mente.
"Se il tuo obiettivo non è che spezzare l'Aμ
αχανία..." iniziò, girando lo sguardo verso Pegasus e sorridendo sinistramente. "Non ti lascerò nessuno cui affidare la battaglia!"Intuendone le intenzioni prima dell'amico, Sirio scoccò la freccia che aveva in mano. Erebo però stavolta fu più rapido: frantumatala con una rotazione della spada, allargò di scatto le braccia, prendendo di mira non Dragone, ma Pegasus. "Valle del Tormento!!"
Resosi conto del pericolo una frazione di secondo troppo tardi, il Cavaliere si ritrovò di fronte alla piena furia del colpo segreto della Prima Ombra. Istintivamente, incrociò le braccia per difendersi, in cuor suo consapevole che era come cercare di arrestare un maremoto con una staccionata di legno.
All'ultimo momento però, Dragone gli balzò davanti, le braccia allargate al massimo per fargli da scudo con il proprio corpo. Con un'esplosione terribile, la Valle del Tormento si abbatté su di lui, strappandogli un grido agonizzante. Il pettorale dell'armatura di Apollo andò in frantumi, profonde ustioni si aprirono sulle membra sottostanti, protette solo dal tenue alone del cosmo, e il suo stesso corpo sembrò sul punto di essere spazzato via.
Dopo interminabili secondi, l'energia del colpo segreto si esaurì, e il Cavaliere crollò a terra in un lago di sangue.
"Sirioooo!!!!" urlò Pegasus, gli occhi pieni di lacrime, correndo a soccorrerlo nonostante le sue condizioni fossero evidentemente disperate. Lo sentì mormorare qualcosa di intellegibile e chinò il capo, avvicinando l'orecchio alle sue labbra.
A pochi passi, Erebo l'osservò in tono mesto.
"La fine che ti avevo predetto si è finalmente avverata. Avresti potuto approfittare di quel momento per colpirmi, ma a cosa ti sarebbe servito? Non avevi la forza per sconfiggermi, stavi solo preparando il campo al tuo amico! Mi è bastato prendere di mira lui per costringerti ad un'azione suicida..." commentò, mentre il volto demoniaco sul suo torace prendeva vita, spalancando le fauci, e il mantello si ingrandiva ad avvolgerlo.
"Ammiro il tuo coraggio, anche se malriposto. Ti concederò di salutare un'ultima volta i tuoi compagni prima di svanire! Abisso del Lamento!!"
Con un balzo, Pegasus si spostò di lato, allontanandosi dal compagno e correndo nella direzione opposta. Erebo gli scoccò un'occhiata sprezzante. "Guarda come fugge, colui che così strenuamente hai protetto!" sibilò, innalzandosi minaccioso, la bocca ormai spalancata.
"Non sta fuggendo, solo ascoltando la mia ultima richiesta!" rispose improvvisamente Sirio, aprendo gli occhi di scatto e issandosi su un ginocchio, l'arco teso in avanti. Nello stesso momento, Pegasus raccolse la freccia che pochi minuti prima aveva mancato il bersaglio e gliela lanciò. Afferrandola al volo, Dragone l'incoccò, fece esplodere tutto quel che restava del suo cosmo e la lasciò partire, avvolta di un alone abbagliante.
Avvedendosi del pericolo con un attimo di ritardo, Erebo richiamò la dif
esa dell'Aμαχανία, ma non fu abbastanza veloce. Con appena pochi metri da coprire, il dardo penetrς con precisione chirurgica nel punto debole individuato poco prima, conficcandosi nella spalla e trapassandola da parte a parte.Un grido primordiale risuonò dalla gola di Erebo, riecheggiando sinistramente in tutto il salone. Fumo nero pece eruttò immediatamente dalla ferita, dissolvendosi a contatto con l'aria.
"Come hai fatto a sopravvivere al mio colpo letale... come?!" urlò Erebo, ululando di rabbia e agonia.
"L'armatura di Apollo... dev'essere stata creata con il suo sangue divino. Possiede gli stessi poteri curativi che mi hanno salvato da Jormungander, in misura persino maggiore! Grazie al suo sacrificio... sono riuscito a resistere... e ad ingannarti. Quella freccia... quando ho capito che intendevi distruggere il pettorale... di proposito ti ho mancato... per farti abbassare la guardia quando mi avresti creduto disarmato. Sapevo che avresti usato... l'Abisso del Lamento... e ho chiesto a Pegasus... di lanciarmela... per sor... prenderti..." spiegò, accasciandosi, allo stremo.
"
Un piano davvero ben congegnato... sei riuscito a infrangere l'Aμαχανία, ma questo non ti salverΰ!" avvertì Erebo, barcollando all'indietro senza però cadere. La ferita non aveva infatti influenzato la bocca demoniaca, che anzi sembrava bramare una preda ben più di prima. Il gorgo fatale ricomparve, turbinando attorno allo stremato Cavaliere dei Cinque Picchi.Un'ultima occhiata all'amico, e Sirio crollò, esausto. Sotto lo sguardo amareggiato di Pegasus, la sua anima gli venne strappata dal corpo, fluttuò qualche momento in aria e poi fu assorbita, proprio come quelle di Andromeda, Cristal e Phoenix.
Nuove lacrime rigarono il volto del paladino di Atena. "Amici miei... vi ho creduti persi e vi ho ritrovati solo per perdervi di nuovo?" si chiese, rivedendoli cadere uno per uno, davanti ai suoi occhi.
Non era però il momento per piangere. Con la bocca sul torace di nuovo chiusa, Erebo lo fronteggiò. Il braccio sinistro penzolava fiacco lungo il fianco, ma stringeva ancora in pugno la spada.
"Non siamo rimasti che noi due, dopo Flagelli e Imperatori, Dei e Cavalieri. Tu, che primo hai raggiunto questa mia sala del trono, sarai anche l'ultimo a lasciarla. Rivedrai i tuoi amici, e insieme proverete il dolore delle vostre anime che vengono smembrate e distrutte! Poi più nessuno ostacolerà il mio sogno di libertà!"
"Non parlare di libertà, un tiranno come te non ne è degno!"
"Nonostante ti abbia già spiegato il sogno che mi muove, continui a reputarmi un sovrano malvagio. E forse dal tuo punto di vista lo sono, indubbiamente non ci sarà spazio per i deboli nel mio regno, ma essere liberi di fare solo quel che Fato permette non è una schiavitù ben più grande? Io darò ai miei sudditi la possibilità di elevarsi oltre i propri limiti e raggiungere il pieno delle loro potenzialità, cosa potrebbe esservi di sbagliato? No, Cavaliere, non credere che un nemico invisibile sia migliore di quello che di fronte a te siede sul trono, solo perché non lo vedi attivamente all'opera. L'universo in cui sei vissuto, dilaniato da eterni conflitti, non è che il teatro in cui danzano le sue marionette, mosse da fili invisibili. Io sono colui che trancerà questi fili, liberando tutti dalla maledizione del destino!" proclamò.
"E io sono colui... che il destino ha chiamato a fermarti!" rispose Pegasus, espandendo il suo cosmo dopo un respiro profondo. "Non discuterò con te di dilemmi filosofici, è un'altra la cosa che mi preme: hai detto che le anime dei miei compagni vivono ancora in te. Bene, distruggendoti le libererò, e tutti insieme potremo finalmente fare ritorno dai nostri cari!"
"I vostri cari li ritroverete nell'aldilà!" ritorse Erebo, espandendo a sua volta il proprio cosmo.
Senza ulteriori esitazioni, i due scattarono l'un verso l'altro, avvolti nelle rispettive aure. Una stella brillante come una supernova ed un buco nero in grado di attrarre a sé ogni luce e farla svanire per sempre.
"Croce dell'Ebano!"
"Fulmine di Pegasus!"
I due colpi segreti si incrociarono a mezz'aria, andando entrambi a segno. Pegasus venne spinto indietro, il fianco destro dell'armatura in pezzi, ma anche la Prima Ombra, ora incapace di ruotare bene la spada, dovette retrocedere in qualche metro.
Sorridendo a questa scoperta, Pegasus tornò ad infiammare il suo cosmo e disegnò sopra di sé le tredici stelle.
"I miei amici hanno donato tutto per mettermi in condizione di trionfare, non li deluderò! Eccoti un'altra scarica del mortale Fulmine di Pegasus!" gridò, attaccando di nuovo.
"Il sacrificio dei tuoi compagni sarà vano quanto questo ridicolo colpo!" disse Erebo, sollevando il taglio della mano destra e sferrando fendenti a velocità elevatissima. Incredulo, Pegasus lo vide intercettare una per una tutte le migliaia di meteore del suo Fulmine, tranciandole prima che potessero sfiorarlo. Non solo, nel farlo si stava anche rapidamente avvicinando a lui, fino ad incombere a pochi passi nonostante ridurre la distanza lo obbligasse a gesti persino più rapidi e precisi.
"Le mie risorse sono infinite, te l'ho già detto! Mentre le tue sono prossime ad esaurirsi!" ringhiò il Dio, calando un fendente diagonale dalla spalla destra al fianco sinistro del Cavaliere. Nuovi spruzzi di sangue schizzarono nell'aria, l'eroe barcollò dolorante, in procinto di cadere.
Anziché crollare però, strinse testardamente i denti, arrestò il tallone, spostò il baricentro in avanti e tornò alla carica con il pugno incassato nel fianco.
"Nessun colpo segreto o strategia mi impedirà di sconfiggerti... non ora che sono così vicino da poter sfiorare la vittoria! Prova a tagliare la mia Cometa di Pegasus!!" gridò, concentrando tutte le meteore in una sola sfera luminosa.
"Sfiorarla non è che un miraggio, la vittoria che aneli resterà sempre tragicamente fuori dalla tua portata! Croce dell'Ebano!" rispose la Prima Ombra.
Ancora una volta i due colpi segreti saettarono l'uno verso l'altro, ma stavolta si scontrarono a mezz'aria, in un'esplosione di scariche elettriche e scintille di cosmo. I muscoli tesi all'inverosimile, gli sguardi fissi sul nemico, i due contendenti continuarono a sostenerli, caricandoli il più possibile di energia e tornando alla carica.
Quando furono a pochi passi l'uno dall'altro, l'energia si trasformò in una sfera ed esplose, travolgendo entrambi con il contraccolpo.
Erebo incespicò, ma Pegasus, riuscendo a restare in qualche modo in piedi, fu più svelto e balzò su di lui, afferrandolo per le spalle e portandoglisi dietro. "Potrai non ammetterlo, ma inizi a risentire dello s
forzo dell'Aμαχανία... prima non sarei mai riuscito a riprendermi cosμ rapidamente dai tuoi colpi! E ora vediamo cosa ne pensi di questa: Spirale di Pegasus!"Sollevandolo con sé in una parabola di luce, il ragazzo trascinò il nemico contro la parete del salone, perforandola e raggiungendo insieme a lui lo spazio esterno. Per alcuni secondi, i due videro il panorama di Avalon che tornava a nuova vita, i fiumi che riprendevano a scorrere, gli alberi coperti di gemme. Poi la Spirale cambiò direzione e tornarono a dirigersi verso il maniero, precipitando come stelle cadenti.
A meno di un metro dall'impatto, Pegasus balzò improvvisamente via con una capriola. Con un impatto terribile, Erebo si schiantò sul pavimento della sala del trono, aprendo un cratere che per poco non lo fece sprofondare al piano inferiore.
"E' il momento, devo finirlo!" pensò il Cavaliere, afferrando da terra lo scettro di Zeus e correndo verso di lui per il colpo di grazia. A pochi passi però, dovette arrestarsi di colpo, paralizzato dall'innalzarsi dell'enorme cosmo del nemico. Gli occhi colmi di un odio evidente e terribile, la Prima Ombra si rimise in piedi ed allargò di scatto le braccia.
"La freccia del Dragone mi impedisce di difendermi a dovere, ma purtroppo per te posso ancora adoperare la mia arma più devastante. Diventa cenere, Pegasus! Valle del Tormento!!" gridò.
Il più potente e mortale tra i colpi segreti esplose in tutta la sua immane energia. Troppo vicino per poter abbozzare qualsiasi difesa, il paladino di Atena venne travolto in pieno e spinto via in un gorgo fatale.
"E' troppo potente, mi farà a pezzi!" pensò, sentendo i coprispalla andare del tutto in frantumi ed il resto dell'armatura, ormai pesantemente danneggiata, scricchiolare pericolosamente, prossima ad essere completamente dilaniata.
L'ombra della sconfitta si affacciò prepotente, minacciando di sopraffarlo, ma l'allievo di Castalia non era mai stato uomo da lasciarsi abbattere. Dove altri avrebbero chiuso gli occhi e rinunciato alla battaglia, Pegasus strinse i denti e tese la mano in avanti, sfidando forze primigenie che avrebbero fatto impallidire persino gli Dei.
Con una smorfia di rabbia ed orgoglio, si concentrò sui suoi amici, rivedendo i loro ultimi attimi di vita. "Andromeda, Cristal, Phoenix, Sirio... siete caduti proprio come avete sempre vissuto: senza mai arretrare, affrontando le difficoltà a viso aperto! Di fronte a qualsiasi nemico, a qualsiasi missione, a qualsiasi ostacolo la vita ci avesse costretto, noi non ci siamo mai arresi, facendo affidamento su noi stessi e l'uno sull'altro fino a raggiungere trionfi ch'era follia sperar! E' questo il segreto di tante nostre vittorie, non lo dimenticherò proprio ora! La vita che avete protetto fino all'ultimo afflato non tradirà le vostre speranze!!" gridò, spalancando gli occhi e facendo esplodere il suo cosmo, simile ad un nuovo sole che si emergeva dalle tenebre di un buco nero.
Spiegando le ali dell'armatura di Zeus, iniziò a ruotare vorticosamente lo scettro innanzi a sé, usandolo per erigere una barriera difensiva con cui resistere alla Valle del Tormento e tornare alla carica.
Vedendolo arrivare, Erebo spalancò gli occhi sbalordito, poi li socchiuse in una smorfia di rabbia. "Bada, Pegasus! Con questo colpo segreto farò cadere Fato dall'alto scranno su cui risiede... non sarà un essere umano come te ad annullarlo!" ringhiò, facendo esplodere il suo cosmo e raddoppiandone l'energia.
La pressione era terribile, insostenibile. La luce venne di nuovo avvolta dall'oscurità, fino ad esserne quasi inghiottita. Per un momento, fu più di uno scontro di cosmi o colpi segreti: ad affrontarsi erano due desideri e visioni, due volontà diametralmente opposte, ma ugualmente tese alla vittoria.
Sull'orlo dell'abisso, in procinto di cadere, Pegasus trovò ancora qualcosa cui aggrapparsi. Il volto di Atena, di Lady Isabel, che aveva continuato a sostenerli anche dopo la morte. L'immaginò, sorridente di fronte a sé, incoraggiarlo come in tante battaglie in passato, e questa visione gli diede un'ultima spinta.
"Atenaaaaaa!!!!" gridò, con tutto il fiato che aveva. Lo scettro di Zeus gli si sbriciolò tra le dita, le ali andarono in pezzi, seguite da pettorale e bracciali, ma il suo cosmo seguitò ad ardere invincibile.
In quel momento, il corpo stesso del Cavaliere si mutò in una cometa di luce. Una cometa diretta contro Erebo.
Vedendola arrivare, la Prima Ombra interruppe la Valle del Tormento e sollevò istintivamente la spada, ma era troppo tardi. Il pugno di Pegasus, avvolto di tutto il suo cosmo, frantumò la lama, il pettorale ed il torace stesso di Erebo, trapassandolo da parte a parte all'altezza del cuore.
Con un grido primigenio, il Dio barcollò e cadde in avanti, accasciandosi sul corpo ansimante dell'eroe.
Per alcuni istanti, non accadde nulla. I due rimasero perfettamente immobili, come se l'ultimo scontro li avesse mutati in statue di pietra, monumenti eterni del conflitto che si era compiuto. Poi, un senso di sfinimento e insieme di trionfo si fece strada nel cuore di Pegasus. Calde lacrime gli sgorgarono copiose dagli occhi, scorrendo sul viso e mischiandosi al sangue, per poi raggiungere il mento e grondare a terra. Si girò a guardare uno per uno i corpi dei compagni, palpitando al pensiero che, forse, presto si sarebbero rialzati.
"Amici miei, avete visto? Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!!" singhiozzò, sorridendo come un bambino che si è finalmente scrollato un peso di dosso.
Una fitta di dolore lancinante lo riportò alla realtà. Trasalendo, abbassò lo sguardo, e vide la mano di Erebo che gli aveva trafitto l'addome. Un istante dopo, avvertì la familiare forza di attrazione dell'Abisso del Lamento.
"N... no!" biascicò, sentendosi venir meno, scuotendo la testa come per scacciare quell'incubo. Di fronte a lui, Erebo rialzò il capo, fissandolo con un misto di ammirazione, disprezzo e trionfo. "Come... come può essere?"
"Sei andato vicino alla vittoria... più vicino di chiunque altro, dai tempi di Emera. A trarti in inganno è stato solo il credere che le mie sembianze umane facessero del cuore il mio punto debole. Purtroppo per te, non esistono organi nel mio corpo, o almeno non come li consideri tu. Il centro della mia forza vitale... della mia immortalità, è un altro!" sibilò, estraendo la mano e spingendo indietro il ragazzo. Le gambe, incapaci di reggerne il peso, cedettero all'improvviso, facendolo crollare in ginocchio.
Anche se non fosse stato per la nuova, mortale ferita, ormai l'eroe si sentiva del tutto vuoto. La gioia della vittoria era stata lavata via dal peso del fallimento, ogni speranza era perduta. Con le pupille vitree, chinò il capo e si lasciò andare, non sentendo neppure l'Abisso del Lamento che gli strappava l'anima.
Rimasto solo, Erebo scoppiò in una risata sguaiata. "Caduto è l'ultimo ostacolo sulla mia strada, ho vinto!!" esultò.
"Mi... dispiace per te... ma non è ancora tempo di gioire, demone! I tuoi nemici non sono ancora finiti!" esordì una voce, spingendolo a voltarsi di soprassalto verso il portone d'ingresso della sala del trono. Due figure si stagliavano malconce sulla soglia.
"Vendicherò... il massacro dell'Olimpo!" affermò Nettuno, brandendo la daga di Crono.
"E la distruzione di Avalon!" lo affiancò Puck.
"Tsk... davvero?" ridacchiò Erebo, inarcando ironicamente un sopracciglio prima di espandere il suo cosmo nero.
**********
"Maledizione!!" ruggì Ares, picchiando il pugno nudo sul pavimento e spaccandone il marmo. "Non solo ho dovuto affidare la mia armatura ad un essere umano, ma non riesco nemmeno ad alzarmi... sono più impotente di una serva zoppa!" si lamentò, provando per l'ennesima volta a issarsi sulle braccia, solo per crollare di nuovo.
"Non... sforzarti... anche con l'Ichor, la ferita che hai al collo è grave e potrebbe riaprirsi. Eri stato pur sempre decapitato..." gli ricordò Ermes, appoggiato ai resti di una colonna, il viso pallido ed emanciato. A differenza del Dio della guerra, non stava neanche provando a rialzarsi, preferendo recuperare lentamente le energie.
"Non possiamo... restare così! Erebo potrebbe far ritorno..." notò Efesto, la cui voce era chiaramente tinta di preoccupazione. Come Ares ed Ermes, neppure lui riusciva ancora a muoversi abbastanza bene da rimettersi in piedi, e doveva appoggiarsi a delle rovine anche solo per restare issato su un ginocchio. Peggio stavano Dioniso ed Estia, ancora svenuti, nonostante i loro cosmi si stessero lentamente rigenerando.
Guardandoli, Eolo sospirò. "Se davvero dovesse tornare, essere alzati, sdraiati o seduti non farebbe differenza, temo. L'ultima volta non ci siamo certo risparmiati, eppure..."
"Non è solo della nostra incolumità che dobbiamo preoccuparci!" intervenne Ercole, issandosi sulle gambe con uno sforzo titanico. "Quei cinque ragazzi stanno combattendo la nostra guerra... dobbiamo soccorrerli!"
Inattesa, una mano si sporse in avanti, aiutandolo a rimettersi in piedi. Sorpreso, il Dio della forza vide che si trattava della regina Era, ma anche che era molto cambiata rispetto a prima. Non solo per le ferite e la fatica, che, ancora evidenti, ne vessavano il corpo, ma anche per l'espressione morbida, quasi dolce del viso.
"Abbiamo già fatto... il possibile per loro. Li hai visti indossare le nostre armature, brandire le nostre armi, nel momento in cui fuggivamo dalla prigionia del demone. Temo che neanche volendolo potremmo aiutarli ulteriormente..." disse, con sincero rammarico nella voce. Solo una punta, come se avesse timore di farne trasparire di più, ma comunque evidente.
"E pensare che Atena..." sussurrò Artemide, sdraiata in grembo ad Apollo, con le lacrime agli occhi. Alzando lo sguardo, incrociò quello del fratello. "Riesci a vedere..."
Il Dio del sole, privo di armatura proprio come Ares, e coperto solo da una leggera tunica, scosse il capo prima di lasciarla concludere. "Più e più volte ho provato a tendere il mio sguardo oltre le nebbie del tempo, ma senza alcuna fortuna. Il futuro mi è precluso, quel che accadrà non è ancora stato scritto, o il sommo Fato non vuole che io lo veda..."
"Fato... l'odio di Erebo nei suoi confronti era così profondo, così totale e assoluto. L'avete sentito anche voi, non è vero?" chiese Efesto, rabbrividendo al pensiero della prigionia negli abissi della Prima Ombra. Al ricordo del suo cosmo nero che gli rodeva lentamente l'anima.
"Ti assicuro, fabbro, che in questo momento impallidisce a confronto di quello che io provo per lui! Lasciami il tempo di raggiungere l'armeria e..." sibilò minaccioso Ares, cercando di strisciare verso le scale.
Era però tagliò corto. "Non farai nulla. Siamo del tutto impotenti contro di lui, ci è stato confermato nel più doloroso dei modi. Dobbiamo aspettare... aspettare e sperare che quei Cavalieri riescano là dove a noi non è concesso spingerci!"
"Nettuno è con loro... e insieme a lui un altro cosmo dalla natura divina..." disse Ermes, prima di rabbrividire. "Però... da qualche minuto non percepisco più le aure dei cinque mortali. Una ad una sono avvampate, brillando luminosissime per qualche istante, e poi si sono spente. Che la battaglia si sia già conclusa con il più tragico degli esiti?" si domandò.
Era non rispose nulla: in cuor suo condivideva i timori del messaggero dell'Olimpo, ma non osava dar loro voce, per timore che si avverassero. Girò piuttosto la testa in direzione del suo sposo. Zeus e Odino, appartatisi poco distante, confabulavano in toni sommessi.
"Sembra che imprigionando la mia anima, Erebo mi abbia impedito di morire" disse il signore del Nord, più sorpreso degli altri per l'essere nuovamente in vita. "Però non capisco... che ne è delle mie legioni? Perché non sono ad Avalon a combattere? Odo lamenti di morte levarsi dalla mia Asgard, e le aure di Freya ed Heimdall sono svanite... "
Zeus annuì. Le sue ferite erano scomparse, ma una cavità nera era rimasta laddove sarebbe dovuto trovarsi l'occhio destro. "Gli esseri umani sono in subbuglio. Sembra... che molto sia accaduto mentre eravamo prigionieri!"
Odino lo fissò intensamente. "Li hai sentiti anche tu, non è vero? I cosmi di quei cinque Cavalieri si sono appena dissolti. Tuo fratello Nettuno lo sta affrontando adesso, insieme a Puck di Avalon, ma l'esito è già scritto: le loro aure si indeboliscono con ogni istante che passa... non hanno scampo."
Quando Zeus non disse nulla, Odino proseguì. "Sento che anche altre forze sono in gioco, appena percettibili, ma non riesco a discernerne la natura. Amici o nemici, a chi apparterranno?"
"Chi può dire cosa abbia in serbo Lord Fato per quei guerrieri... o per tutti noi. La sorte è come una foglia, la cui direzione può mutare al primo alito di vento... dopotutto, chi avrebbe mai detto che avremmo riassaporato la libertà? Ora siamo costretti all'agonia dell'attesa, ma abbi fiducia, mio vecchio amico: se è destino che Erebo cada, il nostro momento arriverà!" proclamò Zeus.
**********
Nudo, Pegasus fluttuava nel vuoto, solo vagamente consapevole di star lentamente scendendo sempre più in profondità. Dove, non sapeva dirlo: il luogo in cui si trovava non aveva punti di riferimento, era solo una specie di immensa distesa, buia e vuota, flebilmente rischiarata solo dalla luce evanescente di stelle morenti, lontane oltre l'orizzonte. Un ululato diffuso, simile a quello del vento, era l'unico rumore che spezzasse il silenzio, ma era anche così lontano e uniforme da non infastidirlo.
Di tanto in tanto, gli sembrava di intravedere qualcosa nella penombra, i resti di una specie di gabbie dalle porte scardinate o dalle sbarre divelte. Ogni volta che cercava di osservarle meglio però, l'ombra le riavvolgeva, sottraendole al suo sguardo.
Dopotutto, non gli interessava. Si sentiva svuotato, la testa pesante, i pensieri lacunosi, un po' come qualcuno che, svegliatosi troppo presto da un lungo sonno, non desidera altro che tornare a dormire. Razionalmente, sapeva di essere stato sconfitto e intrappolato da Erebo, ma al tempo stesso non lo sentiva, come se fosse una cosa accaduta a qualcun altro, di cui aveva solo letto per sbaglio.
Non riusciva a scuotersi o a reagire e, a tratti, non sapeva nemmeno perché avrebbe dovuto farlo, mentre la memoria degli ultimi minuti si accendeva e spegneva come una lampadina difettosa. Più i secondi passavano, e più gli risultava difficile collegare quel guerriero che aveva combattuto con l'armatura di Zeus a sé stesso .
Sospirando, chiuse di nuovo gli occhi, pregando che il sonno giungesse presto.
Al contrario, una luce abbagliante gli comparve davanti, così brillante da far male nonostante le palpebre ancora chiuse. Girando la testa, si coprì gli occhi con una mano, pregando di ritornare nel buio. Non voleva svegliarsi, non voleva tornare a soffrire, stava così bene.
Incuranti dei suoi desideri, delle voci cominciarono a chiamare il suo nome, con crescente insistenza. Cocciutamente, si sforzò di ignorarle. Era stanco, stanco di tutto. Aveva lottato e aveva perso, perché non potevano lasciarlo in pace?
Una voce femminile, dolce e premurosa, si unì allora alle altre. Non emise che un sussurro, ma così gentile da sfiorargli con leggiadria le corde del cuore. Il ragazzo riaprì gli occhi di scatto.
Lady Isabel era di fronte a lui, e insieme a lei Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix. Nel vederli, la nebbia si sollevò dalla mente di Pegasus, i ricordi tornarono a farsi nitidi.
"Milady... amici!" sussurrò, felice di rivederli. Non c'erano ferite sui loro corpi, e le loro espressioni erano stanche, tese, ma anche visibilmente sollevate.
"Temevamo non ti volessi più svegliare... dopo tutto questo tempo, sei ancora un dormiglione..." gli sorrise Andromeda.
Annuendo distrattamente, Pegasus fissò Isabel, cercando di non pensare troppo alla sua presenza. Già due volte l'aveva ritrovata, contro Surtur e poi contro Erebo, solo per perderla di nuovo. Il suo cuore non ne avrebbe sopportata una terza.
"Dove siamo?" chiese piuttosto.
"Nel luogo in cui hanno origine le tenebre, nelle profondità dello spirito di Erebo!" rispose un coro di voci. Girandosi di scatto, Pegasus vide innanzi a sé tre donne, uguali in tutto tranne che nel colore dei capelli. Per quanto diverso fosse il loro aspetto, le riconobbe subito.
"Siete... le megere che abbiamo incontrato sull'Olimpo!" esclamò, incerto tra l'essere allarmato o meno.
"Misura le parole, Pegasus. Le Strane Sorelle hanno assunto innumerevoli identità nel corso dei millenni, ma dubito che 'megere' sia un titolo che le aggradi particolarmente" intervenne Isabel, rimproverandolo bonariamente.
"Invero. Se proprio devi rivolgerti a noi, Moire o Norne sono nomi molto più graditi. Se neanche loro bastano a soddisfare la tua curiosità, sappi che è con le servitrici di Lord Fato che stai avendo udienza!" gli dissero in coro, sorprendendolo.
"Sono state loro a destarci, quando siamo caduti qui dentro. Uno ad uno, ci hanno raccolti e riuniti, impedendo ad Erebo di assorbirci, e conducendoci da Atena." affermò Sirio, avvicinandosi all'amico.
Nonostante tutto però, Pegasus non era ancora convinto. "Dunque siete dalla nostra parte, o così almeno sembra. Tanta generosità è sospetta, perché soccorrerci proprio adesso?"
"Sbagli... è da molto tempo che vi aiutiamo, Cavalieri..."
"Tenendo impegnato Erebo, vi abbiamo permesso di giungere fino a lui..."
"E di risvegliare la luce che era sopita..."
"Proprio come necessario..."
Frustrato da quel modo di parlare per enigmi, Pegasus si passò una mano nei capelli, spostando lo sguardo da una all'altra. "Si può sapere di cosa state parlando?"
"Non temere, presto riceverai le spiegazioni che desideri... ma non per nostra bocca. Un'altra è colei che desidera parlarvi!" dissero, allargandosi a ventaglio.
Da dietro di loro, emerse una bambina dai lunghi capelli, gli occhi quasi eterei. Strabuzzando, i Cavalieri la riconobbero immediatamente: era colei che era comparsa a soccorrerli, durante le battaglie contro gli Imperatori. Un mistero su cui non avevano ancora avuto il tempo di interrogarsi, ma di cui non si erano affatto dimenticati. La sua voce aveva portato consiglio e incoraggiamento quando più ne avevano bisogno, permettendo loro di comprendere i doni di Zeus, e risvegliare i colpi segreti supremi.
C'era tanto che volevano chiederle, così tanto che non sapevano da dove incominciare. Fu però Isabel a muoversi per prima, superando tutti loro e raggiungendo la bambina. Sfiorandole la mano, si inginocchiò ai suoi piedi e le sorrise. "Sono felice di incontrarla, finalmente, Lady Emera..."
Nell'udire quel nome, la sorpresa negli occhi dei Cavalieri si mutò in puro sbalordimento. Ricordarono subito le parole di Zeus, e il racconto della grande battaglia agli albori del creato.
"Lady Emera, l'emissaria di Fato e portatrice della Luce..." sussurrò Dragone.
"Colei che lo sconfisse, condannandolo ad un'eternità di prigionia!" disse Phoenix.
"Emera... la prima luce del mattino..." mormorò Cristal.
"Emera..." ripeté Pegasus. "Allora... è stata lei ad aiutarci, quando tutto sembrava perduto..."
Voltandosi, Isabel sorrise al suo paladino, e annuì. Emera però prese la sua mano nelle proprie e scosse debolmente la testa, guardando uno ad uno i cinque eroi. "Non ringraziatemi... sono io ad esservi grata. Grazie a voi, alla vostra luce, ho ritrovato me stessa..." disse, con voce innocente ed eterea.
I Cavalieri si scambiarono sguardi perplessi. "Come può essere... Zeus ci ha detto che, per sconfiggere Erebo, fu necessario il suo sacrificio. Come mai ora lei è qui davanti a noi?"
L'espressione di Emera si fece sofferente. Lasciando delicatamente la mano di Isabel, si avvicinò di un passo ai Cavalieri, guardandoli negli occhi uno ad uno. "E' difficile porre in parole la spiegazione che cercate, e di certo non ne abbiamo il tempo. Esiste un solo modo per permettervi di capire: vi mostrerò quel che accadde, quel fatidico giorno..."
Congiunse le mani come in preghiera, ed un'onda di luce accecante si diffuse dal suo corpo. Quando si fu dissolta, i Cavalieri ed Isabel si trovarono a fluttuare nello spazio cosmico, mentre, di fronte a loro, si compiva l'atto finale di un conflitto millenario.
Emera, adulta e vestita di un'armatura dorata, tese la propria lancia contro la Prima Ombra.
"Quest’oggi tutto avrà fine! Le tue brame di conquista non lorderanno più l’universo che Lord Fato ha creato!" esclamò, la sua voce cristallina, ma anche fanciullesca, innocente, priva di qualsiasi traccia di odio o disprezzo.
"Stolta, non potrai mai vincermi! Anche il giorno più luminoso alla fine è destinato a cedere il passo all’oscurità! Privo dell’odiosa luce delle stelle, l’universo è buio, un oceano di tenebre! Io, che un tempo ero quella Tenebra… io che ero Kaos, la prima tra le ombre, estinguerò la tua luce e quella di qualsiasi astro, facendolo tornare ad essere quel che era!" minacciò il demone, con in pugno due delle sue spade nere.
"No! La luce è vita, e dalla vita nascerà il futuro!" disse Emera, vibrando un affondo con la lancia. Erebo rispose incrociando le spade, in un clangore che fece estinguere soli e distrusse pianeti. Poi, con un fendente, colpì la lancia alata, facendola volare via nel cosmo.
"Che il tuo bagliore si estingua!" proclamò, trafiggendola all’addome e al torace. Inquinando la sua luce con il tocco dell’oscurità. "Non mi distruggerai mai, sono troppo potente per te!"
Con una smorfia di agonia, Emera indietreggiò. La sua luce ora era flebile, evanescente. Solo gli occhi continuavano a brillare, candidi come cristalli.
"Roso dal tuo odio, non comprendi la realtà! Non è necessario distruggerti!" disse, gettandosi improvvisamente su di lui e stringendolo in un abbraccio. A contatto con quella luce, le tenebre si ritrassero urlanti, e dalla loro unione si aprì un varco nel tessuto stesso dell’esistenza.
"Che vuoi fare?!" gridò Erebo, agitandosi invano.
"Precipitarti in un'altra dimensione, al di là dello spazio e del tempo! Un luogo creato dai nostri poteri congiunti, da cui non potrai mai fuggire senza l’aiuto di una creatura della luce! Lì io ti esilio, condannandoti alla prigionia eterna nel nome di Lord Fato!!" proclamò, il viso straziato dal dolore.
"Folle!! Così perderai anche la tua luce! Senza di essa per te sarà la fine!" urlò la Prima Ombra, martoriandola di scariche con il suo cosmo.
"Sono pronta al sacrificioooo!!"
Con un ultimo grido disperato, Emera spinse Erebo oltre il portale, osservandolo precipitare. Nello stesso momento però, privato della luce, anche il suo corpo martoriato si smembrò in cinque parti. Un istante dopo, con l’ultimo bagliore di una candela, la sua essenza abbandonò l’universo.
Esterrefatti dall'ampiezza di quello scontro, i Cavalieri fissarono la piccola Emera che era insieme a loro. L'espressione della bambina era amareggiata, ma priva di rimpianto.
"Sarebbe dovuta essere la fine, ma già allora, in cuor mio, sapevo che è impossibile sconfiggere le tenebre per sempre, perché, proprio come la luce, esse sono necessarie al mantenimento dell'equilibrio cosmico. Sapevo che un giorno Erebo, incarnazione non solo della notte, ma anche del lato più oscuro di ogni essere vivente, avrebbe fatto ritorno, e così, prima di svanire, usai le ultime forze che mi restavano per lasciare un'impronta di me nel creato..."
Di fronte a loro, i cinque frammenti dell'Emera adulta iniziarono a brillare, mutandosi in altrettante comete di luce.
"La mia mente, si mutò nel senno..." iniziò la bambina, indicando una cometa verde.
"La mano destra, nella risolutezza..." indicando una cometa arancione.
"La sinistra, nella fiducia..." indicando una cometa bianca.
"Il cuore, nella delicatezza..." indicando una cometa rossa.
"E infine lo spirito, la parte più profonda di me, nell'umiltà!" indicando una cometa blu.
"Le cinque comete si diressero agli angoli dell'universo, attraversando galassie e costellazioni, e diffondendo in ogni dove i frammenti della mia natura. In questo modo, speravo di aver lasciato semi che, attecchendo, permettessero alle creature viventi di resistere alla tentazione dell'oscurità e alla paura della notte. Purtroppo però, frantumare così tanto me stessa mi privò di autocoscienza, riducendomi a un mero eco nel silenzio cosmico..." spiegò, di fronte agli allibiti Cavalieri.
"Incredibile..." mormorò Pegasus. Pur avendoli appena visti con i suoi occhi, persino comprendere eventi di una tale portata, in grado di trascendere la sua stessa concezione del creato, era difficile.
"Senno, fiducia, risolutezza, umiltà e delicatezza... se ognuna di queste virtù è un suo frammento, non è errato dire che qualcosa di lei esiste in ogni essere umano..." notò Sirio, spingendo la bambina ad annuire.
Per alcuni secondi, tutti e cinque rimasero in silenzio, assorbendo quanto appreso. Poi Cristal si fece avanti. "Lady Emera, se le cose stanno così, come mai noi riusciamo a vederla? E coma mai proprio ora?"
"Per comprendere la risposta a questo quesito, c'è ancora un dettaglio che dovete conoscere. La sorte di un oggetto all'apparenza insignificante, ma che è stato il cardine di tutto..." rispose, enigmatica, la bambina.
Scosse la mano, e lo spazio attorno a loro cambiò di nuovo, mostrando qualcosa che volava tra le galassie: la sua lancia alata, quella di cui Erebo l'aveva privata appena prima del conflitto finale.
Di fronte ai loro occhi, il tempo iniziò a scorrere inverosimilmente rapido. Stelle e pianeti nacquero e morirono, nebulose gassose iniziarono a vorticare, mentre ancora l'arma vagava.
E, pian piano, la videro cambiare forma. Le ali si allungarono, la punta divenne una testa, la guardia fluenti capelli castani, l'asta un corpo di donna. Alla fine, una figura alata volava innanzi a loro, diretto verso un rigoglioso pianeta blu.
Notando il loro sbalordimento, Emera sorrise. "La lancia che avevo sempre avuto sin dalla nascita, era stata la mia unica e più fedele compagna. Anche tra gli esseri umani esistono casi di persone che riversano una grande quantità di amore, odio o altri sentimenti in un oggetto, facendone dei simboli. Inconsciamente, per millenni, io avevo proiettato in lei un'ombra di me stessa: il mio desiderio di vittoria, di giustizia contro la tirannia del male, unito al pulsare del mio cosmo. Con il tempo, questo alone di cosmo prese vita propria, e la lancia che, fedele, mi aveva sempre accompagnata, divenne colei che conoscete come Nike, la Dea della Vittoria!"
Trattenendo inconsciamente il fiato, i Cavalieri trasalirono di fronte a quella nuova, incredibile rivelazione, e guardarono verso Isabel, che annuì.
"Nemmeno io ne ero a conoscenza... so solo che Nike fu sempre al mio fianco, sin dalla prima battaglia contro Nettuno, ai tempi del mito. Da allora, la sua effige divenne il mio emblema, posto sulla cima del mio scettro..." disse.
Emera sorrise. "Fu la tua purezza, Atena, ad attrarre Nike sulla Terra. In cuor suo, ella era incompleta... cercava qualcuno da appoggiare, una causa da sostenere. La tua purezza, il tuo desiderio di pace e giustizia è simile al mio, e così Nike fu attratta da te e si pose al tuo fianco... Grazie alla tua bontà, ella continuò a vivere. E grazie alla presenza di Nike, le virtù nate dai frammenti del mio essere, presenti in misura minore in ogni essere umano, furono sempre particolarmente forti tra i tuoi Cavalieri."
"Più una virtù è forte in un uomo, e più le cinque virtù sono vicine tra loro, più io ritrovo autocoscienza, soprattutto se a sostenerle vi sono cosmi potenti, in grado di trascendere i limiti umani ed avvicinarsi a quello che era stato mio. Capite adesso, Cavalieri? Le virtù sono forti in voi, ed equamente condivise: i vostri cosmi, innalzandosi a livelli divini, hanno propiziato il mio risveglio. Non mancava che una cosa per destarmi: un atto supremo d'amore che le riunisse insieme, proprio come il mio sacrificio le aveva divise!" continuò la bambina.
Prima ancora che finisse la frase, Pegasus comprese a cosa si riferiva e guardò di nuovo verso Isabel. "Il sacrificio di Atena... per salvare noi tutti!" mormorò, costringendosi a ricordare il momento terribile della sua caduta.
Con le lacrime agli occhi, Emera prese le mani di Isabel tra le proprie. "Un gesto di puro altruismo, un atto di amore disinteressato e genuino. Ti ringrazio dal profondo del cuore, Atena..." le disse, sinceramente commossa.
"Non farlo, Lady Emera. Ho sempre creduto negli esseri umani e combattuto per loro... posso essere solo felice di sapere che, con la mia morte, ho permesso il tuo risveglio..." rispose Isabel, il cui viso era a sua volta rigato da lacrime di commozione.
"Tutto quadra, ora. Solo dopo la morte di Atena, abbiamo incominciato a vedere Emera..." ricordò Cristal.
"Man mano che i nostri cosmi bruciavano e crescevano, ella recuperava ricordi e consapevolezza..." intuì Phoenix.
"E ora? Risorgerà per affrontare nuovamente Erebo?" domandò Sirio.
Emera scosse la testa. "Il mio vero corpo è perduto per sempre, è solo grazie alle Strane Sorelle che riesco a parlarvi. Ma non ne avete bisogno: io sono in voi, in ciascuno di voi. Ora che finalmente sapete, non dovrete far altro che cercarmi, nelle profondità dei vostri cuori, per trovare l'arma con cui spazzare via le tenebre. Insieme ci riuscirete, e la minaccia di Erebo sarà debellata!"
Pegasus, Dragone, Cristal e Phoenix annuirono solennemente, ma Andromeda esitò. Accorgendosene, Emera spostò su di lui il suo sguardo.
"Sento il dubbio in te... cosa ti tormenta?" gli chiese, con dolcezza e preoccupazione, senza alcuna traccia di rimprovero.
Andromeda chiuse gli occhi per qualche istante, cercando le parole più adatte per dar voce alle sue perplessità. Si sentiva come un peccatore che, a cospetto di Dio, non riusciva a far altro che a metterne in dubbio le azioni. Intuendo il suo tormento, Emera sorrise. "In te è forte la delicatezza, la sensibilità dello spirito che ti porta a volere il bene di tutti, anche di chi consideri un nemico. Non vergognartene, e non tradirla tenendo per te i tuoi dubbi..." lo incoraggiò.
Annuendo con gratitudine, Andromeda riaprì gli occhi, dando voce al pensiero che lo tormentava. "Erebo ci ha parlato di Lord Fato, e del modo in cui voltò le spalle ad entrambi voi prima della battaglia finale, preferendo non scegliere alcuna fazione. Lo ha descritto come un essere egoista e manipolatore, interessato solo al mantenimento del proprio trono, e capriccioso al punto da causare dolore alla gente senza alcun motivo. Erano parole distorte dall'odio, certo, ma genuine. Non posso fare a meno di chiedermi perché un essere così onnipotente, al cui cospetto persino gli Dei sono poca cosa, agisca in questo modo, permettendo il dolore di innocenti... forse persino causandolo."
"Andromeda!" esclamò Pegasus, sorpreso da quella domanda. "Come puoi credere alle parole di Erebo... e poi non è il momento di porsi questi dubbi!"
"Se non ora, quando? Quando potremo avere di nuovo delle risposte? Abbiamo davvero il diritto di proteggere Fato, sconfiggendo Erebo?" esclamò Andromeda, con una veemenza che lo prese di sorpresa, e che fece titubare anche Cristal, Dragone e persino Phoenix.
Pegasus aprì la bocca per controbattere, ma Emera lo fermò, poggiandogli delicatamente le dita sulla mano, e si avvicinò ad Andromeda, con espressione grave.
"E' legittimo il dubbio che ti assilla, io stessa ne fui vittima in passato. E' vero, quel giorno Lord Fato avrebbe potuto estinguere il male come il bene, invece li mantenne entrambi, nel cuore degli esseri viventi, e in un certo senso ancora oggi continua a farlo. Ma non è per tormentarli. Piuttosto per lasciar loro il più alto dei doni: il libero arbitrio!" esclamò.
"Il libero arbitrio?" ripeté Andromeda.
"Anche la luce più abbagliante ha bisogno del buio per definire se stessa. Come può esistere il giorno, senza le tenebre della notte? E come può dire di non aver paura del buio, chi non ha mai sperimentato il brivido del sole che si estingue al tramonto? Parimenti, che valore può avere un atto di bontà compiuto da chi non ha mai conosciuto la tentazione del male o l'egoismo? Sono davvero auspicabili miliardi di esseri viventi che compiono il bene solo perché per loro non esiste altro?
"Un uomo non viene definito da quel che è creato per essere, ma da quel che sceglie di diventare. Come voi cinque, che avete saputo trasformare i dolori e le sofferenze dell'infanzia nella forza che in tutti questi anni vi ha spinti a lottare per un domani migliore, mentre altri, posti dal Fato nella medesima situazione, hanno preferito percorrere la via delle tenebre. Pensateci. Non fu imposto a Micene di Sagitter di sacrificare sé stesso per l'infante Atena, ma scelse di farlo, e la sua morte divenne per voi faro nella notte. Non fu imposto a Gemini di opporsi alla malia di Crono, ma lo fece, e la storia cambiò il suo corso. Decisioni, scelte, di giorno in giorno definiscono la caratura di un uomo. Scelte che determinano il fato, e che Lord Fato decise di preservare a qualunque costo, pur sapendo che, un giorno, Erebo sarebbe potuto tornare bramoso di vendetta!" disse.
"Quindi... sapeva?" chiese Pegasus.
"Sì, sapeva che un giorno si sarebbe liberato, il sigillo si stava fatalmente indebolendo. Decise così di dare agli uomini una possibilità di reagire, ordinando alle Strane Sorelle di avviare un conflitto che determinasse il destino degli esseri viventi, che stavano propendendo verso le tenebre. Voleva sapere, se in questa nuova epoca, le loro scelte li avrebbero resi abbastanza forti da far trionfare la luce. Capisci ora, Cavaliere? Anche quando il destino sembra porre di fronte ad un percorso obbligato, esiste sempre una possibilità di scelta. L'importante è seguire il proprio cammino, senza rimpianti..."
"Sì... sì, credo di capire... e se è dalla mia scelta che dipenderà tutto, allora scelgo di combattere" affermò Andromeda. La sua determinazione era rispecchiava negli occhi degli altri Cavalieri.
"Una scelta ben ponderata... e fortunatamente non troppo tardiva..." riecheggiò la voce delle Strane Sorelle, riportando tutti nello spazio vuoto dove si erano incontrati.
"Non possiamo proteggervi ancora a lungo dal cosmo di Erebo... dovete fuggire, o sarete divorati!"
"Qualcuno lo sta affrontando in questo momento. Lasciatevi guidare dalle loro aure per riconquistare la libertà!"
Pegasus e i Cavalieri annuirono, fissando Emera negli occhi. "Grazie, per tutto l'aiuto che ci ha dato. E, in un certo senso, per averci resi quelli che siamo. Le prometto che non la deluderemo!" giurò solennemente.
Poi si voltò verso Isabel, e un senso di oppressione gli scese sul cuore. "Non... non c'è davvero alcun modo in cui può accompagnarci?" chiese, in cuor suo già consapevole della risposta. Il suo corpo era umano, dopotutto, e troppi giorni erano trascorsi dalla sua caduta. Soprattutto, solo un sacrificio pieno e completo, senza scappatoie, sarebbe stato un gesto di tale altezza da permettere il risveglio di Emera. Sentì nuove lacrime gonfiargli gli occhi, ed uno sguardo agli amici gli bastò a capire che non era il solo.
Intuendo il loro tormento, Isabel si limitò a sorridere. "Non soffrite per me, è stata una mia scelta, e di cui conoscevo bene le conseguenze. Per voi, che mi avete sempre protetta e aiutata, la ripeterei mille e mille volte!"
Annuendo, con un groppo in gola, Pegasus la guardò teneramente negli occhi ancora un momento, poi si girò e le diede le spalle, prima di cedere alle lacrime. "Vinceremo!" disse soltanto.
Le Strane Sorelle si avvicinarono, i visi normalmente inespressivi per una volta increspati da un senso d'urgenza.
"Presto!"
"E' ora di andare!"
"O le vostre guide non esisteranno più!"
Pegasus guardò gli amici: i loro sguardi erano come il suo, decisi e determinati. "Siete pronti alla lotta, Cavalieri?"
Quando nessuno rispose, iniziò ad espandere la sua aura, sempre di più.
Emera sorrise. "Bruciate i vostri cosmi, bruciateli al massimo, e riportate la luce sulla Terra!"
**********
Con un boato assordante, Nettuno e Puck vennero travolti, sbattendo violentemente al suolo.
"E' tutto qui? Dai vostri proclami mi aspettavo qualcosa di meglio! Non so come possiate essere ancora vivi, ma venendo da me in queste condizioni pietose, avete firmato la vostra condanna!" rise Erebo.
"E' fuori dalla nostra portata... neanche con l'armatura divina posso nulla! Che sia stato tutto inutile?" pensò il signore dei mari, allo stremo anche per le ferite causategli da Loki.
Accanto a lui, Puck si sollevò su un ginocchio e bruciò il poco cosmo che gli restava. La sua immagine si divise in cinque, cinque copie perfette che si gettarono all'attacco contemporaneamente da direzioni opposte.
Senza scomporsi, Erebo innalzò il suo cosmo in una folata, travolgendole tutte. Il vero Puck sbatté duramente contro una colonna, e scivolò a terra privo di sensi.
"Dannazione..." mormorò Julian, stringendo i denti per rialzarsi. "Sono l'imperatore dei sette mari, non ho sconfitto Loki solo per morire qui in ginocchio!"
Con un pugno ben assestato, Erebo gli spaccò la protezione per l'addome, facendolo crollare di nuovo, vomitando flotti di sangue.
"Forse no, ma di certo morirai!" disse, sollevando la mano per finirlo.
In quel momento però, la bocca che aveva sul petto si spalancò di forza, lasciando schizzare fuori cinque raggi di luce. Sbalordita, la Prima Ombra vide le anime di coloro che credeva sconfitti, tornare a depositarsi nei loro corpi.
Sotto il suo sguardo incredulo, uno alla volta i cinque Cavalieri dello Zodiaco si rialzarono. Le armature erano in pezzi, i corpi coperti di ferite, ma gli sguardi erano fieri come mai, e soprattutto i cosmi brillavano abbaglianti.
"Come può essere! Eravate morti, vi avevo annientato!" gridò Erebo, dimenticandosi immediatamente di Nettuno e girandosi a fronteggiarli. Con gli occhi spalancati e la bocca aperta, il suo volto era la maschera della sorpresa.
I Cavalieri si avvicinarono l'uno all'altro, formando un gruppo compatto al cui centro era Pegasus. "Mi dispiace per te, ma non ucciderai più. Né Julian, né Puck né nessun altro!" proclamò. Ma in realtà era come se fossero tutti e cinque a parlare, a tal punto i loro spiriti erano vicini. Le tinte dei loro cosmi si unirono e mischiarono, formando un arcobaleno multicolore.
Era proprio come Emera aveva detto. Ora che erano di nuovo insieme, e che sapevano dove cercarla, la luce dentro di loro era abbagliante.
Erebo se ne accorse, e trasalì. "Che cosa... che cosa siete diventati?!" urlò, per la prima volta prossimo al panico perché, in cuor suo, aveva già capito.
"Siamo la luce... che dissolve le tenebre!" gridarono all'unisono, sollevando le braccia e facendo esplodere i loro cosmi. Il nome di quella tecnica venne loro spontaneo "Canto del Creato!!"
"Non è possibile... è il colpo segreto di Emera!" balbettò Erebo, riconoscendolo immediatamente. Tante volte l'aveva affrontato, nei secoli in cui si erano scontrati. Eppure adesso era diverso, forse più forte, di certo più vitale.
Ma egli era pur sempre Erebo. La Prima Ombra che avrebbe detronizzato Fato. Lo Sterminatore degli Dei. Il Flagello dell'Olimpo. Scacciò via la paura e fece esplodere il suo cosmo, caricandolo di ogni iota di energia in suo possesso.
"Valle del Tormento!!"
Il giorno e la notte si scontrarono, in uno spaventoso urtare di cosmi cui nessuno aveva mai visto eguali. L'intera Avalon tremò come una foglia. Il cielo sopra di lei fu attraversato da una tempesta elettrica, scariche orizzontali che saettavano da un punto all'altro nonostante per miglia e miglia le nubi fossero state spazzate via. L'oceano sotto di loro si allargò, le acque si ritirarono lasciando scoperti i fondali.
Ovunque nel mondo, chiunque fosse in grado di percepire il cosmo trasalì. Zeus e Odino spalancarono gli occhi sull'Olimpo, Virgo e Ilda fecero lo stesso ad Asgard. Tutti avvertirono che, in quegli istanti fatali, si sarebbe deciso il destino dell'universo.
Per quella che sembrò un'eternità, le due aure continuarono a scontrarsi, in perfetto equilibrio, rilasciando fili di fumo e vapore dal punto di incontro. Sia i Cavalieri che Erebo erano tesi al massimo, totalmente concentrati.
Pian piano però, divenne chiaro che era l'aura di tenebre a star prendendo lentamente il sopravvento. Gli eroi iniziarono ad essere spinti indietro, prima in maniera impercettibile, poi con maggior energia.
Accorgendosene, Erebo scoppiò a ridere. "La piena forza di Emera è in voi, sono pari i nostri cosmi! Ma le vostre membra rimangono pur sempre umane, non riuscite a padroneggiare al meglio un tale potere! Non siete Dei!" gridò, beffardo.
La spinta iniziò a farsi insostenibile. Rivoli di sudore scorrevano copiosi sui corpi degli eroi, ma nessuno sforzo di volontà sembrava poter bastare a ribaltare la situazione.
"Maledizione... non c'è davvero niente... che possiamo fare?!" pensò Pegasus, sentendosi travolgere.
"No!" gridò una voce.
"No! No! No!" riecheggiarono altre, tutte attorno a loro. Un coro diverso per timbri, natura o tonalità, ma accomunato dalla stessa passione. Dallo stesso ardente desiderio di proteggere.
Mani amiche lo sostennero, aiutandolo a restare in piedi, puntellandogli la schiena, o tirandolo per il pugno, impedendogli di cadere.
Sbalordito, spalancò gli occhi, e le riconobbe. Erano tantissime, una moltitudine! Gemini e Micene, finalmente fianco a fianco, le guidavano, ma, accanto a loro vi erano anche Docrates e Cassios, di nuovo riuniti. Ban, Eris, Cavallo del Mare, Asterione, Aracne, Damian, Radamante e tanti altri si affollavano, facendogli da scudo con i propri corpi, senza tradire alcun dolore.
Accanto a lui, Sirio guardò negli occhi Capricorn e Demetrios, ma anche Argor, Dragone Nero, Krisaore, Basilisco, Cancer, ogni astio ormai dimenticato. Cristal era stretto nell'abbraccio di Acquarius, Abadir ed il Maestro dei Ghiacci, e anche Babel, Cigno Nero, Minosse e Aspides erano lì.
Con le lacrime agli occhi, Andromeda rivide Albione, Kira, Fish, Agape, Vesta, Orfeo. Cercò conforto in Phoenix, solo per scoprire che anche lui stava piangendo, lo sguardo fisso su Esmeralda, sostenuta da Kanon. Lemuri, Loto, Pavone erano solo alcune delle figure che gli sorridevano, insieme anche a Pandora, Eaco, e tanti altri.
E ancora, Bres, insieme a guerrieri mai visti, se non nei ricordi dei Cavalieri d'Oro: i Guardiani di Avalon. Lugh, Dinann, Aircethlam, Tehtra, Indech.
Non tutte le sorprese erano piacevoli. La presenza di Orion, Mime, Luxor, Artax e Thor li ferì, ma era niente a confronto del dolore nel vedere, in quella folla, anche Mur, e, per Pegasus, soprattutto Castalia. Sirio singhiozzò nello scorgere l'amato maestro Doko, e ancora di più nel vedere il piccolo Kiki in quel gruppo. Andromeda pianse Reda e Sanzius, Phoenix Alcor, Cristal Scorpio. E anche tanti altri erano insieme a loro, troppo numerosi per contarli tutti.
I Cavalieri non sapevano cosa dire. Nessuno di loro poteva sapere che era questo il vero potere del Canto del Creato. Un potere tanto più forte quanto profondi e importanti erano i legami che si erano creati in vita. Cercarono le parole giuste, ma Gemini, Libra, Acquarius, Mime e Kanon scossero la testa, limitandosi a poggiare le rispettive mani destre sui loro pugni, ancora tesi in avanti.
Con uno sguardo sereno, tutti gli spiriti, perché di questo si trattava, si girarono all'unisono, uniti nel fronteggiare Erebo.
Sull'Olimpo, i cosmi di Zeus e Odino avvamparono, seguiti da quelli delle altre divinità. "E' giunto il tempo!" proclamò il signore del monte sacro.
"Hanno... bisogno di noi!" disse Virgo, ad Asgard. Quel che restava del suo cosmo si innalzò, subito imitato da quelli di Ilda, Toro, Ioria, Sirya, Mizar, Asher, Tisifone, Nemes, e tutti gli altri superstiti.
Un'infinità di aure lucenti attraversarono il cielo e raggiunsero Avalon, portando con loro il cuore, i sentimenti, i desideri e la forza di tutti coloro i quali erano stati coinvolti in questa lunga guerra.
Sostenuti dal loro affetto e calore, i cosmi di Pegaso, Dragone, Cigno, Andromeda e Fenice raggiunsero il parossismo ed esplosero, potenti come mai. Il Canto del Creato ritrovò vitalità, disperdendo la Valle del Tormento.
Erebo trasalì. "E' diretto verso di me, devo fuggire!" disse, con gli occhi sbarrati. Una fitta lancinante di dolore però lo bloccò. Abbassando lo sguardo, vide che Julian gli aveva conficcato nel piede una daga d'oro, inchiodandolo al pavimento. E in quell'arma c'era qualcosa, un potere deicida, che gli impediva di strapparla semplicemente via con il suo cosmo.
Si vide spacciato, e chiuse gli occhi, mentre tutto attorno a lui crollava.
"E' questa la fine dei miei sogni di libertà? Della mia brama di potere? Del mondo che avrei creato?" si chiese, pensando a tutti gli sforzi che aveva fatto, alle battaglie che aveva vinto, ai piani che aveva tessuto. Lui, che era nato dalla notte, e che, da solo, aveva resistito contro tutto e tutti, fino a quel giorno.
Un odio atavico si impadronì di lui. Con un gesto rabbioso, si portò la mano al petto, stringendola sulla bocca della sua armatura. "Forse è giunta la mia ora, ma non morirò da solo!" gridò, strappandosela con forza, proprio un istante prima di essere travolto.
La sua armatura iniziò a sbriciolarsi, gli occhi si trasformarono in pozzi neri, i capelli caddero. Dalla nuova ferita, un fiume infinito di tenebra e cosmo eruttò verso l'esterno come un geyser, lottando per spingere indietro la luce. La risata di Erebo, ora tinta di follia, tornò a risuonare nel salone.
"Pegasus!! Era quella la fonte della mia immortalità, il mio centro vitale! Strappandola, vi ho rinunciato per sempre! Ora sono come voi, un mortale, disposto a morire per quello in cui crede! Le tenebre della notte che componevano il mio corpo ammanteranno la Terra, e poi l'universo intero! Tutte le creature sprofonderanno nell'oscurità: io non ci sarò più, ma Fato non avrà più sudditi su cui governare! La vittoria infine sarà mia!!!" gridò, il viso deforme in una smorfia di gioia e dolore.
Pegasus avrebbe dovuto provare timore, rabbia, o frustrazione. Ma, al contrario, non poté trattenere un fremito di ammirazione. Spingendo lo sguardo oltre i cosmi e le energie, lo fissò sulla Prima Ombra.
"Sei stato un degno nemico. Mai nessuno ci aveva spinti a tal punto oltre i nostri limiti. Ti abbiamo affrontato con tutto quello che avevamo: con ogni tecnica, ogni arma, ogni strategia, e sei riuscito a respingerle tutte. E, nel combattere, ci siamo resi conto di non essere così diversi come credevamo. Quanti drammi potrebbero essere evitati, se solo ci si provasse a comprendere. Onore a te, Erebo!"
Poi inspirò profondamente e scoccò un'occhiata ai suoi amici. Uno ad uno, Sirio il Dragone, Cristal il Cigno, Andromeda e Phoenix annuirono solennemente.
Il Cavaliere allora si girò verso Nettuno, comunicando con lui tramite il cosmo.
"Julian, prendi Puck e andate via! Cercate di salvarvi!"
Trasalendo, l'imperatore dei mari lo guardò perplesso. "Ma..."
Pegasus gli sorrise. "Non è ingratitudine la nostra, tutt'altro. Avete già fatto molto: il vostro arrivo ha impedito ad Erebo di distruggere i nostri corpi, mentre eravamo prigionieri. Con l'ardore dei vostri cosmi ci avete indicato la via per fuggire, e, pugnalandolo, hai fatto sì che il nostro sforzo supremo non divenisse vano. Ma ora andate... salvatevi, almeno voi!"
C'era qualcosa in quelle parole, un senso di finalità che fece rabbrividire il Dio. "Che cosa volete... fare?"
"Fare proprio come Erebo. Bruciare l'ultima fiamma in nostro possesso, le nostre stesse vite, per dar fondo a tutta l'immensa luce di Emera. Non sappiamo cosa ci accadrà... forse diventeremo polvere nello spazio... o forse svaniremo nel cosmo. Non importa, qualunque sia il nostro destino, lo accettiamo con gioia, perché è frutto di una nostra libera scelta!
"Sappiamo che non sei più un nemico: qualunque cosa accada, saluta i nostri cari, e di' loro di vivere sempre intensamente, senza paure o rimpianti. E di ricordare, sempre, che siamo stati orgogliosi di nascere, crescere e lottare... in questo meraviglioso mondo, pieno di stelle!"
Senza capirne a pieno neanche lui la ragione, Julian sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Cercò di obiettare ancora, ma qualcuno gli poggiò una mano sulla spalla. Voltandosi, vide dietro di sé Oberon, con in braccio Puck, ancora privo di sensi.
Il signore di Avalon incrociò lo sguardo dei cinque Cavalieri e chinò solennemente il capo. Poi, lui, Puck e Nettuno, scomparvero.
I cinque eroi erano rimasti soli insieme ad Erebo, ormai immerso nelle tenebre. Anche gli spiriti erano scomparsi, sebbene continuassero ad avvertirne il sostegno. Prossimi alla fine, con l'oscurità che spingeva per sottometterli, si guardarono l'un l'altro, e sorrisero.
"Mpf... siamo alla fine del viaggio, è il tempo dei saluti..." iniziò Phoenix, faticando a trovare le parole adatte.
"Se davvero non ci rivedremo più... allora sappiate che non avrei potuto chiedere o desiderare compagni migliori... questi anni al vostro fianco, non li cambierei per nulla al mondo!" disse Andromeda, visibilmente commosso.
"Non credere di liberarti così facilmente di noi... sono certo che, ovunque andremo, resteremo insieme!" affermò Cristal.
"Come ha detto Lady Emera, siamo arrivati così lontano contando sempre gli uni sugli altri. Niente ci separerà mai!" sorrise Sirio.
"Allora... arrivederci, amici. Ci vediamo... dall'altra parte!" concluse Pegasus.
Dando fondo alla loro ultima scintilla di vita, i Cavalieri dello Zodiaco fecero esplodere i loro cosmi, e scomparvero nella luce.
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All'esterno, sulle pendici del vulcano di Avalon, Oberon, Nettuno e Puck percepirono l'infinito aprirsi di fronte a loro. Un misto di luce e tenebre avvolse il castello, costringendoli a distogliere lo sguardo per un secondo.
Quando tornarono a guardare, dell'intero maniero, e di tutti i cosmi al suo interno, non c'era più traccia.
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Sull'Olimpo, nel percepire la scomparsa di Erebo e la fine della guerra, grida di giubilo si mischiarono a lacrime di commozione.
Zeus e Odino si scambiarono un'occhiata solenne. "La luna che non voleva tramontare, ha ceduto il passo a un nuovo sole. Grazie al sacrificio di cinque eroi, una nuova alba aspetta gli uomini. E' tempo di ricostruire... è tempo di cambiare..."
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Ad Asgard, mentre i soldati semplici festeggiavano, alzando al cielo le lance e gettando via gli elmi, Asher crollò in ginocchio, singhiozzando apertamente. "Stupidi, stupidi, stupidi! Avreste dovuto trovare un altro modo! E invece ci avete lasciato... come faremo senza di voi?" si disperò.
Ilda cadde tra le braccia di Ioria, piangendo copiosamente, come Toro, Sirya, Mizar, Tisifone e tutti gli altri. L'amarezza nei loro cuori era senza fine, al punto da eclissare la gioia della vittoria. Persino il volto serafico di Virgo era rigato da fiumi di lacrime.
Solo una persona faceva eccezione, la più debole e sensibile tra tutti.
Congiungendo le mani, Flare alzò gli occhi al cielo serale, dove le costellazioni del Cigno, di Pegaso, del Dragone, di Andromeda e della Fenice stavano brillando più intensamente che mai.
E sorrise.
"Torneranno. Quando avremo di nuovo bisogno di loro, torneranno a questo mondo fantastico e pieno di luce!"