AGONIA
Lasciatosi Pegasus dietro di sé, non senza timore per la sua sorte, Andromeda prese Cristal in spalla e si affrettò verso il castello di Oberon, ora oscura residenza del terribile Erebo, varcandone la soglia.
In un certo senso, pur nella drammaticità della situazione, poteva avvertire un senso di sollievo. La serenità tipica di chi non è più afflitto da dubbi ma ha ben chiara la strada da intraprendere. La battaglia che il compagno stava combattendo infatti ben chiariva la situazione: la via per la Prima Ombra era ancora sbarrata, e suo dovere sarebbe stato liberarla da quanti più nemici avesse potuto, anche a costo della vita se necessario, per permettere agli altri Cavalieri di raggiungere Erebo freschi di forze, per quanto possibile.
Era un piano di cui non avrebbero mai approvato, e lo sapeva bene. Ma era anche il modo in cui avrebbe potuto essere loro maggiormente d’aiuto, come la lepre della foresta, nel racconto che Sirio gli aveva narrato un tempo.
Come alla Settima Casa del Grande Tempio, un sacrificio non per evitare la lotta, ma per salvare chi gli era caro. Ma con una differenza sostanziale: non avrebbe gettato via la propria vita, ma l’avrebbe fatta ardere nella luce del suo cosmo, combattendo sino all’ultimo.
L’ironia della sorte non gli sfuggì. Lui, che più di ogni altro aveva sempre rifuggito la lotta, era adesso deciso a guidare la carica e sconfiggere più nemici possibile. Però non si sentiva in colpa, in quei pochi secondi all’esterno aveva avvertito distintamente la natura di Violenza. I Flagelli non erano esseri umani o persino divinità, ma personificazioni del male, creature senza una vera anima contro cui non era concessa remora.
O almeno così sperava, nel profondo del suo cuore.
Perso in questi pensieri, Andromeda impiegò un attimo ad accorgersi che il corridoio in cui aveva corso finora era giunto a termine, aprendosi in uno spazioso salone, dalle pareti ricoperte di spade, arazzi e cotte di armatura. Un tempo doveva essere stato uno dei centri della corte di Oberon, quando ancora follia e diffidenza non si erano impadroniti del suo cuore, ma adesso, ingrigito dal contatto con il cosmo di Erebo come il resto del maniero, emanava una cupa tristezza, riflesso di tempi più felici probabilmente persi per sempre.
Dal salone si aprivano diverse porte, e per qualche istante il ragazzo si chiese quale via prendere. Ne aveva appena scelto uno che la sua catena si sollevò avvertendolo di un pericolo, e contemporaneamente una risata sarcastica riecheggiò nell’aria.
"Hi hi hi hi hi, la sorte finalmente mi arride!" esordì una figura, emergendo dall’ombra. "Temevo che Violenza si sarebbe tenuto tutto il divertimento, e invece ben due siete arrivati fino a me! Ed uno neppure troppo malconcio!"
Qualcosa nella voce di colui che aveva parlato fece rabbrividire Andromeda. Era fredda, velata da un sarcasmo solo superficiale, ma anche crudele, più di quella di qualsiasi nemico ricordasse di aver affrontato in passato.
Poggiato Cristal alla parete alle sue spalle, Andromeda osservò con attenzione il suo nuovo avversario. La prima cosa che notò fu che era magro, quasi scheletrico considerando il volume dell’armatura che indossava, e che lo copriva quasi completamente. L’unica parte esposta era il viso, ossuto e incavato, con occhi giallastri che sembravano sul punto di scivolare fuori dalle orbite, incorniciati da capelli color cenere lunghi fino alle spalle.
L’armatura era totalmente nera, con riflessi in un giallo opaco, ben diverso dal lucido oro dei Cavalieri del Grande Tempio. Sulle braccia e sulle gambe era coperta da aculei, corti e sottili proprio come spine. I coprispalla erano bombati e tondeggianti, piegati in modo da scendere fino a metà braccio, sovrapponendosi ai copribicipite, che in realtà salivano fino all’interno dell’ascella. I bracciali erano aderenti e sottili, coprivano interamente la mano, incluse le dita fino alle punte. Lì si restringevano fino a terminare non in artigli o unghie, ma in veri e propri aghi, lunghi diversi centimetri, dalla punta talmente sottile da essere invisibile. Quasi siringhe, rifletté il Cavaliere, capaci di penetrare nella più piccola crepa della sua armatura.
Il pettorale, attraversato da striature, terminava in un cinturino a piastre ed era sormontato dietro la schiena da un paio d’ali lunghe fino alle ginocchia, ripiegate diagonalmente in modo da incrociarsi. Erano ali sottili, con forme e venature ondulate che il ragazzo ricordava di aver già visto da bambino, nei giorni trascorsi all’orfanotrofio St. Charles. Ali di averla, che aveva la fama di essere il più crudele tra gli uccelli.
L’elmo infine era chiuso, con sottili corna ricurve e due malefici occhi giallastri.
"E’ pericoloso costui, lo sento… nondimeno devo vincerlo!" pensò, tendendo la catena e guardandolo negli occhi. "Il mio nome è Andromeda, Cavaliere di Atena! Chi sei tu che mi sbarri la strada?"
A questa domanda, il nemico non rispose subito, continuando ad osservarlo interessato per alcuni secondi prima di parlare. "Dei cinque Flagelli, io sono colui che nella sofferenza prospera! Agonia, il torturatore!" esclamò. Poi un sorriso gli curvò le labbra. "Posso vedere perché Violenza ti ha lasciato passare… non vi è brama di sangue nel tuo cuore, non eri nemico adatto a lui! Purtroppo per te però io non sono frenato dai suoi stessi limiti: presto maledirai la sorte che ti ha condotto sul mio cammino e anelerai la morte rapida che lui ti avrebbe donato, perché il dolore che proverai sarà terribile!"
"Non temo il dolore! Né sono straniero alla lotta, saprò vincerti!" rispose il ragazzo, senza però far vacillare le convinzioni del nemico.
"Tutti lo dicono, ma presto o tardi la loro boria si trasforma in suppliche di morte. Un dolore come quello che stai per conoscere non lo hai mai provato…" sibilò divertito, avanzando di un passo.
In un istante, le ali furono spiegate ed il Flagello saettò in avanti veloce come il fulmine.
"Vedremo! Catena di Andromeda!" esclamò l’eroe lanciando la sua arma.
Con un clangore metallico però, la catena di attacco rimbalzò sul coprispalla di Agonia, venendo deviata contro la parete.
"Hi hi, la Veste Cinerea non è così semplice da spaccare, spero tu sappia fare di meglio!" sogghignò il guerriero, speronando Andromeda e colpendolo al fianco.
Con un grugnito, il ragazzo sentì le unghie dell’avversario stridere sulla sua armatura, Sovrana dei Venti, e barcollò lateralmente di qualche passo. La corazza rinata con il sangue divino tuttavia resse, permettendo all’eroe di tener testa allo sguardo di sfida del Flagello.
"La tua difesa sembra valida, ma non credere che la mia sia da meno!" disse orgoglioso.
In cambio, non ottenne che una risatina. "La tua difesa l’ho già superata, presto ne sentirai l’effetto!"
Andromeda fece appena in tempo a chiedersi cosa volessero dire quelle parole, che una fitta di dolore proveniente dalle gambe lo fece urlare e crollare in ginocchio. Abbassando lo sguardo, vide flotti di sangue sgorgare copiosi dai piccoli spazi scoperti tra cinturino e copricoscia, dove si erano aperti profondi tagli.
"Non può essere… ma quando…"
"Con quell’unico occhio che ti resta non hai visto niente? Te lo mostrerò ancora!" provocò Agonia, volando di nuovo alla carica, talmente veloce che Andromeda non riuscì neppure a muoversi. Anziché colpirlo però, il Flagello l’oltrepassò, fermandosi a mezz’aria alle sue spalle.
Un istante dopo, flotti di sangue schizzarono da tagli sulle braccia ed il volto del Cavaliere, mentre l’armatura strideva in più punti e sul pavimento si aprivano nere fessure.
Con un rantolo, Andromeda barcollò all’indietro, comprendendo quel che era accaduto. "Lame di vento!" sussurrò. "Eppure è strano, l’armatura rinata con il sangue di Eolo dovrebbe essere particolarmente valida contro tecniche di questo tipo!"
"Eolo non era altro che un piccolo Dio di Grecia, come potrebbe il suo potere proteggerti dal mio, infinitamente più antico e superiore? Presto anche la tua armatura cadrà in pezzi!" minacciò Agonia, sfrecciando ancora all’attacco.
"Sbagli a sottovalutarla, le vesti di Andromeda non sono facile preda per nessuno! Catena, disponiti a difesa!" gridò allora l’eroe, sollevando la sua arma e disponendola a spirale.
Quell’improvviso mulinello sorprese Agonia, disperdendo il vento delle sue ali e portandolo a fermarsi per un attimo in aria. Immediatamente, il Cavaliere fece scattare in avanti la catena triangolare, imprimendo in essa il suo cosmo. "Colpisci, Onda del Tuono!"
Il ragazzo sapeva che difficilmente quella semplice mossa gli avrebbe dato la vittoria, ma voleva testare la capacità difensiva della Veste Cinerea del Flagello. Quel che accadde però lo lasciò senza parole: anziché parare o schivare, Agonia afferrò al volo la sua catena, bloccandola a mezz’aria con la mano e imprigionandola completamente.
"Impossibile! Nessuno ha mai fermato così la mia catena, la sua mano sarebbe dovuta essere strappata!" balbettò sbalordito.
"Hai un giocattolo divertente, permettimi di restituirtelo!" rise il nemico, lanciando improvvisamente indietro la catena, con tanta energia da impattare sulla difesa circolare fin quasi a sfondarla.
"Ed ora è il mio turno! A te!" gridò, facendo scattare in avanti entrambe le mani. Una pioggia di milioni e milioni di sottilissimi fendenti neri partì dalle sue dita, abbattendosi con incessante impeto sulla difesa di Andromeda. Dopo qualche istante, il Cavaliere sentì con orrore alcuni di loro stridere sulla sua armatura, poi sempre di più.
Improvvisamente, una scheggiatura comparve sul lato del cinturino.
"Superano… le mie difese…!" realizzò.
"Io non possiedo la devastante forza di Violenza, ma i miei colpi sono sottili, Cavaliere, talmente sottili da penetrare nei recessi più minuscoli! Non importa quanto rapidamente tu faccia ruotare quella catena, i suoi anelli sono comunque troppo radi per fermarmi!" disse il Flagello, aumentando ulteriormente l’intensità dell’assalto.
Con un clangore, la difesa circolare si scompose ed Andromeda venne colpito in pieno e sbattuto contro la parete, mentre numerosi tagli si aprivano sul pettorale della sua armatura. Sottili, ma abbastanza profondi da sanguinare copiosamente.
"Hi hi hi hi, è solo l’inizio, la prima avvisaglia del dolore che ti ho promesso!" rise Agonia, volando di nuovo all’attacco.
"Ho più di una difesa a mia disposizione! Catena, disponiti a rete di cacciatore!" gridò in risposta l’eroe, sollevando di scatto il braccio. In meno di un istante, l’arma obbedì, attraversando l’aria in bande orizzontali e verticali sempre più fitte.
"Che cosa?!" esclamò il Flagello, impattando su quell’inattesa barriera.
"E’ gabbia per rapaci, difesa adatta a te, che dall’alto conduci i tuoi attacchi! La catena può adattarsi al nemico che affronta, ed assumere la disposizione più efficace per contrastarlo! Da tempo non l’utilizzavo in questo modo, dai giorni della guerra contro Nettuno!" spiegò Andromeda, memore del suo duello con Kira di Scilla, Generale del Pacifico del Sud.
"Credi di potermi imprigionare?!"
"Sì, per pochi attimi solamente, necessari a sferrare il mio attacco più potente!" gridò, sollevando la catena triangolare e circondandosi contemporaneamente di colonne di vento. "Unitevi in un unico assalto, Catena, Nebulosa! Nebula Chain!!"
Come nella battaglia contro Apopi, la tempesta della Nebulosa avvolse la catena in un vortice di scintillante energia, e insieme sfrecciarono verso Agonia, fondendosi in un unico, devastante attacco. In un lampo di luce, la Nebula Chain sfrigolò sulla spalla sinistra del Flagello aprendo delle crepe persino sulla Veste Cinerea e strappandogli un grido di dolore.
L’ombra di un sorriso comparve sul volto dell’eroe, ma solo per una frazione di secondo. Un momento dopo infatti, una fitta lancinante proveniente proprio dalla sua spalla sinistra lo fece urlare e barcollare, fino a crollare in ginocchio allibito.
"Hi hi hi hi hi! Piaciuta l’ebbrezza dell’agonia, Cavaliere di Andromeda?" scoppiò a ridere il Flagello, con gli occhi spalancati quasi privi di ragione.
"Uh… uuh… non capisco, cos’è successo?! Non mi ha colpito, di questo sono sicuro. Eppure il dolore che sento è reale!" si chiese, guardandosi l’arto. Non vi erano ferite, né crepe o tracce di sangue, ma continuava a dolere, come se fosse stato attraversato da parte a parte nonostante la corazza. Proprio nello stesso punto in cui aveva ferito l’avversario. "Possibile che…!" si chiese, spalancando gli occhi.
"Inizi a capire… Sei avvolto nell’oscuro incanto del mio cosmo ed hai provato il tocco dei miei aculei. Il dolore che avverto d’ora in poi lo sentirai anche tu, amplificato all’infinito!" sogghignò il Flagello guardandolo crudelmente.
"Ma non credere che sia tutta qui la sofferenza che ti avevo promesso! La vera agonia, l’angoscia che ti trascinerà nell’abisso fino a spingerti a supplicarmi di ucciderti devi ancora provarla! Eccotene un assaggio!" gridò poi, sollevando di scatto la mano sinistra. Gli aculei delle dita si allungarono velocissimi, trapassando come niente l’armatura e conficcandosi nel braccio destro del protetto di Atena, all’altezza del bicipite.
E Andromeda urlò.
Un dolore accecante esplose nel suo corpo. Più di qualsiasi altra cosa avesse mai provato in passato, più di qualsiasi ferita, dalla Rosa Nera di Fish agli assalti di Apopi, quel tocco all’apparenza leggero lo fece gridare e rantolare incontrollabile a terra. Era come se tutte le sofferenza di tutte le ferite che aveva provato negli anni si fossero concentrate in quell’unico punto con rinnovato vigore.
L’arto sembrava in preda a fiamme invisibili, capaci di propagarsi fino alla punta delle dita, rendendo una sofferenza inaudita il più piccolo movimento. Per di più, i muscoli erano contorti da spasmi involontari e tiravano con tale energia sulle ossa sottostanti da essere quasi sul punto di strapparsi e lacerarsi. Probabilmente lo avrebbero fatto, se non fosse stato per l’armatura.
"Ho colpito uno dei nervi del tuo braccio, imprimendo in esso il mio cosmo e facendo impazzire i recettori del dolore! In questo momento il tuo cervello non riesce a comprendere gli impulsi che riceve… e l’agonia che ne deriva è devastante!" spiegò soddisfatto il Flagello, prima di riflettere un istante e aggiungere "Quasi ti invidio…". Un momento dopo, si conficcò il dito nel corpo, sorridendo sguaiatamente.
Di fronte allo sguardo sorpreso e ancora sofferente di Andromeda, Agonia scoppiò a ridere estasiato.
"Purtroppo per te, non puoi sentire il dolore che mi procuro da solo… una precauzione necessaria per non far terminare troppo in fretta questa danza. Eppure è bello il dolore, non trovi, Cavaliere? E’ l’esaltazione dei sensi, il risveglio della mente dal torpore dell’esistenza! E’ un dono!" esclamò felice.
"E’… abominevole quel che professi!" disse l’eroe, rialzandosi in qualche modo in piedi. Il dolore si stava affievolendo, ma il braccio era ancora inutilizzabile e penzolava semi-paralizzato accanto al fianco.
"Abominevole? Ipocrita affermazione la tua, specie se proveniente da un essere umano. Di tutte le creature viventi, non ne esiste un’altra più portata a causare dolore. Voi, che avete saputo creare le torture più atroci, spesso per semplice divertimento…" dichiarò, aprendo il palmo della mano, "amate donar dolore come poco altro!"
Accompagnata da quest’affermazione, un’onda tagliente investì Andromeda, con crescente energia. Troppo appannato per difendersi, il ragazzo venne travolto in pieno, mentre una serie di tagli e spaccature comparivano sulla sua armatura, facendo schizzare flotti di sangue.
Sbattendo con la schiena contro la parete, il Cavaliere crollò in ginocchio.
"Sono inerme, sta giocando con me!" realizzò amareggiato, cercando di aprire e chiudere le dita della mano. L’arto stava riprendendo sensibilità, ma i muscoli erano danneggiati, i movimenti lenti e difficili.
Avvicinandoglisi, Agonia lo sollevò per la gola e lanciò in aria, saltando poi per intercettarlo al volo. Stringendo i denti però Andromeda spiegò le ali della sua armatura, schivandolo e sfrecciando lateralmente. Le dimensioni del salone, alto una decina di metri e abbastanza capiente da ospitare la corte di Oberon, erano tali da consentirgli una certa libertà di movimento nonostante non si trovasse all’esterno.
In aria i due combattenti si incrociarono più volte senza sferrare attacchi, con il Cavaliere impegnato soprattutto in manovre evasive ed il Flagello che si limitava a stargli dietro, sorridendo come il gatto che da la caccia al proverbiale topo, certo di poterlo uccidere in qualsiasi momento.
"Colpite, Onde del Tuono!!" gridò allora Andromeda, deciso a cambiare questa situazione e facendo scattare in avanti le sue armi dopo essersi voltato di colpo. In tutta risposta, Agonia le intercettò con le mani, deviandole con una serie di fendenti, ma solo per vederle tornare all’attacco da direzioni diverse.
Con un clangore metallico i due si scontrarono a mezz’aria, apparentemente in equilibrio, ciascuno incapace di prendere il sopravvento. Ogni gesto faceva pulsare dolorosamente il braccio dell’eroe, che però si sforzava di ignorarlo per restare concentrato sullo scontro.
Secondo dopo secondo tuttavia l’impeto di Agonia iniziò ad aumentare, i suoi fendenti ed affondi a farsi non solo difensivi, ma anche offensivi. Scheggiature comparvero sempre più numerose sui coprispalla di Andromeda, ed un altro graffio sanguinante si aprì sul volto, strappando leggermente la benda sull’occhio, mentre le Onde del Tuono non riuscivano che a sfiorare la Veste Cinerea.
Inoltre, qualcosa nel clangore metallico stava cambiando, facendosi più sordo
"Se continua così, le catene andranno in frantumi!" comprese Andromeda con orrore, riconoscendo in quel suono il rumore tipico di anelli scheggiati in procinto di spezzarsi. Allontanandosi di scatto, fece esplodere il suo cosmo.
"Non posso prolungare la battaglia! Devo cercare di vincerlo con un colpo solo, non importa il rischio! Nebula Chain!!" gridò.
La catena schizzò diagonalmente in avanti, conficcandosi al suolo e penetrando in profondità. Un istante dopo ricomparve alle spalle di Agonia, oltrepassando le sue difese e centrandolo in piena schiena, crepando la Veste Cinerea proprio al centro delle ali.
Spalancando la bocca, il Flagello sembrò gridare, ma non emise che una risata soddisfatta e felice, mentre Andromeda stesso urlava di dolore e perdeva il controllo sulle ali, precipitando verso terra. Agonia allora schizzò in avanti, centrandolo al fianco con un fendente che spaccò Sovrana dei Venti, facendo schizzare flotti di sangue.
Afferratolo per la gola, in quella ferita il seguace di Erebo conficcò la mano, avvolgendola del suo cosmo e strappando al ragazzo nuove grida. Andromeda sentì come un incendio di fiamme nere dilaniarlo dall’interno, propagandosi sulla schiena e le gambe. Un’agonia talmente intensa da appannargli lo sguardo ed i sensi, offuscando persino il lume della ragione.
Le parole che Scorpio rivolgeva alle vittime della Cuspide Scarlatta, la doppia, tragica scelta tra follia e morte, gli risuonarono nella mente, mentre flotti di saliva mista a sangue scorrevano dagli angoli della bocca, e l’occhio si faceva sempre più vitreo.
La catena si mosse per difendere il suo padrone, ma la Veste Cinerea era impenetrabile ad attacchi così deboli, che non facevano altro che rimbalzare senza provocare veri danni.
Dopo qualche secondo, Agonia lo lasciò precipitare, ridendo soddisfatto alla vista del lago di sangue che si allargava sotto il suo corpo. Sogghignando, atterrò su di lui, schiacciandogli la mano con il tacco.
Ansimando nel tentativo di riprendere il controllo, il Cavaliere lo guardò con disprezzo.
"Non ti interessa la vittoria, vuoi solo farmi soffrire. Perché… perché combatti in questo modo? Non è da guerriero una simile condotta di battaglia!" domandò a denti stretti.
"Perché, mi chiedi? Non è insita nel mio nome la risposta? Io non sono un guerriero: sono Agonia, uno dei cinque Flagelli degli uomini, nato dalla tendenza umana a causare dolore!" rispose.
"Nato… dal dolore?!" ripeté Andromeda.
"Corretto. Noi Flagelli siamo diversi da voi, o persino dagli Dei, che in fondo, pur nei loro poteri, sono guidati da umane passioni. Noi invece ne siamo privi, di tutte eccetto una, ed una soltanto! La nostra personalità è frutto della natura che ci ha generati, in un certo senso ne siamo schiavi, non potremmo cambiarla neppure se lo volessimo.
"Chiedermi perché felice ti faccio soffrire è come chiedere alla fiamma perché bruci, al vento perché soffi, al cuore perché palpiti. Come Violenza adora la furia selvaggia della battaglia, così io amo ferire e torturare, prolungare l’agonia fino all’ultimo afflato di vita. Questa è la ragione stessa della mia esistenza, e questa è la sorte che ti attende. Spero saprai affrontarla il più a lungo possibile, per aumentare l’estasi che provo!" spiegò, investendolo con una sfera di energia e scagliandolo al centro della stanza, dove scavò un solco con il corpo.
Soddisfatto, Agonia mosse un passo verso di lui. Ma in quel momento, un’improvvisa tempesta di vento lo investì, impedendogli di avanzare oltre.
Nello stesso istante, un cosmo rosato lucentissimo avvolse Andromeda, le cui catene iniziarono a vorticare. Sanguinante e con frammenti di armatura che cadevano, il ragazzo si rialzò, fronteggiando il nemico.
"E’ così, una battaglia persino più dura del previsto mi attende! Così sia, accetto la sfida! In questo momento tra le nevi del Nord i miei amici rischiano la vita, come potrebbe il mio dolore essere paragonabile? Sfodera pure le tue armi migliori, Flagello di Erebo, le tue tecniche più dolorose! Saprò affrontarle!" esclamò, con tanta determinazione da farlo tentennare.
Improvvisamente, all’esterno, due cosmi si innalzarono maestosi, per poi scomparire. Uno di loro, brillante nella giustizia, era adesso appena percettibile. Ma l’altro, nero e bramoso di sangue, si era dissolto del tutto, svanendo come neve al sole.
"Non è possibile… Violenza è caduto!" esclamò con gli occhi spalancati Agonia, per la prima volta realmente sorpreso.
"Pegasus ce l’ha fatta!" sorrise Andromeda. "Nonostante i vostri poteri non siete invincibili, potete essere sconfitti!"
"Sconfiggerci è l’illusione di un folle… e come tutte le illusioni è destinata a cadere!" esordì allora una voce. Contemporaneamente, una sfera verdastra investì Andromeda alla schiena, spaccando in alcuni punti la sua armatura e facendolo crollare incredulo a terra.
Con la coda dell’occhio, vide una nuova figura ergersi dietro di lui, con indosso un’armatura nera dai riflessi verdi.
"Colpa!" sibilò Agonia nel riconoscere il nuovo arrivato.
***
"Violenza… uno dei cinque Flagelli è caduto, come può essere?!" esclamò sbalordito Guerra, ritto al centro del salone che costituiva il passaggio obbligato verso la sala del trono di Erebo.
Incredulo, si chiese se i sensi lo stessero ingannando. Solo poco prima in fondo gli era parso di avvertire il cosmo del suo signore accendersi, ma non vi erano presenze insieme a lui, e di certo non avrebbe osato entrare a disturbarlo. Adesso però la sconfitta di un Flagello - sconfitta di un Flagello, le parole stesse gli sembravano talmente assurde da non poter essere pronunciate - lo turbava.
Nondimeno, in pochi istanti ritrovò la lucidità, analizzando la situazione. "Violenza era un folle, guidato dalla brama di sangue e quasi privo di raziocinio… ma era comunque un Flagello, ben più potente di qualsiasi essere calchi questa terra, ad eccezione del sommo Erebo! E ciononostante è caduto, sconfitto da un Cavaliere che ancora stringe disperatamente a sé il filo della vita! Che siano state abilità o fortuna a dargli la vittoria non importa, non posso lasciare lui o i suoi compagni liberi di agire un secondo di più! Li annienterò con le mie mani!" esclamò, muovendo un passo verso l’uscita.
Ma in quel momento una pozza di tenebra comparve dinanzi a lui. Un mare nero senza fondo, da cui emerse una figura incappucciata, grondante oscurità.
"Morte!" la riconobbe.
E si incupì, perché, per la prima volta dacché ne avesse memoria, il Flagello portatore della fine, che aveva sempre rivolto il suo sguardo al mondo con noia e distacco, sembrava intenzionato ad agire.
***
"Colpa! Perché sei qui, fratello?!" sibilò Agonia con evidente sdegno di fronte a quell’inatteso arrivo.
"Colpa…" ripeté Andromeda. Sollevandosi faticosamente carponi, volse la testa ad osservare la figura che era comparsa alle sue spalle, e che lo aveva duramente colpito.
Era alto e di corporatura minuta, anche se non scheletrica come Agonia, ed al pari del cosiddetto fratello indossava un’armatura nera, con riflessi verdastri anziché gialli. La Veste Cinerea era composta da un elmo integrale, ornato sulla fronte da due vistosi occhi verdi ovali e con sottili corna verticali. Pettorale e cinturino erano un pezzo unico, aderente e coperto di striature orizzontali, anche in questo caso ornato dietro la schiena da un paio d’ali. A differenza di quelle di Agonia però erano sottili, quasi trasparenti al centro ed appena più spesse lungo i bordi, e si estendevano diagonalmente verso l’esterno, terminando più o meno all’altezza delle ginocchia.
Altrettanto particolari erano i coprispalla, formati ciascuno da due livelli. Uno superiore, orizzontale e proteso verso l’esterno, dove terminava a punta biforcuta curvandosi verso il basso, ed uno inferiore, formato da una specie di tentacolo che si avvolgeva attorno al bicipite in diversi cerchi, sovrapponendosi alla protezione per le braccia e congiungendosi ai bracciali stessi, dall’apparenza ispida anche se privi di aculei o artigli. Medesima forma avevano ginocchiere e schinieri.
Più dell’armatura però, Andromeda fu colpito dal volto del Flagello: era bello, più affascinante persino di Fish, con lunghi capelli biondi ondulati che arrivavano a metà schiena e profondi occhi verde smeraldo. Il viso aveva lineamenti delicati, più adatti ad un modello che ad un guerriero, con zigomi sottili ed un naso appena pronunciato.
"Se è malvagio quanto ammaliante…" pensò preoccupato.
Ignorandolo, Colpa guardò Agonia, che continuava a fissarlo adirato. "Perché, chiedi? Ero stanco di aspettare, nulla più, e sento che vi è qui uomo il cui cuore mi appartiene! Non sono forse io Colpa, il cacciatore che dimora nei recessi dell’anima?" rispose, alternando dignità e derisione.
"E’ mia questa preda! L’ho già segnata, le mie ferite ne ricoprono il corpo!" esclamò stizzito il primo Flagello.
"La difesa del palazzo compete a tutti noi, se hai da ridire dovresti porgere le tue rimostranze a Guerra o al sommo Erebo, che non ci hanno assegnato zone specifiche di competenza! Dimmi, desideri farlo?"
Queste ultime parole parvero infiammare di rabbia e nel contempo frenare Agonia che, pur risentendone il tono, non poteva negarne il contenuto.
Soddisfatto, Colpa si girò verso Andromeda, che nel frattempo si era in qualche modo rialzato e ne sosteneva lo sguardo.
"Sì, tu mi hai conosciuto, la mia impronta è ben visibile su di te…" sorrise, muovendo un passo nella sua direzione.
"Non so di cosa tu stia parlando, ma non mi farò trovare impreparato! Catena di Andromeda!" gridò l’eroe lanciando la sua arma.
La catena centrò il bersaglio in pieno petto ma, con immenso stupore del suo padrone, non gli causò alcun danno. Anziché ferirlo infatti lo attraversò da parte a parte per poi andare ad infrangersi sulla parete alle sue spalle.
Incurante di ciò, il Flagello continuò ad avanzare.
Incredulo, Andromeda richiamò a se la catena, solo per vederla attraversare di nuovo la forma che aveva dinanzi. Più d’istinto che consapevolmente, indietreggiò di un passo.
"Non è possibile, l’ha attraversato come se fosse un fantasma. Che sia un’illusione?!" si chiese.
Come a rispondere a quella domanda, Colpa sollevò una mano, lasciando partire un’ondata di energia talmente rapida da sorprendere il ragazzo ed investirlo.
"Potrebbe un’illusione colpirti in questo modo?" lo derise, scattando verso di lui più velocemente.
"Gemini lo ha fatto, alla terza casa! Ma la sensazione che provo stavolta è diversa, costui è qui, ne sono sicuro! Ma perché allora la mia catena non lo raggiunge?!" si chiese Andromeda, sferrando un altro colpo solo per ottenere lo stesso risultato.
Contemporaneamente, Colpa mosse il braccio in avanti, travolgendolo con un’ondata più forte della precedente e scagliandolo indietro per qualche metro prima di avventarsi su di lui e tempestarlo di pugni al volto e al torace. L’armatura, già danneggiata da Apopi ed Agonia, iniziò a vacillare pericolosamente, con frammenti che volavano via insieme agli schizzi di sangue.
"I suoi colpi sono reali, questa non è illusione o inganno dei sensi!" pensò il Cavaliere, prima di essere piegato in due da un destro all’addome. Le ferite infertegli da Agonia pulsavano terribili, amplificando il dolore di quella tempesta di pugni ma anche aiutandolo a ragionare. "Qualunque sia il suo segreto, una cosa almeno è sicura: costui è tangibile nel momento dell’attacco! Di quell’attimo dovrò approfittare per reagire, a questa distanza non potrà far nulla!"
Forte di questa sicurezza, lanciò al nemico uno sguardo di sfida e, nello stesso momento in cui la mano nera lo centrava alla spalla, lanciò contro di essa la catena per avvolgergliela attorno al polso.
A quello sguardo, Colpa rispose però con un sorriso di scherno misto a trionfo: innocua, l’arma era scivolata ancora una volta attraverso il suo corpo cadendo a terra, proprio nell’attimo in cui il pugno centrava Andromeda con tanta forza da farlo indietreggiare di qualche passo, sorpreso e inorridito.
"Non sforzarti, per te sarò sempre un arcano mistero! Un insetto posto di fronte all’immensità dell’universo avrebbe più possibilità di carpirne i segreti di quante ne abbia tu di scoprire il mio!" lo derise il Flagello, alzando di scatto le braccia pronto a liberare un’altra ondata di energia.
Allarmato, Andromeda sollevò la catena per difendersi, quando un dolore atroce esplose nella sua gamba sinistra. Una sofferenza lancinante, come se l’arto, paralizzato dall’anca al piede, fosse in preda alle fiamme.
"Aaaarghh!!!!" gridò, sentendosi venir meno. Neppure il suo fisico di Cavaliere poteva sopportare un dolore simile. Barcollando in avanti nel disperato tentativo di restare in piedi, abbassò lo sguardo, accorgendosi con orrore che la coscia era stata attraversata da parte a parte da cinque aculei.
In quel momento Agonia, finora rimasto immobile alcuni metri alle spalle del Cavaliere, scoppiò a ridere sarcasticamente. "Hi hi hi hi hi, avevo dimenticato come fosse il vederti all’opera, fratello! Invero poco hai da invidiarmi! Ma è anche mio costui, non ti lascerò tutto il piacere di finirlo!"
Nel dir ciò, ritirò le unghie con cui aveva trafitto l’eroe e lanciò contemporaneamente una sfera di luce che lo centrò in piena schiena, scagliandolo in avanti in direzione di Colpa. In tutta risposta, quest’ultimo alzò di scatto le braccia, liberando un’ondata verde simile ad un tornado e lanciando in aria Andromeda. Le punte delle ali andarono in pezzi, e con esse i bordi dei coprispalla e la protezione per il fianco, già sfondata in precedenza. Per di più, dedali di crepe si aprirono sul pettorale, lasciando filtrare flotti di sangue sempre più copiosi.
"Le ultime forze mi abbandonano… non ho i mezzi per affrontarli entrambi!" pensò il Cavaliere prima di sbattere contro il soffitto e precipitare. La gamba era ancora agonizzante, la mente a stento cosciente, al punto che quasi non avvertì il violento l’impatto col suolo, o il lago di sangue che si allargò sotto il suo corpo.
A fatica, udiva i due Flagelli dialogare, in toni meno accesi rispetto a poco prima. Cosa stessero dicendo non riusciva a sentirlo, ma in fondo non ne aveva bisogno perché poteva ben immaginarlo. "Stanno decidendo a chi di loro spetti darmi il colpo di grazia! Si spartiscono le spoglie, certi di una vittoria ormai conquistata. Come dargli torto? Giace sconfitto ai loro piedi Andromeda, esanime ed in fin di vita! La loro forza è immensa… sconfinata, simile ad un mare senza fondo… ma devo comunque trovare un modo di oppormi, non è lasciandosi piegare senza reagire che un Cavaliere di Atena conduce la battaglia!" pensò, iniziando a serrare le dita in pugno.
"Contro Apopi ho saputo innalzare il mio cosmo fino alla piena padronanza del nono senso… è davvero possibile che neanche un tale celeste potere basti a vincere costoro? No, non posso crederlo! Il trionfo di Pegasus mostra che non sono invincibili! Sono solo le loro strane difese a mettermi in scacco, vanificando i miei sforzi. Dovrò fare lo stesso, la virtù difensiva di Andromeda deve rinascere! Il resto verrà da sé!"
Un cosmo rosato brillantissimo lo avvolse, talmente lucente da abbagliare i Flagelli e portarli a concentrarsi di nuovo su di lui. Un istante dopo, un uragano esplose dal corpo del ragazzo, frantumando il suolo attorno a lui e sollevandone i frammenti a mezz’aria.
"Non credevo avesse ancora tanta vitalità…" ammise Agonia, mettendo per un istante da parte il suo sorriso sarcastico.
"Fin quando ci sarà una causa per cui lottare, la vitalità di Andromeda sarà infinita!" proclamò il Cavaliere, rialzandosi a fronteggiarli. Nonostante numerose ferite ancora ne segnassero il corpo, il suo aspetto era terribile: i capelli agitati dal vento, la catena che scorreva sinuosa come un serpente d’oro, il cosmo splendente oltre ogni dire, al punto da invadere l’intero salone con tiepide onde di luce, e soprattutto l’occhio colmo di determinazione.
Dopo un attimo però i Flagelli scrollarono le spalle.
"Uno spettacolo notevole, ma inutile! Per quanto tu possa bruciare ed espandere il cosmo che ti resta, la sorte che ti attende non cambierà! Preparati a bere ancora una volta dall’inebriante coppa del dolore!" esclamò Agonia, sferrando un globo di energia.
"Non più! I tuoi assalti non offenderanno più le mie carni e quest’armatura, dono degli Dei celesti!" rispose Andromeda, sferzando l’aria con il braccio sinistro. "Catena, disponiti a difesa!!"
Immediatamente l’arma rispose al richiamo del suo padrone, allargandosi a spirale attorno al suo corpo.
"Sciocco, quella difesa è inutile, te l’ho già dimostrato! I suoi anelli sono troppo radi per fermarmi!" rise il Flagello, allargando di scatto le mani. La sfera esplose in una pioggia incessante di aghi, diretti verso il corpo dell’eroe.
"Vedremo! Nebula Chain!" gridò Andromeda, facendo esplodere il suo cosmo. In un bagliore accecante, un vento inaudito avvolse l’arma, disperdendo l’assalto di Agonia.
"Che cosa?!" sibilò il Flagello, spalancando per la prima volta gli occhi.
"I tuoi anelli sono troppo radi per fermare i miei aculei, così avevi detto! Ebbene, non è più così: il vortice della Nebula Chain forma ora una difesa impenetrabile, uno scoglio su cui si spezzerà qualsiasi tuo tentativo!" proclamò trionfante il Cavaliere. "Non ho dovuto far altro che avvolgere la catena di difesa del vento della Nebulosa, proprio come ho fatto per quella d’attacco nel duello contro Apopi! Dimmi: cosa farai adesso?"
"Frantumerò quel catenaccio!" rispose Agonia fissandolo con odio e spiegando le ali, sul punto di lanciarsi all’attacco. In quel momento però Colpa gli poggiò una mano sulla spalla, trattenendolo e superandolo di un passo.
"Una valida strategia, Cavaliere di Grecia…" commentò, allargando le braccia attorno a se "Ma persino la difesa più potente è solida solo quanto il cuore di chi l’ha innalzata!"
Una figura demoniaca comparve alle spalle di Colpa, il cui cosmo verdastro si innalzò manifestandosi come una sorta di fumo che usciva dalle sue dita, disegnando in aria una scia per nulla dissolta dal vento delle catene.
Contemporaneamente, Andromeda avvertì una strana sensazione, come se qualcosa stesse cercando di uscire dal suo corpo, risalendo su per la gola e riempiendogli la bocca. Istintivamente cercò di impedirlo, ma ogni suo sforzo fu vano e dopo qualche attimo egli si sentì svuotato, pur non avendo all’apparenza subito nuove ferite.
Confuso, alzò lo sguardo verso Colpa, rimanendo senza parole. Sospeso in aria sopra il Flagello c’era lui, o meglio un suo simulacro, composto all’apparenza da una nuvola di fumo. Era nudo e grigio come cenere, con il capo piegato e le spalle curve.
"Mira, o Cavaliere, l’essenza del tuo spirito!" sibilò il Flagello, contemplando quella figura. "Piegata dal peso di affanni e rimorsi, proprio come il tuo cuore! E come tale, vulnerabile!"
Con un gesto deciso Colpa sferrò un fendente attraverso il torace dell’immagine. Un momento dopo, il pettorale di Sovrana dei Venti andò parzialmente in frantumi nel medesimo punto ed Andromeda gridò di dolore, mentre la catena di difesa crollava inutile, bagnata da sprizzi di sangue.
Approfittando del momento, Agonia sorrise malvagio e fece scattare in avanti le braccia scatenando un’esplosione di energia che lo raggiunse devastante. Le ali e parte dello schienale esplosero in pezzi, mentre gli aculei neri si conficcavano nei fianchi accanto alla colonna vertebrale, infiammandola di un dolore il cui pari Andromeda non aveva mai provato.
Un grido di pura agonia si innalzò al cielo, rimbombando tra i corridoi del castello e giungendo persino all’esterno.
Nella foresta, Phoenix per un istante impallidì. "Andromeda!!"
"Il suo cosmo… è quasi svanito!" commentò Sirio inorridendo.
Nel castello, incapace di sopportare quell’accecante sofferenza, la mente dell’eroe si spense ed egli crollò esanime a terra.
"Stupendo! Stupendo il suo dolore, lo sento quasi palpabile! Così inebriante! Ah, quanto vorrei prolungare questo momento all’infinito!" sorrise Agonia.
"Chetati, avrai altre vittime con cui divertirti…" rispose Colpa, sollevando la mano per il colpo di grazia.
Annuendo un po’ di malavoglia, Agonia fece lo stesso.
Ma in quel momento un cosmo gelido investì entrambi, avvolgendo il salone di cristalli di ghiaccio e sprofondandone la temperatura di centinaia di gradi sotto zero. Voltandosi di scatto, i Flagelli guardarono verso la parete accanto all’ingresso.
Cristal il Cigno si era finalmente rialzato, e, avvolto da un cosmo abbagliante, fissava entrambi pronto alla battaglia.
***
Nel salone antistante la sala del trono, Guerra continuò a fissare Morte, che dal nulla era comparso dinanzi a lui, gli occhi celati dall’elmo simile ad un cappuccio che mostrava solo la parte inferiore del viso, di un pallore spettrale.
"Hai intenzione di sbarrarmi la strada, fratello?" disse alla fine, accendendo minacciosamente il proprio cosmo, che per ampiezza non aveva eguali neanche tra i Flagelli. O almeno così credeva, perché in fondo non aveva mai avuto modo di vedere l’aura di Morte, da sempre scostante e disinteressato agli eventi del mondo, contento solo di calare il proprio tocco indistintamente su qualsiasi essere vivente.
A quella domanda, il Flagello scosse la testa, ma non rispose nulla.
Incupendosi, Guerra decise di ignorarlo, consapevole che, in migliaia di millenni di esistenza, si diceva che Morte non avesse parlato che un pugno di volte, sempre e soltanto prima di eventi o cataclismi che avrebbero cambiato per sempre la storia del mondo, come le grandi guerre divine del passato, quando ancora gli uomini non esistevano e la sua mortifera essenza non si era dissolta nel creato.
Così, ricordando quel che si era prefissato di fare, placò il proprio cosmo e lo superò, dirigendosi verso l’uscita.
A pochi passi, una voce lo chiamò, piatta e sottile, ma soprattutto di una freddezza sconvolgente. "Fermati, fratello…"
Girandosi di scatto, Guerra fissò Morte, incredulo. Egli era ancora immobile e sembrava fissarlo, anche se i suoi occhi restavano invisibili. "Perché freni il mio passo?"
"Non è ancora tempo per te di combattere…" rispose l’altro sibillino.
"Per quale motivo dovrei restare? Non hai avvertito l’aura di Violenza dissolversi nel nulla? Un tale affronto contro la stirpe di noi Flagelli va immediatamente lavato nel sangue!" rispose Guerra.
"E se andassi ora di certo sarebbe così. Con la tua forza smisurata precipiteresti tutti quei Cavalieri nel mio abbraccio che cancella ogni cosa… Ma ti chiedo di attendere, per qualche tempo ancora" disse l’altro.
"Per quale motivo?"
"Misteriose forze sono all’opera tra queste mura. Non senti lo spazio contorcersi oltre noi, nel corridoio che conduce alla sala del trono?" rispose, indicando il passaggio. Il suo aspetto era quello di sempre, ma, fissandolo con attenzione, Guerra si accorse per la prima volta che in realtà era come se si fosse trasformato nell’apertura verso un’altra dimensione. Uno spazio infinito in cui perdersi per l’eternità.
"E non è l’unica metamorfosi in atto. Lo scorrere stesso del tempo è mutato nella sala del trono! Poteri più grandi di quelli evocabili da quegli esseri umani sembrano essere in azione. Allontanandoti per finirli, lasceresti libera la strada per Erebo, colui che è tuo dovere ed orgoglio difendere…"
Quest’argomentazione frenò Guerra, portandolo a riconsiderare la situazione. Vi era del vero nelle parole di Morte: ora che aveva teso i suoi sensi ultraterreni, poteva percepire la distorsione spaziale nel corridoio, come pure quella temporale nella sala del trono, da cui però non sentiva provenire alcun eco di lotta. Però era certo che dietro l’atteggiamento del compagno ci fosse anche dell’altro, qualcosa che gli stava tenendo celato per motivi propri. Restando, forse avrebbe fatto il suo gioco.
D’altra parte Agonia e Colpa, i più insidiosi tra i Flagelli, adesso stavano combattendo e sicuramente avrebbero annientato loro stessi i Cavalieri di Atena. Due di loro già sembravano in fin di vita. Un suo intervento era davvero necessario?
Alla fine, prese la sua decisione.
"E sia, farò come suggerisci! Lascerò ai nostri fratelli la battaglia, di certo ne usciranno vincitori!" esclamò, tornando al centro del salone.
E, con la coda dell’occhio, notando l’ombra di un sorriso comparire sul viso di Morte.
***
Scosso dall’aria gelida del cosmo del Cigno, Andromeda riaprì debolmente gli occhi, scorgendo l’amico.
"Cristal… fa attenzione, costoro sono pericolosi…" lo avvertì parlando a stento.
"Lo so, non temere. Ho già sperimentato la forza dei Flagelli, non mi lascerò cogliere impreparato una seconda volta!" gli sorrise il ragazzo, guardando prima i danni sul suo pettorale, causati dalla furia di Violenza, e poi, con maggior preoccupazione, il corpo martoriato dell’amico e l’armatura piena di crepe. Senza darlo a vedere, concentrò su di lui l’aria ghiacciata, cercando di lenire il dolore delle ferite, e si voltò verso i due sicari.
"Hi hi hi hi, il rifiuto che Violenza non ha finito!" ridacchiò Agonia, ripresosi dalla sorpresa. "Sono felice che tu ti sia risvegliato, il tuo amico era allo stremo ma tu mi donerai altro dolore!"
Squadratilo, Cristal chiuse gli occhi, espandendo ulteriormente il suo cosmo al punto che una leggera nevicata iniziò ad ammantare il salone. "Il dolore che dici di cercare lo troverai subito, per mia mano, perché la tecnica con cui ti colpirò non sarà affatto soave! Memore della lezione di Violenza, ti finirò senza esitare!" avvertì, concentrando l’aura nei pugni e liberandola di getto. "Prendi, l’Aurora del Nooord!!"
Il vortice di aria gelida investì Agonia proprio nel momento in cui quest’ultimo stava per lanciarsi all’attacco, con una forza tale da frenarne il passo. Sottili strati di ghiaccio comparvero sulla Veste Cinerea, seguiti da stalattiti sempre più spesse che lo bloccarono.
"Uuh… aria ghiacciata… più fredda persino dello zero assoluto, che per gli esseri inferiori è limite invalicabile! E’ la prova che pur essendo solo un uomo costui ormai ha una forza divina!" notò il Flagello, con una smorfia di fastidio. "I suoi colpi generano gelo, non dolore, non mi procurano alcuna gioia! Nondimeno, anche lui ora proverà il freddo che mi attanaglia, l’abbraccio del mio cosmo non lascia scampo!"
Nello stesso momento infatti Cristal barcollò sorpreso. "Sento su di me l’aria ghiacciata dell’Aurora del Nord… costui è capace di far avvertire l’effetto dei colpi anche su chi li ha lanciati…" pensò, prima di ritrovare l’equilibrio e sostenere lo sguardo del nemico "Ma non importa, al gelo sono ben abituato da anni di addestramento, e la mia difesa è solida grazie alla Luce dell’Aurora!"
Intuendo che contro quell’avversario il suo potere sembrava non avere effetto, Agonia si accese di rabbia e frantumò il ghiaccio con un gesto stizzito della mano, spiegando poi le ali.
"Esistono molti modi per far provare dolore! Se quello delle tue stesse tecniche non basta, sentirai il tocco dei miei aculei!" minacciò, volando in avanti alla velocità della luce.
"Non ti lascerò il tempo di usare gli artigli! L’alto volo del Cigno, che è la costellazione di Cristal, unito allo scorrere delle divine acque ora ti spazzerà via!" esclamò l’eroe sollevando le braccia sopra la testa. Alle sue spalle comparve un’anfora carica di energia cosmica.
"Prendi la tecnica suprema del mio maestro! Per il Sacro Acquarius!!" gridò, scatenando il suo colpo segreto.
Con un grido, Agonia venne travolto, le ali improvvisamente appesantite dal ghiaccio. Nondimeno, riuscì a far scattare la mano in avanti, liberando una sfera tagliente che colpì Cristal in pieno addome, dove l’armatura era stata già danneggiata da Violenza.
Con un grugnito di dolore il ragazzo barcollò, obbligato ad interrompere l’attacco, e subito Agonia sferrò un altro colpo, e poi un altro ancora, che il Cavaliere riuscì in qualche modo a parare con lo scudo, venendo tuttavia spinto indietro fino a sbattere contro la parete.
Soddisfatto, il Flagello mosse in avanti la mano destra, liberando i suoi terribili aculei.
"Attento! Non lasciare che ti tocchino!!" gridò allarmato Andromeda.
Avvedendosi del pericolo, il Cigno si tuffò di lato, atterrando sul palmo della mano ed usandolo per ruotare, darsi la spinta al muro e lanciarsi contro il nemico, planando in mezzo agli aculei.
"Per tua sfortuna nel mio viaggio sin qui ho affrontato Fenrir, il Lupo del Ragnarok! Sei diverso da lui, spirito sventurato… sento che il tuo cuore è sterile come le distese ghiacciate da cui provengo! Ma dell’esperienza accumulata nell’affrontare i suoi colpi ho fatto comunque tesoro!" esclamò, portandosi a ridosso dell’avversario. "Polvere di Diamanti!!"
"Non paragonare un Imperatore a me, un Flagello antico come il creato! Di questa vita, che sin dalla nascita è colma di dolore, io sono uno dei padroni!" sibilò il seguace di Erebo, allargando di scatto le ali per disperdere la Polvere di Diamanti e contemporaneamente portare a segno altri colpi taglienti.
Una delle sue lame di vento raggiunse il braccio destro di Cristal, già martoriato dal morso di Fenrir, strappando un grido al ragazzo e riaprendo la ferita. Sorridendo sinistramente nel sentire il suo dolore, Agonia calò un colpo trasversale, ferendo di striscio sia l’arto che il fianco, per poi scaraventare a terra l’avversario, il cui corpo adesso grondava flotti di sangue sempre più copiosi.
"Cristal!!" urlò Andromeda, cercando invano di rialzarsi.
Contemporaneamente, Agonia mosse un passo, solo per bloccarsi allibito. Abbassando lo sguardo, scoprì con orrore che i piedi erano imprigionati in uno spesso strato di ghiaccio, che si stava rapidamente allungando a coprirgli anche le gambe. Un gelo intensissimo penetrò la sua Veste Cinerea, strappandogli un grugnito.
Avvertendo la medesima sensazione, Cristal si scosse, sforzandosi di ignorare il pulsare del braccio. "Non posso usare le Scintille nella Bufera, ne soffrirei anche io gli effetti! Dovrò ricorrere al Sacro Acquarius, e confidare nella sua aria ghiacciata!" pensò, sollevando nuovamente entrambe le braccia sopra la testa.
In quel momento, Colpa, che finora era rimasto in disparte, comparve innanzi a lui, scivolando nell’aria come uno spettro. Sorpreso da quell’apparizione e temendo un attacco, Cristal cambiò mira all’ultimo secondo, indirizzando il Sacro Acquarius contro di lui.
Con suo enorme stupore però, vide inorridito l’aria ghiacciata attraversarlo e perdersi alle sue spalle senza che neanche un cristallo di neve si posasse sul suo corpo.
"Ancora!" pensò Andromeda. "Anche stavolta un attacco lo ha attraversato senza recargli danno! Qual è il suo segreto?! E’ davvero qui il Flagello, o si tratta davvero di un’illusione comandata a distanza da qualcuno? E se così fosse, come fa a colpirci!"
Sbalordito, Cristal indietreggiò di un passo, incrociando lo sguardo interessato del nuovo avversario. Interessato e soddisfatto.
"Persino più del tuo compagno, tu sei terreno fertile per il mio seme!" sussurrò allargando di scatto le braccia e disegnando scie fumose nell’aria.
Come Andromeda prima di lui, il Cigno avvertì la sensazione di qualcosa che gli usciva dal corpo senza che lui potesse impedirlo in alcun modo. Era come se l’anima stessa gli stesse venendo strappata, una sensazione non dolorosa ma indescrivibile, accompagnata da un senso di spossatezza che gli annebbiò la vista.
Ripresosi, si accorse con orrore che sopra il Flagello fluttuava un suo simulacro di fumo, quasi completamente nero come l’ebano e piegato in due sulle ginocchia. Unico chiarore era una macchia bianca, poco più piccola di un pugno, posta sul lato sinistro del petto.
"Uomo piegato dal peso dei tuoi peccati sei tu, Cavaliere del Cigno, portatore di sventure!" lo apostrofò allora Colpa, guardandolo sinistramente.
"Uno ad uno coloro che ti sono cari sono caduti per tua mano: hai ucciso il tuo maestro, il maestro del tuo maestro, ed il tuo compagno d’infanzia! Hai portato alla rovina colui verso il quale era rivolto il cuore della donna che ami, precipitandolo nell’abisso della gelosia!" sibilò.
"Come… come sai queste cose?!" impallidì Cristal.
"E’ tutto qui, ben chiaro ai miei occhi, inciso sul libro aperto che è il tuo cuore!" rispose il nemico, il cui sorriso si allargò. "E non solo questo: anche la morte di colei che avevi più cara al mondo hai causato: tua madre, cui invano chiedi perdono da anni! Era a causa tua che vi trovavate in viaggio su quella nave! Se non fosse stato per te, forse sarebbe ancora viva oggi!"
"No… taci, non dire il suo nome!" ringhiò il Cigno, colpendo con un getto di aria ghiacciata che però non sortì alcun effetto.
"Povero uomo infelice, piegato dalla colpa, il male da cui è impossibile sfuggire, quello che più di ogni altro accomuna tutti gli uomini! E che ora ti perderà!" esclamò il nemico, spazzando il simulacro di Cristal sull’addome.
Con un grido di dolore, l’eroe vide la sua armatura andare in pezzi in quel punto, facendo sprizzare fuori una fontana di sangue. Un secondo colpo lo raggiunse alla gamba sinistra, frantumando il copricoscia e danneggiando lo schiniere.
Nello stesso momento, Agonia, libero dai ghiacci, comparve alle sue spalle e vibrò un’artigliata dall’alto verso il basso, centrando il punto dove Luce dell’Aurora era stata già sfondata da Fenrir.
Urlando sofferente, dilaniato nel corpo e nello spirito, Cristal cadde in ginocchio, rischiando di crollare mentre il sangue grondava a terra gocciolando da tantissime ferite e macchiando di rosso la sua candida corazza.
In quel momento, la catena di Andromeda si avvolse attorno al polso di Agonia. Zoppicando incerto sulle gambe, il ragazzo si avvicinò all’amico, lo sguardo fisso sui Flagelli.
"La forza di costoro è immensa, superiore a qualsiasi altra abbiamo mai incontrato in passato! Combattendo da soli contro entrambi non avremmo speranze, verremmo sicuramente massacrati! La nostra unica possibilità di salvezza è unire le forze!" esclamò, espandendo quel che restava del suo cosmo e porgendogli una mano. "Come al tempio di Eolo!"
"Come al tempio di Eolo!" annuì Cristal, accettando la stretta e facendo lo stesso con il proprio cosmo ghiacciato.
Brillanti come stelle, le loro aure risplendettero nel salone illuminandolo di bagliori multicolore. Tinte rosate si rifletterono nel candore di puri cristalli di ghiaccio, scontrandosi con emanazioni cariche di tenebra. Un contrasto che riempì la stanza di scariche di energia statica.
Pronti a riceverli, i Flagelli sorrisero sinistramente.
***
"Atena!" sibilò Erebo, fissando torvo le Strane Sorelle, le cui parole sibilline ancora una volta avevano colto nel segno. In un primo momento non aveva dato alcun peso al sacrificio della Dea della Giustizia, avvenuto proprio in quel castello meno di tre giorni prima, ma, da quando i Cavalieri erano ricomparsi, era sorto in lui il sospetto che esso nascondesse un secondo significato che non riusciva ad immaginare.
Continuando a camminare in cerchio attorno a lui, le misteriose fanciulle suddite del sommo Fato proseguirono.
"Perché ha gettato la vita?"
"Solo per salvare i suoi Cavalieri?"
"Oppure il suo gesto celava un motivo più profondo?"
"Non solo della giustizia era Dea Atena…"
"… ma anche della guerra prudente ed assennata…"
"… è stata inutile la sua morte… o parte di un più grande disegno?"
Quest’ultima domanda, pronunciata in coro, toccò un nervo scoperto, dando voce ai pensieri che si agitavano nel cuore della Prima Ombra.
Stringendo il pugno minaccioso, sferzò l’aria interrompendo il loro cammino e spingendole indietro.
"Sciocchezze! Atena è morta, il suo spirito è stato assorbito dentro di me, e nulla più è rimasto del suo corpo. La Dea della giustizia è cenere di cenere!" ringhiò.
Incuranti del suo sguardo torvo, le Strane Sorelle continuarono.
"E’ vero… Atena è morta…"
"Ma la morte è davvero la fine di tutto?"
"Proprio in questo momento, non vi sono forse altri tra queste mura che credevi morti?"
"Come hanno potuto quei cinque Cavalieri…"
"… meri esseri umani…"
"… sopravvivere alla tua mano che, spietata, tutto distrugge?"
"Questo è un dubbio che ti tormenta! Un cancro che ti rode l’anima!"
"Perché tu, figlio delle tenebre e di loro signore…"
"Nel profondo del tuo cuore temi quegli esseri umani, che fluttuano tra la luce e l’oscurità!"
"La profezia!" disse la Prima Ombra tra i denti.
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
Morte di un eroe
Le coste di Scozia, solo pochi giorni prima teatro della terribile battaglia tra Titania, regina di Avalon, ed i Cavalieri d’Oro di Atene, erano avvolte in una tenue foschia, a stento rischiarata dai pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare tra le nubi.
L’atmosfera era umida e uggiosa. L’erba, o quel che ne restava dopo lo scontro ed il successivo passaggio di Erebo al cui tocco tutto avvizziva, era piegata sotto il peso della rugiada. Il silenzio era totale, persino gli insetti erano fuggiti o si erano rifugiati in profondità sotto terra.
Ad un tratto, la quiete fu spezzata da un lampo di luce dorata che, prima di dissolversi, lasciò sulla scogliera otto figure, sette delle quali coperte da armature piene di crepe e danni.
"Ci sei riuscito… siamo in Scozia!" esclamò Asher, parlando per primo e guardandosi attorno sbalordito mentre, accanto a lui, Virnam crollava in ginocchio palesemente spossato.
Avvicinandoglisi, Tisifone gli poggiò una mano sulla spalla. "I tuoi poteri sono cresciuti in modo incredibile in questi ultimi anni, hai teletrasportato tutti noi sin qui da Nuova Luxor! Ma adesso rifiata, non sappiamo cosa ci attenda!"
"Non dovrebbe essere l’unico a rifiatare…" commentò Asher, guardando preoccupato verso la Sacerdotessa dell’Ofiuco. Invano aveva cercato di convincere lei, Nemes e Rudolph a restare in città, ma non avevano voluto sentire ragioni. Seppur ancora dolorante, Tisifone aveva affermato con enfasi, tanta da fargli persino un po’ paura, di essere pronta a combattere di nuovo e che, se non l’avessero portata con loro, sarebbe andata da sola a cercare la roccaforte del nemico. Per di più la donna gli era superiore per rango, così Asher non aveva potuto opporsi più di tanto, anche se in cuor suo avrebbe preferito saperla al sicuro. Con Nemes e Rudolph, il giovane apprendista, la discussione era stata più accesa, anche perché sarebbe stato meglio lasciare qualcuno in difesa dell’ospedale dove riposavano i feriti. Alla fine però, un po’ a sorpresa, Castalia aveva preso le loro parti, rivendicando il diritto di tutti i Cavalieri, e persino degli apprendisti, a combattere nell’ora del bisogno se tale era il loro volere.
Così, dopo aver usato i suoi nuovi poteri curativi per portare fuori pericolo Black e Geki, Asher era stato costretto ad acconsentire. Ne era seguita una discussione su cosa fare e dove andare, ed alla fine avevano optato per le coste di Scozia, ultimo luogo in cui avevano percepito l’ardere dei cosmi dei Cavalieri d’Oro prima della comparsa di Erebo.
Ora però, guardandosi attorno, quella decisione sembrava palesemente errata.
"Non c’è più nessuno qui, questo luogo è deserto…" commento Nemes scrutando la zona.
"Eppure ci sono tracce di lotta", notò Castalia, indicando il suolo chiazzato da macchie scure, evidentemente di sangue rappreso, e di tanto in tanto coperto da frammenti di armature d’oro e crateri. "I Cavalieri erano qui… ma ora dove saranno?"
"Ci sono ben più che tracce! Guardate là!" esclamò Reda.
Seguendo il suo sguardo, i presenti videro l’armatura vuota dei Gemelli, riassemblatasi nella forma della sua costellazione. Era piena di crepe, con pezzi completamente in frantumi, e dalla maschera che muta li osservava spirava un senso di tristezza.
"Un’armatura non abbandonerebbe mai un Cavaliere… Kanon è caduto!" dedusse amaramente Castalia.
Rattristati, tutti chinarono il capo per qualche momento, onorando il compagno che li aveva lasciati. Pur con tutte le sue colpe ed i suoi misfatti, Kanon aveva agito da vero Cavaliere nella guerra contro Hades e poi in quella contro Oberon, ed il saperlo scomparso riempiva di dolore i loro cuori.
"Kanon, presto forse ci rivedremo… ma fino ad allora dall’alto del Paradiso dei Cavalieri veglia su di noi insieme ad Aspides, Ban, Aircethlam e chissà quanti altri amici la cui morte ancora ignoriamo!" pensò Asher.
***
"Braccio di Titano!!" gridò Thor, sferrando rabbiosamente il suo colpo segreto contro un Gigante, che crollò trapassato da parte a parte.
Avvedutisi del pericolo rappresentato da quell’uomo all’apparenza minuscolo, e memori di un guerriero simile che in passato li aveva quasi sterminati, gli abitanti di Jotunheim si concentrarono su di lui. Strappando un albero ed usandolo come mazza, uno di loro centrò il Cavaliere, sbattendolo contro la parete di un edificio che gli crollò addosso.
Ridendo stupidamente insieme ai compagni, il Gigante allungò la mano verso le macerie, solo per ritrarla urlando di dolore, mentre fontane di sangue piovevano al suolo.
Disegnando un arco nell’aria con Mjolnir, Thor gli aveva mozzato di netto tre dita all’altezza delle falangi. Dimenandosi con urla assordanti il Gigante cercò di allontanarsi, ma Thor lanciò di nuovo la sua arma, conficcandogliela nell’occhio con tanta forza che essa trapassò da parte a parte il cranio, sbucando dalla nuca prima di tornare nelle mani del suo padrone.
In quel momento però altri due Giganti sollevarono insieme le gigantesche mazze di ghiaccio che usavano come armi, calandole su di lui all’unisono. Con un braccio spezzato in seguito alla battaglia con Gunther, Thor sollevò l’altro per difendersi, ma l’impatto fu tale da schiacciarlo quasi, facendolo crollare semi-svenuto nella neve.
Desideroso di finirlo, uno dei Giganti lo afferrò in mano, stringendolo con tanta forza da far scricchiolare la sua già danneggiata armatura, e lo sollevò fino ad averlo davanti agli occhi, indeciso se divorarlo o schiacciarlo. Ma in quel momento Ivan e gli altri soldati che con lui avevano difeso le mura vinsero il terrore e corsero in suo soccorso, conficcando spade e lance nelle gambe del mostruoso avversario, abbastanza da infastidirlo.
"Odino… dammi il tuo aiuto!" mormorò allora l’eroe a denti stretti, ignorando il dolore proveniente dal braccio e facendo esplodere il suo cosmo.
Con un urlo rabbioso si liberò, dilaniando la mano del nemico, e prima ancora di ricadere a terra incassò il pugno nel fianco. "Braccio di Titano!!!"
Il fascio di energia colpì il mostro alla gola, staccandogli quasi la testa di netto e sollevando una cascata di sangue che per un istante parve spaventare gli altri giganti.
Approfittando di quell’attimo di respiro, Thor tornò a terra e lanciò un’occhiata alle sue spalle verso le mura ormai divelte, attraverso le quali stava sciamando l’esercito invasore. Sapeva che in città c’era bisogno di lui ed era fortemente tentato di andare, ma i giganti avrebbero raso al suolo Asgard se lasciati liberi di farlo.
"Uomini, a me! Finché vivremo non lasceremo passare un solo nemico!" gridò, raggruppando gli sparuti soldati attorno a se e guidandoli in una nuova carica.
***
Nelle strade di Asgard era il caos. Spronati dal crollo di parte delle mura, i soldati di Hela avevano raddoppiato gli sforzi, gettandosi come vere e proprie ondate di uomini contro i difensori, a stento tenuti insieme dal carisma di Ilda e dalla forza dei Cavalieri.
Contemporaneamente, anche dopo la morte del loro Comandante gli uomini di Alberico si gettavano in avanti in preda alla frenesia, calpestando i caduti di entrambe le fazioni e conquistando metri su metri grazie al filo delle loro spade.
Ad un tratto, su di loro si sollevò una melodiosa musica di cetra, delicata e nel contempo più forte delle grida e dei rumori di guerra.
"Risuona, Melodia delle Tenebre!!" esclamò Mime, pizzicando le corde del suo strumento e facendo impazzire i sensi dei nemici finché a decine non barcollarono o caddero in ginocchio. Alzando di scatto la mano allora liberò una serie di fittissimi raggi luminosi, travolgendoli, ma neanche ciò sembrava bastare perché per quanti ne cadessero, molti altri si ergevano a prendere il loro posto.
"Combattono con la foga degli spiriti dannati, come se avessero dietro le voragini infuocate di Muspelheim! Non c’è fine alle loro schiere?" pensò, allontanandone altri con un fascio di energia prima di liberare le corde della cetra ed imprigionarli.
In quel momento, notò una figura emergere da un vicolo laterale e scivolare guardinga lungo il bordo del palazzo, in direzione opposta rispetto a dov’era concentrato il combattimento.
"E’ il vicolo che conduce al passaggio segreto sotterraneo… eppure dopo il crollo avrebbe dovuto essere inagibile!" pensò insospettendosi, e notando che quell’uomo misterioso, che si muoveva come se la guerra neanche lo riguardasse, indossava un’armatura da Comandante e non un’uniforme da soldato.
***
Da dietro i vetri di una delle stanze del palazzo, Flare guardò un’ultima volta verso l’esterno, rabbrividendo. Le strade erano ricoperte di sangue, un fiume rosso cremisi che sembrava aver cancellato per sempre il candore della neve, mentre a centinaia si innalzavano le grida dei morenti.
Chiudendo gli occhi di fronte a quel massacro, si girò verso Kiki, che la fissava incuriosito. "Principessa, un momento fa ha parlato di un piano… che cos’ha intenzione di fare?"
"Mandare una richiesta d’aiuto!" rispose con decisione la fanciulla. "Kiki, con la tua telepatia credi di potermi aiutare a trasmettere un messaggio? Non uno qualsiasi, ma uno che sia percepito da chiunque possieda un cosmo in grado di aiutarci, anche a centinaia di miglia di distanza!"
Sorpreso da quella richiesta, Kiki indietreggiò di un passo. "Un messaggio telepatico in grado di giungere così lontano? È possibile, sì, però…"
"Aspetti, principessa!" intervenne Enji, il fidato consigliere di Ilda cui la Celebrante aveva affidato la sorella. Persino lui, dismesse le vesti abituali, indossava una cotta di maglia ed un elmo da soldato, gli stessi che aveva vestito in gioventù, quando aveva combattuto spalla a spalla con il padre di Ilda e Flare nelle numerose lotte interne al regno. "Non sia avventata, la prego! Se anche una cosa del genere fosse possibile, facendolo attirerebbe su di lei l’attenzione del nemico, ci ha pensato? Nello stato attuale neanche il palazzo è più un luogo sicuro, se qualcuno facesse irruzione la sua vita sarebbe in pericolo! E poi chi mai potrebbe venire, tutti i Cavalieri sono già impegnati in battaglia!"
Nonostante quelle parole avessero più di un fondo di verità, lo sguardo deciso di Flare non mutò. "E’ un rischio, è vero, ma è necessario correrlo! Le mura sono crollate, l’esercito resiste a stento: è solo questione di tempo prima che le armate di Hela prendano il sopravvento. La minaccia di Erebo non riguarda solo noi, potrebbero esserci altri disposti a venire in nostro soccorso! Il suo cosmo oscuro si estende ormai sul mondo intero, nessuno può sentire l’eco di questa guerra! Ma se potessimo avvisarli…"
"Non c’è nessuno da avvisare, principessa!" insistette Enji. "E poi come potrebbe questo bambino…"
"No, è possibile!" intervenne Kiki, parlando con il capo chino, senza guardarli negli occhi. La sua voce era stranamente piatta, ma nell’enfasi del momento nessuno se ne accorse. "Ci sono dei Cavalieri a Nuova Luxor, li ho lasciati per venire qui. E mio fratello una volta mi ha accennato di altri, che dopo aver ottenuto un perdono da Atena per alcuni crimini ora si occupano dell’addestramento delle reclute…"
"E pensi di potermi mettere in contatto con loro?" chiese Flare avanzando speranzosa. "Di potermi aiutare a mandar loro un messaggio, anche da così lontano?"
Il bambino non rispose subito ma strinse e fissò l’oggetto che aveva tenuto in mano per tutto questo tempo. Il pezzo di armatura che Sirio gli aveva lasciato prima di partire, ricordandogli che un giorno sarebbe toccato a lui guidare nuove generazioni di eroi nella battaglia per la giustizia.
"Inviare un messaggio telepatico a migliaia di chilometri, uno diretto non ad una sola persona ma ad un numero imprecisato, in grado di risuonare con i loro cosmi, ovunque si trovino… l’energia necessaria sarebbe immensa, troppa persino per mio fratello Mur. Se provassi a farlo io… sicuramente… sicuramente…" pensò spaventato, deglutendo nervosamente e rabbrividendo.
Poi abbassò lo sguardo verso il dono di Dragone, prendendo la sua decisione.
"Sì, richiederà un grande sforzo, ma dovrei riuscirci…" disse soltanto.
Il tono di questa risposta, così diverso da quello scanzonato tipico di Kiki, terrorizzò Flare, che incrociando un attimo i suoi occhi pensò di aver scorto in essi una luce di tragica fatalità.
Ma, prima che potesse chiedergli qualcosa, il bambino si girò, dandole le spalle ed iniziando a concentrare il suo cosmo. Convinta che la tensione le avesse semplicemente giocato un brutto scherzo, la principessa gli si avvicinò, pronta ad eseguire la sua parte.
In silenzio, stringendo con forza il dono di Sirio, Kiki cominciò ad accumulare le sue energie psichiche. L’aura telecinetica, che normalmente rivolgeva verso l’esterno per muovere gli oggetti, fu richiamata verso il suo corpo. Sorpresa, Flare vide un’aura bianca avvolgerlo, prima flebile, poi sempre più accesa ed intensa, ma diversa dal cosmo di un Cavaliere.
Se quest’ultimo infatti tendeva a sfavillare attorno al corpo del guerriero innalzandosi in lingue di luce, quello di Kiki si stava facendo sempre più denso, diventando nel contempo più luminoso ma anche più sottile. Quasi una seconda pelle. I capelli del bambino si alzarono diritti, come elettrizzati, ed il suo corpo iniziò a tremare.
"Kiki!" gridò Flare alle sue spalle, ma il bambino la ignorò, continuando la sua opera. Fitte di un dolore pungente, sempre più acuto, gli attraversarono la testa, simili ad aghi roventi conficcati negli occhi e nella fronte, dove stava accumulando tutta l’energia che possedeva. Una in particolare lo fece vacillare, strappandogli quasi un grido di dolore, ma Kiki si era preparato a questa eventualità ed aveva incastrato la lingua tra i denti, mordendola per impedire a se stesso urlare. Consapevole che in caso contrario Flare lo avrebbe sicuramente fermato, e che in effetti quel suo piano rappresentava davvero l’ultima speranza per tutti loro.
Per distrarsi pensò alle giornate trascorse in Jamir, all’addestramento con Mur, al primo incontro con i Cavalieri di lady Isabel ed alle tante battaglie vissute insieme a loro. La sua vita era stata breve, ma senza rimpianti. Nel suo piccolo aveva contribuito all’eterna lotta della giustizia contro il male, cos’altro poteva desiderare?
Il cosmo continuò a concentrarsi. I capillari sulle palpebre chiuse esplosero, disegnando sul suo volto sottili strisce di sangue, simili a lacrime. Un attimo dopo, anche dal naso cominciò a grondare sangue, prima solo poche gocce, poi in maniera sempre più copiosa, tanto da iniziare a gocciolare a terra.
Il dolore si fece lancinante, ma Kiki sapeva che l’energia accumulata finora non era ancora abbastanza. Si sentì venir meno, e in un gesto disperato strinse con ancora più forza l’estremità della coda del drago donatagli da Sirio.
Questo gesto gli diede sollievo. Era come se un’aura benevola fluisse nel suo corpo da quel piccolo oggetto, alleviando un po’ il dolore e dandogli conforto. Era il potere del cosmo e del sangue di Apollo, che aveva fatto rinascere il Dragone del Cielo, ma questo Kiki non poteva saperlo.
Continuò a concentrare il cosmo, ogni singola stilla di energia. Il corpo, la mente e l’anima entrarono in sincronia, La forza di una vita intera fluì in lui. Più di quanto il suo corpo e la sua mente potessero contenerne.
Finalmente fu abbastanza. Deglutendo, aprì la mente, lasciando l’energia accumulata finora libera di espandersi all’esterno, con la forza di un fiume in piena.
"A… adesso!" mormorò, non riuscendo ad impedire al dolore di trapelare dalla voce.
"Ma tu stai male!" esclamò Flare, accorgendosi inorridita di qualcosa che non andava. Kiki però scosse la testa.
"E’ solo lo sforzo. La prego, non esiti… non riuscirò a resistere… a lungo!" supplicò.
Annuendo, la principessa gli si avvicinò di un passo e lo sfiorò, cercando di non far tremare la voce.
***
Su quel che restava della cinta difensiva, Mur annientò un gruppo di soldati di Hela con un’esplosione di luce. Anche adesso che il bastione era in parte crollato, difendere quella zona era indispensabile perché se il nemico fosse riuscito a conquistarlo avrebbe potuto accerchiare le truppe di Ilda, già strette tra due fuochi. Per di più, adesso che Ioria e Orion si erano uniti ai guerrieri che lottavano nelle strade, lui era l’ultimo Cavaliere rimasto sulle mura.
In quel momento udì uno strillo acuto provenire dal cielo, abbassandosi appena in tempo per schivare gli artigli di un’arpia che si era gettata su di lui in picchiata. Rotolando sul camminatoio si portò alle sue spalle, centrandola con un singolo raggio dorato ed abbattendola.
Per far ciò però dovette appoggiarsi ai merli di pietra, perché ormai il suo cosmo era allo stremo. La ferita mortale infertagli da Balor, aggravata dalla battaglia con Titania e mai davvero curata si era riaperta, ed ora sanguinava copiosamente su quel che restava della sua armatura d’oro.
Stringendo i denti, il custode della Prima Casa dello Zodiaco alzò la mano per scacciare altri nemici, quando un cosmo comparve su Asgard tutta, estendendosi ben oltre i confini del regno, spaziando a centinaia, a migliaia di chilometri di distanza. Un cosmo che Mur riconobbe subito.
"Kiki…!" balbettò.
Prima che potesse muoversi, la voce soave di Flare risuonò nell’aria, coprendo per qualche istante persino le grida di guerra.
"Voi che riuscite ad udire queste mie brevi parole, prestate ascolto, ve ne supplico. È Flare di Asgard il mio nome. La terra, l’umanità intera stanno correndo un immenso pericolo. Le forze del male guidate da Erebo, ombra della notte, stanno prendendo il sopravvento sul mondo. Sua è l’aura nera che di certo sentite. Suo il manto di tenebra che spegne ogni speranza!
"Ma non tutto è ancora perduto! Nella nostra città, ultima roccaforte degli uomini liberi, si sono riuniti eroi decisi a non piegare il capo di fronte alla sua spietata tirannia! In questo stesso momento, a prezzo di molte vite essi stanno combattendo contro le armate delle tenebre. Lottano non solo per se stessi, ma per la salvezza e la libertà di tutti voi, del monto intero! Per un sogno di libertà che non potrà mai essere messo a tacere! Ma sono soli, soli contro uno sconfinato esercito! Per questo vi supplico, tutti voi che avete nel cuore un ideale di giustizia… se siete in grado di portare aiuto vi prego: venite ad Asgard!"
Trasportato dal cosmo di Kiki, il suono queste accorate parole valicò monti ed oceani.
In Scozia, Asher e gli altri guardarono il cielo allibiti.
"Asgard! Sono ad Asgard!" esclamò Tisifone. Accanto a lei, l’Unicorno strinse la presa su Sleà Bua. "Resistete! Presto saremo lì!"
In India, numerose figure sedute in meditazione si alzarono all’unisono, il capo rivolto verso Occidente.
A Nuova Luxor, Black e Geki, ancora svenuti per effetto dell’anestesia, si agitarono nel sonno mormorando un’unica parola. "Asgard…"
Ovunque nel mondo, uomini che non erano riusciti a completare l’addestramento, o che erano fuggiti, alzarono gli occhi al cielo.
Nel palazzo reale, Kiki continuò a far riverberare le parole di Flare, cercando di far sì che giungessero sempre più lontano. Il frammento di armatura gli dava forza, più di quanta ne avesse mai avuta, permettendo al suo giovane cosmo di raggiungere luoghi che in condizioni normali gli sarebbero stati preclusi persino dopo una vita di addestramento.
E così le accorate parole di Flare giunsero tra le sale in rovina dell’Olimpo, riecheggiando tra i dodici templi divini. Lì, dopo averle ascoltate, una figura si mosse nell’oscurità.
Ed attraversarono Bifrost, il ponte arcobaleno, arrivando alla fortezza del Valhalla, in rovina dopo l’attacco condotto da Hela che aveva visto la caduta del nobile Heimdall. Risuonarono nell’ormai deserta sala degli Einherjar ed oltre, fino agli alloggi reali. "Mia signora…" disse qualcuno inginocchiandosi, ed ottenendo un cenno di assenso.
Sul campo di battaglia, Orion ed Ilda alzarono gli occhi al cielo, sbalorditi e preoccupati. Stessa cosa fecero Fafnir e Sigmund, da poco separatisi, e non senza una traccia di ammirazione nei confronti di chi aveva avuto tanto coraggio.
Abbattuti alcuni soldati con colpi decisi, Eric Bloodaxe fece lo stesso, scoppiando in una risata di scherno. Concentrandosi un istante, percepì il luogo da cui quel cosmo proveniva e si voltò verso il palazzo reale.
"Vi ringrazio per avermi indicato la vostra posizione! Chi possiede una voce così soave sarà preda deliziosa per la mia Ascia di Sangue!" sorrise, iniziando ad aprirsi un varco verso l’edificio.
Dalla sua postazione rialzata sopra le mura, Mur lo vide per primo e comprese con orrore le sue intenzioni. Concentrandosi, tentò di teletrasportarsi, ma ormai era troppo debole per riuscirci.
Impallidendo, dimentico di qualsiasi altra cosa, abbandonò allora le mura ed iniziò a correre in quella direzione, ma orde su orde di soldati invasori gli sbarravano la strada, obbligandolo a combattere con qualche raggio di luce e persino pugni e telecinesi. "Fuggi! Ti prego, mettiti in salvo!" pensò, avanzando disperato.
Nello stesso momento la voce di Flare ed il cosmo di Kiki svanirono, nel nulla come erano comparsi. Nel palazzo, il bambino ormai stremato crollò pesantemente a terra.
Presolo al volo, Flare si ritrasse atterrita nel vederlo coperto di sangue e spalancò gli occhi terrorizzata.
"Kiki!! Cosa sono queste ferite?! Che ti succede, rispondimi Kiki!" gridò disperata cercando di scuoterlo. Sfiorandone il polso, si accorse con orrore che il battito era appena percettibile, e che il sangue continuava a grondare copioso dal naso e dagli occhi, mentre il volto si faceva sempre più pallido. Mortalmente pallido. Segno di un’emorragia interna che, senza le dovute cure, non avrebbe lasciato scampo.
A fatica, il fratellino di Mur aprì gli occhi. Erano pallidi, quasi vitrei, spaventosamente simili a quelli di un moribondo. Vide che la fanciulla stava piangendo e sorrise stancamente. "Non pianga… sapevo quel che rischiavo…" sussurrò. "Lo sforzo… era troppo…"
Singhiozzando, Flare spalancò gli occhi. "E’ colpa mia, io ti ho ucciso! Ma non sapevo… Perché non mi hai fermato, perché non mi hai avvertito?"
"No… se glielo avessi detto mi avrebbe fermato… ma era necessario… per tutti… non pianga… mi spiace solo… non essere durato… più a lungo" la rincuorò.
Con il viso rigato da fiumi di lacrime, Flare lo sollevò, stringendolo a se in un abbraccio. "Come posso trattenere le lacrime? Non puoi morire così, tu che hai nel cuore più coraggio di un Cavaliere! Se solo avessi saputo… è così ingiusto! Sarei dovuta essere io a morire!" singhiozzò. "Resisti! Ti prego, resisti! Troverò un modo di curarti!"
"Enji!! Presto, dobbiamo portarlo da un medico!! Non importa il rischio!" gridò poi, facendo per alzarsi, pronta ad affrontare le strade dove imperversava la lotta.
In quel momento vi fu un’esplosione e la parete andò in pezzi, spingendo indietro la fanciulla. Alzando la testa, vide una figura armata di ascia avanzare minacciosa tra le macerie.
"Non temere, il tuo desiderio di morte sarà presto esaudito dalla mia Ascia di Sangue!" rise Eric Bloodaxe, nono seggio dell’esercito di Hela.
La sua apparizione ed il suo aspetto, lordo di sangue nemico, paralizzarono la principessa. Vedendo il terrore nei suoi occhi, Eric rise di nuovo. "Sì, ora sarà mia preda!"
"Non finché io vivo!" gridò improvvisamente Enji, gettandosi disperatamente all’attacco con una lancia e facendolo indietreggiare di un passo. Cercando di non dargli tempo di reagire, si lanciò subito in avanti in un altro affondo. Guardandolo torvo, Eric sollevò il braccio ed intercettò l’attacco con il dorso.
Sbattendo sul bracciale della sua armatura argento e cremisi, la lancia si piegò e spezzò a metà asta, lasciando nelle mani di Enji solo un bastone di legno.
"Fugga, principessa! Vada via!!" gridò disperato, gettandosi di nuovo sul Comandante.
"Se sei così deciso a morire per lei, eccoti accontentato!" rise Eric, sventrandolo con un solo fendente.
Nel vedere Enji cadere privo di vita, Flare si scosse. Poggiato Kiki dietro di sé sollevò la mezza lancia che era rotolata vicino a lei, decisa a difenderlo a qualsiasi costo, e l’affondò in avanti con tutto il proprio peso, facendola strisciare sull’armatura e graffiando il volto del Comandante.
Furioso, Eric gliela strappò di mano, disegnando un arco con l’ascia e ferendola di striscio al braccio sinistro. Il candido abito bianco si tinse di sangue mentre la fanciulla barcollava all’indietro.
Ridendo però Eric l’afferrò per i capelli, strattonandola verso di se e poi lanciandola contro il muro. Sbattendo la testa, Flare vede la vista appannarsi e sentì rivoli di sangue scivolarle sulla fronte. Prima che potesse riprendersi e fare qualcosa Eric fu su di lei, il volto contorto in un sorriso sadico, l’ascia di sangue sollevata per il colpo mortale.
"Quella tua bella testa, te la staccherò dal collo!" esclamò, abbassando l’arma.
Ma in quel momento, con un ultimo balzo, Kiki si frappose tra loro, proteggendo Flare con il proprio corpo. L’ascia gli affondò nella schiena, facendo sprizzare flotti di sangue.
"Ki… ki…" mormorò Flare inorridita.
Gli occhi del bambino si fecero vitrei. La mano lasciò cadere il frammento di armatura, che gli aveva dato la forza per quell’ultimo atto eroico.
"Perdonami, Sirio… la prossima generazione di eroi… sarà senza di me… ma spero sarai fiero lo stesso…" sussurrò sorridendo. Poi crollò in avanti, accasciandosi sul corpo della principessa.
E fu così che, con un ultimo sorriso sul volto, Kiki del Jamir si spense tra le braccia di Flare.
A pochi passi dal palazzo, Mur si bloccò atterrito ed impallidì, avvertendo il cosmo di suo fratello svanire. Poi strinse il pugno, con tanta rabbia da ferirsi alla mano, e la sua aura si infiammò.
Flare era sotto choc, gli occhi dilatati, le labbra tremanti. Vedeva Eric ridere sguaiatamente, ma non udiva niente, o forse era la sua mente che rifiutava di accettarlo e reagiva isolandola dal mondo esterno.
Muovendosi meccanicamente, tirò a se il corpicino di Kiki, piegandosi per proteggerlo con il proprio. Non sentiva più il dolore delle ferite al braccio e alla fronte, un senso di torpore era calato su di lui. Perché tanta crudeltà? Che senso aveva?
Chiuse gli occhi, sussurrando un’ultima volta il nome di Cristal, certa che un giorno l’avrebbe rivisto in qualche altro posto. In un luogo senza più dolore, guerre o sangue, dove Kiki già la stava aspettando.
"Non c’è più nessuno a difenderti!" rise Eric, sollevando di nuovo l’Ascia di Sangue.
Ma improvvisamente, dilaniata da un raggio di luce d’oro, la parete esplose, travolgendo il Comandante. Avvolto da un cosmo terribile ed accecante, Mur entrò nella stanza.
"Mur!" esclamò Toro svegliandosi di soprassalto e guardando allarmato in direzione del palazzo reale, da cui però era separato dai due schieramenti in lotta. "Non ho mai sentito il suo cosmo bruciare a tal modo…!"
Nell’edificio, il Cavaliere d’Ariete guardò in direzione di Flare, leggendo nei suoi occhi terrorizzati la conferma di una verità che rifiutava di accettare. Ignorando Eric barcollò verso di lei, prendendole delicatamente Kiki dalle braccia e scoppiando in lacrime.
"Avresti dovuto restare al sicuro, e invece hai bruciato il tuo cosmo e la tua vita fino all’ultimo afflato… non hai esitato a sacrificarti per la causa della giustizia, tu che non sei neanche Cavaliere! Oh Atena, perché?!" singhiozzò, incurante di tutto e tutti.
"Uh uh ah ah ah!" scoppiò a ridere Eric, rialzandosi. "Un ingresso così minaccioso ed ora ti butti in ginocchio a piangere! Ma mi ricordo di te, sei quello che mi ha fermato prima, da sopra le mura! Solo che ora il tuo aspetto non è più così calmo e sereno! Ah ah ah ah!"
Flare lo fissò con odio, ma Mur non si scosse, continuando ad abbracciare Kiki. Eric allora sollevò l’ascia.
"Visto che ci tieni tanto a quel moccioso, preparati a riabbracciarlo!" gridò vibrando un fendente.
Flare urlò, ma la lama non arrivò al corpo di Mur. Il suo cosmo d’oro infatti si accese, circondando il Cavaliere di un’aura così potente da fermare l’ascia di sangue.
Poggiato il corpo di Kiki a terra, l’Ariete spalancò gli occhi ed il suo cosmo esplose, travolgendo Eric.
"Comandante di Hela!!" ringhiò fissandolo terribile. I capelli erano agitati, gli occhi iniettati di sangue, i muscoli tesi, i pugni serrati. A contatto con il suo cosmo le pietre del pavimento si spaccarono e schizzarono in aria, il mobilio prese fuoco. Era come se un demone si fosse impossessato di lui.
"Non ci sono parole per descrivere l’odio che provo per te in questo momento! Era un bambino indifeso, eppure non hai esitato ad ucciderlo, per pura crudeltà! Non sei né Cavaliere né Comandante ma solo un indegno massacratore! Io, Mur dell’Ariete, giuro che ti annienterò con le mie mani, fosse anche l’ultima cosa che faccio!" gridò, facendo avvampare il suo cosmo.
"Che sciocchezza, dove credi di essere? E’ una guerra questa, e sul campo di battaglia non esiste pietà!" ritorse Eric con una smorfia di scherno, prima di sollevare l’ascia e lanciarsi su di lui.
"Taci!! Le tue parole sono un’offesa al cielo!" ringhiò Mur, allargando di scatto le braccia ed investendolo con un’ondata di luce. Il Comandante fu completamente travolto e scaraventato contro la parete, attraversandola e precipitando sanguinante sulle strade all’esterno.
Un momento dopo, avvolto ancora da un’aura accecante, Mur lo raggiunse.
"Non sta bruciando solo il cosmo, ma anche la sua stessa forza vitale!" comprese Eric guardando quella luce abbagliante, e provando per la prima volta un brivido di paura. Afferrata di nuovo l’ascia si alzò di scatto, ma Mur fece partire una terribile raffica di colpi, facendo esplodere in pezzi i bracciali della sua armatura e sbattendolo contro i resti delle mura di cinta. Poi alzò di scatto le braccia, facendolo volare fino al cielo in una colonna d’oro, e nella ricaduta lo centrò con un raggio, frantumando la sua armatura sul fianco.
Sbattendo malamente con la testa, Eric sentì l’elmo spaccarsi e rialzò il capo, la barba intrisa di sangue, solo per vedere Mur torreggiare minaccioso su di lui.
"Un vero Comandante di Hela, anzi un vero guerriero persegue morte e massacri! Non esiste altra ragione per la sua esistenza, ritirati a vita monastica se non lo accetti!" gridò, buttandosi su di lui, solo per sbattere contro una barriera invisibile.
"Muro di Cristallo!" urlò Mur, facendo esplodere la sua difesa ed investendo di nuovo Eric, per poi colpirlo all’addome con un pugno che lo fece volare nel punto in cui le mura erano crollate.
"Fa silenzio, non un’altra parola! Chi fa strage di innocenti godendo dei suoi misfatti non è degno neppure di essere ascoltato!" disse, centrandolo stavolta alla gamba e spezzandola in più punti.
In quel momento però l’eroe sentì un dolore lancinante alla coscia. Approfittando della sua distrazione, un soldato nemico lo aveva raggiunto alle spalle e trafitto con la propria lancia.
"Uomini, a me!!" gridò Eric, scorgendo una nuova speranza. Obbedendo all’ordine numerosi soldati di Hela lanciarono le loro armi contro il custode della Prima Casa.
In molti lo mancarono o ferirono appena di striscio, ma alcuni andarono a segno. Le lame mortifere in grado di superare ogni difesa affondarono nelle sue carni, conficcandosi nella schiena e nelle spalle.
Sputando sangue, Mur barcollò in avanti, ormai al limite. Al pensiero di Kiki però il suo cosmo ritrovò la forza di bruciare ed esplose, con un’onda di luce che spazzò via i nemici.
Tale gesto tuttavia obbligò l’eroe a distogliere lo sguardo dal Comandante, che subito si avventò su di lui con un fendente, affondando l’Ascia di Sangue nel fianco sinistro.
"Ah ah ah ah ah! Non hai più niente da dire adesso? Non ci sono più sentenze da sputare?" rise Eric, estraendo la lama e colpendo il Cavaliere con un raggio di energia. Poi incassò il braccio, caricandolo del suo cosmo. "Maglio di Sangue!!"
Un fascio di luce cremisi esplose dal pugno del Comandante, colpendo Mur a distanza ravvicinata e scaraventandolo indietro. Con le lance ed i pugnali ancora conficcati nella schiena, l’Ariete sbatté e rotolò a terra per qualche metro in mezzo alle macerie, grondando sangue. Eric lo centrò di nuovo al fianco, stavolta con un calcio, poi al volto con un altro.
"Smettila di piangere e muori da uomo! Ho ucciso quel bambino per la stessa ragione per cui ho massacrato tanti altri uomini e donne nel corso della mia esistenza, guadagnandomi il soprannome Bloodaxe, che per me è fonte di immenso orgoglio! L’ho fatto perché avevo la forza di farlo, nient’altro! Dai miei fratellastri agli abitanti dei villaggi che ho razziato come re dei vichinghi, in migliaia sono caduti sotto la mia ascia! Non esistono gli innocenti, esiste solo chi ha la forza e chi non ce l’ha, e da quando il mondo ha memoria i secondi esistono solo per diventare vittime dei primi! E’ la legge della natura! I lupi e le altre belve sbranano senza pietà gli animali troppo deboli per contrattaccare o fuggire, perché noi uomini dovremmo essere diversi? Tutti i vostri discorsi di pace non sono che chiacchiere da femminucce, ma gli innocenti di cui parli farebbero lo stesso se solo ne avessero i mezzi!" dichiarò abbassando l’ascia.
Con suo immenso stupore però Mur ne afferrò a mani nude la lama, stringendola tra le dita fino a frantumarla.
"Se è la forza che desideri allora te la darò, più di quanta tu ne abbia mai vista! In nome di Kiki e di tutte le tue vittime subirai la tecnica suprema del mio maestro alla sua massima potenza!!" ruggì, facendo esplodere il suo cosmo con tanta energia da spingere Eric indietro.
"No… è moribondo! Come può… come può bruciare ancora il suo cosmo fino a questo punto?!!" si chiese allibito, prima di vedere un ariete d’oro ergersi enorme alle spalle del Cavaliere. E dietro di esso un’altra figura, simile a Mur ma con lunghi capelli verdini. Nei suoi occhi, come in quelli del custode della Prima Casa, non si leggeva pietà.
Terrorizzato, per un istante Eric considerò la fuga e si voltò. Nel farlo però scorse un’altra figura osservarlo immobile ad una decina di metri di distanza, come a giudicare il suo operato, e cambiò idea.
Voltandosi, infiammò il suo cosmo pronto allo scontro.
"Vieni avanti allora, scatena tutto quello che hai!" gridò lanciando contro di lui la sua ascia ed incassando contemporaneamente il braccio. "Maglio di Sangue!!"
"Comandante! Chiedi perdono alle tue vittime ed abbandona questo mondo! Per il Sacro Ariete: Rivoluzione Stellare!!" esclamò Mur, facendo esplodere il suo colpo segreto.
Una tempesta di stelle cadenti spazzò via sia l’ascia che il Maglio di Sangue, abbattendosi devastante su Eric. La sua armatura esplose in pezzi, seguita poi dal suo corpo che venne letteralmente crivellato di colpi.
Riversando in quell’attacco tutte le sue lacrime, tutta la sua rabbia e tutto il suo dolore, Mur lo mantenne attivo molto più a lungo del solito, finché non sembrò che il cielo stesso stesse piangendo la sorte delle vittime del Comandante, aiutando il Cavaliere nella sua opera di vendetta con una pioggia di stelle cadenti.
Poi la Rivoluzione Stellare si esaurì, e quel che era rimasto del corpo di Eric Bloodaxe si schiantò al suolo privo di vita.
"Kiki…" sussurrò Mur, crollando carponi, con il respiro affannoso e irregolare. Nella sua collera aveva bruciato tutto quello che gli restava, dando fondo alle ultime forze non solo del cosmo, ma anche di corpo, mente e spirito. Ora, mentre sentiva la vita scivolargli via insieme al sangue da decine di ferite, sapeva che presto probabilmente sarebbe giunta la fine.
"E’ placata la tua rabbia, Cavaliere di Atena?" domandò una voce sorprendendolo, perché non aveva avvertito alcuna presenza vicino a sé. Alzando la testa, vide un uomo avanzare di fronte a lui e fissare con disprezzo il cadavere di Eric.
"Era un uomo spietato, indegno del titolo che portava e dei favori della regina Hela! L’avrei ucciso io stesso se solo avessi potuto… se solo fossi stato libero di scegliere il mio agire. E, se le mie parole possono esserti di consolazione… dei suoi crimini verso di te e qualsiasi altro innocente io mi dolgo!" esclamò con franchezza. "Tuttavia è mio dovere superarti e vincere la guerra in nome della mia sovrana. Non vorrei infierire su un nemico già prostrato… ti prego, in tutta onestà: fatti da parte!"
"M… mai!" rispose Mur, rialzandosi ed espandendo quel che restava del suo cosmo. "Anche sulle mie spalle poggia la difesa della città, non cederò il passo! Se desideri superarmi, dovrai combattere!"
Annuendo cupamente, l’uomo iniziò allora ad avanzare verso di lui.
"E sia!" gridò Mur, facendo esplodere il suo cosmo. "Rivoluzione Stellare!!"
Come poco prima, la pioggia di stelle cadenti saettò verso il nuovo arrivato, che però non parve affatto preoccupato. Non fece altro che un gesto, un piccolo movimento del braccio, ed il suo cosmo annullò completamente il colpo segreto di Mur.
"Non… è possibile…" balbettò il ragazzo. Di fronte ai suoi occhi, il cosmo del nemico si alzò maestoso, prendendo la forma di un immenso dragone alato.
"Un uomo valoroso come te, che pur mortalmente ferito continua a battersi, non merita di morire lentamente! In segno di rispetto per te e quel che rappresenti, io, Fafnir, Primo Comandante di Hela, ti donerò una fine onorevole!" proclamò, allargando le braccia. "Volo del Dragone!!"
Spalancando le ali, un drago di energia saettò verso il Cavaliere di Atena, ruggendo come se fosse un essere vivente
"Muro di Cristallo!!" esclamò Mur, innalzando la sua difesa.
Ma fu tutto inutile. Con un tocco soltanto il dragone frantumò la barriera, abbattendosi sull’eroe, la cui armatura d’oro andò completamente in pezzi.
"Ha una forza… divina… state in guardia, amici" pensò soltanto Mur, prima di chiudere gli occhi e venir scaraventato attraverso la cinta muraria. "Kiki… vengo da te…"
Ad alcune decine di metri di distanza, Ioria e Orion, che stavano lottando spalla a spalla, videro le mura crollare, e su di esse cadere il corpo del Cavaliere d’Ariete.
Privo di vita.
"Mu… Mur… anche tu ci hai lasciati?!" sussurrò in lacrime il custode della quinta casa.
"Non c’è tempo per piangere la sua scomparsa… un nuovo nemico ci attende!" esclamò Orion, guardando oltre il cadavere di Mur ed oltre il varco nelle mura, dove era comparsa imponente la sagoma di Fafnir.
***
All’estremità opposta della cittadella di Asgard, ai piedi della statua di Odino, una figura avanzava silenziosa. Con i due schieramenti impegnati vicino le mura, la guerra non si era ancora estesa fin lì, e di conseguenza la piazza dove un tempo Pegasus ed Orion avevano duellato era completamente deserta.
Soddisfatto di ciò, perché collimava alla perfezione con i suoi piani, l’uomo guardò la statua con evidente disprezzo, prima di fissare lo sguardo sull’armatura blu riposta ai suoi piedi.
"L’armatura di Odino. E la spada Balmung! Finalmente nelle mie mani!" ridacchiò, andando verso la lama con la mano tesa in avanti, desideroso di impugnarne l’elsa.
"Non osare sfiorarla!" lo ammonì una voce "Non ti permetterò di insudiciare con mani di invasore l’armatura del nostro Dio!"
Contemporaneamente, decine di corde sottilissime lo imprigionarono, bloccando il suo corpo e penetrando nell’armatura fino a creparla.
"Uh?" sussurrò la figura, voltandosi solo vagamente incuriosito e trovandosi faccia a faccia con Mime.
A sua volta, il Cavaliere si adombrò, accorgendosi che colui che aveva fermato indossava un elmo integrale con tanto di maschera a nasconderne il viso.
"Chi sei tu che furtivo ti aggiri nella nostra città! Rivela il tuo nome e dimmi come hai attraversato il passaggio sotterraneo!" domandò, pizzicando le corde per stringere la presa.
"Puoi chiamarmi Seven Macaw…" rispose soltanto il prigioniero. Con suo enorme stupore però non cercò affatto di liberarsi, ma accompagnò quella presentazione con uno scoppio di risa sommesse. Nello stesso momento le corde si spezzarono e Mime si accorse che stringeva in mano un oggetto, su cui si riflettevano i raggi del sole.
Un pugnale d’oro.
"Quel gladio… non sarà…" mormorò, indietreggiando di un passo, ma l’altro fu più veloce e, avanzando con rapidità innaturale, glielo conficcò nel petto, trapassandogli il polmone destro.
Tossendo sangue, Mime barcollò all’indietro, ma all’ultimo istante riuscì a pizzicare le corde ed imprigionarlo nuovamente, stavolta stringendo la presa fino a danneggiare la sua armatura.
Scoppiando di nuovo a ridere, Seven Macaw allargò di scatto le braccia, mandandola in pezzi. "Ha servito al suo scopo, quest’indegna corazza non mi serve più!" esclamò.
Sotto di essa, comparvero altre vesti, verdi e d’oro, di una lucentezza inusitata. Ridendo, l’uomo sollevò il gladio davanti agli occhi sbalorditi di Mime.
"Hai indovinato! E’ il pugnale con cui anni fa il finto Grande Sacerdote di Grecia cercò di uccidere Atena. L’arma deicida che ho sottratto dal Grande Tempio!" esclamò trionfante, portandosi una mano all’elmo, unico pezzo che ancora gli restava, e lasciandolo cadere, rivelando il suo vero volto.
Un volto che Mime riconobbe con terrore, avendolo visto scolpito nelle statue del Valhalla.
"Per tutto questo tempo mi sono finto un Comandante ed ho agito nell’ombra, fino a scoprire il luogo in cui era custodito! Adesso è mio, e presto lo sarà anche Balmung: grazie a loro ucciderò Erebo e gli Dei superstiti, conquistando il potere che da sempre mi spetta!! E’ un piano cullato per secoli, un piano degno di me! Chi altri avrebbe potuto congegnarlo se non io, Loki, principe degli inganni? Ah ah ah ah!!" rise.
E la sua risata riecheggiò trionfante nel piazzale di Asgard. Una risata presagio di morte non solo per Mime, ma per tutti gli esseri viventi della Terra.