COLPA
Cristal, Andromeda, Agonia, Colpa si fissarono, pronti alla ripresa delle ostilità. Per interminabili secondi i loro sguardi si incrociarono, carichi di tensione e brama di vittoria, sete di giustizia e cupa determinazione, mentre i cosmi risplendevano nel salone del castello facendo contrastare bagliori bianchi e rosati con onde d’ebano.
"E’ Colpa il più pericoloso, ma per poterlo affrontare dobbiamo prima liberarci di Agonia! Le mie tecniche sono le più adatte ad affrontarlo, tu guardami le spalle!" sussurrò Cristal ad Andromeda, che annuì.
"Hanno in mente qualcosa…" sibilò Colpa, allargando la bocca in un sorrisetto sardonico. "Folli, non sanno ancora nulla…"
Accanto a lui, Agonia scrollò le spalle. "Uh uh… basta perder tempo, è ora che il dolore li pervada!"
All’unisono, come rispondendo ad un sordo ordine di guerra, Cristal, Andromeda ed Agonia si lanciarono all’attacco, quest’ultimo spiegando le ali della sua Veste Cinerea, gli aghi pronti a trafiggere gli avversari.
"Mirate, l’abbraccio di Agonia!" gridò sollevando la mano, solo per accorgersi che davanti a lui turbinavano le catene di Andromeda.
"Non così in fretta! Tela del Ragno!" esclamò l’eroe, ricreando la disposizione con cui aveva fermato la libellula di Kira.
Sorpresa e arrogante fastidio si alternarono sul volto del Flagello. "Ti ho già mostrato di poter sfondare questi catenacci in qualsivoglia momento!" disse, fermandosi di colpo a mezz’aria e facendo stridere pericolosamente le mani sugli anelli dell’arma del nemico. "Il delizioso tocco dei miei aculei, presto sarà di nuovo su di te! Ti era mancato?"
"Mi dispiace deluderti, ma ne faccio volentieri a meno!" rispose il ragazzo, facendo ruotare di scatto le braccia. A suo comando, la tela iniziò a turbinare, le steli incrociate si sciolsero cambiando forma e bloccandogli la mano.
"Ma che cosa?!" sibilò Agonia, accorgendosi che il polso era stato afferrato. "E’ diventata… una tagliola!"
"Solo una delle tante forme di cui è capace la mia catena!" ritorse il Cavaliere, facendo attenzione a qualsiasi movimento dell’avversario. Gli occhi erano spalancati, la concentrazione massima come solo la sicurezza di avere le spalle coperte da un amico fidato può donare.
Dopo un attimo di sconcerto però, il Flagello sollevò l’altra mano ancora libera, tendendone il taglio, e contemporaneamente iniziò ad agitare al massimo le ali. La catena iniziò a vibrare e stridere, quasi sofferente.
"Purtroppo per te non è una belva dei boschi che stai affrontando, ma un Flagello di Erebo!" gridò, infiammando il suo cosmo sotto forma di nere lingue che avvolsero l’arma. Persino a distanza di molti metri Andromeda poteva sentire il gelo e la crudeltà insite in esso.
"Ma il calore della giustizia saprà domarlo!" si disse, facendo esplodere la propria aura. A suo comando, attorno ad Agonia, ancora imprigionato, la catena riprese a danzare, mutandosi stavolta in gabbia a spirale, e lasciando la presa troppo tardi perché il Flagello potesse sfuggirle.
"Quale trappola?!" esclamò sorpreso nel vedere l’arma chiudersi attorno a lui.
"La configurazione più adatta ad un essere viscido come te! Spire di Andromeda!" proclamò l’eroe, avvolto da un’aura brillante e luminosa, mentre gli anelli aumentavano la loro pressione sul Flagello, scivolando sulla Veste Cinerea con tanta intensità da generare scintille.
Socchiudendo gli occhi, Agonia lo squadrò. "Restarmi sempre lontano, e cambiare la disposizione della tua catena di momento in momento per impedirmi di frantumarla… un piano astuto, ma quanto a lungo potrai sfruttarlo? Presto sarò libero e nel frattempo il dolore della tua stretta lo senti anche tu, lo vedo!" sibilò con un sorriso sarcastico, mentre già il suo cosmo faceva pressione sulla gabbia, iniziando a gonfiarla.
Nello stesso istante nel frattempo Andromeda aveva avvertito fitte lancinanti trapassargli le braccia e le gambe, come se fosse lui stesso a venir stritolato. Sofferente vacillò, ma solo per un attimo.
"Non ho bisogno che di un momento! Trattenerti abbastanza a lungo per permettere a Cristal di finirti!" gridò, saltando di lato con un sorriso trionfante. Alle sue spalle, l’amico era avvolto da un cosmo gelido ed immenso, come se fosse una divinità dei ghiacci.
E le sue braccia erano sollevate sopra la testa, congiunte e ricolme di energia.
"Cadi, ombra malefica! Per il Sacro Acquarius!!" gridò, scatenando il suo colpo segreto.
Per un istante l’onda di aria ghiacciata fu in procinto di abbattersi sul Flagello, così maestosa da dar l’impressione di poter annientare chiunque. Ma all’improvviso una sfera verdastra l’intercettò a mezz’aria, disperdendola.
"Trattieni la tua irruenza, fratello, o farai la fine di Violenza! Pur nella loro umana pochezza, non sono nemici da sottovalutare costoro!" disse Colpa, comparendo accanto al fratello, silenzioso come un fantasma, e lanciando di sottecchi un’occhiata di scherno ai Cavalieri.
"Mpf… un gelo effimero come quello ha tante speranze di vincermi quanto questi giocattoli!" rispose Agonia, rilasciando un’ondata di energia e liberandosi dalla stretta della catena. Nello stesso istante la sfiorò con la mano, sprigionando una scarica che travolse Andromeda, sbattendolo sofferente contro la parete. "Aaah, dolore! Ma quel Cigno è una seccatura! Le sue tecniche di ghiaccio non mi donano alcun piacere!"
"Ooh, non temere. È già sprofondato nel mio abbraccio Cristal il Cigno…" rispose Colpa, indicando la figura che aveva estratto poco prima dal corpo dell’eroe, e che ancora galleggiava a mezz’aria.
Sorridendo sinistramente, lasciò il fratello e scivolò verso i Cavalieri. Subito il Cigno balzò davanti ad Andromeda, ancora intontito, e sollevò la mano sprigionando cristalli di ghiaccio.
"E’ troppo pericoloso per lasciarlo avvicinare, devo cercare di rallentarlo!" pensò. "Polvere di Diamanti!!"
Come i tentativi precedenti però, anche questo attraversò il corpo del Flagello senza causargli alcun danno. "Nessuna tecnica è in grado di raggiungermi, devi rassegnarti!" esclamò protendendo la mano in avanti. Un attimo dopo però si bloccò di scatto, di fronte alla sua stessa immagine riflessa.
Nello stesso momento, un sorriso comparve sul viso del ragazzo, mentre uno spesso muro di ghiaccio si innalzava tra lui e l’avversario. "Non sei l’unico con abilità difensive! Non potrò colpirti, ma posso comunque impedirti di venire a me!" esclamò.
Alzando lo sguardo, Colpa si accorse che persino l’immagine del Cavaliere a mezz’aria era protetta dal turbinare di cristalli di neve, che si estendevano anche a difesa di quella di Andromeda. Per la prima volta, Colpa parve perplesso.
"Uh uh, permettimi di renderti il favore di poco prima, fratello!" intervenne allora Agonia alle sue spalle, spiegando le ali e lanciandosi contro il muro di ghiaccio senza attendere una risposta. Quasi subito profonde spaccature venarono la barriera, mentre il taglientissimo vento generato dalla Veste Cinerea cozzava su di essa.
"Cristal!" esclamò Andromeda, rialzandosi in qualche modo in piedi anche se con una mano appoggiata alla fronte.
I due si scambiarono uno sguardo veloce, capendosi immediatamente. Lontano era il tempo in cui un’incomprensione alla Terza Casa per poco non costò loro la vita: adesso anni di battaglie fianco a fianco rendevano quasi inutile qualsiasi comunicazione.
La trappola era ben chiara: subito Andromeda srotolò la catena di difesa, preparando nel contempo quella di attacco, mentre nuovi cristalli di ghiaccio si ammassavano attorno al Cavaliere del Cigno. "Il momento in cui il muro cadrà, là dovremo colpire! Nell’istante in cui Agonia sarà scoperto, prima che Colpa possa raggiungerlo!"
Pronti ad agire, i due amici osservarono con la massima concentrazione crepe sempre più profonde allargarsi nel ghiaccio mentre la difesa dei ghiacci eterni iniziava a crollare in pezzi. Apparentemente ignaro del rischio, Agonia sollevò la mano per abbatterla, gli aculei pronti a colpire.
"Ora!" pensò Cristal, in procinto di far esplodere il suo cosmo.
In quel momento, la risata di Colpa sovrastò entrambi. "Un bel piano, signore dei ghiacci, ma ancora minato da troppa ingenuità per poter trionfare!" minacciò, facendo un cenno con le dita.
Di fronte agli occhi sbalorditi degli eroi, come obbedendo al suo comando le due figure a mezz’aria avanzarono verso Colpa, attraversando la difesa dei cristalli di ghiaccio intangibili come spettri. "Puoi cercare di impedire ai miei colpi di raggiungerle, ma non puoi impedire loro di far ritorno a chi le ha create!" ridacchiò. "Ed a causa del tuo errore, anche il tuo amico soffrirà!"
Prima che entrambi potessero fare qualcosa, impediti dal loro stesso muro, Colpa sferrò due sfere di energia, lacerando di striscio le figure di Andromeda e Cristal rispettivamente ai fianchi sinistro e destro. Come poco prima, anche gli eroi subirono il colpo: le armature già danneggiate lasciarono esplodere copiosi schizzi di sangue ed entrambi barcollarono, incerti sulle gambe.
"Subdolo come sempre, eh fratello? Ho fatto bene a lasciarti la prima mossa, ma ora è il mio turno!" rise Agonia, appoggiando le mani sul muro. Sottili come aghi, i suoi aculei trapassarono il ghiaccio da parte a parte, conficcandosi nella spalla di Cristal e nella gamba di Andromeda.
Ondate di dolore lancinante attraversarono i corpi degli eroi, obbligati ad urlare sofferenti mentre i loro sensi esplodevano, incapaci di sopportare lo strazio trasmesso loro dal sistema nervoso. Con la vista improvvisamente appannata, i due crollarono malamente a terra, contorcendosi in agonia per diversi secondi, per poi restare immobili.
"Aaah, dolore puro, profondo e sconfinato…" sorrise il Flagello, allargando le braccia come ad assorbire il più possibile quel che i due Cavalieri provavano. Quando, dopo essersene saziato, sollevò le mani per finirli, Colpa lo affiancò.
A differenza del fratello, il più subdolo tra i seguaci di Erebo non sembrava del tutto convinto, neppure alla vista del lago di sangue che si stava allargando sotto i nemici vinti, fino a lambire i suoi stessi piedi. La vittoria sembrava definitiva, totale, eppure in cuor suo sapeva che forse non era così. "Non abbassare la guardia… i loro spiriti non sono ancora completamente spezzati!" avvertì.
"Lo saranno presto, insieme ai loro corpi!" ritorse Agonia, facendo schizzare sangue con il piede in un gesto di scherno e preparando gli aculei.
In quel momento, con uno scatto improvviso Cristal rialzò la testa e fece esplodere il suo cosmo, toccando il suolo con entrambe le mani.
"Uaaarhhh!" ringhiò, imprimendo la sua aria gelida non in un attacco ma nel semplice tocco delle dita. Il sangue si ghiacciò all’istante, bloccando i piedi dei Flagelli, ed un istante dopo lingue bianche si inerpicarono sulle loro gambe, imprigionando le Vesti Cineree e salendo rapidamente verso il bacino ed il torace.
"Eri… ancora sveglio!" esclamò sorpreso Agonia, lanciando uno sguardo in direzione di Andromeda, che invece era immobile a terra.
"Al dolore sono ben avvezzo, io che un tempo ho provato la Cuspide Scarlatta dello Scorpione, e solo poche ore fa i morsi di Fenrir! Neppure loro sono paragonabili al tuo tocco, ma grazie a queste dure lezioni so come sopportare l’agonia che ami instillare nei tuoi nemici!" dichiarò, sollevando entrambe le mani sopra la testa e guardando in direzione di Colpa. "Potrai schivare i miei attacchi, ma non sei un fantasma! Ora che i miei ghiacci hanno fatto presa su di te potrò…"
"Tsk… cosa potrai?" ridacchiò il Flagello. Come a dimostrargli la futilità di quanto appena detto mosse un passo in avanti, attraversando il ghiaccio come se non fosse mai esistito e comparendo dinanzi allo sbalordito ragazzo.
"Non… è possibile!" balbettò incredulo il Cigno.
Continuando a sorridere sardonicamente, Colpa gli poggiò la mano sul torace. "Lascia che ti confermi la dura realtà!" sussurrò, liberando un’esplosione verdastra. Il pettorale dell’armatura si spaccò quasi completamente e Cristal venne sbattuto contro la parete, che crollò per l’impatto, catapultandolo nella sala accanto.
Grondante sangue, rialzò la testa, solo per trovare il Flagello torreggiare su di lui, soddisfatto. Contemporaneamente, con un grido, Agonia spaccò il ghiaccio, liberandosi. Guardando oltre l’apertura, Cristal lo vide avvicinarsi minaccioso all’amico ancora svenuto.
"Andromeda!" esclamò, cercando di rialzarsi, solo per venire spinto a terra da un manrovescio di Colpa.
"Morirà per causa tua… delle tue strategie e dei tuoi piani!" sibilò. Per poi curvare le labbra in un sorriso. "Non la prima persona cara di cui hai causato la fine… no, non la prima!"
"C… che vuoi dire?!" disse l’eroe. E, nonostante i suoi sforzi, non poté impedire ad una punta di paura di emergere nella sua voce, dentro di sé improvvisamente timoroso. Lo aveva già notato prima, ma adesso era evidente: qualcosa negli occhi del Flagello lo spaventava, sembravano non focalizzare mai lo spazio innanzi a loro ma scorgere oltre, nei recessi più profondi dell’anima, pronti a carpirne segreti e paure.
Come a conferma di ciò, il sorriso del seguace di Erebo si allargò. "La lista di coloro che a causa tua ha sofferto è già lunga. Abadir, Acquarius, il Maestro dei Ghiacci… non sono che i nomi più vividi, marchiati dall’eterno inchiostro della colpa!"
Impallidendo, Cristal indietreggiò di scatto di un passo, come colpito fisicamente. "Tu… come sai di loro?!"
"Sono così evidenti… fantasmi che aleggiano attorno a te tormentandoti colmi di disprezzo. Odiano te che li hai condotti a fine prematura, come biasimarli?" esclamò sarcastico, prima di continuare "La loro morte è avvenuta per tua mano, poco importa che lo volessi o meno. Dentro di te sai, sai che se tu non fossi mai esistito loro sarebbero qui oggi!"
Punto sul vivo, il Cavaliere tremò, abbassando colpevolmente lo sguardo per un momento. Una frazione di secondo appena, che però non sfuggì al Flagello, il cui sorriso si curvò ulteriormente.
Subito dopo però il cosmo del Cigno avvampò e Cristal rialzò la testa, i pugni serrati, lo sguardo deciso. "Menzogne, solo menzogne! Il tuo stesso nome rivela la tua natura: Colpa, Flagello di Erebo! Ma non cadrò vittima dei tuoi inganni! Il mantello che pesante ricopre il cuore, privandolo di forza e determinazione: ho già saputo liberarmene in passato! Allo stesso modo mi libererò di te adesso!"
Cristalli di ghiaccio comparvero dal nulla, danzando nell’aria prima di ammassarsi vicino al nemico. Con un certo stupore, il Flagello si accorse che al loro interno ardevano fiammelle evanescenti, rosse come tizzoni ardenti.
"Preparati al colpo segreto più potente del Cigno!" esclamò il guerriero, balzando indietro e sollevando il pugno "Che la Polvere di Diamanti liberi la vostra forza: Scintille nella Bufera!!"
La tormenta di aria gelida spazzò l’aria verso Colpa, ed al suo passaggio i cristalli di ghiaccio sospesi in aria si illuminarono come tizzoni ardenti, esplodendo all’unisono con una forza devastante. Quel che restava della parete che separava i saloni crollò in pezzi, ed anche il pavimento si spaccò in più punti aprendosi in profonde fenditure. Investito dall’onda d’urto, il Flagello scomparve alla vista dell’eroe, impegnato a non perdere l’equilibrio mentre la fortezza di Oberon tremava attorno a lui.
Ma, con un fremito di stupore, Cristal si accorse ben presto che persino questa tecnica era stata vana: di fronte ai suoi occhi Colpa emerse dalla nuvola, indenne.
"Un potere devastante! Se mi avessi colpito non sarei rimasto incolume, questo è certo! E’ inusisata tanta forza nelle mani di un essere umano… Ma nondimeno hai fallito, i tuoi colpi non possono raggiungermi. Neppure la folgore di Zeus potrebbe. La mia malia è troppo antica per te!" sibilò, travolgendolo con una sfera di energia e facendolo strisciare a terra fino ad aprire un solco.
Rialzando la testa sanguinante, l’eroe lo vide torreggiare sopra di sè, sfoggiando ancora il suo inquietante sorriso. I suoi occhi indagatori.
Non pose alcuna domanda, ma per Cristal fu come se l’avesse fatto. "Non è come dici! Abadir, Acquarius, il Maestro sono sì al mio fianco, ma per darmi supporto e coraggio! La guerra li ha uccisi, non io!" esclamò, cercando di rialzarsi di slancio, ma Colpa lo bloccò a terra premendo sulla spalla.
"Non mentirmi, l’avatar che ho evocato ti tradisce! Mira!" comandò, con un gesto della mano. Obbedendo a quell’ordine, l’immagine evanescente attraversò la parete in pezzi, comparendo accanto al Flagello. Così simile all’eroe e nel contempo così diversa: priva di fierezza o volontà, nera e ricurva, con il capo chino e le ginocchia piegate. Una vista che fece rabbrividire Cristal, ma che il suddito di Erebo accolse con soddisfazione. "La prova delle tue menzogne… il manto che credevi di aver strappato in realtà è sempre stato qui, nascosto tra le pieghe del cuore!" ridacchiò, indicando quella spettrale evocazione.
"Osserva la parte più recondita del tuo spirito! Il seme della Colpa… il mio seme, che attecchisce nei cuori dei colpevoli, lo piega e ricopre. Non importa quel che dici, dentro di te tu sai che ho ragione, sai che la tua vita non è che una sequela di errori che altri hanno pagato al posto tuo! Abadir, che ti fu amico, sostenendoti da bambino nelle gelide steppe della Siberia! Il Maestro dei Ghiacci, che come un padre ti crebbe, addestrandoti all’arte della lotta senza mai far mancare affetto e consigli! Ed Acquarius, la guida che avresti potuto avere, il mentore che avrebbe potuto fare di te un uomo migliore!"
"N… no!" rispose il Cigno. Sentiva la propria volontà venire erosa e non riusciva a comprenderne il motivo. Le immagini della morte del Maestro dei Ghiacci, la prima e forse per questo la più terribile, si riaffacciarono alla sua memoria, accompagnate dal dolore e dalle sensazioni che aveva provato, vivide come se stesse rivivendole di nuovo. Le ultime parole dell’uomo, i suoi ultimi consigli, e con essi una critica.
"Hai avuto un’esitazione: è stato un errore, Cristal. Un errore che avrebbe potuto esseri fatale!" disse inaspettatamente Colpa, ripetendo proprio le parole cui stava pensando.
"Sai… leggere nel pensiero?!" esclamò sorpreso il ragazzo indietreggiando di un passo.
"So leggere nel cuore, che è ben più onesto di qualsiasi pensiero! Non hai seguito l’avvertimento del Maestro dei Ghiacci, come non hai seguito quelli di Acquarius, che invano ti disse di restar freddo in battaglia! Così facendo hai unito insulto a tragedia, reso vane le morti che hai causato! Ti sorprende davvero che ti odino per questo?" sussurrò. "E loro non sono i soli… quante vite hai distrutto con il tuo tocco, Cavaliere?"
Con un movimento a vorticare del dito, Colpa fece comparire una specie di specchio nebbioso a mezz’aria tra sé ed il Cavaliere. Al suo interno, come per incanto, erano Artax e Flare come probabilmente erano poco prima che Cristal li incontrasse per la prima volta, ad Asgard. Vicini, senza nubi a turbarne lo sguardo. Senza che potesse impedirlo una fitta di rimorso gli strinse il cuore, consapevole di quanto lontana fosse oggi quella visione.
Impietoso, Colpa diede voce ai suoi timori. "Due spiriti affini un tempo felici finché non li hai spezzati. Guarda che ne è ora di loro!"
Al suo comando le immagini mutarono. Inorridendo, Cristal vide Artax rivelso al suolo con il torace squarciato, privo di vita. E Flare, la sua dolce Flare, in ginocchio a terra, in lacrime e sanguinante per qualcosa che non riusciva a scorgere.
"Flare! N… no… no… è un miraggio, un’illusione!" gridò di getto, disperdendo l’immagine con un gesto nel braccio, che però non bastò a rasserenare anche il suo cuore.
"Come falene attirate dalla fiamma ti sono venuti vicino, solo per bruciare! Due volte hai ucciso Artax, due volte gli hai strappato il cuore dal petto privandolo di quanto di più caro aveva!" accusò il Flagello. "E Flare, che dicevi di amare… non hai esitato ad abbandonarla in una città sotto assedio, che sapevi incapace di reggere l’urto delle nostre armate! Avresti potuto non dir nulla e almeno ora sarebbero insieme. O avresti potuto restare e proteggerli. Ma non hai fatto alcuna cosa. Incerta ed egoista, questa è la tua natura, come chi ha avuto la sfortuna di incontrarti ha provato sulla propria carne!"
"No… no, fai silenzio!" ribatté il ragazzo. Avrebbe voluto farlo risuonare come un ordine, ma la voce uscì debole e stentata, più simile a una supplica. Sapeva che le cose non stavano così, ma ancora qualcosa nello sguardo e nel tono del nemico gli impediva di ragionare.
"Non vuoi sentire le mie parole, ma sai che dico la verità! Guarda!" esclamò il Flagello. Seguendone lo sguardo, Cristal vide il proprio avatar piegarsi sempre di più, fino a crollare in ginocchio. Una massa quasi completamente nera, con un unico puntino bianco sempre più piccolo. Una goccia in procinto di scomparire in un mare di pece.
Ad una trentina di metri di distanza, nell’altro salone, con un grido di dolore Andromeda riaprì gli occhi, contorcendosi e rantolando. Abbassando lo sguardo vide gli aculei di Agonia conficcati nell’addome, e dalle punture zampillavano flotti di sangue.
"É ora di svegliarsi, Cavaliere. Anche troppo ti ho lasciato riposare, mentre guardavo mio fratello all’opera!" lo derise Agonia, sollevandolo di peso e centrandolo al mento con un pugno, che lo scaraventò contro il soffitto.
Con la testa ancora annebbiata ed i riflessi appannati, l’eroe impiegò qualche istante a riprendersi e sbattè duramente contro la volta, sentendo l’aria uscirgli con forza dai polmoni. L’urto però lo scosse, riportandolo alla realtà, e fece bruciare il suo cosmo, preparando la catena di attacco nel momento stesso in cui incominciava a ricadere verso il suolo.
"Nebula…" iniziò, ma poi si bloccò di colpo, memore di quel che era accaduto poco prima. Non poteva permettersi di perdere di nuovo i sensi, un nemico meno sadico di Agonia lo avrebbe ucciso e persino il Flagello del dolore si sarebbe presto stancato di quel gioco.
Esitò, ed in quell’istante il nemico spiegò le ali, speronandolo al fianco già ferito e superandolo in volo. Stringendo i denti, l’eroe si avvise di quell’apertura e concentrò il cosmo nella mano. "Non potrò ferirlo, ma posso almeno tenerlo lontano da me!" pensò, richiamando il potere delle tempeste. "Nebulosa di Andromeda!!"
L’impeto dei venti investì Agonia proprio nel momento in cui cercava di virare, sbattendolo contro il soffitto già incrinato da Andromeda ed esercitando tanta pressione da imprigionarlo.
"Se solo riuscissi… ad impedirgli di muoversi…" si disse, cercando di controllare il più possibile il suo colpo segreto. A tratti poteva già sentire su di sè la pressione esercitata dalla sua tecnica, vampate di dolore incostanti e diffuse, che rendevano difficile concentrarsi. Poteva davvero ucciderlo o il colpo di grazia sarebbe stato fatale ad entrambi? Non gli importava di morire, ma la guerra era ancora lungi dal terminare ed in cambio della sua vita avrebbe voluto almeno aprire ai compagni la via per Erebo.
Improvvisamente Agonia pose fine ai suoi dubbi falciando l’aria con gli aculei e colpendolo di striscio. Il coprispalla destro della Sovrana dei Venti si spaccò verticalmente fin quasi a metà, la pressione della Nebulosa venne meno e subito il Flagello si gettò all’attacco, investendolo con folate di vento taglienti che stridettero sulla sua corazza e lo precipitarono a terra.
Prima che potesse rialzarsi di nuovo, gli aculei gli trapassarono il piede da parte a parte, conficcandosi al suolo.
Urlando ancora una volta di dolore Andromeda vacillò, mentre l’intera gamba sembrava andare a fuoco a causa dell’espandersi del cosmo del Flagello nelle sue terminazioni nervose. Deciso a prolungarne la sofferenza, Agonia calò l’altra mano a taglio verso il suo volto, ma la catena si tese a difendere il proprio padrone, intercettandolo. Rivoli di sudore misto a sangue scorrevano sul volto esausto dell’eroe, sporco di polvere e con i capelli ormai azzeccati alla fronte. Solo l’occhio trasmetteva ancora vitalità e determinazione
"Smetti di resistere e lascia che i miei aculei affondino nella tua rosea carne fino a saziarsene!" ridacchiò Agonia, agitando le dita sopra la catena ed avvicinando il proprio viso a quello dell’avversario.
"Sei… un demone!" rispose Andromeda di rimando, la voce colma di disprezzo. Qualcosa nel suo tono sembrò urtare il Flagello, la cui espressione si fece più seria.
"Meno di quel che credi. In fin dei conti sei fortunato… il tuo amico in questo momento è preda di tormenti persino più profondi! Mio fratello non ha pietà, persino la mia crudeltà impallidisce a confronto!" disse in tono piatto, riducendo la pressione e guardando in direzione di Cristal e Colpa.
Andromeda seguì il suo sguardo, notando per la prima volta l’amico in ginocchio con la testa tra le mani. "Che cosa?"
"Colpa è così, terrificante più di quanto io possa esserlo. Quando è sceso sul campo di battaglia il tuo aspetto angelico ti ha sorpreso, non è vero?"
Andromeda ripensò alla prima sensazione provata nel vedere quel nemico e fu costretto ad annuire. La sua crudeltà era evidente, ma la sua bellezza innegabile.
"Affascinante e leggiadro, più simile ad un angelo paradisiaco che ad un Flagello delle tenebre. Eppure Colpa è terribile, il suo è un sorriso latore di morte. Ma nessuno può sfuggirgli, e per questo è così bello! Perché nulla piace agli esseri umani più che crogiolarsi nel senso di colpa, rivangare i propri errori e torturarsi all’infinito pensando a come avrebbero potuto agire in maniera diversa. Addossandosi pesi sempre maggiori, destinati a schiacciarli! Una sofferenza diversa dalla mia ma non meno atroce. Anzi, forse peggiore…" spiegò. Per la prima volta vi era rispetto nel suo tono. E, forse, persino una punta di paura.
"Che… che gli sta facendo?!" domandò preoccupato Andromeda.
"Sta sondando il suo cuore alla ricerca del più piccolo seme di colpa, per poi ingigantirlo fino a mutarlo in peso insostenibile per chiunque. È l’influsso del suo cosmo, trasmesso dallo sguardo e dalla voce. E contro di esso non esistono difese, non serve neppure esserne consapevoli, è potere troppo grande. Nella colpa il tuo amico si perderà!" proclamò.
Rabbrividendo, Andromeda si girò di scatto, gli occhi dilatati per la paura. "Cristaaaal!!!"
Il Cavaliere del Cigno però non udì il suo richiamo. Con le mani alle tempie stava tentando invano di escludere la voce del Flagello, che però sembrava raggiungerlo direttamente alla mente ed al cuore. Il ragazzo non aveva mai affrontato musici in passato, o avrebbe potuto notare la somiglianza tra la voce di Colpa e le loro melodie. Ma neppure quel tipo di esperienza avrebbe potuto risparmiargli quel che stava provando: come detto da Agonia il cosmo di Colpa era troppo superiore.
Immagini di Artax, Abadir, il Maestro, Acquarius e Flare si alternarono in successione davanti ai suoi occhi, accompagnate da ogni errore commesso in una vita di battaglie. Non essere riuscito a sconfiggere Megres, aver agito con troppa precipitazione alla Terza Casa, essere crollato per la stanchezza di fronte ad Orion, essere caduto preda di Dioniso. Tutto ciò aveva causato dolore e ferite ai suoi amici, e nonostante si trattasse di eventi comuni in guerra, giustificati dagli eventi e per i quali nessuno gli portava rancore, essi ora sembravano schiacciarlo, mutando la sua vita in una sequela di sbagli privi di senso.
Sorridendo crudelmente alla vista del suo stato, Colpa gli si avvicinò, continuando a sussurrargli nelle orecchie.
Nel vederlo a pochi centimetri da lui, il cosmo di Cristal avvampò, e con uno sforzo supremo l’eroe serrò il pugno ancora una volta. "Spettro malefico, ti scaccerò! Polvere… di Diamanti!!"
"La tua volontà è forte, te lo riconosco!" ammise mellifluo il Flagello mentre i cristalli lo attraversavano innocui. "I dilemmi che ti propongo hai già saputo affrontarli… ma mai sotto l’influsso del mio cosmo che svela la realtà nascosta sotto le menzogne. Perché la colpa più grande di cui ti sei macchiato, la più infame e crudele, l’hai celata così a lungo da negarla anche a te stesso!"
"Di… di che stai parlando?!"
"Non lo immagini? Del tuo primo crimine, il peccato originario che ha dato vita a tutti gli altri! Aver causato la morte della persona che più ti amava, la tua stessa madre!" esclamò trionfante Colpa.
Cristal strabuzzò. "Mia madre è morta in un incidente, fu una fatalità! Come potrei esserne colpevole?!"
"Un viaggio di cui tu sei stato la causa. Non ricordi perché vi imbarcaste? Non ricordi il tuo desiderio di visitare la terra al di là del mare?" insistette il suddito di Erebo.
Cristal scosse la testa. Non era stato lui a chiederle di partire, ne era certo. O credeva di esserlo, perché istante dopo istante le parole di Colpa evocavano immagini nella sua memoria, scene che gli erano del tutto nuove ma che ora gli sembravano ricordi, così vividi da sostituire quelli reali avvolgendoli in una nebbia sempre più fitta.
"No… non è come dici… no…" si disse, chiudendo gli occhi, concentrandosi sulla realtà che stava scivolando via velocissima.
"No? Per quale motivo allora per anni hai cercato di visitarla? Per affetto? Desiderio di rivederne il viso? No, è stato il senso di colpa a spingerti, desiderio di supplicare un perdono che non meriti! Puoi nascondere la verità a te stesso, ma non a me, Colpa, che nel cuore ho il mio regno!" esultò il nemico.
"Nooooo!!!" gridò il ragazzo, crollando a terra immobile.
"Cristaaaaal!!!" urlò Andromeda.
"A questo eri destinato, dovresti ringraziarmi per averti risparmiato una tal sorte. La fine cui ti condanno sarà lenta e dolorosa, ma meno di quella che avresti patito per sua mano!" disse Agonia, alzando la mano per colpirlo di nuovo. Ancora bloccato al piede, l’eroe alzò in qualche modo la catena, ma il Flagello gli era troppo vicino.
Affondo dopo affondo, fendente dopo fendente, gli aculei di Agonia calarono su di lui, stridendo sull’armatura rinata con il sangue divino e aprendo numerose ferite sanguinanti. Il seguace di Erebo però stava evitando colpi fatali, sempre deciso a prolungare il più possibile quel gioco.
"Ne… Nebulosa di Andromeda!!" gridò il Cavaliere, alzando di scatto la mano per liberare la sua tempesta. Agonia fu colto in controtempo, ma i suoi aculei erano ancora saldamente ancorati al suolo attraverso il piede del ragazzo, e una sola torsione bastò a scatenare onde di dolore su per la gamba fino alla schiena. L’intero midollo spinale si ribellò, i muscoli andarono in spasmo contraendosi disperatamente.
Un’altra torsione e la sofferenza si fece indicibile. Ansimando, Andromeda fu costretto a interrompere l’attacco e crollò carponi.
"Nessuno può resistere al mio dolore, è inutile!!" esclamò il Flagello, martoriandolo di colpi alle spalle e alla schiena. Frammenti di armatura si spaccarono e caddero a terra, mentre gli aculei penetravano sempre più in profondità, martoriando le carni dell’eroe.
"De… devo tentare il Nebula Chain… ma il contraccolpo…" pensò, mentre flotti di sangue grondavano dall’armatura. Non aveva mai avuto paura del dolore in passato, eppure ora esitava, e non riusciva a capirne la ragione. Possibile che il cosmo di Agonia lo stesse influenzando come quello di Colpa faceva con Cristal? O forse era solo che non aveva mai provato una sofferenza simile ed ora il suo corpo si rifiutava di soffrire di nuovo a quel modo?
"E’ tutto inutile, Cavaliere! Neppure il timore di perdere la vita basterà a scuoterti!" rise Agonia, intuendo il suo dilemma "Gli uomini adorano procurare dolore agli altri esseri viventi, ma quando si tratta di riceverlo il loro coraggio viene meno! Cadrai per mia mano, troppo spaventato per reagire!"
Un colpo alla base del collo lo spinse a terra, agonizzante, il corpo in preda a terribili spasmi mentre il piede veniva lacerato e le unghie delle mani grattavano il pavimento, invano cercando di trovare conforto.
"Che sia giunta…"
In quel momento, un nuovo urlo di Cristal riempì l’aria, assordante e colmo di dolore.
E nell’udirlo, qualcosa in lui cambiò.
"Sciocco Andromeda, è qui la risposta, lo è sempre stata, come hai potuto dimenticarla! La vita, il dolore, non sono che futili facezie!" pensò, serrando il pugno e spalancando gli occhi.
Con un bagliore accecante, il suo cosmo avvampò, talmente luminoso da far ritrarre il Flagello.
"Com’è possibile? Come può la tua aura brillare così lucente, eri moribondo!" esclamò sbalordito.
"Lo ero, sì, paralizzato al pensiero del tuo dolore! Ma ora è diverso, le grida di Cristal mi hanno ricordato la posta che c’è in gioco! L’hai detto tu stesso, il dolore è nulla rispetto al peso della colpa che lo sta torturando, ed in qualsiasi circostanza io mi trovi una cosa per me non cambierà mai: non mi importa di soffrire, preferirei patire le torture dell’inferno mille e mille volte piuttosto che abbandonare un amico al suo destino!"
Con un gesto deciso Andromeda fece esplodere il suo cosmo, avvolgendo la catena dei venti della Nebulosa.
"Lo sentirai anche tu! Sei veramente pronto… a soffrire pur di salvarlo?! È assurdo, non puoi! Nessun legame è così forte da accettare una tale sofferenza!" gridò il Flagello.
"Così credevi, ma invece ti sbagli! Ad unire noi Cavalieri è un legame più profondo del bene personale, un legame temprato su solidarietà e spirito di sacrificio! Nebula Chain!!"
Maestosa, la catena, avvolta dalla Nebulosa scattò verso Agonia, speronandolo in pieno torace. La Veste Cinerea si aprì liberando un fumo nerastro, gli aculei furono strappati di forza dal piede di Andromeda, che grugnì di dolore ma poi si voltò senza badarci, correndo subito in aiuto di Cristal.
"Avrebbe dovuto soffrire molto più di così… non l’ha sentito! Non ha sentito il dolore della ferita che mi ha causato!" realizzò il Flagello, socchiudendo gli occhi in due fessure. "Ha… consapevolmente accettato di soffrire… e questo lo ha liberato dall’influsso del mio cosmo…"
Con un tonfo sordo Agonia cadde a terra, mentre già Andromeda correva verso Colpa.
"Cristal! Rialzati, Cristal! Nebula Chain!!" gridò, lanciando la sua arma per costringere il nemico ad allontanarsi. Con uno sguardo infastidito, il Flagello si volse verso di lui, lasciando che la catena lo attraversasse innocua.
"Non ti permetterò più di fargli del male!" insistette Andromeda, sferrando entrambe le catene, stavolta non in un attacco diretto ma a circondarlo come una gabbia, al cui interno soffiavano anche i venti della Nebulosa.
"Forse così riuscirò almeno a imprigionarlo!" pensò, ma inutilmente. Con una scrollata di spalle Colpa uscì dalla gabbia semplicemente camminando e passando attraverso le catene come se non esistessero neppure. Con medesimo, seccato distacco centrò il ragazzo all’addome con una sfera verdastra, facendolo barcollare.
"Non sai nemmeno finire un solo avversario, fratello?" domandò in tono di rimprovero.
"Un colpo fortunato, nulla più!" rispose una voce alle spalle di Andromeda, ed un istante dopo un doppio fendente a croce lo centrò alla schiena, spaccando l’armatura e facendolo crollare a terra.
Con la coda dell’occhio, l’eroe vide Agonia torreggiare su di lui, con appena qualche crepa sulla Veste Cinerea. "Sei… sopravvissuto al Nebula Chain… alla massima intensità aveva sconfitto Apopi con un colpo solo…" esclamò.
"Uh uh, ti sorprende? Non sono un misero Imperatore io, ben altro è necessario per sconfiggermi!" esclamò, colpendolo alla tempia, proprio mentre Colpa lo centrava al fianco già malridotto. Sputando sangue, il Cavaliere crollò a terra.
"Non… non ho la forza di sconfiggerli entrambi…" pensò.
In quel momento, cristalli di ghiaccio e fiocchi di neve comparvero attorno a tutti loro, scendendo delicati a imbiancare il pavimento e le armature. I Flagelli si bloccarono, Agonia sbuffò infastidito.
"Cristal!!" sorrise Andromeda sollevato, alzando la testa per vedere l’amico di nuovo in piedi ed avvolto nel suo cosmo, le braccia sollevate pronte a colpire.
Poi il Cigno le abbassò, e l’espressione di Andromeda mutò radicalmente: il bersaglio non erano i Flagelli, ma lui stesso.
"Cristal, ma che cosa…"
"Aurora del Nooord!!!" tuonò il guerriero, travolgendolo con il pieno impeto dei ghiacci. Nell’ululare dei venti, le urla di Andromeda scomparvero.
***
"Andromeda!" esclamò Phoenix, bloccandosi di colpo. "Il suo cosmo sta per svanire… ma colui che lo ha attaccato…"
"Phoenix!" lo chiamò Sirio, riportandolo alla realtà ed indicando oltre gli alberi. Seguendo il suo sguardo, il Cavaliere della Fenice vide le mura del castello di Oberon.
"Siamo arrivati finalmente!" pensò, ansioso di correre in aiuto di Andromeda.
Senza esitare i due uscirono dagli ultimi alberi, attraversando di slancio lo spiazzo antistante il maniero. Lì però si fermarono di nuovo: riverso a terra, immobile e circondato da un lago di sangue, giaceva Pegasus.
"Cavaliere!!" gridò Dragone, correndo verso l’amico e chinandosi accanto a lui. Delicatamente lo sollevò e capovolse, facendo attenzione a percepire quel che restava del cosmo, insieme al flebile battito del suo cuore.
"E’ vivo!" sorrise alla fine, iniziando a scuoterlo per svegliarlo.
"Forse… dovremmo proseguire…" suggerì Phoenix, con lo sguardo fisso sul castello. Sirio però scosse la testa. "Soltanto uniti possiamo avere una speranza di sconfiggere Erebo, e se lo lasciassimo qui sarebbe troppo vulnerabile!"
Phoenix sapeva che l’amico aveva ragione, ma comunque esitò. Intuendo la ragione del suo timore, Dragone sorrise "Questa guerra è diversa dalle altre che abbiamo combattuto in passato. Stavolta non sappiamo sappiamo quanti nemici ancora guardino la via che conduce ad Erebo. Non possiamo permetterci… di sprecare le poche forze che ci rimangono. Raggiungerlo, solo per crollare esausti, renderebbe vano il sacrificio dei nostri amici ad Asgard! Andromeda saprà sconfiggere chiunque gli stia sbarrando il passo, dovresti sapere meglio di chiunque altro che il suo spirito non è da sottovalutare!"
Annuendo con più convinzione, Phoenix sospirò e si chinò accanto all’amico.
***
Andromeda riaprì gli occhi, accorgendosi subito del sottile strato bianco che copriva la sua armatura. La memoria di quel che era appena accaduto ritornò prepotente, ed a conferma di tutto Cristal era lì a fronteggiarlo, avvolto nel suo cosmo e pronto al colpo di grazia.
"Cristal! Che ti succede, Cristal?!" gridò, non ottenendo alcuna risposta. Si voltò allora verso Colpa, i cui occhi brillavano sinistramente. "Tutto questo è opera tua! Che cosa gli hai fatto?!"
"Piegato la sua volontà, prendendo il controllo!" rise il Flagello. "Quell’uomo ora mi appartiene, come appartiene alla colpa chiunque si lasci sopraffare dal peso dei suoi peccati, perdendo il contatto con la realtà! Guarda!" esclamò, indicando la sua immagine nell’aria, adesso completamente nera. "Nulla più rimane di lui, è totalmente soggiogato e lo resterà per sempre, perché io sono come un baratro in cui è facile sprofondare ma da cui è impossibile risalire! Non hai che un modo per salvare lui e te stesso: uccidilo!"
Nel fare questa proposta, gli occhi di Colpa scintillarono sinistramente, e per un istante Andromeda sentì dentro di sé l’innaturale tentazione di seguire quel consiglio. Poi comprese, e lanciò rabbiosamente la catena contro il nemico.
"Vile! Sai che non potrei mai perdonarmi un atto del genere! Vuoi prendere il controllo anche su di me!"
"Forse… ma non hai altra scelta!" ridacchiò Colpa. Nello stesso momento un vortice di aria gelida travolse Andromeda, scaraventandolo a terra mentre Cristal avanzava minaccioso.
Accanto al fratello, Agonia si incupì. "Permettimi di finirlo, oppure dagli tu il colpo di grazia, ma non prolungare la battaglia!" avvertì, in un tono che fece girare l’altro incuriosito.
"E’… paura, quella che sento nella tua voce?"
"No! No di certo! Ma questo Andromeda è diverso dagli altri esseri umani! Il suo spirito è puro, ed è stato a contatto con gli Dei: ha saputo liberarsi dall’influsso del mio cosmo! Potrebbe fare lo stesso con il tuo, non correre rischi!" insistette, muovendo poi un passo verso il Cavaliere. Colpa però lo fermò poggiandogli una mano sulla spalla.
"Non esiste via scampo dal mio potere. Smetti di preoccuparti e mira lo spettacolo di due amici che si uccidono a vicenda!" esortò, guardando Cristal travolgere di nuovo l’amico con la Polvere di Diamanti.
Andromeda sbatté a terra con la fronte, fortunatamente protetta dall’elmo. "Devi svegliarti amico mio, puoi scacciare il suo influsso malefico!" esclamò, solo per accorgersi che gli Anelli del Cigno si stavano già chiudendo attorno a lui.
"Catena, disponiti a difesa!" gridò allora, disperdendoli subito. In tutta risposta Cristal serrò di nuovo il pugno. "Polvere di Diamanti!"
Il getto di aria ghiacciata si abbatté sulla catena e parve venire disperso, ma un attimo dopo Andromeda si accorse che il vorticare della sua arma stava rallentando, e contemporaneamente avvertì un mancamento a causa del freddo improvviso.
"Il gelo del cosmo di Cristal è troppo intenso! Se continuo a tergiversare mi ucciderà… però…" pensò, in preda al dilemma. Nello stesso momento, il Cigno congiunse le mani sopra la testa, facendo comparire un’anfora di energia cosmica.
"Quella posa?!" la riconobbe il giovane "Difendimi, catena!!"
"Per il Sacro Acquarius!!"
Rallentata dal freddo e inibita dalla mancanza di spirito combattivo di Andromeda, la catena non riuscì a resistere all’impeto dei ghiacci. Il Cavaliere venne travolto in pieno e scagliato contro la parete, l’armatura coperta da uno strato bianco sempre più spesso.
"Brucia… mio cosmo!" esclamò allora, liberando le sue energie e sciogliendo i ghiacci prima che lo bloccassero del tutto. Lo sforzo però fu eccessivo e, allo stremo, crollò a terra.
"Cristal…" sussurrò, vedendo il compagno avanzare verso di lui, gli occhi vuoti, il cosmo acceso e pronto al colpo si grazia. Non c’era traccia di vitalità in lui. Era un nemico ormai, e come tale la catena lo percepiva, agitandosi e puntandolo pronta a colpire. Improvvisamente si ricordò di quel che era accaduto sull’Olimpo, nel tempio di Hades. Del modo in cui il Dio lo aveva manipolato, aizzandolo contro Pegasus e Dragone. Solo un miracolo gli aveva permesso di liberarsi. Cristal sarebbe stato altrettanto fortunato?
"Che debba… che debba dunque finire così? Dovrò sacrificare un amico per vincere questa battaglia?" si chiese, chiudendo gli occhi disperato. Cristal mosse un altro passo, e la catena di attacco schizzò verso il suo viso.
"É mio!" sorrise Colpa, gli occhi scintillanti che già pregustavano la vittoria.
"No! Pegasus e Sirio non mi abbandonarono quel giorno, altrettanto farò io!"
Con un gesto improvviso, talmente repentino da ferirsi al polso, Andromeda riaprì gli occhi ricolmi di lacrime e fermò la catena di attacco, lanciando contemporaneamente quella di difesa attorno a sé ed a Cristal, ad erigere un mulinello che li isolò dal mondo esterno.
"Che vuol fare?" si chiese Agonia.
"Forse crede di poter spezzare il mio controllo sul Cigno nascondendosi lì dentro. Se è così è più folle di quanto sembri, il mio dominio è totale!" rispose Colpa.
A conferma di queste parole, all’interno del vortice Cristal sollevò liberò un getto di aria gelida verso le gambe dell’amico di un tempo. Urlando di dolore, Andromeda sentì il freddo penetrare attraverso l’armatura e vide uno spesso strato di ghiaccio imprigionarlo, bloccandolo dalle cosce in giù.
Ma non se ne curò.
Con un gesto lento e deliberato si sfilò l’elmo, lasciandolo cadere a terra con un clangore sordo. Poi i coprispalla e il pettorale, la cintura ed il bracciale destro, lasciando solo quello sinistro per continuare a tenere in vita il vortice.
Inerme, con solo la maglietta lacera indosso, allargò entrambe le braccia, guardando negli occhi Cristal. "Se intendi obbedire al volere di Colpa sferra pure adesso i tuoi attacchi: non mi difenderò!" esclamò.
Apparentemente sordo, il Cavaliere del Cigno alzò entrambe le mani sopra la testa, concentrando ancora una volta il suo cosmo. Anziché distogliere lo sguardo però Andromeda continuò a fissarlo.
Per un attimo gli parve che qualcosa negli occhi vitrei dell’amico stesse lottando per riemergere.
Poi le braccia si abbassarono, ed il Sacro Acquarius si abbatté sull’inerme Cavaliere, il cui corpo si mutò in cristallo ed esplose in pezzi.
***
"Aaah!!!" gridò Pegasus, aprendo gli occhi di scatto. Il viso era madido di sudore, il cuore palpitava. "Andromeda! Cristal ha…" balbettò incredulo.
"Pegasus! Hai ripreso i sensi!" esclamò una voce accanto a lui.
Tornando in sé, il ragazzo vide Sirio, ed alle sue spalle Phoenix, con i muscoli del collo tesi ed il viso rivolto al castello.
"Era solo un incubo…" pensò. "Eppure sento che qualcosa di terribile sta accadendo! Il cosmo di Cristal è pervaso dalle tenebre!"
"La battaglia infuria, dobbiamo andare! Ce la fai a camminare?" gli chiese Dragone.
Stringendo i denti, Pegasus cercò di rialzarsi, solo per crollare due volte, ancora esausto per la battaglia contro Violenza. Alla fine Phoenix e Sirio lo sollevarono di peso, ed insieme i tre varcarono l’ingresso del castello.
***
Portandosi una mano alla fronte, Cristal barcollò. Per un instante Andromeda aveva creduto che lo avrebbe davvero ucciso, ma all’ultimo momento, per un secondo appena, i suoi occhi erano tornati normali abbastanza da fargli indirizzare l’attacco nel vuoto alle spalle del compagno. Anche il ghiaccio che bloccava le sue gambe era andato in pezzi, improvvisamente privo di un cosmo a sostenerlo.
Adesso però l’oblio stava riprendendo il sopravvento. Comprendendo che probabilmente questa sarebbe stata la sua unica possibilità, Andromeda corse dall’amico, afferrandogli la mano.
"Ascolta! E’ l’influsso di Colpa a controllarti! La malvagità del suo cosmo ti sta influenzando, piegando al suo volere! Ma puoi sconfiggerlo, non lasciarti influenzare da lui!" disse con trasporto.
"Abadir, Acquarius, Flare… la mia vita… è stata una sequela di errori… l’unico modo in cui posso porvi rimedio è obbedire al suo volere…" rispose il guerriero, parlando con voce atona, distaccata. Era evidente che non intendeva davvero quelle parole, ma la stretta di Colpa su di lui era forte. Con uno scatto improvviso liberò la mano da quella dell’amico, stringendo di nuovo il pugno ed espandendo il suo cosmo.
Il gelo investì Andromeda, troppo debole per ucciderlo ma sufficiente a farlo crollare in ginocchio ora che non indossava l’armatura. Tremante, con la condensa che usciva dalla bocca, il sangue sulle labbra che si ghiacciava, rialzò la testa, continuando a guardare l’amico negli occhi.
"No! Le colpe che credi di avere sono solo menzogne! Tu hai sempre combattuto in nome della giustizia, rischiando la vita per i deboli e gli innocenti! Il tuo Maestro, Acquarius, Abadir sono caduti vittime dell’oscurità o delle loro scelte di campo. Lottando per ciò in cui credevano! Quante volte i loro spiriti ti hanno sostenuto in battaglia? Quante volte l’armatura dell’Acquario o lo spirito del Maestro dei Ghiacci sono giunti in tuo soccorso? È l’agire di chi serba rancore questo, o di chi prova ancora affetto? Chiediti solo questo e avrai la risposta che cerchi!"
Il ragazzo barcollò all’indietro. Il controllo di Colpa gli impediva di ascoltare le accorate parole di Andromeda, ma non poteva impedirgli di sentirle.
"Mia madre… io l’ho condannata… l’ho costretta a partire su quella nave… se non fosse stato per me…" balbettò.
"Come puoi averla costretta, eri solo un bambino! E ci hai raccontato tu stesso quel che accadde, fu lei a voler partire! Colpa sta modificando i tuoi ricordi per piegarti al suo giogo, ma non è come dici! Ascoltami, ti prego!"
Cristal cercò di girare la testa, ma Andromeda gliela afferrò con entrambe le mani, obbligandolo a guardarlo negli occhi. Poteva quasi vedere la volontà del Cavaliere che lottava per riemergere, sostenuta dalla sua voce, ma il controllo del Flagello era ancora forte.
Gridando di dolore, Cristal lo centrò all’addome con una ginocchiata, aprendogli un taglio con il bordo dell’armatura. Un altro pugno al mento lo gettò a terra, con copiosi rivoli di sangue che scorrevano dagli angoli della bocca.
"Devo… rimediare… ai miei… errori…" sussurrò, alzando il pugno. Il braccio tremava a mezz’aria, prova evidente dell’agitazione nel suo cuore, ma leggendo i suoi occhi Andromeda si accorse che il cosmo di Colpa stava riprendendo il sopravvento.
Fu allora che un bagliore colse il suo sguardo. Uno scintillio che nessuna fonte di luce avrebbe dovuto generare, ma che proveniva dall’anello di ghiaccio sull’anulare del ragazzo.
"Flare ti aspetta ad Asgard! Guarda quell’anello! Guardalo!" esclamò "Ricorda la gioia nei suoi occhi durante la cerimonia nuziale! Era lo sguardo colmo di disprezzo di chi odia? No! Erano occhi colmi di amore e speranza nel domani! In un domani che avreste costruito insieme! Ricorda quegli occhi, ricordali, e lascia che sia il tuo cuore a soppesare le colpe che dici di avere!"
"F… Flare…" balbettò Cristal, chiudendo gli occhi e vacillando. Con uno sforzo supremo richiamò a sé le immagini di poche ore prima, il sorriso della fanciulla nell’accettare la sua proposta, la gioia sull’altare, la tristezza nel vederlo partire.
"Non il disprezzo di chi odia, ma l’amore di chi ama!" gridò a gran voce, facendo esplodere il suo cosmo.
All’esterno, Colpa fissò sbalordito l’avatar del nemico. Un unico, minuscolo puntino bianco in corrispondenza del suo cuore si stava improvvisamente allargando, cancellando qualsiasi traccia di oscurità. E contemporaneamente la figura, vessata e in ginocchio, si rialzava fiera e libera da ogni peso.
"Non è possibile, ha scacciato il mio influsso!! Come può essere?! Nessuno, ne uomo né dio, è mai sfuggito alle maglie della colpa!" esclamò incredulo.
"Non avevano una persona amata da cui tornare, o un amico sincero a sostenerli!" tuonò Cristal, mentre la catena di difesa si disperdeva. Il suo cosmo brillava immenso, neve e fiamme lo circondavano, e le braccia erano congiunte sopra la testa.
Guardandolo, Colpa indietreggiò spaventato di un passo.
"Per il Sacro Acquarius: Scintille nella Bufera!!"
"Allontanati!" urlò Agonia, spiegando le ali e volando verso il soffitto.
Immobile per la sorpresa, il fratello fissò l’immagine di Cristal a mezz’aria, accorgendosi terrorizzato che ormai era completamente bianca. "E’ privo di ogni traccia di colpa, le sue tecniche possono ferirmi!" esclamò, incrociando le braccia.
Un momento dopo, le Scintille lo travolsero con un’esplosione devastante. La Veste Cinerea andò in frantumi in più punti, ed il suddito di Erebo venne sbalzato contro la parete, sbattendo con tanta forza da farla quasi crollare.
"Un nuovo colpo segreto?" gli sorrise stancamente Andromeda, ancora a terra.
"Come te a quanto pare!" rispose l’amico, indicando la catena a tratti ancora avvolta dal vento. Poi la sua espressione si fece dura e tornò a fissare il Flagello, che si stava in qualche modo cercando di rialzare, coperto di ferite da cui usciva un fumo nerastro.
"E’ degno della sua fama, le Scintille che avevano annientato Fenrir lo hanno solo ferito! Ma ora che finalmente posso colpirlo il Sacro Acquarius lo finirà!" esclamò, scagliando il colpo segreto del Cavaliere dell’undicesima casa.
Troppo malconcio per difendersi già da un nuovo assalto, Colpa rimase immobile, con gli occhi spalancati di fronte al getto di aria ghiacciata che stava per abbattersi su di lui.
Improvvisamente però un vento tagliente come la lama di una spada investì il colpo di Cristal, disperdendolo. Per una volta privo del tradizionale sorrisetto, Agonia atterrò dinanzi al fratello, avvolto nel suo cosmo nero.
"Avresti dovuto ucciderli quando te l’ho detto! Ora fatti da parte, mi occuperò io di loro. Sono esausti e feriti, non sarà difficile!" lo criticò, dandogli le spalle ed agitando gli aculei in direzione dei Cavalieri.
Per qualche istante Colpa lo fissò immobile, considerando il più probabile risultato della battaglia imminente. Poi i suoi occhi si chiusero in fessure crudeli, e gli si avvicinò alle spalle. "Quanta solerzia, fratello! Ma è giusto… dopotutto è a causa tua che hanno ribaltato le sorti della battaglia…" sussurrò, poggiandogli una mano sulla spalla.
"Che cosa?!" esclamò Agonia voltandosi perplesso, solo per vedere il fratello sorridere sinistramente.
"Hai permesso ad Andromeda di sfuggirti, e lui a sua volta ha salvato Cristal! Se lo avessi ucciso subito anziché tergiversare per soddisfare il tuo sadismo, la vittoria sarebbe già nostra adesso. Rimedia ponendo fine alla loro vita, o deluderai Guerra e il sommo Erebo fallendo l’incarico che ti hanno affidato! Rimedia, così potrai smettere di sentirti… in colpa!"
"Fra… tello…" balbettò Agonia, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. "Che stai facendo? Io… sono il Flagello del dolore… non so cosa sia… colpa…"
"Ti sbagli. Tutte le creature viventi conoscono la colpa!" rispose sardonicamente l’altro.
Troppo lontani per udire i loro sussurri, Cristal e Andromeda li osservarono dubbiosi. "Stanno… preparando qualcosa!" disse il secondo, issandosi faticosamente su un gomito e allungando la mano verso il bracciale con la catena d’attacco.
"Non importa! Anche troppo siamo stati vittime del loro giogo! Liberi dagli influssi del loro cosmo è tempo di finirli, con questo colpo! Scintille nella Bufera!!" gridò Cristal.
Ma, nello stesso momento in cui abbassò le braccia, Agonia si girò di scatto e, spiegando le ali, saettò verso di loro, volando direttamente contro i cristalli del Cigno.
"E’ un attacco suicida!" comprese Andromeda con orrore.
"E’ troppo vicino!" realizzò Cristal, memore della potenza esplosiva del suo stesso colpo segreto, ma nel contempo incapace di fermarlo. Agì in una frazione di secondo: guardando terrorizzato l’amico privo di armatura, si gettò su di lui con un balzo, afferrandolo per il braccio e lanciandolo via. Poi avvolse le ali attorno a sé per ulteriore protezione e si preparò a saltare a sua volta, ma in quel momento un dolore accecante lo fece urlare in agonia, e subito dopo l’esplosione lo travolse.
Lo schienale andò quasi in pezzi insieme alle ali, ustionando in più punti la schiena sottostante ed aprendo squarci sanguinanti, ma per sua fortuna il grosso dell’attacco investì Agonia, la cui Veste Cinerea, già danneggiata dai colpi di Andromeda e mandata allo sbaraglio priva di difese, crollò in frantumi. Ciononostante, il contraccolpo, e la misteriosa ondata di dolore, furono tali da spingere rovinosamente il Cigno a terra, scavando un solco tra i detriti del salone ormai pericolante.
Quando cercò di rialzarsi, agonizzante e tossendo sangue, il piede di Colpa gli calò sulla nuca, spingendolo di nuovo a terra.
"Solo perché uno di voi ha annullato l’influsso del cosmo di un Flagello, non significa che entrambi ne siate diventati immuni!" ridacchiò, superandolo e guardando il cadavere di Agonia. Ora che la Veste Cinerea era andata in pezzi, le sue carni si erano mutate in fumo nerastro e si stavano rapidamente dissolvendo.
"H… hai sacrificato… il tuo stesso fratello…" mormorò Cristal, che aveva notato l’espressione nei suoi occhi durante quell’atto suicida.
"Affatto… gli ho risparmiato il senso di colpa che un fallimento avrebbe generato, è stato un atto di pietà!" sibilò, calciando altre due volte e poi alzando la mano per finirlo.
In quel momento la catena di Andromeda saettò su di lui, attraversandolo innocua ma riuscendo almeno a distogliere la sua attenzione ricordandogli la presenza del secondo nemico.
Vedendo il giovane Cavaliere ancora steso a terra e memore del modo in cui Cristal lo aveva salvato, i suoi occhi scintillarono sinistramente.
"Mi hai umiliato, sfuggendo al mio controllo, e per questo meriti di soffrire! Ucciderò il tuo amico davanti ai tuoi occhi, e sarà colpa tua, perché per aiutare te si è ridotto in queste condizioni! Sprofonderai in Ade accompagnato dal rimorso eterno!" minacciò, scivolando verso Andromeda e attraversando senza problemi le maglie della catena di difesa.
"No! Non farlo!" gridò Cristal, rialzandosi con uno sforzo supremo e cercando di richiamare le forze per un ultimo attacco. Il Flagello però era adesso vicinissimo all’amico, che stranamente sembrava non provare neppure ad allontanarsi. "Colpisci me ed ucciderai anche lui! Potresti vivere con questo senso di colpa?" lo derise.
Cristal si sentì venir meno. Aveva a stento abbastanza energia per un altro attacco solamente, e le Scintille nella Bufera erano le uniche che avrebbero potuto uccidere il nemico, ma Andromeda ne sarebbe stato sicuramente travolto e, privo di armatura, annientato. Questo avrebbe di certo rinfocolato il suo senso di colpa, rendendogli di nuovo impossibile combattere il Flagello.
Con un solo gesto, il seguace di Erebo li aveva messi entrambi sotto scacco e, consapevole di ciò, ora ridacchiava soddisfatto.
"Non esitare, amico!" esclamò in quel momento Andromeda. Sbalordito, il Cigno si accorse che anche il compagno stava sorridendo. "Lancia il tuo colpo segreto e non temere! Abbi fiducia in me!"
"Sei impazzito?! Vuoi morire per lui?!" domandò incredulo Colpa, ma Andromeda lo ignorò, guardando Cristal negli occhi.
Dopo un attimo di esitazione, il guerriero dei ghiacci annuì e fece esplodere quel che restava del suo cosmo, materializzando i cristalli dagli ardenti riflessi.
"Sciocco! Sacrificando il tuo amico ricadrai nelle mie mani, il tuo colpo segreto non funzionerà!" gridò il Flagello, ma ora c’era paura nella sua voce.
"No, non lo sacrificherò: mi fiderò di lui affidandogli entrambe le nostre vite! Non c’è colpa in un tale atto!" rispose fieramente l’eroe. "Andromeda, tutto è in te ora! Scintille nella Bufera!!"
Nel vedere il colpo segreto, Colpa mosse un passo verso Andromeda, deciso a portarlo con sé se necessario, ma in quel momento anche il cosmo dell’altro Cavaliere avvampò, accompagnato da un vortice di vento.
"Nebula Chain, disponiti a spirale!!" gridò, lanciando la propria arma non contro il Flagello, ma contro le Scintille di Cristal.
"Che follia è mai questa?!" esclamò Colpa. Di fronte ai suoi occhi la catena, anziché scontrarsi con i ghiacci fiammeggianti del Cigno, li avvolse in un vortice, un vero e proprio tubo la cui altra estremità si avvolse attorno lui.
"Il vento… sta controllando i ghiacci, incanalandoli lungo la catena ed impedendo loro di esplodere! Andromeda vuole contenere l’esplosione!" comprese Cristal spalancando gli occhi.
"Vengono… verso di me!" disse terrorizzato Colpa, cercando di uscire dalla spirale della catena.
Ma era troppo tardi: le Scintille nella Bufera si abbatterono devastanti su di lui, con una deflagrazione che mandò in pezzi la Veste Cinerea e le sue carni, facendolo urlare di dolore. La spirale della catena si gonfiò pericolosamente, ma come Andromeda aveva previsto la forza del vento contenne l’esplosione, proteggendolo dall’onda d’urto nonostante si trovasse a pochissimi metri di distanza.
Quando l’impeto del colpo segreto di Cristal si fu esaurito, del cosmo del Flagello non c’era più traccia.
"Ci siamo riusciti! Colpa è caduto!!" gridò raggiante Andromeda ritirando la catena, e sorridendo a Cristal che barcollava trascinandosi verso di lui.
"Sì! Abbiamo sconfitto due Flagelli!" annuì felice l’altro.
In quel momento, nel corridoio riecheggiarono delle voci. "Cristaaal!! Andromedaaa!!"
"Fratello!" riconobbe il ragazzo, vedendo gli amici comparire in lontananza. "Pegasus, Sirio!!"
"Avete vinto!" sorrise sollevato il Cavaliere della Fenice.
***
"Anche Agonia e Colpa sono sconfitti…" mormorò incredulo Guerra nel sentire le aure dei fratelli che si dissolvevano.
"Una vera… disgrazia" commentò con distacco Morte, prima di concedersi l’ombra di un sorriso "Ma possono ancora esserci utili…"
Immenso, il suo cosmo si innalzò.
***
"Stai bene, fratello?" chiese Phoenix, piegandosi verso Andromeda mentre Sirio e Pegasus raggiungevano Cristal.
Prima che il ragazzo potesse rispondere, una gigantesca aura mortifera invase il salone.
Come in risposta ad un ordine, il fumo nerastro che emanava dai resti di Colpa, e che si stava disperdendo nell’aria, tornò a concentrarsi, assumendo le sembianze di un demone dagli occhi verdi e saettando verso il Cavaliere della Fenice, ancora chino sul fratello.
"Attento, Phoenix!!" gridò Andromeda, alzandosi di scatto e spingendolo a terra con il proprio peso.
E venendo trapassato dallo spirito al posto suo.
Un momento dopo, di fronte agli occhi inorriditi di Phoenix e degli altri Cavalieri, Andromeda si schiantò a terra e giacque immobile.
"Il suo cosmo… è improvvisamente scomparso…!!" balbettò Pegasus.
"Il cuore… il cuore non batte più!!" aggiunse con gli occhi sbarrati Phoenix, poggiandogli una mano sul petto.
"Andromeda… è morto?!"
***
"I Cavalieri dello Zodiaco! Dunque Zeus aveva ragione, sono loro gli uomini della profezia!" esclamò Erebo, fissando torvo le Strane Sorelle.
"Coloro che vivono tra la luce e l’oscurità…"
"… nati dalla terra…"
"… e con i pugni tesi verso il cielo…"
"Hanno sconfitto Nettuno ed Hades…"
"… conquistato l’Olimpo…"
"… respinto Oberon…"
"Resterai ad attenderli mentre portano il tuo regno alla rovina?"
Gli occhi di Erebo scintillarono sinistramente, chiudendosi in sottili fessure minacciose.
"Arpie! Non cadrò vittima dei vostri inganni come Zeus o Odino! Le vostre profezie sono arme dalla doppia lama, ogni atto volto ad impedire il loro svolgimento le porta più vicine!" ringhiò, indicando il trono con i resti di Oberon, i cui occhi vitrei adesso sembravano fissarlo. "Questo è il fato di chi ascolta i vostri velenosi consigli!"
Se questa reazione le turbò, le Sorelle non diedero a vederlo.
"Una saggia constatazione, Ombra tra le ombre…"
"… ma quando le ruote del destino sono in movimento…"
"… non far nulla non equivale a sua volta ad agire?"
"Se noi non fossimo comparse qui…"
"… saresti andato ad uccidere quei Cavalieri…"
"… o li avresti lasciati ai tuoi servitori?"
"Le vie del nostro signore Fato sono infinite…"
"… neppure noi, suoi figli e servitori…"
"… possiamo prevederne le infinite diramazioni…"
"Azione o reazione…"
"… scelta o risposta…"
"… volontà o obbligo…"
"Distinguerli è difficile, signore dell’oscurità. Tanto per occhi mortali quanto per quelli immortali…"
"Possono i tuoi varcare i veli del nostro signore?"
"Scrutare le infinite possibilità?"
Le voci cantilenanti delle Strane Sorelle si sovrapposero, rendendo difficile pensare. Vi era del vero nelle loro parole: perché si era ritirato nella fortezza di Avalon? Perché non aveva condotto l’assalto finale dopo aver sconfitto gli Dei? Nel momento del trionfo si era tirato indietro lasciando il campo ai suoi subalterni, non era da lui un tal modo di condurre la guerra.
Sentiva qualcosa frenarlo, una sensazione sfuggente ai confini della sua volontà, ma non riusciva ad afferrarla, e soprattutto non riusciva a distinguere i propri dubbi da quegli instillati dalle tre Sorelle.
Poi il suo cosmo avvampò, nero come la notte più profonda che gli aveva dato i natali. "Non importa! Che giungano loro fino a me o che vada io da loro la loro sorte è la medesima! Per mano mia, che già una volta li ho sprofondati nell’oblio, quei Cavalieri cadranno! Il mio potere è invincibile! Nessuno può opporsi a me!" proclamò.
Le tre Sorelle si scambiarono un’occhiata consapevole.
"Eppure… un tempo qualcuno lo ha fatto…"
"… una creatura della luce…"
"… rifulgente nelle tenebre!"
Gli occhi di Erebo si spalancarono. "Emera!"
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
Il Signore degli Inganni
Sul piazzale di Asgard, oltre le mura in rovina, oltre le strade dove mortale infuriava la battaglia, ai piedi della statua di Odino, Loki, signore degli inganni, allargò maestoso le braccia al cielo, ridendo a squarciagola di fronte allo sguardo sconvolto del morente Mime, riverso a terra in una pozza di sangue.
Indossava un’armatura verde ed oro, brillante come una pietra preziosa e ricoperta di fregi. Attorno ai polsi e alle caviglie vi erano grossi anelli d’oro a memoria delle catene con cui un tempo Odino lo aveva imprigionato, condannandolo alla tortura del veleno ustionante di una vipera, la cui testa era adesso incisa a rilievo sui grossi coprispalla semicilindrici. Sulla cintura era impressa la runa simbolo di giustizia, capovolta in segno di suprema derisione. Drappeggiato sotto i coprispalla indossava un mantello grigio cenere.
Continuando a ridere, il Dio che tutti credevano morto secoli prima, nella grande battaglia in cui erano periti Thor e la maggior parte delle divinità di Asgard, schioccò le dita. Un elmo dalle corna d’oro ritorte e con una lunghissima coda di cavallo bionda gli comparve sul capo, mentre il suo cosmo si innalzava su tutta la città, paralizzandone per un momento i difensori.
"E’ il cosmo di un Dio!" esclamò Scorpio incredulo. "Un Dio ostile!"
"Proviene… dalla statua di Odino!" notò Ilda, muovendo istintivamente un passo in quella direzione, ma poi fermandosi a guardare la battaglia che infuriava. Il dilemma era evidente: gli uomini, già schiacciati sotto il peso dell’esercito di Hela, avevano bisogno della sua guida, ma la presenza di un altro nemico nel cuore di Asgard non poteva essere ignorata, specialmente perché il suo intento era palese: il tesoro ai piedi della statua di Odino, l’armatura del Dio.
"Vada!" gridò in quel momento Libra, facendosi largo per raggiungerla insieme a Toro. Barcollava vistosamente ed era coperto di ferite, ma lo sguardo ed il tono non nascondevano dubbi. "Se è l’armatura, o peggio la spada Balmung che vogliono, non possiamo permettere che cada nelle loro mani! Toro la accompagnerà, io cercherò di tenere unito il fronte il più a lungo possibile!"
Il Cavaliere della seconda casa guardò con amarezza in direzione del punto in cui Mur era caduto, visibilmente desideroso di vendicarlo, e per un istante sembrò sul punto di obiettare. Poi però chinò il capo in segno di assenso.
Il cuore di Ilda si ribellò all’idea di mettere in pericolo un alleato già così duramente provato, ma la mente, lucida pur nella furia della battaglia, riconobbe la saggezza del suo piano. Lentamente, anche lei annuì.
"Verrò anch’io!" esclamò Syria, allontanando un nemico con un colpo del flauto. "Mime è in pericolo, il suo cosmo sta svanendo!"
"No!" intervenne però Scorpio. "La tua melodia è capace di raggiungere più nemici contemporaneamente, c’è bisogno di te qui! Andrò io con loro!"
"Mime è mio allievo, Cavaliere! Come posso restare…" iniziò a protestare il musico, ma, imperiosa, la voce di Ilda lo fermò.
"Scorpio dice il vero, non possiamo lasciarci distrarre da desideri personali. Le tue abilità sono necessarie qui adesso! Mizar è ancora svenuto, i cosmi di Artax e Mur sono scomparsi, Thor è impegnato oltre le mura e sembra che anche Orion e Ioria stiano affrontando un Comandante! Tu e Libra dovete mantenere salda la linea a tutti i costi!" disse.
Syria esitò ancora per un attimo, ma poi ricordò come, solo pochi minuti prima, Ilda avesse tremato nel percepire il cosmo di Erik raggiungere Flare. Pur desiderando visibilmente andare in aiuto della sorella aveva però mantenuto la propria posizione non appena si era accorta che Mur stava correndo verso il palazzo. "Non ci è concesso… seguire il nostro cuore!" mormorò alla fine. "Resterò!"
Annuendo, Ilda lanciò un’ultima occhiata affranta ai soldati ed alle donne che valorosamente lottavano. "Torneremo… il prima possibile!" disse a Libra, prima di correre verso la statua insieme agli altri due.
Intanto, nella Naglfar reale, Hela, ultima degli Imperatori di Erebo, si alzò di scatto dal trono su cui era seduta, terrorizzando i servitori che la circondavano. I suoi occhi erano come tizzoni ardenti, deformati dalla sorpresa.
"Loki!! Mi hai ingannata! Eri tu Seven Macaw!" tuonò, stringendo il pugno.
Gridando di paura, i servitori lasciarono cadere quel che avevano in mano e corsero negli angoli della sala del trono, coprendosi i volti con le mani in attesa dell’esplosione del suo cosmo.
Un istante dopo però la sua rabbia scomparve, rapida come un temporale estivo, e fu sostituita da un sorrisetto. Apprezzando l’ironia della situazione, Hela scoppiò a ridere, ricadendo sul trono. "Ingannare persino il tuo stesso sangue, e non mi ero accorta di niente! Ben giocato, padre!" esclamò, contattandolo telepaticamente. "Da quanto tempo?"
Ai piedi della statua Loki sorrise a sua volta, con l’espressione tipica di chi rivela un trucco che la folla ha gradito. "Da sempre… il povero Seven Macaw non ha mai lasciato le sue terre. Un tale spreco di divinità, ucciderlo è stato meno di un fastidio…"
"Ah ah ah ah! Vivere per tutto questo tempo sotto false spoglie, davvero degno di te! Avrei dovuto immaginare che Odino non avrebbe mai potuto ucciderti!" rise ancora Hela. Poi però si fece seria "Hai intenzione di ribellarti al sommo Erebo?"
"E se così fosse? Mi combatteresti in suo nome?" rispose Loki, mantenendo coperte le sue carte.
Hela però scosse la testa. "Non hai certo cresciuto una suicida! Sarei folle ad oppormi a te, so bene che non ti faresti scrupoli ad annientarmi!" disse, prima di aggiungere "Ma neppure ti aiuterò. Porta avanti i tuoi disegni come più ti aggrada, io mi faccio da parte! Che alla fine sia tu o Erebo ad uscire vincitore poco importa, il mondo cadrà comunque nel caos!"
"E tu potrai affiancare il più forte senza timore di punizioni o tradimenti da dover lavare via…" notò Loki, scoppiando a ridere a sua volta. "Mai schierarsi finché non si è certi su chi sarà il vincitore, proprio come ti ho insegnato! Sei davvero la mia degna figlia! L’unica in grado di capirmi, ben diversa quel patetico selvaggio di Fenrir o quell’inutile mezzo gigante di Jormungander!"
"Tsk, i miei fratelli non spiccano certo in astuzia. O meglio, non spiccavano, i loro cosmi si sono spenti tra le nebbie di Avalon!" notò Hela.
"Misera perdita… forse mi avrebbero seguito o forse avrei dovuto ucciderli, molto meglio che siano stati altri a farlo!" rispose il figliastro di Odino con una scrollata di spalle. "Che ne è degli ultimi Dei di Asgard?"
"Freja soltanto rimane, ricacciata nelle profondità del Valhalla con quel che resta delle sue sparute difese. Darle la caccia è un piacere che gusterò dopo la vittoria!" sorrise maliziosamente la fanciulla.
"Sadica!" commentò Loki, la bocca ricurva in una smorfia di approvazione. Poi tornò a girarsi verso l’armatura di Odino "E’ tempo che torni ai miei disegni, figlia! Ci rivedremo quando siederò sul trono di Erebo, attenderò con impazienza i tuoi omaggi!"
"Oppure tra le lande di cui io sono sovrana…" pensò la signora di Hela, senza però dar voce a quel commento.
Interrotta la comunicazione telepatica con la figlia, Loki fissò lo sguardo sull’armatura di Odino.
Era proprio come la ricordava, come l’aveva vista da bambino, millenni prima quando il Dio lo condusse per la prima volta al Valhalla dopo aver ucciso Laufey. La spada Balmung brillava flebilmente al suo interno, l’elsa rivolta verso il cielo, ovvero verso Asgard, il primo e più sacro dei nove regni, dimora degli Dei che brandivano il creato. La lama con la punta verso il basso, ovvero Mullespheim, il regno del fuoco da cui sarebbe giunta la fine, trapassando Jotunheim, dove vivono i Giganti, e Svartalfheim degli Elfi Oscuri, fino ad Hel, terra dei dannati, e Niflheim, l’abisso delle nebbie. I lati della guardia a simboleggiare la difesa del regno composta da Alfheim, Vanaheim e Nidavellir. E la parte centrale, il fulcro, rappresentato da Midgard, la terra di mezzo degli esseri umani, così inferiori eppure così cari ad Odino ed alla sua corte.
"La spada Balmung è Yggdrasill stesso!" gli aveva detto un tempo il patrigno. Era dunque perfettamente naturale che ora finisse nelle sue mani, le più avvezze al dominio, le uniche sostenute da una mente abbastanza acuta da contemplare un piano portato avanti per secoli. Le mani che avrebbero ucciso e detronizzato Erebo prima ancora che il suo regno avesse davvero inizio.
Perso in un sogno di conquista, tese avidamente le mani verso l’arma, quando una nota musicale risuonò dietro di lui.
"Non… ti permetterò… di infangarla con il tuo tocco!" esclamò Mime, rialzandosi in qualche modo in piedi nonostante fiumi di sangue grondassero dalla ferita al torace e pizzicando le corde della cetra. "Risuona, Melodia di Requiem!"
Loki sospirò. "E’ la seconda volta che mi interrompi nel momento del trionfo, non ve ne sarà una terza!" Il suo cosmo si accese, disintegrando le corde che si stavano protendendo verso di lui, e soprattutto risalendo verso Mime stesso.
Avvedendosi del pericolo, il Cavaliere lasciò cadere lo strumento, appena in tempo. Sotto i suoi occhi la cetra sembrò avvizzire, diventando nera come il carbone e dissolvendosi in minuscoli frammenti che si dispersero nel vento.
"Sciocco mortale! Credevi che il tuo potere potesse avvicinarsi a quello di un Dio?" lo derise Loki, indicandolo con l’indice. Un raggio di luce, sottile ma devastante, travolse Mime, frantumando completamente il coprispalla destro e parte del pettorale.
Il musico barcollò all’indietro, la vista appannata, il cosmo allo stremo, ma con un ultimo sforzo di volontà riuscì a restare saldo sulle gambe, evitando di cadere. Gli occhi velati di sudore si concentrarono sul nemico, che non aveva innalzato alcuna difesa tanto era certo della propria superiorità. "Devo… resistere!" pensò stringendo i denti.
Quel che restava della sua aura esplose. "Per Asgaaaard!" gridò, lanciandosi all’attacco con una serie di piani di energia.
La decisione di quell’assalto sorprese Loki più della sua forza. I colpi infatti si infransero sulla sua armatura come onde sulla scogliera, soverchiate da un potere superiore. Mime però continuò l’offensiva, tentando di avvicinarsi sempre di più. L’abituale espressione pacata era scomparsa dal suo volto, sostituita da cieca, quasi folle determinazione.
Un conto era combattere altri uomini, invasori agli ordini di Hela ma pur sempre esseri umani. Ma Loki era l’incarnazione stessa del male, il demonio da cui Folken lo aveva messo in guardia, indicandolo come esempio dell’abisso in cui si può precipitare se spinti da smodata ambizione.
"Finché un ultimo alito di vita lo sosterrà, Mime di Asgard non ti lascerà mai attuare i tuoi malvagi disegni!" gridò, raddoppiando i suoi sforzi.
"In questo caso, è bene che Mime di Asgard abbandoni questa terra, i suoi sforzi mi sono giunti a noia!" rispose Loki, aprendo il palmo e liberando un’ondata di energia che dissolse i raggi dell’eroe e si abbatté su di lui. L’armatura della stella Eta andò completamente in pezzi, facendo precipitare il ragazzo al suolo inerme, l’abito bianco zuppo di sangue.
Ridacchiando, Loki fece per girarsi quando la mano del Cavaliere gli afferrò la caviglia, bruciando con le sue ultime energie.
"O… di… no…" mormorò, con gli occhi ormai vitrei.
"Lo rivedrai molto presto!" esclamò il Dio, spezzandogli l’avambraccio con il tacco. Urlando di dolore, il Cavaliere rantolò a terra, ma un attimo dopo il cosmo del nemico lo sollevò a mezz’aria, portando per un istante i loro occhi sullo stesso livello. Poi Loki spalancò i propri, ed un’onda di energia dilaniò le carni di Mime, scaraventandolo indietro a molti metri di distanza.
"Ed ora, muori!" disse, alzando la mano per il colpo di grazia.
In quel momento però tre cosmi saettarono contro di lui: un raggio di energia, un toro d’oro ed aculei scarlatti si schiantarono sull’armatura, senza causargli alcun danno ma obbligandolo ad interrompere l’assalto. Rinunciando per un attimo alla tradizionale espressione malevola, il Dio vide Toro, Ilda e Scorpio in piedi di fronte a lui, pronti alla battaglia.
"Mime!!" gridò Ilda, correndo accanto al moribondo Cavaliere. Le bastò uno sguardo per rendersi conto che la sua nuova vita era ormai agli sgoccioli, già il ben dei sensi lo stava abbandonando.
"Vuole… Balmung! L’ho… trattenuto… più che ho potuto…" sussurrò, mentre la fanciulla annuiva "Ora è tutto… nelle vostre… mani…"
E, con queste ultime parole, Mime di Asgard reclinò il capo sulle braccia della Celebrante e si spense.
Ilda sentì le lacrime gonfiarle gli occhi, ma seppe ricacciarle indietro, alnzando lo sguardo verso il nemico. Solo allora lo riconobbe, e si ritrasse instintivamente di un passo.
"Non è possibile! Loki, il Signore degli Inganni!" esclamò.
"Loki?!" ripeterono all’unisono Toro e Scorpio, scambiandosi uno sguardo preoccupato.
Proprio sul Cavaliere dell’ottava casa erano fissi gli occhi del figlio di Laufey. "Gentile da parte tua venirmi a cercare! Potrò ripagarti dell’umiliazione che mi hai costretto a subire in Grecia!" esclamò malevolo.
"In… Grecia?" ripeté confuso il ragazzo. Poi il suo sguardo cadde sul pugnale d’oro che il Dio aveva agganciato alla cintura ed un lampo di comprensione lo attraversò.
"Tu! Tu l’hai rubato!"
"Certo, dopo che proprio tu me ne hai rivelato il nascondiglio! Forse dovrei ringraziarti dopotutto, in fondo mi hai risparmiato il tempo di cercarlo, e fornito la scusa per allontanarmi senza destare i sospetti di Sigmund! Invero, mi sei stato alleato!" ridacchiò.
"Che significa? Dov’eri tu, e quando ti avrei parlato?!" ringhiò Scorpio.
In tutta risposta, Loki agitò la mano, mutando l’aria nella maschera di Seven Macaw. Comprendendo, il Cavaliere spalancò gli occhi allibito.
"E quanto alla seconda domanda, non hai detto tu stesso ai tuoi alleati dove si trovasse la daga? Istanti prima del nostro arrivo, quando già i miei sensi abbracciavano il Grande Tempio, ormai privo del cosmo di Atena! Non ho dovuto far altro che fingere la sconfitta e scivolare via, raggiungere la sala del trono e impadronirmene! Come ho detto, ti sono grato! Prostati a giurarmi fedeltà e potrei dimenticare i tuoi vecchi torti, in fondo avrò bisogno di un giullare dopo aver conquistato i nove mondi, e persino un essere umano potrebbe andar bene…"
Il Cavaliere strabuzzò a queste parole di scherno, non abituato ad essere l’oggetto dell’ilarità del nemico. Un momento dopo la sorpresa si mutò in collera, il suo cosmo avvampò, l’unghia si mutò in aculeo scarlatto. "Servirti dici? Piuttosto ti condurrò per mano fino alle soglie di Ade! A causa dei tuoi inganni Luxor ed Alcor hanno perso la vita, ed i loro spiriti reclamano vendetta!"
Prima che potesse lanciarsi alla carica però, Toro lo afferrò per le spalle, trattenendolo di forza.
"Sta cercando di provocarti, non perdere la calma! Non è nemico che si possa vincere in preda all’ira!" avvertì Ilda, fissando l’avversario con attenzione.
Loki però scosse la testa. "Errato, non sono nemico che si possa vincere in alcuna circostanza!"
"Vedremo!!" urlò Scorpio liberandosi dalla stretta del compagno. "Cuspide Scarlatta!!"
Quattordici punture solcarono l’aria verso il Signore degli Inganni, senza tuttavia allarmarlo. Piuttosto il suo sguardo era attento, indagatore. "Le battaglie ti hanno temprato! Come quello del musico prima di te, pur allo stremo il tuo cosmo è abbastanza forte da impedirmi di rilanciarti indietro questi colpi! Ma stolto sei a credere che possano scalfirmi!"
Spalancando gli occhi, liberò un’ondata di energia che disperse le cuspidi ed investì il Cavaliere, gettandolo indietro. Con un colpo di reni Scorpio seppe fermarsi e si piegò in avanti per ripartire, ma improvvisamente sentì un doloroso strappo all’addome.
Una delle ferite della battaglia in Scozia si riaprì, iniziando a sanguinare copiosamente tra le crepe dell’armatura. L’erore cadde sussultando e si strinse il fianco, la vista annebbiata ed i sensi sempre più deboli.
Sogghignando, Loki si preparò a colpirlo di nuovo, quando Toro lo bloccò alle spalle, cercando di trattenerlo come meglio poteva.
"Non osare toccarmi, stupido bestione!" disse il Dio in tono di fastidio. Il suo cosmo si accese e Toro ne sentì la forza spingerlo via, bruciando nel contempo le carni sotto l’armatura. Cercò di resistere il più a lungo possibile per dare ad Ilda una possibilità, che la fanciulla provò a sfruttare concentrando la propria aura nella lancia e sferrando un sottile ma letale raggio di luce verso il viso del Signore degli Inganni.
Prima che esso potesse colpire il bersaglio però, Loki bruciò ulteriormente il proprio cosmo. Di una frazione soltanto, ma sufficiente ad annullare il colpo della Celebrante ed a spazzare via Toro, che venne scaraventato per molti metri in aria, prima di ricadere fragorosamente sul bordo del precipizio che separa la statua di Odino dal resto del piazzale.
"Uuh… è come contro Titania, i nostri sforzi sono vani!" pensò, rialzando la testa e pulendosi un rivolo di sangue dagli occhi con il dorso della mano. "Solo un miracolo ed il sacrificio di Kanon ci hanno permesso di sconfiggere la regina di Avalon, ed allora eravamo uniti, e reduci da una sola battaglia! Che speranze possiamo avere soltanto in tre, per di più stremati?!"
Questa considerazione lo colmò di amarezza. Guardò Scorpio, il fiero custode dell’ottava casa, e gli sembrò di vederlo per la prima volta, in ginocchio e moribondo, con appena una scintilla di cosmo a circondarlo, l’armatura in pezzi ed il sangue che filtrava da centinaia di ferite. Abbassò lo sguardo su di sé: le sue condizioni non erano migliori.
Un senso di tristezza lo pervase. Adesso così poco restava dei gloriosi Cavalieri d’Oro, erano talmente lontani i giorni felici del Grande Tempio. Pensò a Mur, il suo più caro amico. Mur il sereno, che aveva trascorso la propria vita in Jamir, e che ora non c’era più, proprio come Kiki, la cui giovanile insolenza più volte lo aveva fatto scoppiare a ridere. Si sentì venir meno, forse per la prima volta nella sua vita avvertì l’abbraccio dello sconforto.
Fu un grido a riportarlo alla realtà. Spinta indietro dal cosmo di Loki, Ilda sanguinava da alcuni tagli alle braccia e alle spalle, ma stava lo stesso tentando di contrattaccare, nonostante l’impresa sembrasse impossibile.
"Non sono titolo o armatura a fare un Cavaliere d’Oro, ma uno spirito indomito nel nome della giustizia!" ricordò il Cavaliere serrando il pugno. Rialzandosi con uno scatto rabbioso, fece esplodere quel che restava del suo cosmo.
"Scorpio, asseconda i miei attacchi!" gridò. "Per il Sacro Toro!!"
"Una bestia da soma per il mio carro trionfale?" lo derise Loki guardando l’animale d’energia, ma poi la sua espressione vacillò. Il colpo segreto infatti non era diretto a lui, ma al suolo ai suoi piedi, che andò immediatamente in pezzi facendogli perdere l’equilibrio.
In quella frazione di secondo in cui il nemico era sbilanciato, Scorpio vide una possibile apertura e concentrò le forze nell’indice, allungando di nuovo l’aculeo scarlatto. "Cuspide Suprema!!!"
Il colpo andò a segno, ma nulla di più. Con una smorfia, il Cavaliere vide la puntura cozzare sull’armatura del Dio e scomparire senza aprire neppure un graffio o una crepa, mentre già Loki ritrovava l’equilibrio fluttuando semplicemente a mezzo metro da terra.
"Per essere guerrieri che già millantano di aver affrontato gli Dei, dimenticate un po’ troppo facilmente con chi avete a che fare, mortali!" ridacchiò.
"Sta… giocando con noi!" comprese Toro stringendo rabbiosamente il pugno. "A te il mio colpo più forte allora! Selvaggia Corrente delle Pleiadi!!"
"Selvaggia questa brezza rinfrescante? Invero non sai di cosa parli!" esclamò, iniziando a far girare l’indice. In una frazione di secondo generò un tornado che non solo annullò il colpo segreto, ma travolse anche il guerriero, lanciandolo in cielo come se fosse un fuscello.
Incerto sulle gambe, Scorpio lo vide precipitare e cercò di correre in suo aiuto. La coda di cavallo dell’elmo di Loki si agitò come se fosse viva, e diversi crini si tesero verso di lui, avvolgendosi attorno alle braccia, le gambe, il torso e la gola. Un cenno del Dio e la morsa si strinse, crepando l’armatura d’oro e raggiungendo le carni sottostanti.
Vedendo il Cavaliere dell’ottava casa urlare di dolore, Ilda vibrò un fendente con la lancia, riuscendo a tranciare i fili che lo imprigionavano. Vagamente seccato, Loki spalancò gli occhi, rilasciando un’ondata di energia cui la fanciulla oppose il proprio cosmo. Per un istante parvero in equilibrio, ma un momento dopo l’aura divina prese il sopravvento, travolgendo sia la Celebrante che il guerriero alle sue spalle e scagliandoli a terra.
Con la forza della disperazione, Toro, appena rialzatosi, si lanciò a testa bassa contro il nemico, cercando di travolgerlo di peso e scontrandosi con la pressione generata dalla sua aura. Con i denti stretti, le sopracciglia aggrottate, i muscoli tesi, il custode della seconda casa si sforzò di avanzare, mentre il pavimento del piazzale si spaccava sotto i suoi piedi.
"Stiamo combattendo per dare una speranza a Pegasus e gli altri! Come potremmo guardarli negli occhi nel paradiso dei Cavalieri se la vittoria su Erebo servisse solo a permettere a costui di dominare il mondo, sostituendo un tiranno con un altro?!" pensò, trascinandosi ancora in avanti.
Il suo cosmo brillava luminosissimo, quasi accecante nel suo scontrarsi con quello di Loki, sollevando lingue di luce d’oro tutt’attorno. Toro sentiva le ossa sul punto di andare in pezzi, i muscoli venire lacerati dalla pressione, ma continuava ad andare avanti. Passo dopo passo, metro dopo metro.
Con uno sforzo supremo di volontà sollevò il braccio, le dita tese a soli pochi centimetri dal viso di Loki, la cui espressione parve contrariata.
"Mi ricordi il mio fratellastro Thor, che ovviava alla mancanza di sagacia con coraggio e determinazione…" ammise. "Vedrò di farti fare la stessa fine!"
Allargando le braccia di scatto, scatenò un’onda di energia che colpì in pieno Toro, frantumando completamente il bracciale destro, il coprispalla e parte del pettorale, sbattendolo a terra in un lago di sangue.
Un secondo colpo abbatté Scorpio. Un terzo, sottile e preciso, trapassò da parte a parte la gamba di Ilda, facendola cadere.
"Per quanto mi diverta giocare con voi, ho un mondo da conquistare" ridacchiò, guardando bramoso l’armatura di Odino e la spada al suo interno.
"A… aspetta!" esclamò Ilda, richiamando la sua attenzione. Cercò di alzarsi in piedi, solo per crollare di nuovo in ginocchio. "Lascia qui Balmung, non ti servirebbe a nulla! Nessuna mano divina può ferire Erebo!"
Loki la guardò curiosamente per diversi secondi, poi un sorriso sarcastico gli comparve sul volto. Con un gesto lento e deliberato sfilò il bracciale destro della sua armatura, rivelando una vistosa cicatrice, come un anello attorno al polso. "Chi ha mai parlato di mano divina?" sussurrò trionfante.
Ilda lo guardò confusa per qualche istante, poi deglutì e spalancò gli occhi. "E’ la mano… di un essere umano!"
"Un sacrificio disgustoso ma necessario in nome del potere assoluto!" sibilò Loki. "Il frutto finale di un piano portato avanti per secoli, in nome del quale ho sacrificato alleati e servitori!"
Inorridendo, Ilda continuò a fissarlo, incapace di dire qualsiasi cosa. La sua espressione divertì Loki, spingendolo a raccontare. "La battaglia che combattei contro le forze di Odino, centinaia di anni fa non fu che un diversivo. Sapevo della profezia delle Strane Sorelle. Sapevo che un giorno Erebo si sarebbe risvegliato e avrebbe eliminato per me i miei nemici. Che senso avrebbe avuto conquistare a rischio della vita il potere solo per poi doverlo cedere di nuovo? Decisi di aspettare, formulando un piano lungo e complesso, ma che alla fine mi avrebbe visto trionfare.
"Per prima cosa però dovevo distogliere l’attenzione nei miei confronti, magari liberandomi anche di qualche nemico in corso d’opera. Manipolai così il cieco Hoder, mettendo in moto eventi che - sapevo - Odino avrebbe interpretato come segnali dell’imminente Crepuscolo degli Dei. Prevedibile come sempre, per impedirlo guidò le sue armate alla battaglia insieme a Tyr, Thor e gli altri Dei del Valhalla. In risposta mobilitai le mie forze… o così feci credere loro, perché in realtà non ero io a guidarle!" spiegò, con un sinistro scintillio negli occhi.
"Non… non tu?" ripeté Ilda.
"Mia moglie Sigyn, che le mie arti avevano adeguatamente soggiogato ed incantato, dandole il mio aspetto. Un sacrificio inconsapevole e involontario, perché in cuor suo era fedele ad Odino… ma in fondo non aveva proclamato che sarebbe stata la mia compagna nel bene e nel male? Quale modo migliore per dimostrarlo che donarmi la sua vita?"
Ilda impallidì, non di fronte alla crudeltà insita in quelle parole, ma all’indifferenza evidente sul volto di Loki. Se l’amore di Sigyn nei suoi confronti era anche solo lontanamente simile a quello narrato dal mito, la Dea aveva patito quel tradimento più della morte cui il marito l’aveva condannata.
"Così, creduto morto da tutti, mi rifugiai nelle profondità di Midgard e lì iniziai a tessere le mie trame. Io, che sin dalla nascita sono stato oggetto delle profezie del Ragnarok, non ebbi difficoltà a comprendere come aggirare la limitazione imposta da Fato. Un sistema che gli altri Dei, accecati dal loro stesso orgoglio, non avrebbero mai concepito…"
"Non è possibile…" intervenne Toro, alzando faticosamente la testa. "Un corpo umano non può contenere la forza del cosmo divino… persino gli Dei devono ridurre il loro potere quando combattono sotto spoglie mortali! Una mano umana…"
"Sarebbe dovuta essere carbonizzata, è vero. Ma mie sono le arti magiche supreme, mia è la capacità di manipolare gli elementi tanto quanto gli uomini. Per il… dono scelsi un Cavaliere, intuendo che un corpo già avvezzo all’utilizzo del cosmo sarebbe servito meglio ai miei scopi. Apparteneva alle schiere di Atena, come te, ed aveva fama di grande guerriero, sotto le stelle di Orione.
"Anche così, furono necessari decenni ad adattare la mano al mio cosmo, secoli interi in cui ne padroneggiai l’uso, facendola del tutto mia. Un tempo interminabile, ma che impiegai portando avanti i miei disegni, facendo scivolare i pezzi al loro posto, ovviando agli imprevisti. Sapevo che avrei avuto bisogno di armi divine. E soprattutto di armi che avessero già assaggiato sangue divino, sì che desiderassero bagnarsene di nuovo. Avrei voluto usare la Megas Drepanon, la falce deicida con cui Crono abbatté Urano, ma le trame di Ponto ed il ritorno dei Titani mi spinsero a cercare altrove. Forse avrei potuto sconfiggerli, anzi sicuramente, ma non senza rendere nota la mia presenza, e perché rischiare? Crono stesso mi ha gentilmente offerto l’alternativa di cui avevo bisogno…"
"La daga!" comprese Scorpio.
"Esatto, la daga bagnatasi del sangue di Atena! E adesso Balmung, che ovunque si trovi Odino soffra al pensiero di vederla nelle mani del figlio che ha sempre detestato!"
"Ma perché fingerti un Comandante di Hela? Perché non uscire semplicemente allo scoperto?" insistette il Cavaliere d’Oro.
Loki rispose con una risata sdegnata. "E affrontare in campo aperto le armate di Erebo? Molto meglio lasciare ai vostri compagni… i vostri ‘Cavalieri dello Zodiaco’ il compito di spianarmi la strada! Avevo però bisogno di seguire da vicino l’evolversi degli eventi, celando il mio cosmo il più possibile affinché non venisse percepito da Erebo. Quale modo migliore che nascondermi nell’esercito di Hela? Non avevo bisogno che di una maschera… qualcuno abbastanza forte da garantirmi un seggio da Comandante, ma non troppo da insospettire Hela o Fafnir.
"A tale scopo, secoli prima avevo manipolato Seven Macaw, sciocca e arrogante divinità Maya, convincendolo con promesse di gloria a non seguire i suoi compagni nel loro viaggio oltre questo piano della realtà, restando invece sulla terra dove si proclamava il sole e la luna. Gli promisi che in cambio avrebbe ricevuto un onore più grande di qualsiasi altro potesse immaginare… e cosa esiste di più grande di donare la propria identità al potente Loki? Lo uccisi, e sotto la sua maschera entrai nelle schiere di Hela, creando una rete di spie che mi riferissero ogni sussurro, ogni movimento, ogni azione, che io a mia volta riferivo al prode Fafnir… se si rivelava vantaggioso per i miei piani. Convinsi l’esercito ad attaccare le città umane, certo che le armate del Valhalla ed i Cavalieri superstiti si sarebbero unite per contrastarle, permettendomi di agire nella confusione. Il resto lo sapete già!"
"Ci hai usato!" esclamò Toro, tentando invano di rialzarsi. "Manipolato per i tuoi piani infernali!"
"Questa è la natura del Principe degli Inganni!" rispose Loki con un finto inchino.
"Noi… ti fermeremo!" disse allora Ilda.
"Voi, che strisciate a terra feriti o moribondi? Perché credete abbia finalmente gettato la maschera? Non c’è nessuno in questa città in grado di contrastarmi ormai!" gridò trionfante.
In quel momento, un potente raggio di energia esplose ai suoi piedi, aprendo un cratere.
"Vorrei testare questo assioma!" dichiarò Sigmund dei Nibelunghi avanzando con il pugno serrato.
***
"Non lasciatevi circondare! Formate un fronte compatto! Chi ha ancora lo scudo si sposti in prima fila per difendere i compagni!" gridò Doko, allontanando contemporaneamente un soldato nemico con un calcio, per poi abbassarsi a schivare un fendente e centrarne un altro con un montante.
Approfittando di un momento di respiro si guardò attorno, solo per scoprire che la situazione era sempre più disperata. Soltanto Syria, ad alcune decine di metri alla sua destra, riusciva in qualche modo a rallentare l’avanzata nemica. Gli Einherjar, scintillanti nelle loro corazze marroni, erano disciplinati ma comunque troppo pochi per reggere l’urto crescente delle armate di Hela. I soldati semplici, chiaramente terrorizzati al pensiero della morte propria o dei loro cari, stentavano ancora di più, e soprattutto si sforzavano troppo di proteggere le loro donne, finendo per abbassare la guardia e venire falciati senza pietà dagli invasori. Per di più, adesso che Ioria era impegnato contro Fafnir, le arpie erano libere di scendere e predare i guerrieri dal cielo, trascinandoli urlanti tra le nuvole dove li divoravano o lasciavano cadere.
Ad un tratto una lancia volò accanto al Cavaliere d’Oro, stridendo sull’armatura e interrompendo quell’attimo di pausa. Afferratala al volo, la scagliò indietro contro il proprietario, trapassandolo, ma nello stesso momento con uno schiocco una frusta gli si attorcigliò alla gola. Un corpulento soldato il cui viso era coperto di cicatrici diede uno strattone, trascinando Libra a terra, e subito altri si gettarono su di lui, spade e asce in pugno per finirlo.
Il custode della settima casa sembrò svanire sotto quella massa informe, ma un istante dopo una colonna di luce verde smeraldo si alzò al suo posto, spazzando via le orde nemiche. Ansimando per lo sforzo l’eroe barcollò, venendo centrato in pieno da una spallata e spinto duramente contro il muro. Mani massicce e callose lo sollevarono per il collo, stringendo con tutta la loro forza, mentre già altri soldati si gettavano all’attacco.
In quel momento però una serie di raggi di luce li falciò. "Bianchi Artigli della Tigre!!" gridò Mizar, gettandosi in suo aiuto. L’uomo che aveva bloccato Doko esitò nel vedere i propri compagni cadere, e subito il Cavaliere d’Oro ne approfittò, facendo leva sulla stretta stessa per spezzargli il braccio con una ginocchiata, e poi finendolo con un pugno al torace.
"Che ne è della regina Ilda?" gridò Mizar, schivando un colpo d’ascia e sbarazzandosi di un soldato. I suoi movimenti erano sempre letali, ma avevano perso la proverbiale agilità, appesantiti da troppe ferite.
"E’ alla statua di Odino, sembra che qualcuno stia cercando di prendere la spada Balmung!" rispose Doko, slacciandosi la frusta dal collo e tenendola in mano. Mizar spalancò gli occhi inorridito, voltandosi subito in direzione del piazzale, ma il Cavaliere d’Oro fermò sul nascere ogni intenzione. "Ci sono già Toro e Scorpio con lei! Abbiamo bisogno di te qui, l’esercito di Hela è troppo forte!"
"E soprattutto troppo numeroso! Le loro schiere sono infinite!" pensò, alzando lo sguardo verso le decine di Naglfar che popolavano il cielo, e dalle quali continuavano ad uscire orde di invasori.
"Come possono contenere così tanti guerrieri? Non serve a nulla combattere qui se non riusciamo ad abbatterle!" pensò, serrando il pugno e prendendo una decisione.
"Aprimi un varco verso le mura! Cercherò di distruggere le Naglfar!" gridò a Mizar. La Tigre del Nord lo guardò incredulo, ma poi annuì e bruciò il poco cosmo che gli restava, richiamando la forza delle nevi del Nord.
"Che i silenti ghiacci di Asgard ti spalanchino la via!!" proclamò, investendo un manipolo di soldato con strali azzurri e scaraventandoli via. Approfittando dell’apertura nelle loro fila, Doko balzò in avanti, correndo verso le macerie ed usandole per balzare su quel che restava del camminatoio. Come aveva previsto, diverse arpie notarono subito lo scintillare della sua armatura dorata e si gettarono in picchiata stridendo come aquile.
Il Cavaliere fece schioccare la frusta che aveva portato con sé, abbattendone due con precisi fendenti sul volto umano. Quando le altre virarono per riprendere quota ed allontanarsi, fece avvolgere l’arma attorno al torso di una di loro, balzandole sopra e stringendole il collo. Non tanto da ucciderla, ma abbastanza da farle perdere il controllo e volare istintivamente sempre più in alto, come aveva sperato. Arrivato finalmente al livello di una Naglfar, si lanciò di scatto, afferrando il parapetto ed issandosi a bordo, le dita graffiate dalle punte delle unghie che componevano il vascello.
Sorpresi da un’azione del genere, i soldati a bordo esitarono un istante, permettendogli di guardarsi attorno e scorgere il portale: un arco d’argento il cui interno sembrava chiuso da un vetro violastro, simile all’ametista di Megres anche se più scuro. Da esso proveniva una fredda aura mortifera che non lasciava dubbi. "E’ da lì che vengono!" comprese, concentrando il cosmo nel pugno. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
Il dragone di giada travolse un gruppo di guerrieri, facendoli volare sul ponte o oltre la murata, ed abbatté le proprie fauci sul portale.
Con immenso stupore dell’eroe però ciò non sortì alcun effetto. A contatto con il cristallo, il dragone sembrò infatti venir dilaniato e scomparve, lasciando intatto il passaggio.
"Il cosmo stesso della grande Hela impregna le ossa di questa nave e tramite esse protegge il Varco di Hvergelmir!" disse un uomo con in mano una grossa ascia bipenne, gettandosi alla carica. "E anche se così non fosse, io, il Capitano Hogrum, non ti permetterei mai di distruggerlo!"
"O almeno non senza aver prima distrutto la Naglfar ed interrotto il cosmo di Hela!" dedusse Libra, concedendosi un sorriso. Lanciandosi in avanti con un grido, investì Hogrum con un raggio di luce e si precipitò verso il timone.
Sul ponte di comando della Naglfar ammiraglia, Skvold, il Capitano cui Fafnir aveva affidato l’imbarcazione prima di scendere in campo, si sfregò le mani soddisfatto. Era solo questione di tempo prima che la battaglia volgesse completamente a loro favore, e con così tanti Comandanti caduti una promozione almeno al decimo seggio era possibile.
Fu un fragore assordante ad interrompere i suoi sogni. Spalancando gli occhi sbalordito vide una delle navi virare improvvisamente, schiantandosi contro quella che l’affiancava e speronandola fino quasi a tranciarla in due.
"Per le spire di Jormungander, è la Naglfar di Hogrum! E’ forse impazzito?!" esclamò, prima di scorgere una figura saltare tra le imbarcazioni in rovina ed atterrare a bordo di una terza, dove concentrò il cosmo nel pugno e lo schiantò sul ponte, sprigionando una colonna di luce che la trapassò da parte a parte.
"Agli archi!!" gridò allora, portandosi contemporaneamente il corno di guerra alle labbra e facendo risuonare un’unica nota, in risposta alla quale stormi di arpie si gettarono sul Cavaliere d’Oro, che già stava cercando di correre su un’altra Naglfar.
Nugoli di frecce attraversarono il cielo, fischiando attorno all’eroe. Anche se fortunatamente si trovava di profilo rispetto agli arcieri, due di loro si conficcarono in profondità nel braccio destro, ed una terza gli graffiò il retro del collo, passando appena pochi millimetri dietro la carotide.
Cercando di mantenersi sotto la protezione della murata o di frapporre soldati nemici tra sé ed i dardi, Doko scivolò di nuovo verso il timone, ma stavolta una mazza ferrata lo centrò alla spalla con un colpo a spazzare, scaraventandolo indietro. A differenza delle navi precedenti, i soldati stavolta avevano avuto modo di prepararsi, innalzando il muro di scudi ed avanzando compatti. Nello stesso momento un’arpia scese in picchiata su di lui, affondando gli artigli nella spalla sinistra dove l’armatura era andata in pezzi, e cercando di strappargli il viso con le unghie.
Improvvisamente però il mostro cadde, trapassato al torace da una lancia. Un momento dopo, altri corni di guerra risuonarono nell’aria, ma le loro note erano squillanti, diverse da quelle del nemico.
Alzando la testa al cielo, Doko vide sbalordito un branco di cavalli bianchi galoppare apparentemente nel vuoto. Sopra di loro vi erano donne in vesti di cuoio e sparute armature, con i lunghi capelli biondi o rossi raccolti in trecce e nelle mani spade o lance.
"Valchirie! Alla battaglia!!!" ordinò una fanciulla dai lunghissimi capelli azzurri ed il viso pallido come la neve. Era al centro del gruppo, ed a differenza delle altre non sedeva su un destriero ma su un carro, la cui auriga era un uomo massiccio con folti capelli e baffi castani.
Obbedendo, le donne brandirono le spade, gettandosi contro le orde di arpie che subito si erano levate a contrastarle. Doko incrociò lo sguardo dell’auriga, che lo fissò con durezza ma senza ostilità.
"Continua pure la tua opera, e non temere! Folken di Asgard non permetterà a nessuno di sbarrarti la strada!" esclamò.
"Va… valchirie!!" gridò Skvold sbalordito. Un istante dopo però riprese il controllo. "Arcieri di prua, abbattetele! Gli altri continuino a mirare al Cavaliere d’Oro!"
Nel dare questi ordini, squadrò il ponte della Naglfar, accorgendosi di qualcosa che prima non aveva notato: da alcuni minuti dal portale non stavano più uscendo nuove truppe.
***
"Si… Sigmund!" balbettò incredulo Scorpio, riconoscendo il secondo seggio di Hela. "Perché sei qui?!"
"Non certo per salvare voi, non credere!" rispose fieramente il guerriero, mantenendo però lo sguardo fisso su Loki.
"Ho udito le tue parole! Ti sei preso gioco di noi, ingannatore! Di me, della regina Hela e del grande Fafnir, usandoci per i tuoi scopi!" esclamò in tono accusatorio.
Sorridendo, Loki simulò un inchino. "E così il prode Sigmund ha finalmente aperto gli occhi… sei l’unico che ho temuto, non sono mai riuscito a dissuadere i tuoi sospetti su Seven Macaw, per quanto fedelmente cercassi di comportarmi".
"La vera fedeltà non è valore che possa essere imitato! Eri troppo servile, troppo misterioso per ingannarmi!" dichiarò con evidente disprezzo.
"L’arguzia degli uomini integerrimi, l’avevo quasi dimenticata. Da tempo in fondo non ne incontravo uno…" commentò con vago disinteresse Loki. Era però solo apparenza, perché la sua domanda successiva portava in sé il peso del vincolo. "E ora che lo sai… che cosa intendi fare?"
In tutta risposta, Sigmund fece esplodere il suo cosmo. "Annientarti, traditore!!"
Con uno scatto rabbioso si lanciò alla carica, sferrando un fascio di luce. Loki lo deviò, ma a Scorpio non sfuggì che per farlo dovette usare il dorso dell’avambraccio ed indietreggiare di un passo. Un attimo dopo, il Dio lanciò un’ondata di energia, ma stavolta fu Sigmund a schivare con un balzo, che poi mutò in calcio volante.
Indicandolo con l’indice, il Signore degli Inganni cercò di intercettarlo a mezz’aria con un raggio sottilissimo, ma con un colpo di reni il secondo seggio mutò direzione, atterrando accanto a lui e ruotando sul tacco per sferrare un calcio a spazzare.
Risuonando con un clangore metallico la sua gamba cozzò contro la protezione per il fianco di Loki, che spalancò gli occhi per liberare un’altra ondata di energia a distanza ravvicinata. Con un gesto deciso però Sigmund sferzò l’aria, disperdendola.
Per la prima volta, una smorfia di sorpresa si disegnò sul volto del Dio, e nel vederla il Comandante non potè trattenere l’ombra di un sorrisetto. Subito dopo portò entrambe le mani davanti al torace, concentrando in esse il suo cosmo. "Flutti del Reno!!"
Un fiume di luce si abbatté sul figlio adottivo di Odino, il cui mantello venne strappato in pezzi. Incredulo, si vide travolto e scaraventato di alcuni metri indietro, con l’ombra di qualche ammaccatura a rovinare i fregi sulla cintura d’oro.
Gli occhi allora si socchiusero, improvvisamente privi del sarcasmo di poco prima. "Per questo affronto, o Comandante, ti farò soffrire!" minacciò tra i denti.
"Non temo le minacce di un traditore!" ribatté orgoglioso Sigmund, caricando un nuovo colpo. "Flutti del Reno!!"
Stavolta però Loki incrociò le braccia e subito dopo le riallargò di scatto, liberando un piano incrociato di energia molto più forte dei precedenti. Il colpo segreto di Sigmund fu dissolto e l’attacco del Dio lo centrò in pieno petto, spaccando la sua armatura in profondità e facendo schizzare spruzzi di sangue.
Indietreggiando di due passi, il secondo seggio mantenne l’equilibrio, scivolando all’interno del successivo assalto di Loki e centrandone la mano tesa con un calcio. Il Dio si ritrasse, più per istinto che effettivo dolore, permettendo a Sigmund di entrare all’interno della sua guardia. "Flutti del Reno!!" gridò ancora una volta, a pochissimi centimetri di distanza. In tutta risposta, l’ingannatore aprì il palmo della mano sinistra.
L’esplosione seguente scaraventò Sigmund indietro di parecchi metri, facendolo sbattere rovinosamente a terra. Il bracciale sinistro era in frantumi, e il braccio destro, la cui protezione era andata in pezzi nella battaglia contro Luxor, sanguinava copiosamente da diversi tagli ed ustioni.
Per la prima volta però, anche Loki aveva subito il colpo. Le punta delle dita erano infatte macchiate di sangue, le unghie incrinate.
"Come hai potuto osare!!" ringhiò, alzando la mano per finirlo. Consapevole di non avere più difese con le braccia in quelle condizioni, Sigmund cercò di rialzarsi. Ma in quel momento un bagliore scarlatto saettò verso Loki, obbligandolo a saltare per schivare la Cuspide Suprema.
Un momento dopo, il custode dell’ottava casa si erse in qualche modo davanti a lui, dandogli però le spalle, occhi fissi sull’Ingannatore. "Mi unisco a te nella lotta, Comandante di Hela!" disse soltanto.
"Cosa credi di fare? Resti comunque il mio nemico!" avvertì Sigmund, senza tuttavia spingerlo a voltarsi.
"E se gli Dei lo vorranno ci affronteremo ancora. Ma finora già due volte mi hai salvato o risparmiato la vita, se ti lasciassi morire senza ricambiarne almeno una ne sarebbe offeso il mio onore di guerriero!" dichiarò.
"E’… giusto!" aggiunse Toro. "Il nemico del mio nemico è mio amico, non lo hai mai sentito dire?"
"Con la spada Balmung, Loki sarebbe troppo pericoloso per chiunque, anche per voi! Che ti piaccia o meno, un’alleanza è necessaria!" disse Ilda, alzandosi usando la lancia come bastone a supporto della gamba ferita.
Sigmund li guardò tutti e tre. Lentamente, un sorriso gli si allargò sul volto. "Come immaginavo, l’onore non vi fa difetto! Anche se per poco, sarò fiero di lottare al vostro fianco!"
Quattro cosmi avvamparono di fronte a Loki, che rispose sogghignando. "Di folli suicidi Midgard non ha mai avuto penuria! Prime tra le mie vittime, venite pure!"
In tutta risposta, Scorpio si alzò su una gamba sola, facendo esplodere quel che restava del suo cosmo in una tempesta di energia, proprio come all’Isola di Andromeda. Carica di elettricità, l’aria fu sferzata da venti talmente violenti da strappare le pietre del piazzale ed agitare la coda di cavallo dell’elmo di Loki, ma nonostante tutto i piedi del Dio rimasero saldamente a terra.
"Una brezza rinfrescante, la tua sollecitudine è ammirevole!" disse, aprendo il palmo della mano e ribattendo le correnti contro il ragazzo, che venne spinto via. Toro però si portò alle sue spalle, afferrandolo al volo, mentre Sigmund corse in avanti con il pugno ricolmo di energia.
Loki si voltò verso di lui per intercettarlo, ma un sottile raggio proveniente dalla lancia di Ilda lo raggiunse sull’elmo, distraendolo abbastanza da permettere al secondo seggio di sferrare un destro ravvicinato. Purtroppo per lui però l’armatura divina resse senza alcuno sforzo, mentre la protezione per il pugno del Comandante si sbriciolò in pezzi.
Spalancando gli occhi, Loki lo travolse con un’ondata di energia, sbalzandolo a terra. Un attimo dopo, allargando di colpo le braccia, creò una sfera concentrica che sembrò superare innocua i quattro, solo per esplodere in una tempesta di dardi alle loro spalle.
Toro e Sigmund barcollarono in avanti, ma Scorpio si tuffò subito su Ilda, la più indifesa tra loro, facendole da scudo con il proprio corpo abbastanza a lungo da permetterle di vibrare un fendente con la lancia, disperdendo quei raggi.
"Maledizione, siamo davvero così impotenti?!" si chiese il custode della seconda casa, espandendo di nuovo il suo cosmo. "Per il Sacro Toro!!"
Loki alzò il dorso della mano per pararlo, ma con uno scatto improvviso Toro mosse in avanti anche l’altro pugno, cercando di rafforzare la sua tecnica sferrandola con entrambe le mani. L’improvviso aumento di energia sorprese il Dio abbastanza da far andare a segno l’attacco, o meglio da farlo infrangere contro l’armatura, che sembrava davvero una scogliera contro la quale qualsiasi tentativo era destinato a fallire.
Gli occhi attenti di Ilda però notarono un dettaglio: istintivamente, Loki aveva protetto la mano destra, nascondendola dietro il corpo. "La sua mano umana è vulnerabile!" intuì.
Nel frattempo, Sigmund balzò in aria, portandosi verticalmente sopra il Signore degli Inganni, e fece esplodere il suo cosmo. "Prigione dei Nibelunghi!!"
Anelli di energia scesero intorno a Loki, imprigionandolo in una morsa scintillante. "Adesso, Cavalieri!!"
"Selvaggia Corrente delle Pleiadi!!"
"Cuspide Suprema!!"
I colpi segreti saettarono sul bersaglio, quello di Toro in particolare colpendo anche l’attenzione di Sigmund, che ne notò alcune somiglianze con i propri Flutti del Reno per composizione e aspetto. Una frazione di secondo dopo impattarono, centrando lo stesso punto sul pettorale.
Anche questo tentativo fallì. Aprendo gli occhi infastidito, Loki spalancò le braccia e frantumò la Prigione dei Nibelunghi. "Volete davvero costringermi a fare sul serio! E sia, eccovi un assaggio della potenza di un Dio! Gatti di Svartalfheim!"
Con un semplice schiocco del dito indice fece partire una sfera di luce, che si mutò a mezz’aria prendendo le sembianze di un gatto dorato con gli occhi scintillanti ed il corpo affusolato.
Anziché colpire loro però, l’animale centrò il suolo, sdoppiandosi in due, poi altri quattro, fino ad un intero branco di felini che si gettarono agilmente sui sorpresi Cavalieri. Istintivamente, Scorpio cercò di abbatterne uno con un colpo a spazzare, ma l’animale sembrò vederlo e schivò di conseguenza, saltandogli sul braccio ed esplodendo finalmente in una sfera di luce, abbastanza forte da crepare l’armatura d’oro. Gli altri fecero lo stesso, evitando qualsiasi tentativo di fermarli e centrando Ilda ed i Cavalieri alla schiena, le braccia e le gambe.
La Celebrante in particolare non indossava alcuna corazza a sua difesa e crollò a terra grondando sangue, ma anche i due Cavalieri ed il Comandante vacillarono, con le armature ormai in pezzi.
"Loki si sta trattenendo, o ci avrebbe già annientati… ma anche così non riusciamo a reagire…" pensò Toro, con il viso ormai ridotto ad una maschera di sangue.
In quel momento Sigmund gli si avvicinò. Era ferito abbastanza gravemente ad una gamba, che sembrava trascinare più che muovere, ma lo sguardo era ancora ben determinato.
"Quel colpo segreto che hai usato prima… hai ancora la forza per lanciarlo?" gli chiese.
Toro lo guardò perplesso "La Corrente delle Pleadi? Credo di sì… ma hai visto anche tu che è inutile!"
"Stavolta non lo sarà!" rispose soltanto il Comandante, allontanandosi di qualche passo.
Toro continuò a fissarlo per qualche secondo, incerto se fidarsi o meno, e chiedendosi se avesse davvero un piano o se la sua fosse solo la follia che precede la sconfitta. Poi decise di tentare e con uno sforzo enorme si rialzò, circondandosi della sua aura d’oro e concentrandola nelle mani.
Le braccia, martoriate dai numerosi colpi subiti, iniziarono a sanguinare ancora più copiosamente, pulsando di un dolore battente. Il suo corpo ormai non era più nelle condizioni per manipolare il cosmo, muscoli e vasi sanguigni si ribellavano allo sforzo strappandosi o cedendo. Nondimeno, chiuse gli occhi e richiamò ancora una volta le energie, circondandosi di un’aura a tratti abbagliante.
"Selvaggia… Corrente… delle Pleiadi!!"
Simile ad un fiume in piena, il colpo segreto avanzò spumeggiante verso il Dio, che non parve però intimorito. "Il mulo, dopo essere caduto in un fosso, impara ad evitarlo. Tu invece commetti sempre gli stessi errori, Cavaliere!" criticò, sferzando distrattamente l’aria per disperdere l’assalto.
Solo allora, con un moto di stupore, si accorse che ce n’era un altro nascosto al suo interno e vide Sigmund in piedi alle spalle del custode della seconda casa, a sua volta circondato dalla luce del cosmo. Incrociando il suo sguardo, il Comandante sorrise.
"Ha celato i Flutti del Reno nella Corrente delle Pleiadi!" comprese Scorpio "Loki non se n’è accorto in tempo, la sua difesa non basterà!"
"La mano!" gridò in quel momento Ilda. "Mira alla mano destra!"
Ascoltandola, Sigmund deviò leggermente il suo attacco, facendolo scontrare non sul torso del Dio ma sull’arto che egli stava cercando di proteggere. Con uno scoppio di luce e schizzi di energia, l’assalto andò a segno, facendo scomparire per un attimo Loki alla loro vista. Le ombre di sorrisi si allungarono sui visi dei Cavalieri.
Non durò che un istante.
Prima ancora che la luce dell’attacco si fosse dissolta, un cosmo immenso calò sui quattro, tanto potente da piegarli quasi in ginocchio. Subito dopo Loki riemerse, il viso contratto in una maschera di rabbia mentre stringeva la mano destra con la sinistra. Le dita erano ustionate e sanguinanti, il mignolo piegato in una posizione innaturale. Era però ancora in grado di aprire e chiudere il pugno, segno che le ferite non erano troppo gravi.
"Per questo affronto dovrei spellarvi e gettare i vostri corpi tra le fiamme eterne di Mullespheim!" ringhiò alzando di scatto le braccia al cielo mentre il cosmo attorno a lui avvampava.
Avvedendosi del pericolo, Sigmund balzò davanti agli altri tre, allargando le braccia e facendo esplodere la propria aura per far loro da scudo, ma stavolta, per la prima volta, Loki aveva davvero sfoderato il suo cosmo divino.
I quattro vennero sbalzati in aria; l’armatura dei Nibelunghi, la più vicina al Signore degli Inganni, andò completamente in pezzi, sbriciolandosi in polvere mentre Sigmund urlava di dolore. Alle sue spalle, il pettorale e la cintura del Toro esplosero in frantumi, come quelli dello Scorpione, già danneggiati da Sigmund stesso al Grande Tempio. Persino Ilda, che tra loro era quella più lontana, fu travolta. La lancia le si sbriciolò tra le mani, la mantellina volò via, l’elmo si spezzò.
Per diversi secondi i quattro sembrarono levitare a mezz’aria, disperatamente imprigionati tra le scariche energetiche di Loki, poi finalmente precipitarono a terra, schiantandosi immobili e seminudi sui marmi del piazzale.
"Ringraziate che non ho tempo da perdere o energie da sprecare!" sibilò Loki, voltandosi finalmente verso l’armatura di Odino con una luce di trionfo negli occhi.
"No… non te la… lasce… rò…" balbettò Ilda, strisciando verso la corazza ed issandosi su di essa, quasi abbracciandola mentre dava le spalle al Dio degli inganni.
"Togliti di torno o ti strapperò con la forza, anche troppo a lungo ho pazientato! Quella spada è mia adesso!"
"No… non è vero! La spada e l’armatura appartengono a noi… noi che abbiamo sempre creduto… creduto in Odino… nella sua bontà!" insistette Ilda.
"Bontà? Odino non sa cosa sia la bontà, era un vecchio folle che idolatrava la forza a scapito dell’arguzia, piegato dal peso della sua stessa corona! E ora via!" ringhiò, colpendola al volto con un manrovescio.
Con uno sforzo disperato, Scorpio cercò di rialzarsi e correre in suo aiuto, ma le forze gli vennero meno e crollò di nuovo a terra vomitando sangue. Accanto a lui anche Toro tentò di trascinarsi, ma i muscoli sembravano non rispondere più al suo volere. Il solo ardere del cosmo di Loki ormai bastava a schiacciarlo al suolo.
Ilda però rimase cocciutamente avvinghiata all’armatura, gli occhi per la prima volta abbandonati a lacrime di disperazione. "Si dice… che un eco dello spirito di un Dio dorma nella sua armatura. Odino… non ci abbandonderà… non lo ha mai fatto! Prendi pure la mia vita, ma non permetterò mai ad un essere malvagio come te di… portarci via il suo ultimo… grande tesoro…!" singhiozzò. "Io credo in lui… io credo in lui!"
"E allora muori per lui!" ringhiò Loki sollevando il pugno.
"Odinooooooo!!!!!!!!"
Improvvisamente, una colonna di luce abbagliante si innalzò attorno a loro, circondandoli. Onde concentriche di energia si emanarono fin fuori le mura.
"Aah… questo… questo cosmo!!" esclamò Thor, voltandosi per un attimo verso la città.
"É il cosmo di Odino!" realizzò Mizar, spalancando gli occhi e guardando in direzione della maestosa colonna di luce.
Di fronte agli sguardi esterrefatti di Sigmund, Scorpio e Toro, Loki venne travolto da un’onda di energia e scaraventato indietro, sbigottito.
Davanti a lui, con passo lento ma sicuro, Ilda emerse dalla colonna di luce, con indosso l’armatura di Odino e nel pugno la spada Balmung.
"L’armatura di mio padre… che solo un suo vero servitore può indossare… uno che non ha mai visitato le sale del Valhalla o le lande di Hel! Non… non avrei mai creduto che potesse andare ad una donna!" commentò incredulo il Signore degli Inganni, schioccando nel contempo il dito. "Gatti di Svartalfheim!"
"Se la fede è salda nel cuore, non ha alcuna importanza essere una donna!" disse Ilda, fendendo l’aria con Balmung. La corazza era sorprendentemente leggera su di lei, il dolore delle ferite stava scemando, mentre le forze le ritornavano. Rapido e letale, il colpo tagliò l’aria ed il suolo, disperdendo i gatti e schiantandosi poi sul bracciale di Loki, dove aprì una sottile spaccatura da cui zampillò un sottile rivolo di sangue.
"É stato ferito! Il taglio di Balmung ha perforato la sua armatura!" gridò Toro, sentendo riaffiorare la speranza.
"Ora pagherai per i tuoi crimini contro Asgard, Signore degli Inganni! Preparati, con questa spada vendicherò Mime!!" gridò Ilda lanciandosi in avanti, afferrando l’elsa con entrambe le mani e sollevandola sopra la testa.
"Non sopravvalutarti!!" ringhiò in tutta risposta Loki, allargando di scatto le braccia ed investendola con un’ondata di energia che la spinse indietro. "Indossare la veste di un Dio non ti rende suo pari! Mira la vera forza dei Numi!!"
Il suo cosmo si innalzò, persino più maestoso di prima. L’aria stessa sembrò danzare al suo comando, vorticando dinanzi a lui e facendosi più densa. "Specchio…"
Poi di scatto si arrestò, l’ira che scemava veloce come era arrivata. "Sembra che per un attimo la folle foga guerriera abbia pervaso persino me, Loki!" si disse, guardando Ilda negli occhi. "Non ho motivo di combatterti, Balmung è perduta e strappartela mi costerebbe troppe energie! La daga di Crono mi basterà comunque!"
Ilda impiegò un attimo a capire cosa intendesse, ed in quel secondo Loki iniziò già a tremulare e svanire.
"No, fermati!!" gridò, sferrando un fendente che però lo attraversò da parte a parte, ridotto ormai a spettro evanescente.
"Non temere, ci rivedremo quando sarò diventato il padrone del mondo, Ilda di Polaris, e allora la mia vendetta per questo smacco sarà lenta!" minacciò la voce di Loki, per poi scomparire del tutto.
"É andato… ad Avalon!" comprese, chiudendo il pugno in un gesto di frustrazione. Cristal e gli altri non sapevano nulla di lui, ed un suo intervento avrebbe potuto essergli fatale, ma come poteva fermarlo?
Uno scintillio di Balmung e l’esplodere di numerosi cosmi la riportarono alla realtà, facendole rialzare la testa di scatto. "Dobbiamo tornare dai nostri compagni! Forse con quest’armatura possiamo ancora respingere le armate di Hela!" esclamò.
Mosse un passo verso il campo di battaglia, solo per fermarsi di colpo. Ferito e sanguinante, Sigmund si era rialzato, ed adesso le sbarrava il passo.
"Per quanto mi dolga, la nostra alleanza è giunta a termine! Non posso permetterle di proseguire!" disse soltanto.
"Non sei nelle condizioni di fermarci, la tua armatura è distrutta!" avvertì Ilda.
"Nondimeno è mio dovere tentare! Sono Sigmund dei Nibelunghi, secondo seggio delle armate di Hela! Contrastarvi è mio preciso dovere!"
Nel pronunciare queste parole, Sigmund la guardò fissa negli occhi, ed in essi Ilda non scorgeva esitazioni. Era davvero deciso a combattere, fino alla morte. D’altra parte, si era procurato la maggior parte delle ferite che ora gli costellavano il corpo facendo loro da scudo. Come poteva levare Balmung su di lui?
"Lo lasci a me… combatterò io… contro di lui…" intervenne la voce di Scorpio. Voltandosi, lo vide rialzarsi, debole e sanguinante ma deciso nei movimenti e nelle intenzioni, gli occhi fissi in quelli di Sigmund.
"Sarà… il nostro terzo duello…!" accettò il Comandante con un sorriso che gli illuminò gli occhi.
Con un gesto lento e deliberato, si fece da parte per permettere ad Ilda il passaggio.
"Va con lei!" disse Scorpio a Toro, senza girarsi.
Il custode della seconda casa lo guardò incredulo. "Siete impazziti?! E’ un suicidio! Non potete…"
"E’ questa… la loro volontà!" lo interruppe Ilda, chiudendo amaramente gli occhi. "Seguimi…"
Amareggiato, Toro li guardò ancora un momento, poi annuì, barcollando dietro di lei.
Rimasti soli, Scorpio e Sigmund si fissarono.
"Sarà… il nostro terzo duello… e probabilmente anche l’ultimo! Cough cough!" ammise il secondo seggio, tossendo sangue.
"Com’è scritto nelle stelle!" sorrise Scorpio, guardandosi la mano con cui a stento frenava un’emorragia sul fianco. "Ma prima che tutto abbia fine, soddisfa la mia richiesta e dimmi: perché un uomo come te è al servizio di Hela e non tra le eroiche schiere del Valhalla?"
Chiudendo gli occhi, Sigmund chinò il capo.
"Come desideri. Prima della fine ti narrerò la mia storia, Cavaliere di Atena! La mia e quella del prode Fafnir!"
***
Sulla Naglfar ammiraglia, Skvold batté i pugni sul portale, maledicendo il fatto che funzionasse in una sola direzione, rendendo impossibile attraversarlo di nuovo dopo esserne usciti.
La battaglia nei cieli infuriava, arpie e Valchirie solcavano l’aria, mentre il Cavaliere d’Oro lottava sui vascelli. A preoccuparlo maggiormente però era la donna sulla carrozza che, immobile e con gli occhi chiusi, sembrava star accumulando il suo cosmo.
"Che ne è delle schiere della regina Hela?! C’è bisogno di altri uomini!" esclamò furioso.
Come in risposta alla sua supplica, un soldato fu catapultato fuori dal portale, sbattendogli addosso e facendolo rotolare sul ponte insieme a lui.
Imprecando, Skvold fece per spingerlo via, ma poi, guardandolo, impallidì: era moribondo e sanguinante, ma con il corpo segnato da una sola ferita.
"Ehi! Ehi! Che ti è successo? Chi è stato a farti questo?!" domandò, scuotendolo.
Gli occhi dell’uomo si aprirono per un istante.
"Un uomo… un uomo d’oro…" sussurrò soltanto, prima di spegnersi lasciando più dubbi che risposte.
Skvold guardò spaventato verso il portale.
Dall’altro lato, nella valle di Hvergelmir, posta nelle profondità di Hel, decine e decine di soldati vennero travolti e massacrati da un’ondata di luce d’oro, i loro cadaveri ammucchiatisi sopra quelli dei compagni già caduti.
I superstiti, pur essendo in centinaia, indietreggiarono terrorizzati non osando muovere un altro passo.
Di fronte a loro non vi era che un solo uomo.
"E’ tutta qui la vostra forza? Spinto dall’ottavo senso, ho vagato a lungo tra le lande infernali prima di trovare questa deprimente vallata. Spero che saprete fare meglio di così per ripagare i miei sforzi!" esclamò Virgo della sesta casa, espandendo minacciosamente il suo cosmo d’oro.