GUERRA
"A… Andromeda…" balbettò Phoenix inorridito, fissando con occhi sbarrati il corpo esanime del fratello.
"Non è possibile…" mormorò Sirio.
"Il suo cosmo si è dissolto… non ne è rimasto più nulla…" sussurrò Pegasus, con le lacrime agli occhi.
"Andromeda… è morto…?!" ripeté Cristal, faticando a pronunciare quelle parole. La scomparsa di Atena avrebbe dovuto prepararli ad accettare perdite come quella, temprarli, ma ora, di fronte al corpo privo di vita del giovane eroe, non c’era ragionamento o filosofia che potesse attenuare il dolore che provavano.
Fu un verso quasi animalesco a destarli. Lo spirito di Colpa si era risollevato in aria, preparandosi ad un nuovo assalto. Vedendolo arrivare, Phoenix strinse il pugno con tanta rabbia da frantumare i marmi del pavimento e si rialzò di scatto, facendo avvampare il suo cosmo, pronto alla battaglia.
In quel momento, una seconda aura si affiancò alla prima, e lo spirito di Colpa si bloccò a mezz’aria, contorcendosi come sofferente. Un attimo dopo si dissolse in fumo cinereo, davanti agli sguardi increduli dei quattro Cavalieri.
***
"Non è così, sfruttando gli spiriti dei nostri fratelli come mere armi, che combatteremo questa battaglia!" affermò con calma ma decisione Guerra, poggiando la mano su quella di Morte.
Con un gesto deliberatamente lento, quest’ultimo girò verso di lui la propria testa incappucciata. Gli occhi erano coperti, ma Guerra poteva sentirne il peso su di sé, insieme al cosmo che si agitava attorno al compagno.
La sua fermezza però non vacillò. Dove altri avrebbero chinato il capo spaventati, lui lo mantenne saldo ed immobile, fiducioso nel ruolo di comandante in capo assegnatogli da Erebo, e ancora di più nella propria forza smisurata.
"Sarebbe una facile vittoria…" sussurrò alla fine Morte, allentando la tensione.
"Ma non degna di noi! Questi uomini hanno mostrato valore giungendo fin qui, e gli spiriti dei nostri fratelli non sono lance da impugnare quando più ci aggrada. La vittoria la conquisteremo sul campo, da guerrieri!" dichiarò.
"Come desideri, fratello…" commentò l’altro, in tono piatto. Ritirando la mano, si voltò verso la porta del salone ed il corridoio. "La battaglia che aneli avrà presto luogo…" osservò.
"E stavolta sarò io a combattere! Fin troppo a lungo sono rimasto in disparte!" esclamò Guerra.
Morte non rispose nulla, ma la bocca si curvò in un ghigno il cui significato era impossibile da decifrare.
***
"Che… cos’è successo? A chi appartenevano quei cosmi?!" domandò Pegasus, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
"Erano aure diverse tra loro… ma enormi, superiori persino a quelle dei Flagelli affrontati sinora!" notò Cristal. Accanto a lui, Sirio era in silenzio, gli occhi socchiusi.
Ignorandoli, Phoenix li superò di slancio, lanciandosi nel corridoio che usciva dal salone. "Che importano i loro nomi! Sono nemici da abbattere, ed uno di loro è responsabile della morte di Andromeda! Abbiamo avvertito chiaramente da dove provengono i loro cosmi, non ci resta che affrontarli e spazzarne via anche il ricordo!" ringhiò con rabbia.
Scoccando un’ultima occhiata al corpo di Andromeda, immobile con gli occhi chiusi, Pegasus serrò dolorosamente il pugno. "Dobbiamo lasciarti qui, amico mio! Neppure un ultimo saluto ci è concesso! Ma forse la tua solitudine non durerà che poche ore…"
Senza aggiungere altro scattò dietro Phoenix, seguito in qualche modo da Cristal, ancora debole per la battaglia appena conclusa. Alle loro spalle, Dragone rimase immobile qualche secondo ancora, pensieroso, poi iniziò a correre a sua volta.
Guidati da Phoenix, i quattro eroi attraversarono una dopo l’altra stanze coperte di arazzi e corridoi costellati di armature, salendo rampe di scale e oltrepassando stretti passaggi laterali, seguendo l’aura dei Flagelli che, come un macabro faro, indicava loro in che direzione dirigersi.
Finalmente si trovarono davanti ad una pesante porta di legno massiccio, intarsiata con fregi d’avorio, alla vista della quale il Cavaliere della Fenice incassò il pugno nel fianco, sfondandola nel momento stesso in cui i tre amici lo raggiungevano. Insieme fecero così irruzione in un enorme salone, persino più vasto di quello ove Cristal e Andromeda avevano sconfitto Colpa e Agonia, al centro del quale, ritte ed immobili, si stagliavano le due figure nerovestite degli ultimi Flagelli ancora in vita.
"Degni di rispetto per essere giunti sin qui, vi dò il benvenuto, Cavalieri di Atena! Io, Guerra, colui che comanda le armate dell’Apocalisse in vece del sommo Erebo, sarò il vostro nemico adesso!" proclamò il Flagello avanzando di qualche passo, avvolto in un cosmo gigantesco.
Accigliandosi, i Cavalieri alzarono la guardia, pronti alla battaglia, quando un secondo cosmo si sollevò da dietro le spalle di Guerra. Senza dir nulla, Morte avanzò di un passo, ponendosi direttamente di fronte a Phoenix e circondandosi della propria aura.
Nel riconoscerla, il Cavaliere della Fenice serrò rabbiosamente il pugno. "Il cosmo oscuro che ha ucciso Andromeda spira da te, lo sento! Sta pronto, perché ora vendicherò mio fratello!" ringhiò minaccioso, scattando in avanti per primo, ignorando le grida di avvertimento degli amici.
Non appena ebbe mosso un passo, Morte sorrise e schioccò le dita. Una spirale nera, simile ad una pozza, si allargò immediatamente ai piedi del Cavaliere della Fenice, che iniziò a sprofondare al suo interno, venendone inghiottito.
"Uuh… ma che cosa?!" esclamò, cercando invano di liberarsi bruciando il cosmo o di afferrare i bordo del pavimento.
Subito Pegasus si gettò su di lui per afferrarlo e tirarlo fuori, ma l’aura del Flagello lo respinse, impedendogli di avanzare con la sola pressione dell’aria.
"Morte!" disse allora Guerra, voltandosi con sguardo interrogatorio verso il fratello, che in tutta risposta sorrise sardonico.
"Combatti pure le battaglie che definiscono e incatenano la tua natura: ti lascio questi tre, che per tua mano sprofondino nel mio abbraccio! Ma per quell’uomo ho altri piani. Nel nome e per la gloria di Erebo ovviamente…" rispose soltanto, prima di dissolversi nel nulla. Nello stesso momento, con un ultimo grido soffocato, anche Phoenix scomparve, e la pozza si richiuse dietro di lui.
Pensieroso, Guerra rimase immobile a guardare il punto in cui aveva sostato il fratello: il marmo ai suoi piedi era come avvizzito, nero e fragile, coperto di crepe e lesioni per il contatto con il suo cosmo. "Erebo… non lord o sommo lo hai chiamato, semplicemente Erebo. Cosa stai tramando, Morte? E soprattutto, a vantaggio di chi sono le trame che stai tessendo?" si chiese cupo.
"Phoenix!" gridò Pegasus, riportandolo alla realtà. Incredulo, il Cavaliere stava tastando il punto in cui l’amico era scomparso, ma di qualsiasi cosa l’avesse portato via non c’era più traccia. Il pavimento era tornato assolutamente normale.
"E’ perduto il vostro compagno, nelle mani di Morte cui nessuno è mai sfuggito! Non temere però, presto lo ritroverete nell’aldilà!" avvertì.
"Ad opera tua, è questo che intendi?" ritorse l’eroe, rialzandosi di scatto e bruciando il proprio cosmo. "Violenza aveva promesso qualcosa di simile, ma alla fine è toccato a lui bere dal calice della sconfitta!"
"Così come a Colpa, ed Agonia! Dicci cos’è successo a Phoenix e poi aprici la strada, altrimenti…" minacciò Cristal, mentre fiocchi di neve cadevano attorno a lui, ricoprendo il pavimento di un leggero strato bianco. Per un istante, bagliori azzurri e cristalli di ghiaccio brillarono nell’aria.
Poi però, poggiando loro una mano sulle spalle, Sirio li superò, lo sguardo fisso sul primo tra i Flagelli. "E’ mia questa battaglia, predestinata dal fato. Cercherò di scoprire cosa sia accaduto a Phoenix. Voi intanto proseguite verso Erebo… senza mai voltarvi indietro!" disse in tono piatto.
Perplessi, Pegasus e Cristal guardarono l’amico, il cui sguardo era ancora fisso su Guerra. Seguendolo, si accorsero che non stava tuttavia osservando il volto del Flagello, ma un altro particolare dettaglio: i bracciali della sua Veste Cinerea, ornati da tre artigli, due più lunghi sui lati ed uno più corto al centro.
Spalancando gli occhi con un improvviso lampo di comprensione, Cristal si guardò attorno, osservando per la prima volta la stanza in cui si trovavano. Era un salone squadrato, drappeggiato da pesanti tendaggi neri e limitato da colonnati.
Una stanza che aveva già visto in passato, come familiare era il cosmo di Guerra, che prima non aveva riconosciuto solo a causa della presenza di Morte.
Impallidendo, guardò Dragone, che sembrò leggergli nel cuore ed annuì.
Un istante dopo, anche Pegasus si voltò di scatto. "La visione che quelle megere ti hanno mostrato, sull’Olimpo! È questa la stanza!" realizzò con gli occhi sbarrati.
"E questo è il cosmo enorme che abbiamo sentito appena prima che il vecchio Pegasus e Kiki si sacrificassero per noi!" aggiunse il Cigno.
"E’… il mio destino!" ammise Sirio, espandendo contemporaneamente il suo cosmo "Ma in cambio della vita, vi aprirò almeno la strada verso Erebo!"
L’aura del Dragone, meno provata dalle battaglie rispetto a quelle dei due compagni, si innalzò maestosa, sembrando spingerle indietro. Eppure, Pegasus non poté far a meno di notare che, a confronto di quella di Guerra, essa era un nulla. Una fiamma emeraldina in un oceano di tenebre.
Accigliandosi, osservò con più attenzione l’avversario. Aveva un fisico alto e prestante, più magro e meno muscoloso di Violenza, ma anche più bilanciato, quasi elegante, con il portamento fiero di un generale piuttosto che di un soldato. Il volto era ugualmente serio, con sottili labbra serrate e zigomi alti, ad incorniciare occhi del colore dell’acciaio, circondati da lunghi capelli corvini.
La Veste Cinerea era nera, ma con riflessi argentati che sembravano danzare, non restando mai più di qualche istante sullo stesso punto anche ora che il Flagello era immobile. Era adornata da enormi ali d’aquila, lunghe fino alle caviglie, e sormontata da un elmo quasi integrale, con una visiera mobile per coprire gli occhi in modo da lasciare scoperte solo le zone del naso e della bocca. Al centro dell’elmo c’era una specie di cresta metallica, ricurva in modo da salire dalla fronte e piegarsi fino a metà cranio, dove si separava in due corna caprine. Piccole zanne di leone scendevano sulle tempie, ed altrettante salivano dalla protezione squadrata per il mento.
Anche gli schinieri erano animaleschi, terminando in protezioni per i piedi che, sui lati, si allargavano formando zoccoli caprini. Il pettorale invece era tondeggiante e bombato, così come i coprispalla, e su di esso al centro era scolpita a rilievo una testa di drago, circondata da squame che poi scendevano a costituire la cintura a forma di gonnellino. Capovolto, con le punte rivolte verso terra, dalle fauci del drago spuntava un tridente d’ebano, lungo fino all’addome e con le lame piegate sui fianchi. Notandolo, Pegasus rabbrividì, memore della visione in cui Sirio giaceva privo di vita, trafitto proprio da un’arma simile.
Preoccupato, guardò meglio i bracciali, ed i tre artigli che li ornavano. Più lunghi quelli laterali, più corto il centrale. Proprio come i tagli che sarebbero dovuti essere sul corpo dell’amico. Ed anche Cristal aveva visto giusto su quel cosmo: lo stesso che, nell’orrendo futuro fatto visitare loro da Zeus, era comparso per impedire l’accesso sull’Olimpo. Non freddo o crudele, come quelli dei Flagelli incontrati finora, ma sicuramente ampio, secondo solo a quello di Erebo.
Eppure lo sguardo di Sirio era determinato, come rare volte lo aveva visto in passato.
O, forse, semplicemente rassegnato.
Vedendolo, prese la sua decisione.
Sforzandosi di sorridere, sbuffò rumorosamente ed affiancò l’amico, riprendendo a bruciare il proprio cosmo. "Mi dispiace, Sirio, ma ho anch’io un conto in sospeso con costui! Non ti lascerò condurre questa battaglia da solo!" esclamò.
Seppur vagamente sorpreso, Dragone scosse il capo. "Non sei in condizione di combattere ancora, ti sei appena ripreso! E lo stesso vale per Cristal… l’unico con qualche possibilità di vittoria sono io! Voi dovete proseguire!"
Nel pronunciare queste ultime parole il ragazzo guardò verso il Cigno, certo che lo avrebbe appoggiato, come già alla casa di Sagitter e poi a quella di Capricorn. Più di chiunque altro, Cristal sapeva anteporre la missione al timore per la sorte dei compagni.
Con suo enorme stupore però, il guerriero si dispose invece accanto a Pegasus, espandendo il proprio gelido cosmo. "Anche tu sei reduce da una dura battaglia, la tua aura è solo poco più lucente delle nostre… un po’ di aiuto non ti sarà d’intralcio!"
"Sapete perché devo essere io ad affrontarlo! Chiunque fossero quelle donne, la visione che ci è stata mostrata era reale, non inganno o illusione. Lo abbiamo percepito chiaramente sull’Olimpo!" protestò Sirio, senza però riuscire a smuovere i due amici.
"Andromeda giace privo di vita in questo tetro maniero, e se avessi combattuto da solo mi sarebbe toccata la medesima sorte! Come puoi chiederci di proseguire e lasciarti rischiare lo stesso destino? Non lo faresti tu al nostro posto, non pensare dunque che lo faremo noi! Non ora, non qui! La visione è incubo che dovremo saper dissolvere, nient’altro!" dichiarò in tono conclusivo Cristal.
"Proprio così! Basta sacrifici, basta dover salutare amici pregando di rivederli, basta lacrime! E’ ora di finirla! Sconfiggeremo insieme questo fantoccio, poi aiuteremo Phoenix ed andremo tutti insieme da Erebo! Non dimenticare che noi abbiamo esperienza nell’affrontare i Flagelli! Se costui è come gli altri, avrai bisogno del nostro consiglio!" aggiunse Pegasus, prima di scoccare un’occhiata sarcastica al nemico. "Ed inoltre non mi piace lasciare in giro chi mi ha ucciso, è più forte di me!"
Rassegnato, Sirio si voltò a sua volta verso l’avversario, che li osservava con vago interesse.
"Le vostre parole non hanno alcun senso, paladini di Atena! La follia che le vena è evidente, io non sono mai stato sull’Olimpo, né vi ho mai incontrati in passato. Ma che si tratti di un tentativo d’inganno o della pazzia che precede la morte non ha importanza, perché qualsiasi decisione prendiate io non permetterò a nessuno di sporcare la sala del trono del sommo Erebo!" avvertì, abbassando la visiera ed allargando le braccia. "Vi ho lasciati discutere, per codice d’onore, ma ora è tempo che la battaglia abbia inizio! E scoprirete a vostre spese che io, Guerra, sono ben diverso dai miei fratelli!"
"Diverso? Beh, noi siamo diversi da chiunque altro tu abbia affrontato in passato, quindi potresti anche avere qualche sorpresa! Come questo mio… Fulmine di Pegasus!!"
Una pioggia di meteore azzurre sfrecciò verso Guerra, che socchiuse gli occhi interessato. "Muovendoti alla velocità della luce sferri migliaia di pugni, caricando lo spostamento d’aria con il tuo cosmo concentrato fino a creare questa pioggia di stelle cadenti! Tutti i colpi hanno medesima forza e velocità: la tua abilità è notevole, affinata dal tempo! Tuttavia…" iniziò, sferzando l’aria con un gesto della mano e deviando i colpi di Pegasus fino a disperderli. "Per quanto grande, non lo è abbastanza!"
Con uno sguardo di sfida, il Flagello fece scattare il pugno in avanti, scatenando a sua volta una pioggia di dardi sui tre Cavalieri.
"Ha analizzato e riprodotto il Fulmine di Pegasus?" pensò Sirio, gettandosi di lato insieme a Cristal. Pegasus stesso per un istante parve sorpreso, ma, dopo aver schivato i primi colpi con alcuni movimenti laterali, fece esplodere il suo cosmo ed alzò le mani.
"Mi spiace deluderti, ma purtroppo per te il duello con Surtur mi ha preparato proprio ad una risposta del genere! Vediamo se saprai contrastare altrettanto efficacemente la mia nuova tecnica: Lacrime di Pegasus!!"
"Lacrime… di Pegasus?!" ripeterono sbalorditi Cristal e Sirio. Di fronte ai loro occhi i dardi di Guerra vennero avvolti nel cosmo del Cavaliere fino ad alzarsi al cielo, per poi ricadere sul Flagello come fitta pioggia.
E passargli attraverso.
"Oh no! Che anche lui come Colpa…" iniziò il Cigno, ma Sirio scosse la testa. "É un’illusione! Alle tue spalle, Pegasus!!"
Nello stesso momento infatti il Flagello comparve dietro il Cavaliere, che fece appena in tempo a voltarsi quando un pugno terrificante esplose sull’addome, facendogli sputare sangue. Subito dopo una nuova raffica lo tempestò al torace ed alle spalle, scagliandolo a terra. Prima che il colpo di grazia potesse raggiungerlo al volto però un muro di ghiaccio si innalzò a proteggerlo dal nemico, che indietreggiò di un passo.
"Non è solo lui che affronti! Aurora del Nord!!" tuonò Cristal, attaccando a mani unite.
"Sei sopravvissuto a stento alla battaglia con Agonia e Colpa, con un cosmo così stremato non potrai mai fermarmi!" ritorse Guerra, parando l’assalto con il dorso dell’avambraccio e spiegando contemporaneamente le ali. Dal loro interno un vortice di fuoco sembrò eruttare verso il Cigno, incendiando l’aria ed il pavimento. Non fiamme comuni, ma lingue, serpi e fruste tese in avanti verso di lui.
Con la vista già annebbiata per la fatica, Cristal fece due salti all’indietro e poi fece esplodere quel che restava del suo cosmo, congelando le fiamme, prima di congiungere le mani sopra la testa.
"Per il Sacro Acquarius!!" gridò, timoroso di ferire anche gli amici con le Scintille nella Bufera.
"Padrone dello zero assoluto, saresti degno delle sale del Valhalla! Ma neanche questo ti basterà!" esclamò Guerra, unendo le mani dinanzi al torace e creando una sfera di energia, per poi dividerla in due fulmini alti dal soffitto al pavimento. Saette e scintille formarono una vera e propria ragnatela luminosa, dilaniando i ghiacci di Cristal e abbattendosi su di lui.
Con un grido di dolore, il ragazzo fu centrato alla spalla già ferita e crollò in ginocchio, alla mercé dell’avversario.
"Cristal!!" urlò Sirio, lanciandosi in avanti con il cosmo concentrato nel pugno. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
Balzando agilmente all’indietro, Guerra schivò il dragone con una piroetta, lasciandolo infrangere su alcune colonne ed atterrando per una frazione di secondo sul braccio ancora teso del ragazzo. "Hai sconfitto la furia selvaggia di Jormungander e ciononostante il tuo cosmo è meno provato di quelli dei tuoi compagni! Notevole… per un essere umano!"
Strati di ghiaccio si allungarono sull’arto di Dragone, il freddo talmente penetrante da passare attraverso l’armatura.
"Padroneggia sia il ghiaccio che il fuoco?!" pensò incredulo Cristal, cercando di soccorrere l’amico mentre Sirio barcollava indietro di qualche passo. Tornando a terra, Guerra allargò di scatto le braccia, scatenando un tornado che avvolse entrambi nel suo giogo, sollevandoli senza alcuna fatica e sbattendoli duramente contro il soffitto e le pareti.
Una pioggia di sangue si mischiò al vento, macchiando le colonne ed i pavimenti, mentre l’ululato del vortice cancellava le urla degli eroi. Le ali di Luce dell’Aurora, già pesantemente danneggiate, iniziarono a spaccarsi in schegge e frammenti, impedendo al ragazzo di reagire in qualsiasi modo.
"Verrà… spazzato via!" comprese Dragone, stringendo i denti e spiegando le proprie, nel tentativo di attraversare diagonalmente i venti ed afferrare l’amico.
Contemporaneamente, il cosmo di Pegasus tornò ad accendersi. Incurante dei copiosi rivoli di sangue che macchiavano la sua corazza, il Cavaliere si rialzò in piedi e corse alla carica con il Fulmine.
"Ripeti una tecnica che si è già rivelata fallimentare?" criticò Guerra lasciando infrangere l’assalto sulla Veste Cinerea. Poi però si concesse un leggero sorriso. "No, sei troppo scaltro per una tale ingenuità!"
A questo commento, Pegasus si accigliò. Essere sottovalutato era stata la chiave di molte sue vittorie, dandogli spesso il tempo di organizzare una strategia o anche solo di prendere le misure al nemico, ma stavolta il Flagello sembrava averlo smascherato con una sola occhiata.
Nondimeno, l’eroe portò avanti il suo piano, intensificando la scarica del Fulmine fino a celarsi al suo interno per poi portarsi alle spalle del nemico ed afferrarlo. "Spirale di Pegasus!!"
Nello stesso momento in cui Sirio riusciva ad afferrare Cristal e balzare fuori dal tornado, Pegasus e Guerra disegnarono un arco in aria, ricadendo verso il pavimento del salone, all’apparenza destinati a schiantarsi. Ciononostante, l’espressione sul volto del Flagello non mutò affatto. "Una strategia poco ortodossa ma efficace: hai permesso ai tuoi amici di mettersi in salvo! Ma sconfiggermi è ben altro discorso…"
Senza alcun preavviso le ali della Veste Cinerea si spiegarono, allontanando Pegasus, e contemporaneamente un’ondata di energia lo travolse, lanciandolo contro una colonna.
Per evitare di restare sepolto al crollo del pilastro, il ragazzo dovette ruotare sul proprio asse, offrendo necessariamente il fianco agli assalti del nemico. Sirio e Cristal però balzarono a sua difesa, parando con i rispettivi scudi due raggi nero e argento. Subito dopo, l’allievo di Libra si pose davanti al compagno e sollevò entrambe le braccia, i palmi rivolti verso l’esterno. "Preparati a subire la furia della tecnica del mio maestro! Colpo dei Cento Draghi!!"
Ancora una volta, i dragoni di Cina dalle scaglie verde smeraldo saettarono nell’aria, spalancando le fauci per ghermire la loro preda. In tutta risposta, Guerra planò agilmente a mezz’aria, schivandone uno dopo l’altro e lasciandoli infrangere sulle pareti o il soffitto, facendo cadere piogge di detriti ad ogni impatto. Dopo qualche secondo, soddisfatto, incrociò le mani davanti al corpo, espandendo la propria aura. "Se è una battaglia di cosmi che desideri, ti accontenterò con una tecnica altrettanto devastante!"
Di fronte agli sguardi attoniti dei tre, una galassia di stelle e pianeti comparve attorno al Flagello.
"Non è possibile!!" esclamò Cristal.
"Quella…" iniziò Pegasus.
"Esplosione Galattica!!" tuonò Guerra, alzando di scatto le braccia. Sirio fece appena in tempo a interrompere l’attacco e sollevare lo scudo che gli ultimi draghi vennero spazzati via da una forza divina, infinitamente superiore a quella che Gemini o Kanon avrebbero mai potuto racimolare. Subito dopo anche loro tre furono travolti, sbattuti con violenza inaudita contro le pareti o il pavimento, tra schizzi di sangue e frammenti di armature.
Alzando a stento la testa, Pegasus lo guardò incredulo. Il volto del ragazzo era una maschera di sangue, che scorreva copioso dagli angoli della bocca, dal naso, e da tagli sulle guance e la fronte, grondando a terra goccia dopo goccia. "Uh… uuh… quella… è la tecnica… la devastante tecnica di Gemini! Come può essere?!" balbettò.
"N… no…" intervenne Sirio, issandosi faticosamente su un gomito. Per proteggere i compagni aveva subito in pieno l’impeto del colpo segreto, e solo lo scudo rinato con il sangue divino aveva impedito al braccio di essere strappato via. In quel momento però aveva ben scorto l’assalto del Flagello. "Ha l’aspetto dell’Esplosione Galattica… ma è solo una creazione del suo cosmo! Fuoco, vento, fiamme, energia… costui è in grado di manipolare a suo piacimento qualsiasi tipo di impronta!"
"Uhm…" approvò il Flagello, studiandolo con maggior attenzione. "Hai occhi acuti, ragazzo, e lo spirito di osservazione non ti fa difetto! Perché negarlo, è proprio come dici: mio è l’innato potere di padroneggiare qualsiasi tecnica di combattimento, qualunque sia la sua natura! I venti di guerra che periodici soffiano hanno sussurrato per secoli alle mie orecchie da qualsiasi campo di battaglia, portando con loro le immagini di migliaia di colpi segreti! Potrei sconfiggervi con la Folgore di Zeus, così come con le armi di guerrieri di cui persino il ricordo è ormai perso nelle sabbie del tempo!"
Questa dichiarazione, colma non di vanagloria ma della sicurezza di chi ben conosce i propri mezzi, pesò quasi come un fardello sui due amici. Sirio però continuò a sostenere il suo sguardo, riflettendo, analizzando. "Eppure la tua Esplosione Galattica non era quella di Gemini, saremmo riusciti a bloccarla altrimenti! E’ come… se con il cosmo creassi una tua versione, simile ma diversa!" concluse.
"Proprio come un racconto sarà sempre diverso dall’originale…" annuì Guerra, sollevando la visiera per guardarlo meglio. "Non illuderti però che in ciò si celi una chiave per sconfiggermi: non solo dai sussurri del vento nasce la mia forza!"
"Non… è necessario… sconfiggerti!" intervenne Cristal, muovendosi per la prima volta. Era il più malconcio dei tre, coperto dalle ferite inferte da Fenrir, Colpa e Agonia senza aver mai avuto modo di riprendere fiato. Il cosmo che lo circondava era flebile, come una candela in procinto di estinguersi. Solo la voce manteneva una traccia di energia, mentre con occhi semichiusi fissava il comandante dell’esercito di Erebo.
"Voi Flagelli… incarnate il male da cui prendete il nome! Siete invincibili solo finché… non si trova dentro di sé il modo… la chiave esatta…" sussurrò. "E’ stato necessario accettare gli errori del passato per poter vincere Colpa!"
"E’ vero!" esclamò Pegasus. "Anche Violenza sembrava imbattibile, finché non sono riuscito a purgare il mio cuore da qualsiasi traccia di odio!"
"Avete compreso anche questo… ora capisco perché i miei fratelli sono caduti…" commentò, con vaga ammirazione. "Era un segreto che avrebbero dovuto custodire gelosamente, e che invece erano proni a rivelare, certi che sarebbe stato comunque impossibile per un nemico sfruttarlo! Era necessario accettare consapevolmente il dolore per liberarsi dall’influsso del cosmo di Agonia, trovare la pace nel cuore per frenare la mano di Violenza, accettare i propri errori per portare a segno un attacco contro Colpa! Primi tra uomini e Dei, avete saputo risolvere l’enigma che ci circonda!"
Nel dire queste parole, chiuse per un attimo gli occhi, in apparenza certo che, rispettosi delle regole della cavalleria, non avrebbero osato approfittarne per interromperlo e attaccarlo. In quell’istante ogni Cavaliere lo scrutò in modo diverso: Pegasus ne osservò la Veste Cinerea, alla ricerca di un punto debole da poter sfruttare. Sirio ne guardò il portamento fiero, quasi regale in un certo senso. Fu però Cristal a saggiarne il cuore, memore di quanto appreso nel duello con Fenrir, e del potere proveniente dal divino sangue di Estia. Quel che vide lo sorprese, e non poco: non un cosmo freddo e crudele, come quelli di Colpa o Agonia, né un’aura calda e generosa come poteva esserlo quella di un Cavaliere. Era piuttosto un cosmo marziale, rigido e inflessibile, ma non privo di amor proprio e di una certa leale dignità. Tra le tenebre color pece di Erebo e la luce dorata di Atena, egli era il grigio lucente del ferro battuto, temprato e ritemprato fino alla perfezione.
"Io sono diverso!" riprese il Dio, aprendo di nuovo gli occhi. "Non è per vanagloria che tale mi dichiaro, ma perché è realtà! Checché ne dica Morte, unico tra i Flagelli io non sono schiavo della mia natura. La vittoria che desiderate dovrete cercarla in battaglia, con la forza e l’ardore del cosmo!"
"Come può essere… Violenza mi ha parlato di voi, dell’origine dei vostri poteri…" ricordò Pegasus.
"Non lo immagini?" domandò allora Guerra, e quando nessuno rispose si concesse un sorriso. "Lascia che ti parli allora, di quel giorno di mille millenni fa, quando per la prima volta aprii gli occhi, venendo al mondo già adulto ed armato, vestito di questa mia Veste Cinerea e pronto alla battaglia. Attorno a me, avvolti nel vorticare delle tenebre, erano riuniti i miei fratelli maggiori, perché dei cinque Flagelli io sono il più giovane. E soprattutto l’unico!"
Pegasus e Cristal continuarono a fissarlo smarriti, ma Sirio aprì gli occhi, intuendo cosa intendesse. "Violenza, Colpa, Agonia, Morte… e Guerra, ma certo!"
"Proprio così…" approvò il nemico. "Laddove i miei fratelli sono nati da istinti e realtà del creato, io sono a tutti gli effetti una scelta consapevole. Non la violenza sconsiderata di un duello, ma la guerra in cui si scontrano armate!"
"Ogni creatura vivente è destinata a morire… ed ogni essere dotato di intelletto porta innato dentro di sé l’istinto alla violenza, alla colpa, persino a causar dolore. Ma la guerra è una scelta consapevole, persino ponderata…" rifletté Dragone.
Annuendo ancora, il seguace di Erebo si voltò verso Cristal. "Poc’anzi hai sondato il mio cosmo… ora dimmi, cos’hai avvertito?"
"Non era… colmo di oscurità!" ammise il Cigno. "Era piuttosto come se luce ed ombra si equilibrassero e fondessero al suo interno!"
"Ben detto! Perché la guerra è sia madre di dolore, portatrice di morte, che forza positiva, che unisce i popoli, rinsaldando i legami di affetto verso il prossimo. In tempo di guerra gli uomini si prendono cura gli uni degli altri… accomunati da stenti e privazioni, riescono per la prima volta a comprendersi davvero, sostenendosi come fratelli. Ci avete mai pensato?"
"Non giustifica comunque i massacri di Erebo!" rispose rabbiosamente Pegasus, senza però far vacillare le certezze del nemico.
"Nè intende farlo, ragioni e giustificazioni non mi riguardano. Ma il sommo Erebo ha scatenato la guerra finale, il conflitto supremo che determinerà il destino del mondo: l’Armageddon, la massima manifestazione della mia natura! E in nome suo condurrò le armate alla vittoria!" proclamò, iniziando di nuovo ad espandere il suo cosmo ad indicare che il tempo delle parole era concluso. "Voi siete veri combattenti, fare salvo della vita uomini del vostro valore sarebbe un inaccettabile affronto! Fatevi avanti dunque, e affrontare il vostro destino!"
Nel dire ciò, Guerra disegnò un cerchio in aria, creando un anello di fuoco e lanciandolo contro di loro. Sirio si gettò subito a difesa degli amici, intercettandolo con lo scudo, mentre Pegasus, trascinato in salvo Cristal, fece esplodere ancora una volta il suo cosmo.
"Se è la battaglia che cerchi… Cometa Lucente!!"
In risposta, il Flagello incrociò le braccia davanti a sé, parando il colpo segreto nonostante il Cavaliere avesse impresso al suo interno quanta più energia possibile. Anziché contrattaccare subito però, Guerra abbassò la visiera e sollevò la gamba.
"C’è anche un’ultima cosa che mi differenzia dai miei fratelli… un vezzo. Loro non hanno mai dato nome alle tecniche di lotta che utilizzano, ma io adoro il sentirle rimbombare sul campo di battaglia! Per prima, l’arma che frantuma la terra: Tocco dello Zoccolo Tonante!!"
Nel dire questo, il Comandante delle armate di Erebo sbatté con forza il piede a terra, facendo sprofondare in profondità lo zoccolo dello schiniere. Crepe luminose si allargarono sul pavimento, frantumando il marmo in una ragnatela di energia ed allungandosi verso i sorpresi Cavalieri.
Un istante dopo il suolo sotto di loro esplose, catapultandoli in aria con la devastante violenza di un terremoto. Sputando sangue, Pegasus sbatté contro una colonna, intontito e con la vista appannata. Guardandolo, Guerra avvicinò le mani alla testa di drago che portava sul petto.
"E adesso la forza degli abissi! Perla del Signore degli Oceani!!"
Gli occhi del drago si accesero di una luce azzurra, e dalle fauci esplose una sfera, azzurra come l’acqua ma in realtà ricolma di energia. Reagendo d’istinto Pegasus incrociò le braccia, ma i bracciali del Destriero dell’Empireo, la più resistente tra le cinque armature forgiate da Zeus, esplosero in frantumi, arrivando a crepare persino il pettorale sottostante prima che l’impatto abbattesse la colonna alle spalle dell’eroe, catapultandolo contro la parete.
"Pegasus!!" gridò Sirio inorridito. Più ci pensava e più la situazione appariva disperata, persino in tre sembravano del tutto impotenti contro la furia guerriera del Flagello. "Se solo avessi il tempo di concentrare la Pienezza del Dragone… ma non oso! Se il controllo non fosse perfetto, travolgerei anche gli altri!" pensò.
Agendo allora quasi con la forza della disperazione, corse in soccorso del compagno, concentrando il cosmo nel braccio. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
Sbattendo le ali con folate di fuoco, Guerra carbonizzò il dragone, frenando anche l’impeto del ragazzo. Poi sollevò le braccia innanzi a sé e le congiunse. "E infine la tecnica che domina gli empirei! Ratto dell’Aquila Celeste!"
Simile ad un rapace che in picchiata ghermisce la preda, il Flagello intercettò Sirio, affondando gli artigli nel pettorale sinistro e sul fianco destro, fino a frantumare e perforare la difesa di Dragone del Cielo e farli affondare nelle carni del guerriero.
Con un grido di dolore, il Cavaliere venne scaraventato sul pavimento, rotolando di diversi passi. In quel momento però, cristalli di ghiaccio comparvero attorno a Guerra, spingendolo ad interrompere l’offensiva e voltarsi verso Cristal, di nuovo in piedi anche se coperto di ferite ed incerto sulle gambe.
"Forte del nono senso, in nome di Atena! Per il Sacro Acquarius!!!"
"Perla del Signore degli Oceani!" ritorse Guerra, lanciando di nuovo uno dei suoi colpi segreti.
Per qualche momento i ghiacci del cigno sembrarono in grado di congelare persino la Perla oceanica, ma poi la forza di quest’ultima esplose, travolgendo Cristal, il cui scudo sul braccio sinistro fu divelto e andò in frantumi.
Ciononostante, uno spesso strato di ghiaccio avvolse le gambe del Flagello, ricoprendo di una patina liscia e lucente anche il pavimento circostante. Subito Guerra sbatté le ali, generando folate ardenti come fornaci, ma il ghiaccio allo zero assoluto resistette abbastanza a lungo da permettere a Sirio di tentare un nuovo assalto.
"La sua difesa è solida, ma forse con un’arma divina potrò averne ragione!" pensò, sollevando il taglio della mano. "Excalibur, colpisci!!"
Impossibilitato a saltare, Guerra riuscì comunque a contorcersi per schivare il fendente d’oro partito dalla mano di Dragone, ma solo in parte. Un taglio profondo diversi centimetri si allargò sul coprispalla, a pochi centimetri dall’elmo, facendo volare via schegge nere e argentate.
Un’espressione vagamente divertita comparve sul viso di Guerra. Fedele al suo nome, era solo in battaglia che si sentiva realmente vivo, e quell’occasione di mettere da parte i doveri di comandante per lottare di nuovo in prima persona lo esaltava. "Se è un duello all’arma bianca che desideri, la mia lama terrà testa alla tua!" esclamò, afferrando il manico del tridente e tirandolo fuori, mentre l’asta telescopica si allungava tornando alla lunghezza originaria.
Con un fendente frantumò il ghiaccio ai suoi piedi, per poi impegnare Sirio con una serie di affondi, facendo stridere le sue punte contro il taglio di Excalibur. Tra cascate di scintille e clangori metallici, Dragone si vide costretto a indietreggiare passo dopo passo, mentre sottili crepe nere si allargavano sul bracciale della sua corazza. Con il volto madido di sudore, cercò un varco nelle difese dell’avversario, senza però riuscire a trovarne alcuno. Ovunque cercasse di dirigere Excalibur, fintando o affondando, Guerra parava senza difficoltà, rispondendo con una sequela fulminea di colpi.
Tale era la sua concentrazione che Sirio non si accorse di star indietreggiando verso una colonna finché non la toccò con le spalle. In quel momento, Guerra sorrise e gli conficcò il tridente nella coscia, trapassando l’arto e l’armatura, fino a far scaturire una fontana di sangue.
Gridando di dolore, il Cavaliere barcollò cercando di allontanarsi. Il Flagello però lo precedette, congiungendo le mani a pochi centimetri dal suo torace. "Ratto dell’Aquila Celeste!!"
Gli artigli affondarono nei fianchi e nel petto, travolgendo l’eroe e lanciandolo contro la parete, sanguinante, con il tridente ancora conficcato nella gamba. Senza esitare nemmeno un istante, Guerra avvicinò le mani al proprio torace, concentrando il cosmo nella testa di drago. "E’ la forza che decide l’esito di un conflitto, e la mia forza è suprema, nel cielo, nel mare e sulla terra!" esclamò. "Perla del Signore degli Oceani!!"
Troppo malconcio per alzare in tempo lo scudo, con la gamba e l’addome che pulsavano di dolore e la vista appannata, Sirio rischiò di essere travolto a distanza ravvicinata. All’ultimo momento però Pegasus si gettò tra loro alla velocità della luce, facendo esplodere disperatamente il suo cosmo in un tentativo di contenere quello del Flagello.
"Lacrime di Pegasuuuus!!!"
Sprizzi di sangue schizzarono dalle ferite alle braccia, dove le carni, in diversi punti prive della protezione dell’armatura, furono ustionate al solo contatto con l’aura di Guerra. Ma nonostante tutto, con uno sforzo supremo di volontà, Pegasus riuscì a resistere e far alzare il colpo segreto verso l’alto, prendendone il controllo.
"Per una volta sono io a salvarti, le sorprese della vita!" scherzò rivolto a Dragone, senza però distogliere lo sguardo dal nemico mentre i dardi iniziavano a ricadere.
"Riuscirai ad evitarli anche stavolta? Non credo proprio!"
"Non ho bisogno di evitarli! Non quando ho a portata di mano tutto ciò di cui ho bisogno per difendermi!" rispose Guerra, afferrando di scatto l’asta del tridente ed estraendolo dalla gamba di Sirio, che si accasciò in ginocchio. Con consumata abilità, lo fece vorticare dinanzi a sé, formando una barriera contro la quale le Lacrime di Pegasus si schiantarono senza alcun risultato.
Contemporaneamente, alzò la gamba, concentrando in essa il suo cosmo. "Tocco dello Zoccolo Tonante!!"
Ancora una volta, il suolo ai piedi dei Cavalieri esplose, scaraventandoli via.
"Non ci concede un attimo di respiro… ogni suo gesto è eseguito alla perfezione. Se non prendiamo il controllo della battaglia ci annienterà!" pensò Dragone, rotolando in qualche modo sullo scudo per attutire la caduta. Rialzando la testa però si accorse che Guerra non aveva ancora interrotto l’offensiva su Pegasus, immobile a terra. Con un balzo si tuffò allora su di lui, afferrandolo appena un attimo prima che il tridente d’ebano gli venisse conficcato nel collo.
"Devo allontanarlo da lui!" pensò, poggiando l’amico a terra e spiegando le ali dell’armatura. Accettando quel gesto di sfida come il Cavaliere aveva sperato, Guerra allargò le enormi ali d’aquila della sua Veste Cinerea, alzandosi in volo ad una velocità sorprendente e sferrando un’artigliata che scheggiò l’elmo del Dragone, aprendogli un taglio sanguinante sulla guancia.
"Sento che il cosmo che proviene da te è più vitale di quello dei tuoi compagni, ma esiti per timore di ferirli! Affronta la battaglia a viso aperto, uomini valorosi come voi non dovrebbero temporeggiare, ed i tuoi amici sarebbero felici di dare la vita per conquistare la vittoria!" esclamò il primo tra i Flagelli.
Pur sorpreso da quell’analisi, Sirio scosse la testa. "Noi Cavalieri siamo disposti a sacrificare solo noi stessi!"
"Eppure per vincere a volte sono necessari dei sacrifici, che siano volontari o meno! Alcuni tra i più grandi trionfi della storia sono stati costruiti in questo modo. La vita di ciascun soldato ha valore, ma anteporla al successo finale fa venir meno la sua stessa ragion d’essere!"
"Non è questa la via di un Cavaliere di Atena!" insistette il ragazzo, prima di vibrare un fendente, che però Guerra seppe schivare con un movimento rapidissimo delle ali, per poi centrare l’avversario con un fulmine e spingerlo a terra tra folate fiammeggianti.
"Colpo… dei Cento Draghi!!" gridò Sirio, attaccando nell’atto stesso di precipitare.
Impugnando di nuovo il tridente, il Flagello lo agitò davanti a sé, deviando i draghi emeraldini uno dopo l’altro come se non fossero che giocattoli di carta lanciatigli contro da un bambino capriccioso.
Dando fondo a tutte le sue energie, i muscoli tesi per lo sforzo, il cuore che batteva all’impazzata, Sirio continuò ad attaccare, imprimendo sempre più forza in ogni singolo drago di giada, ma, per quanto si affaticasse, il nemico sembrava continuare a tenergli testa, persino agevolmente.
Con un senso di sconforto, il ragazzo si sentì venir meno. Improvvisamente però meteore azzurre sfrecciarono dalle sue spalle, unendosi ai dragoni fitte come le gocce di un temporale estivo.
"Non perderti d’animo, Sirio! Deve ancora nascere il nemico che non riusciremo a sconfiggere!" esclamò Pegasus, intensificando il suo assalto. Combinati, erano migliaia di colpi alla velocità della luce, troppi persino per Guerra la cui bocca si digrignò per lo sforzo.
Accorgendosene, Pegasus concentrò i colpi del Fulmine. "E’ questo il momento: Cometa Lucente!!"
Intuendo il suo piano, Sirio modificò di scatto la direzione dei Cento Draghi, facendoli ruotare alle spalle del Flagello per poi colpirlo alla schiena, nello stesso momento in cui la Cometa lo centrava al torace.
Per la prima volta incapace di difendersi, Guerra gridò di dolore, precipitando al suolo in una spirale. Appena prima dell’impatto però strinse i denti, allargando le ali per planare all’atterraggio nonostante la distanza ridottissima.
La manovra ebbe successo, ma non appena ebbe toccato terra vide uno spesso strato di ghiaccio imprigionargli le gambe e le braccia. Contemporaneamente, cristalli con riflessi fiammeggianti presero a danzare attorno a lui.
"La tecnica che ha annientato Agonia e Colpa!" la riconobbe, voltandosi verso Cristal, che ora lo fissava con le braccia sollevate sopra la testa.
"Pegasus e Sirio ti hanno tenuto impegnato abbastanza a lungo da permettermi di concentrare le forze!" gridò l’eroe. "Questo è il colpo che ti finirà: Per il Sacro Acquarius, Scintille nella Bufera!!"
Vedendo sopraggiungere il colpo segreto, ricolmo di energia, Guerra fece esplodere il suo cosmo, frantumando il ghiaccio e liberando le mani.
"Non credevo che avrei dovuto usare questa arma!" esclamò con un misto di stupore e rispetto, prima di far sbattere i palmi tra loro ed intrecciare le dita. "Contempla, Cavaliere del Cigno, la tecnica suprema di Guerra, primo tra i Flagelli! Trionfo di Cimento!"
Sospesi a mezz’aria grazie alle ali delle loro armature, Pegasus e Sirio videro inorriditi l’aura del seguace di Erebo concentrarsi nello spazio minuscolo tra le mani e poi esplodere in un semicerchio distruttivo devastante. Un’onda d’urto che strappò i marmi del pavimento ed abbatté le colonne, facendo detonare a mezz’aria le Scintille nella Bufera prima di abbattersi su Cristal.
Con lo scudo sul braccio in pezzi e troppo impegnato nell’attacco per erigere un muro di ghiaccio difensivo, il Cavaliere del Cigno venne investito in pieno. Il diadema andò in frantumi, il pettorale si sbriciolò sul lato sinistro, il coprispalla fu strappato e volò via.
I due eroi sentirono appena l’amico gridare prima che le sue urla venissero soffocate dal fragore dell’esplosione, il cui contraccolpo travolse anche loro, sbattendoli a terra sotto una pioggia di polvere detriti.
Quando riuscirono a rialzare la testa, videro Cristal a terra, immobile in una pozza di sangue.
Il suo cosmo era scomparso.
"Cristaaaaalllll!!!" gridò disperato Pegasus, correndo verso di lui, incespicando, cadendo e andando avanti carponi. Raggiuntolo, lo prese delicatamente tra le braccia, quasi timoroso di controllarne il battito. Spingendo indietro le lacrime, appoggiò l’orecchio sul torace sanguinante, tendendo al massimo i sensi per diversi secondi.
Ma non vi era nulla. Solo un assordante silenzio.
Come Andromeda prima di lui, anche Cristal il Cigno era stato abbandonato dal soffio della vita.
"No! No no no no no! Non anche tu!! Flare ti aspetta ad Asgard, non puoi lasciarla da sola! Apri gli occhi, amico mio! Apri gli occhi!!" singhiozzò il Cavaliere. Il dolore che aveva cercato di ricacciare dopo la morte di Andromeda, celandolo dietro una diga di umorismo, determinazione e sarcasmo, si fece avanti prepotente, sommergendolo.
"E’ caduto da vero guerriero, senza mai mostrarmi le spalle e considerare la fuga. Il primo essere umano… anzi, il primo essere vivente ad obbligarmi a usare il mio colpo più potente… se le mie parole possono esserti di consolazione, ricorderò le sue gesta in futuro" commentò Guerra, liberando anche le gambe dal ghiaccio e rialzandosi.
A quelle parole, il cosmo di Pegasus si accese intensissimo. "Maledettoooo!!!" gridò rabbioso, lanciandosi all’attacco con il pugno carico di energia, le guance ancora rigate dalle lacrime.
Fu un fendente dorato a fermarlo, attraversando trasversalmente il salone e tenendolo lontano dal Flagello. Un istante dopo, un cosmo verde smeraldo si innalzò davanti a lui, erigendo una barriera e spingendolo indietro.
"Sirio!" balbettò confuso il ragazzo, guardando l’amico disporsi tra lui e Guerra.
"La via per Erebo è aperta dietro di te, guarda…" disse, continuando a dargli le spalle. Pegasus non poteva vedere i suoi occhi, ma la voce era rotta dal dolore, tenuta calma solo con uno sforzo di volontà.
Voltandosi, vide che effettivamente nel corso dello scontro le posizioni si erano invertite, ed ora l’uscita era pochi passi alle sue spalle.
"Varcala… e corri da Erebo! Sconfiggilo, poni fine a questo incubo!" esortò Dragone.
"E dovrei abbandonarti?! Ne abbiamo già parlato, Erebo lo raggiungeremo insieme!" protestò, cercando di avvicinarsi ma venendo di nuovo respinto indietro dal suo cosmo.
"Non… è più tempo per questi discorsi. Non sappiamo che ne sia di Phoenix… forse solo noi due restiamo dei cinque Cavalieri dello Zodiaco partiti alla volta di Avalon! L’oscurità ci ha privati per sempre dell’aiuto dei nostri amici! Almeno uno deve arrivare da Erebo: tu! A che servirebbe sconfiggere costui per poi strisciare esausti fino alla sala del trono? Come potremmo guardare negli occhi i nostri cari nell’aldilà se permettessimo al desiderio di vendetta di distrarci dal vero obiettivo del nostro viaggio?"
Colpito, Pegasus abbassò lo sguardo, deglutendo dolorosamente diviso tra volontà e dovere. I ricordi delle Dodici Case si riaffacciarono prepotenti, anche quella vittoria era stata resa possibile solo lasciando indietro i compagni. Era dunque suo destino essere spinto avanti dai sacrifici altrui?
Alla fine annuì, ma prima di andare scoccò un’ultima occhiata all’amico.
"La notte prima della partenza per Avalon, Ioria mi ha detto una cosa. Chi scende in campo sicuro della propria vittoria o della propria sconfitta non combatte davvero, si limita a cercare di far avverare il destino che si è scelto. È solo chi deve ribaltare il fato avverso che lotta fino all'ultimo, fino a compiere miracoli! Fiore di Luna ti starà sicuramente aspettando a Nuova Luxor… dimentica la profezia, e promettimi che ci rivedremo!" esclamò, per poi voltarsi e correre verso la porta. "Ti aspetto nelle stanze di Erebo, non tardare!"
Nel sentire i suoi passi allontanarsi nel corridoio, Sirio alzò gli occhi al cielo e sorrise. "Addio, amico mio! Ci rivedremo… se non in questo mondo, sicuramente nel prossimo!"
Di fronte a lui, Guerra iniziò a bruciare il proprio cosmo.
"Hai permesso a Pegasus di proseguire, ti ringrazio…" disse Sirio, guardandolo negli occhi.
"Non potevo rendere vano un atto coraggioso come il tuo. Anche se non credo riuscirà a raggiungere il sommo Erebo… dei cosmi sconosciuti hanno invaso la sala del trono, distorcendo lo spazio che la separa dal resto della reggia. Il tuo amico continuerà a vagare finché non avrò il tempo di raggiungerlo!"
"Hmp… non lo conosci bene. Ce la farà… non ho alcun dubbio che ce la farà!" commentò Sirio, concedendosi un sorriso, prima di circondarsi dello scintillio del suo cosmo.
"Hai deciso di accettare il tuo destino?" chiese il Flagello spiegando le ali
"Forse, ma sta in guardia! Ho visto la mia morte… ma nulla a dimostrare che io cadrò da solo!"
Come in risposta ad un muto ordine, i due saettarono l’uno contro l’altro nello stesso momento, scontrandosi a mezz’aria. Fu il colpo del Flagello ad andare a segno, frantumando la punta dell’ala destra di Sirio. Senza badarvi, l’eroe toccò terra, ruotò sul tallone e partì di nuovo alla carica. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
"Ratto dell’Aquila Celeste!!"
Un affondo spaccò il coprispalla destro, trapassandolo da parte a parte, sfondando la clavicola e facendo zampillare flotti di sangue. Un altro ferì di striscio la guancia destra, appena sotto l’occhio, aprendo un’altra ferita.
Sirio cercò di attaccare di nuovo, ma Guerra fu più veloce e gli poggiò le mani sul torace. "Perla del Signore degli Oceani!!"
Con un grido di dolore, accompagnato da schegge e frammenti di armatura, Dragone fu catapultato a terra, scavando un solco sul pavimento fino a sbattere contro la parete. Gettandosi in picchiata Guerra fu su di lui e lo centrò con un calcio, nello stesso momento in cui il Cavaliere vibrava un fendente di Excalibur, aprendo un profondo taglio diagonale sul pettorale della Veste Cinerea.
Per nulla preoccupato, lo ferì con gli artigli alla fronte, strappando via parte della testa di drago sull’elmo, e poi lo spinse carponi con un doppio colpo sulle spalle.
"F… Fiore di Luna… maestro…" sussurrò vomitando sangue, sforzandosi di rimettersi in piedi. Guerra però non gliene diede il tempo: sollevata la gamba, concentrò il proprio cosmo nel piede e lo calò sulla schiena dell’eroe, all’attacco delle ali. "Tocco dello Zoccolo Tonante!!"
"Aaargh!!" gridò Sirio agonizzante. Il colpo segreto, capace di generare la forza di un terremoto, frantumò lo schienale e spinse il ragazzo in profondità, sbriciolando il marmo fino a farlo scomparire sottoterra. Solo l’enorme spessore del pavimento gli impedì di essere precipitato fino al piano sottostante.
Soddisfatto, il Flagello estrasse il piede, ancora grondante sangue, e si girò verso il corridoio in cui era scomparso Pegasus. Non appena ebbe mosso tre passi però il Cavaliere si rialzò, avvolto in una colonna di luce. I capelli erano avvolti attorno al suo corpo, e su di essi un brillante drago di energia scorreva sinuoso.
"Finalmente mi mostri la tua vera forza!" esultò Guerra, facendo esplodere il suo cosmo.
Geyser di energia eruttarono dal pavimento attorno a Sirio, innalzando altrettanti pilastri verde smeraldo mentre le pietre del pavimento si sbriciolavano in polvere. Il suo corpo, troppo malconcio per sostenere lo sforzo, iniziò a sanguinare ancora più copiosamente, con dozzine di rivoli che grondavano sull’armatura, filtrando tra le crepe e gocciolando a terra. Ben più del Drago Nascente, quella tecnica sottoponeva i vasi sanguigni ad uno sforzo tremendo, strappandoli e dilaniandoli senza pietà.
"Padre, Atena… indicatemi ancora una volta la via! Non mi importa di morire ma vi prego, per la salvezza dell’umanità, fate che io vinca!!" gridò supplicante, unendo le mani davanti a sé. "Pienezza del Dragone!!"
Con un ruggito fragoroso, il drago saettò verso Guerra, per la prima volta allibito da tanta energia. Sirio fece appena in tempo a vederlo concentrare la propria aura nelle mani che la luce abbagliante lo accecò, accompagnata un istante dopo dall’assordante roboare dell’esplosione e da un bombardamento di detriti.
Tossendo, con i polmoni pieni di polvere e la bocca ancora bagnata di sangue, barcollò in avanti, osservando in attesa di scoprire se quell’ultimo tentativo avesse avuto successo o meno.
Sentiva le forze abbandonarlo, la vista ormai era annebbiata, il battito debole e irregolare, mentre ogni fibra del suo essere pulsava di dolore. Eppure del nemico non c’era traccia. Per un attimo si concesse di sperare, di poter affiancare Pegasus contro Erebo…
"Un nobile tentativo… ma vano!" risuonò la voce di Guerra, abbattendo quel sogno.
Avanzando, il Flagello ricomparve di fronte a lui. Non era incolume: la Veste Cinerea era spaccata sul bracciale, coprispalla e fianco sinistro, l’ala retrostante era stata praticamente disintegrata, e da numerose ferite filtrava una specie di fumo cinereo. Ma era vivo, e nuovamente avvolto nel suo cosmo.
"Un colpo davvero devastante, se mi avesse colpito in pieno forse non sarei sopravvissuto. Ma purtroppo per te sono riuscito a deviarlo, abbastanza da salvarmi!" spiegò, prima di sollevare e congiungere le mani. "Ed ora è veramente finita. Degno della mia lode, vivrai per sempre nei miei ricordi insieme ai tuoi amici! Addio, Cavaliere! Trionfo di Cimento!!"
Con un ultimo sforzo disperato, Sirio sollevò lo scudo del Dragone, ma l’esplosione fu comunque devastante. Le ali si frantumarono in migliaia di frammenti, le punte dei coprispalla ed i lati più esterni del pettorale e della cintura furono strappati, mentre la superficie centrale si spaccava. Persino lo scudo fu danneggiato: la cresta al centro scomparve, il bordo superiore si sbriciolò, un dedalo di crepe e spaccature lo attraversò da parte a parte.
Gridando di dolore, con gli occhi ormai vitrei, il Cavaliere fu sollevato da terra e lanciato indietro. Un istante dopo, Guerra impugnò il tridente d’ebano e lo lanciò, centrandolo al volo, trapassandolo all’addome da parte a parte e conficcandosi contro una delle poche colonne ancora in piedi, impalandolo. Infine ne colpì l’asta con un ultimo lampo di energia, fulminandolo per il colpo di grazia.
Sirio urlò per l’ultima volta. Poi il collo si chinò, le braccia si accasciarono lungo i fianchi, ed egli giacque immobile.
Privo di vita.
Alzando la visiera, il Flagello lo fissò mestamente per diversi minuti. Ora che la battaglia era conclusa, non c’era realmente traccia di gioia nei suoi occhi, solo vago orgoglio per quella vittoria.
A diversi metri di distanza, anche Cristal era riverso a terra. Poche stanze più in là, Andromeda. E da qualche parte sicuramente anche Phoenix, di questo non aveva dubbi. La morte ormai avvolgeva quel maniero. Forse si era sempre sbagliato, forse non era lui il più potente tra i Flagelli, ma il suo misterioso fratello maggiore, dal viso perennemente incappucciato. Dopotutto, la guerra stessa non è forse uno strumento della morte?
Alla fine, preferendo non ponderare quel dubbio, abbassò il capo. "La guerra ha preteso la tua vita, ragazzo, come forse un giorno pretenderà la mia. Fino ad allora, addio…"
Sospirando, si girò verso l’uscita, avviandosi lentamente. Per un Flagello carni e Veste Cinerea sono praticamente una sola cosa, e pur non avendo leso zone vitali le ferite che aveva subito erano più gravi di quanto desse a vedere. Guarire avrebbe richiesto tempo, e solo un certo sforzo di volontà gli permetteva di mantenere coeso il proprio essere.
"Ma ormai non resta che un solo Cavaliere!" si disse, continuando a camminare.
Fu un bagliore verde smeraldo a fermarlo dopo alcuni passi, prima flebile, poi sempre più intenso.
"Non è possibile!" esclamò voltandosi, solo per essere obbligato ad abbassare la visiera e coprirsi gli occhi. Il corpo di Dragone brillava di una luce accecante.
Attraversato da scariche di energia, il tridente d’ebano schizzò via, perdendosi tra i detriti, e lasciando crollare a terra il corpo del ragazzo. Un momento dopo, un dito si mosse leggermente, poi un altro, poi il pugno intero.
Allibito, Guerra indietreggiò di un passo. "Che significa?! Era morto, non ho alcun dubbio! Il suo spirito aveva già lasciato questa terra! Che sta succedendo?!"
Lentamente, il bagliore si affievolì. Guardando con attenzione, Guerra si accorse che non proveniva dal suo corpo, ma dall’armatura, che emetteva come un alone sul corpo del Cavaliere.
Quando, dopo diversi secondi si fu esaurito del tutto, un’ombra di cosmo riprese a bruciare attorno a Sirio, le cui labbra già violacee si contrassero a sussurrare una parola.
"P… hoe… nix…"
Poi l’eroe riaprì gli occhi, rialzandosi faticosamente di fronte all’incredulo Flagello. Era ancora moribondo, incerto sulle gambe, forse persino più provato di quando era caduto, ma il cuore batteva di nuovo.
"Come fai ad essere ancora in vita, spiegamelo!" pretese sbalordito Guerra.
"L’armatura… rinata con il sangue di Apollo! Ha usato fino all’ultima stilla del suo potere curativo per salvarmi!" rispose, sfiorandola. Non avvertiva più la stessa brillante vitalità di poco prima, e persino il colore si era fatto leggermente più opaco.
Leggendo lo stupore e la confusione negli occhi del nemico, Dragone sorrise a fatica. "La visione si è avverata… eppure sono ancora qui! Sembra che il mondo della morte mi abbia concesso una proroga… per sconfiggerti!"
"Non… essere assurdo! Come puoi vincermi, ti reggi a stento in piedi!" ritorse Guerra, sembrando ritrovare decisione. Con un raggio di luce fece esplodere il pavimento ai suoi piedi, scaraventandolo indietro.
Sfruttandone l’energia però il Cavaliere balzò in aria, contrattaccando con un calcio volante. Il Flagello cercò di volare via, ma con l’ala sinistra in frantumi non riuscì a muoversi in tempo, e venne centrato al volto.
"Sembra che anche tu sia più malconcio di quanto vuoi ammettere, il tuo cosmo è molto indebolito!" esclamò Sirio.
"E’ solo lo sforzo per mantenere la mia integrità! La mia capacità di attacco non è affatto diminuita! Perla del Signore degli Oceani!!"
Anziché tentare di schivarla stavolta, l’eroe disegnò un semicerchio con il braccio destro, cercando di imprimere più energia possibile al suo interno. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
Le due tecniche si scontrarono a mezz’aria, esplodendo con un contraccolpo che travolse entrambi, lanciandoli in direzioni opposte.
La concentrazione di Guerra vacillò, facendo aumentare la quantità di fumo nerastro che usciva dal suo corpo. Grugnendo, strinse i denti, riprendendo il controllo, e ripensando a quando Erebo gli aveva ridato forma corporea, in Vallonia, dopo secoli in cui la sua essenza era stata troppo frammentata per poter mantenere una coscienza di sé. Aprendo gli occhi, aveva visto in lui colui che avrebbe dato vita alla guerra con cui porre fine a tutte le guerre, e giurato a se stesso che lo avrebbe servito come fedele Comandante, fino alla morte.
"Fino a cancellare i suoi nemici!" si disse, alzando la gamba per sferrare il Tocco dello Zoccolo Tonante.
Guardando di fronte a sé però, vide Sirio avvolto in una colonna di luce, le braccia congiunte innanzi al corpo. "Ha ancora la forza per lanciare la Pienezza del Dragone!" realizzò, intuendo nello stesso istante che un secondo colpo gli sarebbe stato fatale. Il Cavaliere era moribondo, lo Zoccolo Tonante probabilmente lo avrebbe finito, ma forse non prima di permettergli di fare altrettanto con quell’ultimo colpo segreto.
Pensò a Pegasus, che stava correndo verso il suo signore, ed all’umiliazione che fallire, anche solo parzialmente, nei suoi doveri avrebbe comportato. Poi decise.
Con un gesto fluido, modificò subito la propria posa, riappoggiando il piede a terra ed unendo le mani fino ad intrecciare le dita. "Respingerò la Pienezza del Dragone e ti finirò con la mia tecnica più potente!" tuonò. "Cadi, di fronte al Trionfo di Cimento!!"
Il bagliore accecante ed il fragore dell’esplosione avvolsero il salone, l’intero castello di Avalon tremò di fronte ad una tale manifestazione di energia.
Eppure, con un fremito di stupore, il Flagello si accorse di non avvertire alcuna resistenza. "La Pienezza del Dragone… non è stata lanciata!" realizzò confuso. Spalancando gli occhi, vide una fessura tranciare l’ondata di energia da lui scatenata. Un solco, largo meno di mezzo metro, al cui interno correva un uomo con il braccio destro teso in avanti, incurante dell’armatura che andava in pezzi e di mille ferite sanguinanti.
"Sirio?!" esclamò incredulo. "No! Quella è…"
"Excalibur!!!" gridò Dragone, affondandogli la mano nel torace fino al gomito, trapassandolo da parte a parte.
Barcollando all’indietro, il Flagello afferrò il braccio del nemico, impedendogli di estrarlo. La visiera si era sollevata nello spasmo della testa, permettendogli di guardarlo negli occhi. "Hai finto la Pienezza del Dragone per spingermi a usare il Trionfo di Cimento…!"
"Era l’unico modo!" rispose Sirio, tossendo sangue, gli occhi semichiusi. "Era la terza volta che lo usavi, l’avevo visto bene ormai! È una tecnica davvero terrificante, ma che ti obbliga a rinunciare a qualsiasi difesa… concentrando tutto il tuo cosmo e poi liberandolo in una volta sola nell’attacco! Non un’aura normale, ma quella quasi infinita di un Flagello all’apice dei suoi poteri… se avessi cercato di oppormi direttamente sarei stato sicuramente spazzato via!"
Nel sentire quell’analisi, Guerra sorrise stancamente. "Per questo hai usato Excalibur… concentrando la forza in un punto soltanto, sei riuscito ad aprirti un varco… mi hai… ingannato…"
"Una battaglia non è solo forza, ma anche astuzia e scaltrezza…" ammise Sirio.
"Hai… combattuto bene… ragazzo… ma io ti ho permesso… di leggere attraverso la mia tecnica…" sussurrò Guerra, iniziando a ridere sommessamente e lasciando la presa. Oramai il suo corpo si stava rapidamente dissolvendo in fumo e cenere.
"Mai usare… due volte lo stesso colpo… contro un Cavaliere! Ho dimenticato… la cosa più… ba… na… le…" disse, prima di scomparire.
Rimasto solo, Sirio mosse un passo. Flotti di sangue iniziarono subito a sgorgare copiosi dal suo corpo, mentre frammenti di armatura cadevano a terra sbriciolandosi. Il corridoio aperto da Excalibur non lo aveva protetto che in parte dall’energia del Trionfo di Cimento, che aveva riaperto tutte le ferite richiuse dal cosmo di Apollo.
"Guerra… forse continueremo… a duellare nell’aldilà! Pegasus… tutto è in te ora!" sussurrò, chiudendo gli occhi e crollando al suolo, in un lago scarlatto.
***
"Emera!"
"Emera!"
"Emera!"
Cantilenarono in coro le Strane Sorelle, danzando nell’aria attorno ad Erebo, lasciando riecheggiare quella parola nella silenzio della sala del trono finché non parve provenire contemporaneamente da ogni angolo.
"Servitrice del Fato e tua pari!"
"Araldo della Luce come tu lo sei delle ombre!"
"Tua sorella! Il primo bagliore del giorno!"
"Colei che ti sconfisse!"
"Non osate pronunciare quel nome!" tuonò Erebo, espandendo il suo cosmo in ondate nere che investirono le donne, spingendole indietro sofferenti. "Credete forse che essere serve di Fato vi ponga al sicuro da me? Non ho esitato a fare a pezzi Emera, provocatemi ancora e farete la stessa fine!"
"Cantavamo solo la tua gloria!"
"Dopotutto, epico fu lo scontro che combatteste…"
"… non lo ricordi?"
Ad un muto cenno, i capelli delle donne sembrarono animarsi, agitandosi nell’aria ed intrecciandosi, fino a formare una tela d’oro, argento ed ebano.
Su di essa, Erebo rivide se stesso, impegnato in battaglia contro la sua più acerrima nemica, colei che per eoni interi aveva affrontato, senza mai riuscire a prendere il sopravvento. Prigioniero dell’eterno ciclo dell’equilibrio universale, secondo cui luce ed ombra devono sempre bilanciarsi, perché nessuno dei due può esistere senza l’altro.
Però quel giorno, vestita di un’armatura di luce, Emera dai lunghi capelli tese contro di lui la propria lancia alata.
"Quest’oggi tutto avrà fine! Le tue brame di conquista non lorderanno più l’universo che Lord Fato ha creato!" esclamò, la sua voce eterea e cristallina, ma anche fanciullesca, innocente, priva di qualsiasi traccia di odio o disprezzo.
"Stolta, non potrai mai vincermi! Anche il giorno più luminoso alla fine è destinato a cedere il passo all’oscurità! Privo dell’odiosa luce delle stelle, l’universo è buio, un oceano di tenebre! Io, che un tempo ero quella Tenebra… io che ero Kaos, la prima tra le ombre, estinguerò la tua luce e quella di qualsiasi astro, facendolo tornare ad essere quel che era!" minacciò lui stesso, con in pugno due delle sue spade nere.
"No! La luce è vita, e dalla vita nascerà il futuro!" disse Emera, vibrando un affondo con la lancia. Erebo rispose incrociando le spade, in un clangore che fece estinguere soli e distrusse pianeti. Poi, con un fendente, colpì la lancia alata, facendola volare via nel cosmo.
"Che il tuo bagliore si estingua!" proclamò, trafiggendola all’addome e al torace. Inquinando la sua luce con il tocco dell’oscurità. "Non mi distruggerai mai, sono troppo potente per te!"
Con una smorfia di agonia, Emera indietreggiò. La sua luce ora era flebile, evanescente. Solo gli occhi continuavano a brillare, candidi come cristalli.
"Roso dal tuo odio, non comprendi la realtà! Non è necessario distruggerti!" disse, gettandosi improvvisamente su di lui e stringendolo in un abbraccio. A contatto con quella luce, le tenebre si ritrassero urlanti, e dalla loro unione si aprì un varco nel tessuto stesso dell’esistenza.
"Che vuoi fare?!" gridò Erebo, agitandosi invano.
"Precipitarti in un'altra dimensione, al di là dello spazio e del tempo! Un luogo creato dai nostri poteri congiunti, da cui non potrai mai fuggire senza l’aiuto di una creatura della luce! Lì io ti esilio, condannandoti alla prigionia eterna nel nome di Lord Fato!!" proclamò, il viso straziato dal dolore.
"Folle!! Così perderai anche la tua luce! Senza di essa per te sarà la fine!" urlò la Prima Ombra, martoriandola di scariche con il suo cosmo.
"Sono pronta al sacrificioooo!!"
Con un ultimo grido disperato, Emera spinse Erebo oltre il portale, osservandolo precipitare. Nello stesso momento però, privato della luce, anche il suo corpo martoriato si smembrò in cinque parti. Cinque meteore, che saettarono nel cosmo.
Un istante dopo, con l’ultimo bagliore di una candela, la sua essenza abbandonò l’universo.
Scuotendosi e tornando alla realtà, Erebo guardò le Strane Sorelle con una smorfia di scherno. "Un ricordo spiacevole, ma nient’altro! Conoscevo bene la storia, l’ho rivissuta milioni di volte nei millenni in cui sono stato prigioniero! Ma ora io sono tornato alla vita, mentre Emera è perduta per sempre!"
Le fanciulle si scambiarono un sorriso.
"Come abbiamo detto per Atena e per i suoi Cavalieri…"
"… che cos’è la vita? Che cos’è la morte?"
"Nient’altro che fasi di un viaggio… che a volte si ripete…"
"Uhm?" sibilò Erebo, accigliandosi.
Avvicinandosi, le Sorelle intrecciarono di nuovo i capelli.
"Mira, o Prima tra le Ombre…"
"… quel che ne è stato…"
"… dei resti del corpo di colei che odi!"
Erebo guardò quelle nuove immagini di eventi di cui persino Zeus e Oberon erano ignari. Vide i frammenti attraversare il cosmo, mutare e cambiare, fino a diventare qualcos’altro.
"Ma allora…" sussurrò, per la prima volta genuinamente sorpreso.
"Ella vive!" sibilarono in coro le Strane Sorelle.
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
Sigmund e Fafnir
Con gli occhi ancora umidi di lacrime per la morte di Mur, Ioria serrò i pugni accanto ad Orion. Di fronte a loro, imponente nella sua armatura verde smeraldo e oro, si stagliava Fafnir, Comandante in capo e primo seggio dell’esercito di Hela, avvolto da un cosmo gigantesco, a tratti persino divino.
"Non… ho mai avvertito un cosmo così grande! Non al di fuori degli Dei di Asgard" ammise Orion, con una certa sorpresa.
"Io sì…" rispose il Leone, accigliandosi. "E’ simile… è molto simile alle aure di Pegasus e gli altri quando hanno sorvolato la Scozia, diretti ad Avalon per affrontare Oberon! Un cosmo umano che tende al divino!"
"Ma non oscuro…" pensò il paladino di Asgard, notando che l’armatura dell’avversario, proprio come la sua, aveva le forme di un drago. Gli elmi erano simili, anche quello di Fafnir infatti riproduceva la testa dell’animale, ornata al centro da una cresta di scaglie a punta, ma anche da due corna laterali relativamente corte e piegate posteriormente. Era verde con venature nere, con la sola eccezione degli occhi, dorati.
I coprispalla erano semicilindrici, coperti sui bordi inferiori dalle medesime scaglie triangolari, con la punta rivolta verso il basso, in modo da sovrapporsi al pettorale e coprire anche in parte il torace e la schiena. Il pettorale stesso era un pezzo scolpito, con placche che riproducevano i grossi muscoli squadrati del busto del guerriero, scendendo poi a formare un cinturino di scaglie triangolari, identiche a quelle dei coprispalla anche se più grandi.
Ben vistose dietro la schiena erano due ali di rettile, squamate e sormontate da ganci ad uncino, lunghe solo fino alle anche ma abbastanza larghe da poter avvolgere il Comandante come un mantello. Ben più impressionanti tuttavia erano i copribicipiti e le ginocchiere, che riproducevano i poderosi muscoli della creatura, scolpiti fascio per fascio con tale precisione e realismo che sembravano essere sul punto di muoversi in qualsiasi momento. Gli artigli infine erano ripiegati sugli avambracci e sulle gambe.
Nel complesso, era una visione che emanava energia e autorità, anche se l’espressione truce dell’elmo contrastava non poco con gli occhi azzurro pallido, i capelli biondi lunghi fino alle spalle ed il viso schietto e aperto del Comandante. Un viso però che in passato doveva essere stato segnato dal dolore, come evidente dall’espressione fiera ma non baldanzosa, sicura ma non arrogante.
Proprio questo dettaglio preoccupò non poco i due Cavalieri. Non era un ragazzo inesperto che avevano di fronte, ma un uomo temprato alla lotta e ben avvezzo al campo di battaglia.
Per un attimo, gli eroi esitarono. Poi, chiudendo la visiera sulla bocca, Orion avanzò di un passo. "Non vi è cavalleria nel combattere due contro uno. Per codice d’onore ti chiedo di lasciar lottare me, per primo!" esclamò, rivolto a Ioria.
Il Cavaliere di Leo si voltò spalancando gli occhi. "Sei impazzito?! Mur non ha avuto speranze… se non facciamo attenzione faremo la stessa fine! Non è avversario che tu possa affrontare da solo!"
"Nondimeno devo farlo, è mio dovere come protettore di Asgard! Non lascerò che altri Cavalieri cadano per difendere la mia terra!" rispose testardamente.
Nel sentirlo, Fafnir sorrise, anche se con un velo di tristezza. "Li avevi ben giudicati… Sigmund! Uomini leali, degni di rispetto!" pensò tra sé e sé.
Prima che potesse aprire la bocca per accettare però, un cosmo enorme si sollevò ad alcune centinaia di metri di distanza, cogliendo la loro attenzione.
"Viene… dalla statua di Odino!" mormorò Orion preoccupato, ed il suo timore non poté che aumentare quando con la coda dell’occhio vide Ilda allontanarsi in quella direzione, accompagnata da Scorpio e Toro.
"Cosa sta accadendo? A chi appartiene quel cosmo?!" domandò Ioria a Fafnir, il cui viso però era ugualmente perplesso.
"Non ad un Comandante di Hela…" rispose, accigliandosi. Poi guardò di nuovo gli avversari "Gli eventi in guerra sono un continuo fluire, per nobili che siano non vi è spazio per duelli individuali! In questo momento noi rappresentiamo i nostri stessi eserciti: fatevi avanti, anche a dozzine!"
Nel fare questa dichiarazione, Fafnir bruciò il proprio cosmo, maestoso oltre ogni dire.
"Parole veritiere, con cui mi liberi da qualsiasi obbligo!" rispose Ioria accettando la sfida. Il leone d’oro comparve alle sue spalle, minaccioso con le zanne scoperte. "Per il Sacro Leo!!"
Con un fugace accenno di sorriso, Fafnir si lanciò in avanti, correndo direttamente nella ragnatela luminosa della tecnica di Ioria e schivando uno dopo l’altro i fasci di energia. "Il tuo cosmo è stanco, per la fatica della guerra e per battaglie combattute in passato, di cui porti ancora sul corpo le tracce! La padronanza della velocità della luce è misera cosa in tali condizioni!"
Un momento dopo, il primo seggio superò indenne Ioria, e sul pettorale di quest’ultimo comparvero due ammaccature a forma di pugni. Tossendo sangue, il Cavaliere barcollò incredulo in avanti. "Ha schivato il Sacro Leo a distanza ravvicinata e mi ha colpito senza che neppure me ne accorgessi?!"
Senza dargli tregua, Fafnir ruotò sul tallone, lanciando un fascio di energia verso la nuca dell’eroe. All’ultimo momento però un secondo raggio luminoso intercettò il suo assalto, deviandolo.
Con un grido di guerra, Orion si gettò su di lui, tempestandolo con una raffica di pugni a distanza ravvicinata per permettere a Ioria di riprendersi. Accettando di buon grado quel confronto fisico, Fafnir parò i primi affondi con il dorso delle braccia, per poi contrattaccare a sua volta con un calcio a spazzare. Orion riuscì a bloccarlo, ma la forza impressa in esso era superiore al previsto e si ritrovò sbilanciato, permettendo al primo seggio di sferrare un affondo.
Piegandosi di scatto, il paladino di Asgard lo evitò, afferrando contemporaneamente il braccio teso del nemico e facendo leva per ruotare e lanciarlo in aria, dove lo seguì a sua volta con un balzo per cercare di approfittare della sua guardia scoperta. Senza neanche bisogno di spiegare le ali della sua armatura però, Fafnir girò su sé stesso con un colpo di reni, si diede la spinta con i piedi sulle mura e scontrò a mezz’aria con il Cavaliere.
Sbalordito, Orion vide il suo coprispalla sinistro andare in pezzi ed un taglio lungo qualche centimetro aprirsi sanguinante sull’arto sottostante.
"Ho sentito parlare di te, Orion di Asgard! L’eco delle tue gesta è giunto fino alle valli di Hel, ma diceva di un guerriero invulnerabile il cui corpo non aveva mai conosciuto il dolore di una ferita. Devo arguire che erano solo menzogne?" esclamò Fafnir appena tornato a terra.
"L’invulnerabilità, dono del drago del Nord, appartiene al passato! Ma con essa non ho perso il coraggio! Spada di Asgard!" rispose il guerriero. Il suolo ai piedi del Comandante esplose in pezzi, scaraventandolo in aria e tempestandolo di una pioggia di detriti, senza tuttavia riuscire neppure a scalfire la sua armatura.
"E’ dono prezioso il coraggio, ma quanto sottile è la linea che lo separa dalla follia? Ho appreso a mie spese che entrambi possono portare alla rovina se non sorretti da vera forza!" gridò, concentrando il cosmo nel pugno e lanciando un raggio di energia verso terra, nello stesso punto in cui era esplosa la Spada di Asgard. Il fascio penetrò in profondità, scontrandosi con il cosmo di Orion e causando un contraccolpo che annullò la tecnica dell’eroe del Nord.
"Non è solo Orion che affronti, Comandante di Hela!" ringhiò Ioria. "La forza di cui parli è quella del tiranno che invade popoli innocenti, cercando di piegarli sotto il suo giogo per brama di conquista! Ma ad essa sapremo opporre l’energia che nasce dalla fede nella giustizia! Per il Sacro Leo!!"
Fafnir parve turbato da quelle accuse, per una brevissima frazione di secondo un’ombra di tristezza comparve a velargli lo sguardo. Poi aprì il palmo della mano, liberando un’ondata di energia con cui parò i fulmini del Sacro Leo, fino ad afferrare il pugno stesso del Cavaliere d’Oro e trascinarlo a sé, solo per poi aprirla di nuovo e travolgerlo con l’aura accumulata, lanciandolo contro l’accorrente Orion.
I due Cavalieri rotolarono tra i detriti, finendo non lontani dalle mura interne, ma entrambi riuscirono a rimettersi agevolmente in piedi prima di sbattere troppo duramente. A differenza di Orion, fiaccato solo dalla battaglia con Alberico, Ioria però sanguinava in più punti a causa delle numerose ferite accumulate contro Bres e Titania, ed ora riapertesi per la ferocia del duello.
"E’ abile costui, dobbiamo cercare di sorprenderlo!" gli sussurrò Orion dopo un’occhiata furtiva, ottenendo in cambio un cenno di assenso. Pur non essendo abituati a lottare fianco a fianco, sin dal primo incontro in America tra i due si era instaurato un rapporto di fiducia reciproca.
Senza attendere ulteriori istruzioni, il Cavaliere della Quinta Casa si lanciò alla carica. "Sicario di Hela, preparati a ricevere ancora una volta le zanne del leone! Per il Sacro Leo!!"
Fafnir balzò subito in aria. "Tentare continuamente un’arma che si è già rivelata fallimentare… è questa la tua strategia? Se è così vi compiango, speravo di meglio da chi ha saputo tenere tanto fieramente testa alle nostre legioni!" Aprendo di scatto le ali della corazza, sfrecciò in picchiata sul nemico, schivando o spezzando i raggi senza alcuno sforzo.
Quando fu a pochi metri da lui però, Ioria sorrise. "Ed io speravo di meglio da chi ha visto i propri seguaci cadere. La sorte degli altri Comandanti non ti ha insegnato nulla? Sei caduto nella mia trappola, a quella velocità non riuscirai mai ad evitare un assalto diretto!" ritorse, abbassando di scatto il pugno sinistro e sollevando il destro. "La fiera che domina le selve presto ti farà sua preda! Per il Sacro Leo!!"
Un nuovo reticolato si aggiunse al precedente, ancora sospeso a mezz’aria, superandolo persino in velocità e numero di colpi luminosi. "Sta usando il suo braccio dominante, e la forza maggiore di cui esso è dotato!" comprese Fafnir, concedendosi un sorriso di approvazione nel notare le scariche stridere per la prima volta contro la sua armatura. Poi però la sua espressione si indurì.
"Sciocco! Nelle epoche antiche gli uomini di Germania erano soliti scrutare con ansia il cielo, consapevoli che in qualsiasi momento dalle nubi sarebbe potuto emergere il drago che avrebbe fatto razzia del loro bestiame e delle loro stesse vite. Anche se quei tempi fanno parte ormai del mito, la forza del leggendario animale rivive in me! Come potrebbe anche il più possente dei leoni opporsi ad essa?" gridò, concentrando parte del cosmo nel pugno e sferrando un unico fascio di energia, che trapassò da parte a parte il reticolato di Ioria, centrandolo alla spalla e frantumando l’armatura d’oro.
Incredulo, l’eroe barcollò all’indietro cercando di riprendersi, ma Fafnir gli atterrò davanti e poggiò una mano sull’addome, preparandosi a rilasciare una devastante onda di energia. In quel momento, la voce di Orion lo chiamò imperiosa.
Voltandosi, subito dimentico di Ioria, vide il paladino di Asgard circondato dal suo cosmo ardente. Alle sue spalle si innalzò maestosa la figura del grande drago bicefalo, le fauci spalancante e minacciose.
"Cavaliere! Se è la sfida di un altro dragone che cerchi, eccoti quello dell’estremo nord! Occhi del Drago!!"
Devastante, il colpo segreto del Cavaliere saettò nell’aria, diretto sul bersaglio. Senza la minima esitazione o traccia di timore, Fafnir piantò allora le gambe a terra, sollevò la mano davanti a sé e aprì il palmo, lasciando che l’energia dell’attacco si abbattesse su di lui.
Per qualche istante, il Comandante sembrò svanire dietro il bagliore del cosmo di Orion. Ma un momento dopo fu il guerriero di Asgard a dover spalancare gli occhi sbalordito.
"Non è possibile, la vista mi inganna! Sta… sta fermando gli Occhi del Drago con la sola forza della mano?!" balbettò incredulo, imprimendo ancora più energia nell’assalto senza tuttavia riuscire a smuovere il nemico neppure di qualche passo.
"E’ straordinario! Il colpo segreto di Orion è di rara potenza… eppure…" pensò Ioria, non riuscendo a trattenere un fremito di ammirazione.
"E questa sarebbe la forza di un drago?! Ben poca cosa, un nulla a confronto della loro reale possanza, mi deludi!" gridò, facendo scattare la mano in avanti e ribattendo il colpo segreto contro lo stesso guerriero, che riuscì a stento ad incrociare le braccia per difendersi prima di venire travolto.
"Orion!!" urlò Ioria, prima di conficcare il pugno nel suolo. "Lightning Fang!!"
Scariche di energia si innalzarono dal terreno attorno a Fafnir, che però in tutta risposta spazzò l’aria con la mano, dissolvendole e investendo il Leone con lo spostamento d’aria.
"Sudditi di Odino! Cavalieri di Atena! La causa per cui lottate è la più sacra tra tutte, la libertà! Ma per quanto nobile, devo vincervi, in nome della somma Hela!" ringhiò, gettandosi su di loro e tempestandoli con scariche di pugni precisi e velocissimi. Dedali di crepe si aprirono sul pettorale di Orion, e ancora di più su quello di Ioria, già pesantemente danneggiato.
"Sta frantumando le nostre armature a mani nude… è davvero umano costui? Come può esistere qualcuno così potente?!" pensò l’eroe di Asgard, cercando di allontanarsi con un salto indietro e sferrando un fascio di energia. "Ioria, asseconda i miei colpi!"
"Dobbiamo impedirgli di muoversi liberamente!" annuì il Cavaliere. "Per il Sacro Leo!!"
Accennando il più fugace dei sorrisi, Fafnir ruotò sul piede d’appoggio, intercettando tutti i colpi con le braccia nonostante fossero stati lanciati alla velocità della luce. Poi si gettò su Orion, afferrandolo per il polso e scaraventandolo contro Ioria.
"Pregate, Cavalieri! Pregate qualunque divinità vi sia cara, fino all’ultimo afflato! Perché colui che solleverà lo stendardo di vittoria al termine di questa guerra sarà la regina Hela!" dichiarò, unendo le mani ai polsi e spingendole in avanti a creare un’ondata di energia che lanciò i due indietro per diversi metri, fino a farli sbattere malamente contro le mura interne.
Sollevandosi su un ginocchio, Orion infiammò il suo cosmo. "Asgard appartiene ad Odino! Non lasceremo mai che cada nelle mani di Hela ed Erebo, latrici di disgrazie! Occhi del Drago!!"
"E’ inutile, la sua sorte è stata scritta nel momento in cui Sigmund ed io siamo scesi in campo!" rispose Fafnir, bloccando di nuovo gli Occhi del Drago con la mano e rilanciandoli indietro, facendoli esplodere in mezzo ai due Cavalieri.
Scaraventato a terra, Ioria cercò di rialzarsi, solo per crollare di nuovo mentre flotti di sangue grondavano dalle numerose crepe dell’armatura del Leone. "Sta prendendo il sopravvento… l’unica speranza di vittoria potrebbe essere Photon Burst, ma in queste condizioni avrò bisogno di tempo per concentrare il cosmo necessario!" pensò, guardando preoccupato stilla dopo stilla di linfa vitale gocciolare a terra.
In quel momento, diversi cosmi si agitarono ad alcune centinaia di metri di distanza. Impallidendo, Orion riconobbe quello di Ilda calare pericolosamente, fino a diventare a stento percettibile. Altre aure bruciavano insieme alla sua, quelle dei Cavalieri d’Oro Toro e Scorpio, e due che non riusciva a riconoscere.
Anche Fafnir parve turbato e volse la testa in quella direzione, come incerto se andare o meno.
"Thorval, noo!!!" urlò ad un tratto una voce maschile, distogliendo l’attenzione dei combattenti. Nella furia dello scontro erano finiti non lontani da dove i due eserciti si stavano affrontando, tra clangori di spade e grida di dolore. A poche decine di metri da loro, un uomo era riverso in lacrime sul corpo di un giovane soldato dai capelli biondo rame, trapassato al fianco da una lancia, e ne accarezzava disperatamente il volto, dimentico della guerra in corso.
Approfittandone, uno sgherro di Hela gli si avvicinò alle spalle e sollevò l’ascia, ancora grondante sangue.
"Allontanati di lì, va via!!!" gridò Ioria, avvolgendo contemporaneamente il pugno di un flebile cosmo per allontanare il potenziale carnefice. Prima che potesse fare qualcosa, un raggio di luce esplose ai piedi del soldato, spingendolo a terra.
Sorpresi, Orion che Ioria voltarono la testa verso Fafnir, la cui mano era ancora avvolta in un alone di cosmo, gli occhi fissi sull’uomo che, con il viso ancora rigato dalle lacrime, avvistosi del pericolo rientrava nei ranghi.
"Lo hai salvato…!" esclamò il Cavaliere del Nord, notando di nuovo quel velo di tristezza negli occhi del primo seggio di Hela.
"Siamo guerrieri, non massacratori…" rispose Fafnir. "Uccidere alle spalle un indifeso è atto che non posso perdonare, neppure in guerra! Senza un codice d’onore, senza una dignità a ricordarci quello che siamo, non saremmo diversi da belve che si scannano tra loro!"
Colpiti da queste parole, i due Cavalieri rimasero interdetti, quasi chiedendosi se si stesse prendendo gioco di loro.
"Un nobile intento, certo degno di approvazione… il tuo cosmo… non è oscuro, me ne ero già accorto. Certamente vasto, ma non oscuro!" commentò con una certa meraviglia Orion.
"Se è davvero così che la pensi, allora dovresti unirti a noi! Lottare al nostro fianco, per la giustizia!" dichiarò Ioria con enfasi.
Un sorrisetto sarcastico si allargò sul volto di Fafnir, dai cui occhi era scomparsa qualsiasi traccia di malinconia.
"Lottare insieme? Intendete dire che volete tradite i vostri compagni e ricevere un seggio tra le armate della regina Hela?" li apostrofò.
"Che cosa?" strabuzzò Orion.
"Ti prendi gioco di noi?!" ringhiò il Cavaliere d’Oro serrando il pugno.
"Affatto! Indico soltanto l’unico modo in cui potremmo lottare insieme, sotto lo stendardo della grande Hela. Non avete appena detto che è questo il vostro più grande desiderio?"
"Non piegheremo mai il capo a chi vuole consegnare la terra al dominio di Erebo! Piuttosto la morte!" dichiarò Orion, alzandosi e infiammando il suo cosmo insieme a Ioria.
"Vi proponevo una via di salvezza! Ma visto che non siete intenzionati ad accettare…" esclamò Fafnir, incrociando le braccia. Per la prima volta il suo cosmo bruciò davvero, colmo di vitalità ed energia, ma anche calmo, simile alle acque di un immenso lago in procinto di scuotersi. Ioria e Orion si accorsero che quell’aura li stava trascinando verso di lui, attirandoli come un buco nero, anche se la luce attorno al Comandante era accecante. Incapaci di reagire, sollevarono la guardia.
"E’ inutile qualsiasi difesa, addio Cavalieri! Lampo del Drago!!" gridò Fafnir, allargando di scatto le braccia e scatenando un’onda di energia spaventosa, talmente potente da abbattere le mura lì vicino con un colpo solo. Ioria ed Orion furono investiti solo lateralmente, eppure bastò a travolgerli come fuscelli in una tempesta. Il bracciale sinistro del Cavaliere di Asgard, il più vicino al nemico, esplose in frantumi insieme a quel che restava del coprispalla, mentre il pettorale sottostante veniva strappato e lacerato. Stessa sorte toccò all’armatura del Leone sul lato destro, sbriciolata in frammenti che solo per miracolo non portarono con sé il braccio e la gamba del guerriero.
Alla fine, con urti fragorosi, i due si schiantarono tra le macerie, giacendo immobili tra rivoli di sangue e frammenti di armature.
Avanzando di qualche passo, Fafnir torreggiò su di loro. Era praticamente incolume, nessuno dei loro assalti aveva anche solo scheggiato la sua armatura o ferito le sue carni. La sua si sarebbe potuta considerare una vittoria schiacciante, eppure, adesso che i nemici non potevano vederlo, c’era amarezza sul suo viso.
"Vi proponevo… una via di salvezza," ripeté, guardandosi attorno. Con soli due Cavalieri a sostenerla, la linea difensiva stava cedendo sotto il peso delle armate di Hela, che avanzavano con sempre più forza, sferrando affondi e fendenti. Le strade erano rosse di sangue, i cadaveri di invasori, soldati, Einherjar e persino donne indifese giacevano mischiati tra loro, ignorati o calpestati man mano che l’esercito avanzava.
"Siamo guerrieri, non massacratori…" sussurrò, chiedendosi se lo credeva davvero.
Ad un tratto, udì un fragore assordante. Alzando la testa, vide una Naglfar schiantarsi contro un’altra e precipitare, mentre una figura balzava agilmente su una terza imbarcazione, solo per chinarsi ad evitare nugoli di frecce.
Stava quasi per distogliere lo sguardo quando nell’aria risuonò improvviso il suono di numerosi corni di guerra, e dal nulla comparvero cavalli guidati da donne in armature di cuoio e metallo, guidate da una fanciulla in piedi su un carro da guerra.
"Il suo cosmo è debole… ma di natura divina!" notò, accigliandosi e spiegando le ali della sua armatura.
Prima che potesse librarsi verso il cielo, una mano gli afferrò la caviglia.
"Non vorrai… interrompere il nostro duello…" sussurrò Ioria, alzando la fronte sanguinante.
"La vittoria… non è ancora tua…" confermò Orion, risollevandosi, barcollante ma determinato.
Accigliandosi, Fafnir serrò i pugni.
***
Con gli occhi colmi di tristezza, Folken guardò in direzione della statua di Odino, dove infuriava la battaglia. Il suo sguardo non era però fisso sui combattenti, ma su un Cavaliere che giaceva esanime al suolo, vittima del cosmo di Loki.
"Mime… ti ho ritrovato tra i saloni del Valhalla solo per perderti di nuovo?" si chiese, amareggiato, ricordando il loro breve e silente abbraccio, alla corte di Odino, quando il giovane era corso da lui per chiedergli perdono.
Non con tenere parole, ma con azioni, come gli aveva insegnato.
"Avrei voluto essere al tuo fianco, ma il mio compito era un altro, lontano dalle schiere degli Einherjar!"
Alzando la testa, vide le valchirie affrontare in aria stuoli di arpie, tra grida di guerre e versi animaleschi. Coperte dai nugoli di frecce provenienti dalle Naglfar, e forti di una maggiore agilità, le creature demoniache tenevano testa alle ben più addestrate superstiti del regno di Odino.
Ad un tratto, due di loro videro il carro e si gettarono urlanti in picchiata. Immediatamente, lo sguardo di Folken si indurì, tornando quello di un guerriero. Senza neppure mutare la sua posizione, abbatté la prima con un fascio di energia, afferrando contemporaneamente l’altra per la gola.
Agitandosi come un’animale, l’arpia cercò di raggiungerlo al volto con gli artigli, sibilando furiosamente. Folken la fissò un istante con disprezzo, poi torse il pugno, spezzandole il collo con un rumore secco e gettandone via il cadavere senza una seconda occhiata.
Altre però si stavano dirigendo verso di loro.
"Mia signora, non abbiamo molto tempo…" ammise, con la voce tinta di rara reverenza.
Alle sue spalle, la fanciulla dai lunghi capelli annuì, gli occhi chiusi ed il viso contratto per lo sforzo. Il cosmo che la circondava diventava più ampio di secondo in secondo, ma la sua era una luce incostante, che faticava a brillare.
"Da molti secoli non adopero il mio cosmo… e coloro che odo sono così tanti… ho bisogno di qualche minuto ancora…" rispose, in tono sommesso.
Folken fece un cenno di assenso, non potendo fare a meno di inveire, in cuor suo, contro l’iniquità del destino.
"Cupo è il giorno in cui persino colei che da sempre è avversa alla guerra è obbligata a scendere in campo!" pensò, voltandosi verso le arpie.
"Fatevi avanti! Folken di Asgard non permetterà ad alcuna di voi di sfiorare la divina Freja!"
***
Nella valle di Hvergelmir, posta nei recessi di Hel, orde di soldati vennero travolti e caddero, investiti da una luce dorata accecante. Ritto all’ingresso del piazzale che conduceva ai portali delle Naglfar si stagliava Virgo, avvolto nel proprio cosmo e con le mani congiunte davanti al torace.
All’inizio i guerrieri avevano riso di quell’apparizione improvvisa, non vedendo altro che un uomo coperto di sangue, polvere, lividi e ferite, con il torace nudo, ed indosso cinturino, bracciali e schinieri pieni di crepe.
Poi il riso si era mutato in sorpresa, nell’accorgersi che non era uno spirito ma un vivente, capace di oltrepassare i cancelli dell’aldilà.
La sorpresa infine era divenuta terrore quando i primi tra loro avevano cercato di spingerlo da parte, solo per essere annientati dal più piccolo gesto della mano.
"Tsk, assalire un viaggiatore! Di buone maniere non siete certo maestri, ma cosa potrei aspettarmi dalla marmaglia di Hela? Non sono certo eroi d’alto lignaggio a popolare questi luoghi…" sorrise schernendoli.
"Ti prendi gioco di noi?!" ringhiò uno dei soldati, impugnando la propria ascia e lanciandosi alla carica insieme a decine di compagni. Il sorriso sul volto di Virgo si allargò mentre il suo cosmo si spiegava come i petali di un fiore di loto.
"Abbandono dell’Oriente!"
Gli uomini fecero appena in tempo a vedere figure angeliche mutarsi in demoni prima che la luce li investisse, scaraventandoli esanimi al suolo, davanti agli occhi atterriti dei loro compagni.
"Come pensavo… nel giorno del Ragnarok anche voi tristi spiriti tornate corporei e potete essere uccisi, persino qui, nell’inferno che tanto a lungo vi ha ospitato. Mi chiedo solo cosa sarà delle vostre anime… è probabile che si perderanno per l’eternità nel vuoto cosmico, vagando per sempre, semplici echi del male compiuto in vita. Una fine che non vi invidio…"
Nel sentir questo, i guerrieri più avanzati indietreggiarono, scambiandosi occhiate preoccupate. Erano migliaia ed avevano conosciuto le sofferenze di Hel, ma la sicurezza che trasudava dal cosmo dell’invasore li terrorizzava.
Deglutendo nervosamente, un soldato barbuto si fece avanti. "La regina… la regina Hela ci ha promesso una nuova vita sulla terra, non lasciamoci intimorire da un uomo soltanto!! Avanti!!"
Frecce e lance attraversarono l’aria, solo per venire respinte da una barriera di luce. "Anche l’immenso mondo deve chinare il capo davanti allo spirito indomito di un singolo uomo…" citò Virgo, aprendo il palmo della mano ed investendoli con ondate di energia che dilaniarono le loro carni, travolgendoli.
Guardando verso uno di loro, moribondo ai suoi piedi, il Cavaliere schioccò le dita, sollevandolo in aria con la telecinesi. "Avverti i tuoi compagni che presto, per mia mano, giungerà la loro fine!" esclamò, scaraventandolo in un portale. Poi il suo cosmo si accese, persino più forte di prima, iniziando ad accumularglisi tra le mani sotto forma di una sfera di luce.
"E’ tutta qui la vostra forza? Spinto dall’ottavo senso, ho vagato a lungo tra le lande infernali prima di trovare questa deprimente vallata. Spero che saprete fare meglio di così per ripagare i miei sforzi!" disse, indicando le decine di cadaveri ammucchiate a terra e preparandosi a colpire.
All’ultimo istante però qualcosa turbò la sua concentrazione. Arrestandosi di colpo, chiuse gli occhi, come ad udire un eco lontano, aggrottando le sopracciglia come preoccupato.
Dopo alcuni secondi, sollevò di scatto il braccio e mutò la sfera in un raggio d’oro, che si perse nel cielo. Poi si sedette al suolo, le gambe incrociate e le mani giunte in posa di meditazione.
Confusi, i soldati si scambiarono occhiate perplesse.
"Sembra che in questa cupa vallata io abbia ritrovato la pietà che a lungo ho cercato… Non siete degni della mia celeste pienezza, vi concedo una possibilità di fuga! Se tenete a questa parvenza di vita, non fatevi trovare qui quando riaprirò gli occhi!" esclamò, prima di chinare il capo, apparentemente addormentato.
Di nuovo baldanzosi, alcuni guerrieri si gettarono subito su di lui, solo per essere malamente respinti. Il corpo di Virgo era circondato da una sfera di luce, che riempiva completamente il passaggio verso i portali.
***
"Aaargh!!!" urlò Orion, scaraventato contro i resti di una torre di guardia dall’immensa aura di Fafnir e rotolando accanto al malconcio Ioria.
"Quante volte ancora dovrò abbattervi prima che capiate di non avere speranze? Il confine tra coraggio e follia è sottile, ve l’ho già detto, e voi l’avete ampliamente superato!" disse il Comandante, in un misto di critica, scherno e rispetto.
"La speranza… è l’ultima a morire, un amico me lo ha insegnato tanto tempo fa! Lei… ci sostiene, la speranza… la speranza che non ci ha mai abbandonato!" rispose il Leone, issandosi sulle braccia. Ma le sue parole, stentate e incerte, assomigliavano sempre di più ai deliri di un moribondo.
Con rivoli di sangue che grondavano dagli angoli della bocca, i guerrieri si rialzarono di nuovo, solo per venire centrati all’addome da due pugni del nemico e barcollare in avanti.
"Speranza? No, solo un sogno destinato a svanire alle prime luci dell’alba!" sussurrò Fafnir, investendoli alle spalle con un’esplosione di energia e lanciandoli tra i detriti.
"La sua virtù guerriera è senza pari… se continua così ci annienterà!" pensò Orion, allungando la mano verso una roccia su cui far leva per rialzarsi. I bracciali erano coperti di crepe, le unghie spezzate, le dita ammaccate e sanguinanti. Accanto a lui, Ioria tossì e sputò sangue, gli occhi sempre più vitrei.
"Credi… di poterlo distrarre per qualche secondo?" sussurrò ad un tratto, sorprendendolo. "Tenterò… la mia tecnica più potente… ma mi occorre tempo per prepararla!"
"Ed Orion te lo darà!" rispose fieramente l’eroe del Nord, facendo esplodere il suo cosmo. "In nome di Odino, e di Asgard tutta, Occhi del Drago colpite nel segno!!"
"Stolto! Tentare ancora un’arma che si è rivelata inutile!" gridò Fafnir, parandoli con la mano. Solo allora si accorse che non era che un diversivo: nascondendosi dietro la luce del suo assalto, Orion gli si era portato a ridosso.
"Sei troppo sicuro di te, primo seggio di Hela! Non è contro due novizi che combatti: la tua forza è immensa, eppure ancora resistiamo! Non te ne chiedi la ragione?" ringhiò, colpendolo al mento con un pugno e poi all’addome con un affondo.
Fafnir indietreggiò due passi, ma fu rapido a riprendersi e schivò con un movimento laterale il terzo affondo, afferrando il pugno teso di Orion. "Me la sono chiesta, sì! C’è fuoco in voi, caldo e appassionato… una fiamma che mi duole dover spegnere! Perché non fuggite, ve ne sto dando ampia possibilità!"
"Dove potremmo fuggire, in un mondo dominato da Hela e da Erebo, dove non risplende più la luce delle stelle? Tu forse combatti per la gloria, la conquista, il potere, ma noi lottiamo per coloro che amiamo! Per i popoli liberi! Per il futuro stesso! Meglio morire che sopravvivere sotto il fardello del tradimento!" rispose a denti stretti Orion, torcendo il braccio fin quasi a slogarlo per riuscire a colpire l’avversario al lato dell’elmo, costringendolo a lasciare la presa.
"Guardati attorno! I fiumi di sangue che bagnano le strade di Asgard sono catene cremisi che ci spingono a restare! A lottare, fino all’ultimo respiro! Come potremmo guardare in volto chi ha sacrificato tutto in questo glorioso giorno se ora ci lasciassimo morire? O peggio, se accettassimo la resa? Gli occhi ti tradiscono: tu sai che la causa per cui combatti è sbagliata, non ho alcun dubbio ormai! Non so cosa ti spinga a restare al fianco di Hela, ma chiediti una cosa: cosa faresti al posto nostro?" insistette Orion, sferrando un’altra raffica di pugni.
"Combatterei, fino alla morte!" ammise il Comandante con un sospiro, schivando e centrandolo al mento con un montante che lo sollevò da terra, per poi abbatterlo con un calcio alla spalla dall’alto verso il basso.
In quel momento, si accorse che lo spazio attorno a loro era mutato, come se un universo di stelle lucenti fosse comparso dal nulla.
"Photon Invoke! Cosmos Open!" gridò la voce esausta ma decisa di Ioria. Voltandosi, Fafnir vide il Cavaliere d’Oro nuovamente in piedi, con la mano sinistra stretta attorno al polso destro, per imprimere in esso tutte le sue forze residue. Il suo cosmo improvvisamente aveva ripreso a brillare, e si stava manifestando come una vera galassia ricolma di astri.
"Stai riversando ogni stilla di energia verso l’esterno?! Che tecnica è mai questa!"
"La mia arma più potente, appresa grazie agli insegnamenti di mio fratello, Cavaliere di Sagitter! ‘Riversa tutta la tua anima nel cosmo e combatti! Sarà allora che esso si muterà in invincibili zanne!’, furono queste le sue parole, e grazie ad esse ti vincerò! Photon Drive!!"
Al comando del Leone, i raggi luminosi attraversarono il cielo simili a stelle cadenti, penetrando nel corpo di Fafnir.
Per la prima volta, il Comandante delle armate di Hela barcollò sorpreso.
"Ed ora l’ultimo atto" gridò Ioria, facendo esplodere tutte le sue forze. "Che il mio cosmo ti distrugga dall’interno! Photon…"
Prima che potesse completare il Photon Burst però, Ioria fu investito dall’esplodere del cosmo di Fafnir, violento come un’onda d’urto tanto da spingerlo indietro di qualche passo.
Rispetto a quanto percepito finora tuttavia c’era in esso qualcosa di diverso, malvagio.
Alle spalle del guerriero si innalzò l’immensa sagoma di un dragone, il più grande che Ioria avesse mai visto, al confronto del quale le aure di Sirio, Libra e persino Orion sembravano semplici cuccioli. La belva spalancò le fauci e ringhiò, un suono primigenio terrificante, reso ancora più spaventoso dalla malizia che brillava nei suoi occhi, e che aveva qualcosa di spaventosamente umano. Sembrò sul punto di attaccare quando Fafnir urlò ed allargò di scatto le braccia, facendo uscire una cascata di raggi luminosi dal suo corpo.
"Ha… ha espulso la luce del Photon Drive!" balbettò stupefatto Ioria, mentre il Comandante ansimava, visibilmente affaticato, ed il suo cosmo tornava ad acquietarsi. Senza farci caso, si lanciò sul Cavaliere d’Oro, arrivandogli davanti prima che potesse caricare di nuovo il Photon Burst e piegandolo con un pugno all’addome.
In un unico gesto fluido lo afferrò per il mento, sollevandolo sopra la propria testa e sbattendolo con violenza al suolo, per poi conficcargli il taglio della mano nel fianco. L’eroe sentì una costola spezzarsi e perforargli il polmone, la bocca gorgogliò colma di sangue.
Prima che Fafnir potesse colpire ancora però un raggio di luce lo centrò alla spalla, facendolo barcollare qualche passo indietro.
"E’ in affanno!" comprese Orion, prima di gettarsi su di lui e bloccarlo in un abbraccio.
"Folle, non sei in condizione di trattenermi!" esclamò Fafnir, ma prima che potesse respingerlo Orion indicò il suolo con il dito.
"Non è mia intenzione farlo, devo solo tenerti fermo per un istante! Spada di Asgard!!" gridò, balzando via nel momento stesso in cui il colpo segreto esplodeva, catapultando Fafnir in aria all’interno di una colonna di luce.
"Ho già annullato questa tecnica, lo hai dimenticato?" esclamò, proteggendosi dalle schegge con il dorso del braccio sinistro e caricando il cosmo nel destro per annullarla.
"Ma Orion non è da solo!" affermò Ioria, conficcando il pugno del suolo. "Lightning Fang!!"
La zanna del Leone ricomparve all’interno della colonna della Spada di Asgard e schizzò in aria come una saetta, spinta e potenziata dall’energia della tecnica di Orion fino a mutarsi in un vero fulmine, che investì in pieno il Comandante.
"Yaaarrgh!!" urlò Fafnir, attraversato da migliaia di volt e sbilanciato dalla Spada di Asgard.
"Adesso, potrebbe essere la nostra unica possibilità! Insieme, Cavaliere!!" gridò Ioria, facendo esplodere il suo cosmo. "Per il Sacro Leo!!"
"Occhi del Drago!!"
Lanciati da direzioni opposte, i due colpi segreti centrarono Fafnir a mezz’aria, investendolo con tutta la loro furia senza che egli riuscisse ad alzare alcuna difesa. Urlò di nuovo, poi precipitò a terra, schiantandosi tra le macerie, che crollarono su di lui.
"Se non lo abbiamo sconfitto adesso…" pensò il Cavaliere di Leo, cadendo su un ginocchio mentre Orion gli si avvicinava zoppicando leggermente. Entrambi fissarono speranzosi le macerie, i sensi tesi a cogliere qualsiasi traccia dell’aura del nemico.
Non fu una lunga attesa.
"Riponete… le vostre speranze!" tuonò la voce del primo seggio, emergendo con un’ondata di luce e stagliandosi di fronte a loro. Per quanto baldanzoso tuttavia ansimava, e la sua corazza era macchiata di sangue.
"Almeno lo abbiamo ferito… non è invincibile!" disse Orion, cercando di rimettersi in posa da combattimento nonostante le gambe lo reggessero ormai a stento.
Nell’udire le sue parole, Fafnir sorrise. "Ferito, dici?"
Con un gesto deliberatamente lento si sfilò l’elmo, macchiato di sangue sulla tempia, rivelando un capo completamente incolume.
Confusi, i due Cavalieri guardarono la protezione. Il sangue non era solo una macchia ma un rivolo, che grondava a terra goccia dopo goccia.
"Non… non è lui! A star sanguinando… è la sua armatura?!" balbettò Ioria con gli occhi sbarrati. Anche negli altri punti, la linfa vitale fuoriusciva senza che vi fossero crepe ad indicare ferite sottostanti.
***
Nella valle di Hel, Virgo riaprì di scatto gli occhi, facendo esplodere con forza devastante la sfera del Khan ed abbattendo tutti coloro che avevano cercato di superarla.
Rimessosi in piedi, unì le mani davanti al torace. "Dovrò rinunciare alla vostra compagnia, è tempo che anche io scenda in guerra! Che la solitudine vi sia celeste compagna! Per il Sacro Virgo!!"
***
Confusi ed allibiti, Ioria ed Orion continuarono a fissare l’avversario con gli occhi spalancati.
"Un’armatura che sanguina? Come… come può essere, non è possibile!" sussurrò l’eroe di Asgard.
"Mpf… non è necessario che lo sappiate!" esclamò Fafnir, tornando ad indossare l’elmo ed incrociando le braccia. "Vi basti sapere che nessuno da secoli aveva mai realizzato tanto! Degni del mio rispetto, addio Cavalieri! Lampo…"
In quel momento, con un fragore assordante ed una pioggia di detriti, un’altra Naglfar cadde. Alzando la testa, Fafnir vide Doko balzare ancora più in alto, dirigendosi verso l’imbarcazione più grande lontana.
"Si sta avvicinando alla Naglfar reale!" realizzò, spalancando gli occhi. "Non gli permetterò di disturbare la divina Hela! Lampo del Drago!!"
Sollevando di scatto le braccia, cambiò bersaglio e lanciò il colpo segreto in aria, facendolo saettare velocissimo tra le navi fino a centrare in pieno l’eroe. Doko riuscì appena ad accorgersene che esso lo investì alle spalle, frantumando lo schienale dell’armatura d’oro pur smorzato dalla distanza, e soprattutto annullando del tutto il suo slancio.
"No! Precipiterà!!" gridò Ioria, guardandolo cadere a peso morto verso terra da centinaia di metri d’altezza.
Improvvisamente, un nuovo cosmo comparve sul campo di battaglia e contemporaneamente la Naglfar ammiraglia esplose, dilaniata da un’onda d’oro devastante. Una frazione di secondo dopo una sfera dello stesso colore circondò Doko, rallentando la sua caduta mentre una figura levitava accanto a lui, rispondendo con un sorriso alla sua espressione sbalordita.
"Ma… non può essere… questo cosmo…" sussurrò Ioria con le lacrime agli occhi.
"Sembri sorpreso di rivedermi, Cavaliere. Temevi la solitudine della Quinta Casa?" lo salutò Virgo, atterrando accanto a loro e dissolvendo la sfera attorno a Doko. Dietro la rigida ironia delle sue parole era celato sincero affetto.
"Sei veramente tu! Sei vivo!"
"A stento" ammise il custode della Porta Eterna. "L’ottavo senso mi ha salvato, e solo perché Erebo mi ha giudicato indegno della sua attenzione. Una lezione di umiltà di cui devo far tesoro… Non potendo uscire da solo, ho vagato tra i mondi infernali fino alle profondità di Hel, e da lì sono tornato sulla Terra grazie ai portali che usano i soldati degli inferi. O dovrei dire, che usavano. Ho avuto ben cura di distruggerli prima di uscire!" spiegò.
"Comunque sia, sei certamente arrivato al momento giusto!" esclamò Libra, rialzandosi.
"Invero!" disse soltanto Fafnir, sorridendo leggermente prima di avvolgersi del suo cosmo.
***
Ai piedi della Statua di Odino, Scorpio e Sigmund si fissarono, pronti allo scontro finale. Entrambi erano pallidi e moribondi, le armature ridotte a cumuli di frammenti, i corpi gravemente feriti e sanguinanti.
Soprattutto, ad entrambi era chiaro che, per almeno uno di loro, il prossimo duello sarebbe stato sicuramente l’ultimo.
Prima però, in segno di rispetto Sigmund aveva deciso di esaudire una richiesta del nemico al cui fianco aveva lottato contro Loki, ed il cui valore aveva imparato ad apprezzare.
"Prima della fine ti narrerò la mia storia, Cavaliere di Atena! La mia e quella del prode Fafnir!" promise il Secondo Seggio, alzando la testa al cielo mentre la mente tornava ad eventi lontani, ma mai dimenticati. "Potrebbero essere le mie ultime parole… o le ultime che sentirai, quindi presta bene ascolto…" gli sorrise, non senza ironia, ricevendo in cambio un rispettoso cenno di assenso.
"Il luogo che mi diede i natali, secoli e secoli fa, quando ancora il legame tra realtà e mito era flebile e creature leggendarie calcavano la Terra, oggi porta il nome di Germania. Tu che hai visto la luce in questa epoca non puoi immaginare come fosse la vita allora. Era un tempo in cui il filo della spada scriveva le sorti degli uomini… in cui ogni giorno avrebbe potuto essere l’ultimo e governava solo la forza. Una verità che appresi a mie spese quando, appena ragazzo, tornai da una caccia solo per trovare il mio villaggio in fiamme, distrutto da predoni provenienti dal Nord, che avevano risalito le acque del Reno alla ricerca di facili razzie.
"Bramoso di vendetta, e forte di un’energia che non mi era mai mancata, diedi loro la caccia, ma senza successo. Le loro navi erano troppo veloci per me che ancora non padroneggiavo la forza del cosmo, le coste difficili da seguire a cavallo. Così facendo però passai da un’avventura all’altra, da battaglia a battaglia, acquistando sempre più abilità ad esperienza. L’energia che avevo sempre posseduto sembrò crescere e maturare dentro di me, alimentata dalla voglia di rivalsa. I mei pugni divennero in grado di fendere il cielo, i miei calci spaccavano la terra! Ero invincibile!
"Ma più tempo trascorreva e meno la vendetta mi interessava. La rabbia ed il dolore erano scomparsi, lasciando solo un senso di vuoto che sembrava svanire solo nella furia della battaglia. Privo di uno scopo, alla ricerca di un senso per la mia vita, continuavo a vagare, mentre gli anni passavano. Le acque del Reno mi videro diventare uomo, e scoprire piaceri che mi erano stati sconosciuti. Memore delle mie sventure, presi a difendere i villaggi dai briganti, sgominandoli con facilità sempre crescente. La gente mi acclamava come eroe! Era forse quella la mia ragion d’essere? Il fato mi aveva spinto su quella strada per fare di me un campione degli indifesi? Se così era, non mi dispiaceva."
Mentre Sigmund parlava, Scorpio lo osservava con attenzione. C’era dolore nel suo viso, al pensiero di un’infanzia volata via troppo presto, e rimpianto, ma anche sincera nostalgia di quei giorni gloriosi e dell’ammirazione delle folle. In parte gli ricordavano gli occhi di Dinann, la Guardiana di Avalon affrontata in Egitto, anche se, rispetto a lei, Sigmund aveva saputo trovare dentro di sé la forza per reagire, senza abbandonarsi all’odio che tutto consuma, ma scegliendo di difendere i più deboli.
Ignaro di queste riflessioni, il Comandante continuò. "Tutto ciò però ebbe un prezzo… il tipico effetto di troppa ammirazione, ancorché meritata: cominciai a credere alla mia stessa fama di invincibile, divenendo arrogante e incauto, certo di essere immortale. Ubriaco di idromele, una sera in una taverna di Borgogna feci sfoggio della spada Gram, che avevo di recente conquistato. La locandiera cercò di avvertirmi a essere prudente, perché quelle vanterie sarebbero potute arrivare all’orecchio del re, ma che valore aveva per me la prudenza? Ero invincibile…" disse, chiudendo gli occhi in segno di rimpianto.
"Per poco quell’arroganza non mi costò la vita. Il signore del luogo, Gunther, che, ironia della sorte, un giorno avrei ritrovato tra i Comandanti di Hela, fu informato dei miei racconti ed ordinò un agguato alla mia vita. Una notte, mentre ebbro vagavo, fui sorpreso da una banda di soldati travestiti da briganti. Indebolito e confuso dall’alcol, sarei sicuramente morto se un viaggiatore non fosse intervenuto in mio soccorso, salvandomi la vita. Il suo nome era Helgi Hundingsbane!
"Quell’incontro cambiò la mia esistenza! In lui per la prima volta vidi due cose che non avevo mai conosciuto prima: una forza superiore persino alla mia, ed uno spirito pacato e maturo, che aveva saputo apprendere dal dolore e dalla gloria senza lasciarsene schiacciare. La sua non era la remissività di chi, rassegnato, piega il capo di fronte a poteri più grandi, ma quella di chi, consapevole dei propri mezzi, ha imparato a non lasciarsi accecare dalla sua stessa luce. Anche lui aveva perso chi gli era caro, ed anche lui viaggiava ponendosi al servizio dei più deboli, ma senza permettere alle loro lodi di influenzarlo. Impressionato, iniziai a seguirlo benché lui all’inizio non lo volesse, e ben presto diventammo inseparabili.
"Laddove la fama di Sigmund da sola aveva viaggiato di villaggio in villaggio, quella di Sigmund ed Helgi galoppò di regno in regno. Due leggende viventi si erano incontrate: predoni, mostri e persino eserciti invasori fuggivano di fronte a noi! Molto più abile nell’uso del cosmo, me ne insegnò i segreti. Forza, velocità, resistenza… tutto crebbe a livelli che pensavo irraggiungibili! E, soprattutto, grazie ad Helgi ritrovai la mia pace interiore. Nella sua serenità, anche il mio tumulto si chetò!"
Trasportato dai ricordi, Sigmund lasciò che le emozioni gli trasparissero sul viso, per la prima volta libere dalle restrizioni necessarie in battaglia. Vi era gioia nei suoi occhi, ma anche rimpianto al pensiero di giorni felici persi per sempre. Scorpio non poté fare a meno di chiedersi se anche il suo volto avesse quell’aspetto quando ricordava i giorni del Grande Tempio, prima delle guerre di Asgard, Nettuno o Hades, quando Atena era tornata a loro come il sole fà di nuovo capolino dopo una lunga notte, cancellando ogni timore.
Poi, improvvisamente, gli occhi di Sigmund si incupirono. "Finché un giorno, non udimmo di un immenso animale che razziava i villaggi vicino le fonti del Reno, e che, si dice, facesse la guardia ad un immenso tesoro tra le montagne. Il suo nome era Fafnir, signore tra i dragoni!"
"Fafnir…" ripeté Scorpio, sorpreso. Aveva affrontato Spectre e Divinità, incontrato eroi mitologici come Ettore e visto creature leggendarie come le arpie, ma il pensiero di un vero dragone era difficile da accettare. Eppure un tempo gli uomini avevano dovuto affrontare esseri come quelli, e si diceva che nei luoghi più remoti del mondo ne esistessero ancora. Lo stesso Orion, a quel che aveva sentito, ne aveva ucciso uno durante l’addestramento.
"Uccidere Fafnir, sollevarne al cielo il cuore pulsante, ci avrebbe consegnato la gloria eterna, l’immortalità! Helgi era titubante, avrebbe voluto ignorarlo. Aveva già affrontato un drago in passato e sapeva quanto pericolose fossero quelle creature! Un signore tra i dragoni - diceva - potrebbe essere al di fuori persino della nostra portata. Ma la brama di gloria, un tempo sopita, si era ridestata nel mio cuore. Lo avvertii che sarei andato da solo se necessario, ed alla fine acconsentì ad accompagnarmi.
"Non ti narrerò le avventure del lungo viaggio attraverso la Germania. Ti basti sapere che alla fine raggiungemmo la caverna del dragone ed incontrammo Fafnir. Oh, della sua fama era di certo degno! Non avevo mai visto una creatura simile, con scaglie talmente dure che neppure la lama di Gram riusciva a perforarle, ed un’energia che superava qualunque immaginazione! Neanche la nostra forza congiunta poteva nulla, Fafnir era devastante!" esclamò, come se avesse di nuovo davanti il gigantesco animale verde smeraldo.
"Era capace di parlare la lingua degli uomini, anche se a fatica, ma la cosa più spaventosa erano i suoi occhi, in cui brillavano una malizia ed un’intelligenza quasi umani! Guardandoli, per la prima volta nella mia vita temetti di morire, e quel pensiero mi paralizzò. Come un bambino di fronte a una fiera, crollai in ginocchio terrorizzato! Fafnir rise di noi… rise di me, un suono terrificante che riecheggiava tra le pareti del suo antro. Fu solo grazie al valore di Helgi che riuscimmo a fuggire. Abbandonando le armi, mi caricò in spalla, trascinandomi al sicuro, attraverso anfratti troppo stretti per la creatura. Perseguitati dai suoi versi di scherno, corremmo via.
"Fu allora, mentre ancora in affanno cercavamo di schiarirci le idee, che di fronte a noi comparve Alberico, messo di Hela e suo Comandante. Portava in dono il proprio elmo, dotato del divino potere di permettere a chi lo indossa di mutare forma. Dono della sua signora, ci disse, da tempo indispettita dalla mancanza di rispetto di Fafnir, che costringeva i viandanti a pagare un pedaggio di oro o di sangue, atteggiandosi a divinità. Quell’elmo nascondeva il segreto per vincerlo, e sarebbe stato nostro se avessimo voluto, ma c’era un prezzo: se avessimo perso la vita nello scontro, alle nostre anime non sarebbero state concesse le glorie del Valhalla, ma avremmo trascorso l’eternità nelle profondità di Hel. Compresi in seguito che Hela sapeva che un giorno il Ragnarok sarebbe giunto, e non voleva che due guerrieri forti come noi si unissero alle schiere di Odino.
"Helgi rifiutò, senza esitazioni, reputando troppo alto quel prezzo e scacciando Alberico. Mi disse di lasciarmi alle spalle quell’avventura, e di farne tesoro perché spesso una sconfitta ha più valore anche di un trionfo. Ma io ero perseguitato dal ricordo delle risa di scherno di Fafnir, ne ero ossessionato! Mi vergognavo di me e della mia codardia, avrei fatto qualsiasi cosa per cancellarla! Alberico lesse il mio cuore: quella notte, allontanandomi dal campo mentre il mio amico dormiva, andai a riflettere sulle rive del Reno e lì ricomparve, chiamato dai sussurri del vento, così mi disse. Mi parlò a lungo, con parole mielate, esaltando i miei passati trionfi, ma anche accennando velatamente alla misera sorte che accompagna chi è marchiato come vigliacco. Mi disse che con il suo elmo non avrei potuto fallire, Fafnir era bramoso di tesori e reliquie, ingannarlo sarebbe stato semplice.
"Era abile con le parole, Alberico. La retorica non gli ha mai fatto difetto. Accettai, dimentico del prezzo, senza badare al suo sorriso trionfante! Senza svegliare Helgi, tornai da solo alla caverna ed offrii l’elmo a Fafnir, dicendo che era un dono in cambio della spada Gram che avevo perso nella fuga. Accettò, la cupidigia brillava nei suoi occhi. Estasiato, di fronte a me passò di forma in forma, da grifone a unicorno, da manticora ad essere umano, gigantesco e muscoloso. Nel porgergli i miei ossequi mi voltai per andar via, ma sulla soglia aggiunsi che era tutto davvero straordinario, ma nulla che non avessi fatto anche io con quel copricapo. C’era solo una cosa che non mi era mai riuscita: trasformarmi in un oggetto inanimato… in qualcosa come un’armatura.
"Ruggendo selvaggiamente, Fafnir mi chiese come osassi paragonarmi a lui! Indossò ancora una volta l’elmo, ed in un bagliore di luce le sue sembianze mutarono. Le scaglie divennero metallo, gli occhi fregi, gli artigli decorazioni. E, soprattutto, la bocca visiera, priva del dono della parola, incapace di tornare all’aspetto originario mentre l’elmo si fondeva alla corazza, diventando parte di essa e perdendo i suoi poteri. Raggiante, esultai, voltandomi verso l’ingresso dove trafelato Helgi era appena apparso, intuendo quel che era accaduto. Nella mia stupidità, diedi le spalle all’armatura, abbassando ogni difesa. In quel momento, lo spirito rabbioso di Fafnir uscì dalla corazza, trapassandomi da parte a parte, bramoso di vendetta! Incapace di controllarmi, impugnai Gram e mi trafissi all’addome, crollando esanime tra le braccia di Helgi. Fu allora che udii la risata trionfante di Hela, mentre le Valchirie, invisibili ad occhio umano, volavano via impossibilitate a raccogliere l’anima priva di onore di un suicida!"
Nel parlare, Sigmund serrò il pugno amareggiato. Per quanti secoli fossero trascorsi, era evidente che il ricordo di quel giorno ancora lo tormentava. Scorpio non poté fare a meno di provare tristezza per lui, ben consapevole del peso che anche un solo errore può avere sulla vita. Quanto avrebbe sofferto il mondo, se non avesse fatto salvo della vita a Cristal quel giorno, all’ottava casa? E, per converso, quante lacrime sarebbero state risparmiate se avesse compreso prima il tradimento di Gemini?
Il Comandante continuò a raccontare. "Mentre mi spegnevo tra le sue braccia, in lacrime, oppresso dal senso di colpa per non essersi accorto di nulla finché non era stato troppo tardi, Helgi giurò di salvarmi! Ma, prima, mi fece il dono più grande per un guerriero: il dono della gloria! Abbandonò il proprio nome, consegnando a me solo la fama per le vittorie che insieme avevamo conquistato e svanendo tra i recessi della storia. Da quel giorno in avanti, prese per sé il nome di Fafnir, affinché gli uomini lo guardassero con paura e disprezzo credendolo malvagio come il dragone stesso. E, per rafforzare questa convinzione, indossò l’armatura nata dalla trasformazione della belva!"
"Ma allora… il Primo Seggio di Hela…" intuì Scorpio, spalancando gli occhi.
"E’ Helgi, sì! Ma c’è una cosa che neanche lui sapeva: la sconfinata forza del dragone risiedeva ancora nell’armatura, ed indossandola si unì alla sua. E’ per questo che Fafnir è invincibile, perché unisce il proprio cosmo immenso alla forza del nostro antico nemico! Un’energia quasi infinita, che egli deve sempre lottare per tenere a bada e impedirle di prendere il sopravvento!" spiegò, con lo sguardo velato da un’ombra di preoccupazione.
"In preda al rimorso, il nuovo Fafnir viaggiò per il mondo, alla ricerca di un ingresso per Hel! Il suo cosmo divenne sempre più forte, fino a dargli la padronanza dell’ottavo senso. Fino a fargli sfiorare il nono, il senso degli Dei! Grazie ad essi, scese nelle lande dei defunti, affrontando da solo le armate infernali fino a raggiungere la sala del trono! Lì, prostratosi supplicante, donò per l’eternità la propria anima ad Hela in cambio della mia. Non solita a vedere nel suo regno uomini retti e valorosi, ed affascinata al pensiero di privare Odino di un uomo così potente, la Dea accettò, mettendolo a capo delle sue armate come Primo Seggio. Una misera consolazione per chi avrebbe senza dubbio ottenuto di diritto le gloriose sale del Valhalla ed un posto accanto a Thor o Balder!"
"E… tu?"
"Libero dalle mie torture, mi fu concesso di ascendere alla sala degli eroi. Ma come potevo accettare dopo tutto quel che Fafnir aveva sacrificato per me? Tre erano stati i suoi doni: la vita, in Borgogna; la gloria eterna, dopo la vittoria; e l’anima, per tutta l’eternità. In me vedeva più di un amico, rivedeva suo fratello minore, che aveva perso da bambino! E fratelli saremmo stati, per sempre! Quando seppi del suo sacrificio, gli giurai eterna fedeltà, promettendo che sarei sempre rimasto al suo fianco! Rifiutai le Valchirie, restando spontaneamente in Hel, e ricevendo il Secondo Seggio di Comandante!
"Capisci dunque adesso il perché delle mie azioni? Finché Fafnir servirà Hela, io servirò Fafnir, qualsiasi siano le circostanze!" concluse, scrutandone lo sguardo alla ricerca di tracce di disapprovazione, senza però trovarne alcuna.
"Capisco… ed al tuo posto avrei fatto lo stesso. Ma perché Fafnir mantiene il suo giuramento? Persino un valore fondamentale come l’onore cade in secondo piano di fronte al sacrificio di vite innocenti! L’uomo che mi hai descritto dovrebbe saperlo!" esclamò.
"E così è…" ammise Sigmund, sembrando in procinto di aggiungere altro. Poi il suo sguardo si indurì "Non sta a me svelarti le sue ragioni. Ho esaudito la tua richiesta, e sento che la mia vita sta ormai per giungere a termine! E’ tempo che il nostro scontro si concluda!"
Nel pronunciare queste parole, Sigmund si circondò di quel che restava del suo cosmo e sollevò il pugno. Annuendo lentamente, Scorpio fece lo stesso.
"Comunque termini questo duello, sono fiero di averti incontrato, Sigmund dei Nibelunghi!" disse con un sorriso sincero. Poi alzò il pugno destro, l’unghia dell’indice lunga come un aculeo.
"Ed io te! Flutti del Reno!!"
"Cuspide Suprema!!"
Con un bagliore accecante, i loro cosmi si innalzarono al parossismo ed esplosero. I due colpi segreti si scontrarono a mezz’aria. I Cavalieri si superarono, terminando ciascuno alle spalle dell’altro, con il braccio ancora teso in avanti.
Fu Sigmund il primo a ripiegare l’arto, gli occhi chiusi, la bocca curva in un sorriso spontaneo, dai cui angoli però scorrevano rivoli di sangue. "Se le stelle lo vorranno, un giorno ci rivedremo, e saremo finalmente amici e alleati. Addio, Scorpio, Cavaliere d’Oro di Atena!" disse soltanto, prima di crollare al suolo esanime.
Scorpio chiuse gli occhi rammaricato, poi si guardò la mano. L’aculeo scarlatto divenne polvere, disintegrandosi, mentre quel che restava della sua armatura d’oro cadeva in frantumi al suolo. Un alito di vento agitò i suoi capelli: erano diventati completamente bianchi.
Il suo cosmo ormai era esaurito, non rimaneva che un’ultima stilla. Non sarebbe riuscito a tornare dagli amici. Alzando la testa, vide le Naglfar che affollavano il cielo, e comprese cosa fare.
Mosse un passo, due, tre, poi le gambe vennero meno e cadde, ma qualcosa lo afferrò prima che toccasse terra. Con gli occhi ormai vitrei, vide Acquarius e Luxor sorreggerlo, rispettivamente a destra e sinistra. Alle loro spalle c’erano Mur, Alcor, Noesis, Gemini, Capricorn.
"Amici miei, presto sarò da voi. Insieme veglieremo sui nostri compagni… insieme, dal paradiso dei Cavalieri!"
Con uno sforzo supremo, incendiò quel che restava del suo cosmo, avvolgendosi di un’aura d’oro abbagliante.
"Per Atenaaaa!!!"
Simile ad una freccia d’oro, il suo corpo attraversò il cielo, sfondando una Naglfar dopo l’altra, carbonizzando e terrorizzando le arpie, prima di esplodere in un ultimo lampo.
Ilda, Toro, Mizar e Syria alzarono la testa, i volti rigati da fiumi di lacrime.
***
"Un altro Cavaliere è caduto!" esclamò Folken, allontanando un’arpia con un destro al volto, incurante di un profondo taglio sul braccio e di un altro alla fronte.
"Il suo sacrificio non sarà vano!" rispose Freja, aprendo di scatto gli occhi e rilasciando la luce accumulata finora.
***
In ginocchio, fuori dalle mura, Thor alzò la testa su cui grondavano rivoli di sangue. Era circondato da enormi cadaveri di nemici, ma a caro prezzo. Tutti i soldati scesi in campo insieme a lui erano morti. Il braccio pulsava con un dolore terribile, e numerose costole erano state spezzate dal calcio di un gigante.
Finalmente trionfante, un colosso abbassò la propria clava di ghiaccio per finirlo.
Fu uno scudo a bloccarlo. Un enorme scudo blu notte ed oro, impugnato da un guerrieri dai corti capelli azzurri e la carnagione abbronzata, comparso in un lampo di luce.
"Atlante, Titano del Cielo, ti porge i suoi saluti, Cavaliere!" esclamò con un sorriso, prima di abbattere il gigante con un terribile fascio di luce.
Contemporaneamente, delle figure con indosso lunghe vesti arancioni si materializzarono tra le schiere nemiche.
"In nome del nostro maestro Virgo, morte al nemico!!" gridarono in coro, facendo esplodere ondate di energia contro gli impreparati soldati.
Kvard, comandante di una delle Naglfar, strabuzzò di fronte a quelle apparizioni. "Arcieri! Agli archi!!" gridò.
Prima che gli uomini potessero eseguire il suo comando, una lancia sfrecciò nel cielo, trapassando ed abbattendo l’imbarcazione prima di tornare nelle mani di chi l’aveva lanciata.
"Il tempo della riscossa è giunto! Per Atena, all’attacco, Cavalieri!!" urlò Asher, brandendo Sleà Bua e lanciandosi sulle schiere nemiche, affiancato da Tisifone, Castalia, Reda, Salzius, Virnam, Nemes e Rudolph.
***
"Mia signora, ci è riuscita! Ha teletrasportato qui i guerrieri che avevano risposto all’appello di quella fanciulla!" disse Folken, mentre Freja si accasciava ansimante nel carro.
"Sì… ed ora non resta che l’ultimo dono!"