VIOLENZA
Correndo senza sosta, Cristal attraversò di slancio schiera dopo schiera di alberi bianchi come scheletri, affidandosi al proprio senso dell’orientamento ed al ricordo della geografia di Avalon vista dall’alto al suo arrivo nell’isola. Non osava alzarsi in volo, per timore di essere intercettato, ed era abbastanza certo di essere diretto nella giusta direzione. Qualche tempo prima infatti la disposizione degli alberi era mutata, passando da caotica e casuale ad ordinata e regolare, ed era scomparsa ogni traccia di cespugli o sottobosco.
"Proprio come in un frutteto, o un giardino reale…" aveva notato senza rallentare la corsa.
Pur nella gravità della situazione, c’era un pensiero che però non poteva allontanare, una preoccupazione che nasceva dal cuore, unita al più grande senso di mancanza mai provato sin dalla morte della madre. E, rispetto a quest’ultimo, diverso perché non segnato dall’ineluttabilità del fato, ma dal dovere di una scelta. Mantenendo l’andatura, lasciò scendere lo sguardo sull’anulare sinistro, e sulla piccola banda di ghiaccio che lo avvolgeva, riflettendo accesi bagliori ogni volta che un raggio di sole, filtrando tra i rami ormai morti e privi di foglie, la colpiva.
Un anello di ghiaccio, identico a quello di cui aveva fatto dono a Flare, unico memento che aveva potuto portare con sé a ricordo di colei che amava, e che adesso probabilmente stava rischiando la vita tra le mura sotto assedio di Asgard, senza che lui potesse aiutarla in alcun modo.
Con questo peso sul cuore superò gli ultimi alberi, trovandosi davanti alle imponenti mura del castello reale. Il cosmo di Erebo sembrava averne intriso la pietra stessa, rendendola nera come pece, come le ombre a lui tanto care.
Bloccandosi, si accorse solo allora di non aver concepito un vero piano d’attacco. Lasciata Asgard, la loro strategia era stata di dare battaglia ad Erebo insieme, ma ora che erano stati separati le cose erano cambiate in maniera imprevista. Non poteva certo restare fermo ad aspettare, ma anche con la nuova armatura un assalto isolato sarebbe stato un suicidio.
Vittima di questo dilemma, guardingo ed incerto, iniziò ad avanzare con circospezione verso il portone d’ingresso.
Fu in quel momento che un cosmo immenso sembrò comparire dal nulla, anzi da tutte le direzioni contemporaneamente, schiacciandolo. In tante avventure non aveva mai avvertito un’aura simile, colma di una sete di sangue superiore persino a quella di Fenrir, sfrenata e priva di qualsiasi remora. Un cosmo nero come la notte, inferiore a quello di Erebo per intensità ma comunque spaventoso, traboccante dolore, bramoso di battaglia.
Sollevando la testa, vide una figura avanzare verso di lui, emergendo con un ghigno trionfante dall’ingresso del palazzo. Avanzava con la più totale sicurezza, per nulla intimorito dalla presenza dell’avversario.
"Chi sei? Presentati! Cristal, Cavaliere del Cigno te lo ordina!" gridò l’eroe espandendo il suo cosmo.
"Piccolo uomo che giungi a me già coperto di ferite, che senso avrebbe dirti il mio nome? Pochi istanti ancora e non sarai più qui…" sibilò la figura, il cui ghigno si allargò. Nello stesso momento il suo cosmo, già terrificante finora, si fece più aggressivo, agitandosi alle sue spalle in maniera allarmante.
Saltando indietro con gli occhi spalancati, Cristal sollevò il pugno caricandolo di aria ghiacciata allo zero assoluto.
"Polvere di Diamanti!!"
La tempesta di ghiaccio si abbatté sul nemico, che però non parve minimamente danneggiato. Il ghigno si allargò in sorriso.
***
A poche decine di metri di distanza, Pegasus udì un’esplosione, accompagnata dal levarsi in cielo di un grido di dolore. Lo riconobbe, ed impallidì.
"Cristal!" esclamò preoccupato.
Con il cuore in gola si precipitò tra gli alberi, emergendo qualche secondo dopo nello spiazzo antistante la fortezza. Al suolo, immobile in un lago di sangue, giaceva il corpo dell’amico.
"Cristal, noo!!" urlò avvicinandosi di corsa al compagno e scuotendolo. Il pettorale e le protezioni per addome e fianchi erano sfondati in alcuni punti e pieni di crepe, da cui fluiva copiosa la linfa vitale dell’eroe. Ma la cosa più importante, il respiro, seppur flebile era ancora percettibile.
"Sei vivo!" disse con sollievo.
"L’armatura l’ha salvato. Senza di essa starebbe già sprofondando nelle profondità infernali!" esordì una voce facendo alzare Pegasus di scatto. Per la prima volta si accorse della figura all’ingresso del castello, alta e possente.
"E’ opera tua? Sei stato tu a ridurlo così?!" gridò, allargando le braccia ed espandendo il suo cosmo.
Il nemico non rispose, limitandosi a sogghignare.
"Chi sei? Qual è il tuo nome?!" insistette il Cavaliere.
Ancora non giunse risposta, ma il cosmo alle spalle del guerriero iniziò ad agitarsi minaccioso.
"Se non vuoi parlare…" sibilò l’eroe agitando le braccia a disegnare le tredici stelle della sua costellazione "Fulmine di Pegasus!!"
Una tempesta di sfere di luce sfrecciò contro il seguace di Erebo, il cui sorriso si allargò in smorfia di gioia. Contemporaneamente il suo cosmo si sollevò maestoso, prendendo le sembianze di una bestia indefinita, un demone dagli occhi fiammeggianti e l’espressione crudele.
"Stolti siete voi che, giunti in battaglia già coperti di ferite, esordite con deboli tecniche mirate solo a testare le altrui difese. Una battaglia è sangue, è furia smisurata! È… violenza! Ed è solo alla massima potenza che si dovrebbe attaccare, sempre! Così!" esclamò il guerriero allargando le mani davanti a se e facendo esplodere il suo cosmo. "Come il tuo amico, cadrai al primo assalto!"
In un istante, il demone si scatenò. Una marea nera di energia dissolse il Fulmine di Pegasus, abbattendosi con incontrollabile potenza sull’eroe e travolgendolo verso il cielo.
"Ha una forza… terribile!" realizzò Pegasus sentendo ondata dopo ondata schiantarsi su di lui. Per di più l’assalto sembrava non voler affatto scemare ma anzi ogni colpo raddoppiava la forza del precedente, stridendo sul Destriero dell’Empireo fin quasi a schiacciarlo. Spasmi di dolore contorsero le membra del Cavaliere, strappandogli un grido.
"Uh uh, miseri avversari sono costoro, inadatti a soddisfare la mia sete di sangue! Gli Imperatori che hanno perso contro simili nemici erano più incapaci di quel che pensavo!" rise il guerriero, pregustando la vittoria.
Improvvisamente però si accorse che stava succedendo qualcosa. L’impeto del suo colpo stava mutando, scorrendo attorno alla vittima invece che contro di lui, mentre una luce azzurra brillante emergeva dall’oscurità, avvolgendola come in un abbraccio.
Un momento dopo, le onde di energia cambiarono direzione, contorcendosi in direzione di chi le aveva generate.
"Lacrime di Pegasus!!" risuonò la voce dell’eroe ed al suo comando le sfere di luce si spaccarono in migliaia di dardi, una cascata di colpi al cui interno convivevano le tenebre del guerriero ed il cosmo sfavillante del Cavaliere. Sbalordito, il suddito di Erebo non poté impedire di essere investito in pieno e scaraventato indietro, scomparendo tra le ombre dell’ingresso del castello.
Ansimante, Pegasus per un attimo crollò su un ginocchio. "Costui ha una forza spaventosa… se non fosse stato per l’esperienza guadagnata combattendo contro Surtur… e per la presenza di Cristal che mi ha messo in allarme, probabilmente sarei stato sconfitto con un colpo solo!" pensò preoccupato.
Poi però si rialzò, inspirando profondamente per calmarsi. "Non importa, l’ostacolo è comunque superato, la via è libera adesso!" disse.
"Uh uh, libera dici?" lo schernì in risposta la voce del nemico. Un istante dopo, egli emerse dalle ombre, completamente incolume.
"Non… non è possibile?! Eppure le Lacrime di Pegasus ti hanno investito in pieno, come hai fatto?!" domandò sbalordito il Cavaliere.
"Mi hai colpito, è vero, ma poco importa! Mi credi forse indifeso come gli avversari che sei abituato ad affrontare? Non è così, la Veste Cinerea copre e protegge le mie membra, rendendole impervie a qualsiasi attacco!" dichiarò con un misto di orgoglio e derisione, facendo scivolare la mano sul pettorale della sua armatura.
"Veste… Cinerea!" ripetè Pegasus.
"La più somma tra le difese, seconda solo a quella del grande Erebo! Nulla esiste di paragonabile nel creato… nemmeno l’armatura che indossi…" concluse con un sorrisetto.
Nello stesso istante, Pegasus avvertì una fitta al fianco sinistro, e abbassando lo sguardo, vide con orrore una crepa allargarsi, lasciando schizzare copiosi flotti di sangue. "Non è possibile!" balbettò.
"Ti ha comunque salvato la vita, non dolertene! Un’armatura di minor foggia sarebbe esplosa completamente in pezzi… invece la tua ha resistito, come quella del tuo compagno! Solo grazie ad essa il vostro filo della vita non è stato ancora reciso!" dichiarò, indicando Cristal, ancora svenuto a terra.
Per qualche motivo che neppure lui seppe spiegare, queste parole, o meglio il tono di superiorità con cui erano state pronunciate, accesero Pegasus di collera.
"Basta minacce e vuote dichiarazioni! Dimmi chi sei, suddito di Erebo, e poi preparati alla lotta! Per quanto salda sia la corazza che ti protegge, scoprirai che non è affatto indistruttibile come credi!" gridò espandendo il suo cosmo.
A questo gesto, gli occhi del guerriero si illuminarono. "Spirito focoso il tuo, sarà piacevole spegnerlo! Ma sei sopravvissuto al mio primo attacco ed hai mostrato salde difese, per cui ti rendo onore rivelandoti il mio nome! Dei cinque Flagelli io sono colui di sangue bramoso: Violenza, dalla forza infinita!" proclamò orgoglioso.
"I Flagelli! Surtur mi aveva messo in guardia!" realizzò Pegasus spalancando gli occhi, memore delle ultime parole dell’Imperatore.
Per la prima volta osservò con attenzione la figura del suo nemico: corpulento ma slanciato, aveva braccia visibilmente muscolose seppur coperte dall’armatura che si estendeva a protezione di tutto il suo corpo, incluse persino le punta delle dita, lasciando scoperto solo il viso.
La cosiddetta Veste Cinerea era effettivamente nera, ma su di essa risplendevano bagliori rossastri, di una sfumatura tale da ricordare il colore del sangue che la rendeva molto diversa dalle cosiddette "pietre preziose dell’aldilà", le Surplici degli Spectre. Aveva forme appuntite ed aguzze, con grossi coprispalla orizzontali sfrangiati simili a quelli dell’armatura del Cancro e massicci bracciali dai bordi zigrinati ma privi di artigli o speroni, proprio come gli schinieri.
Al contrario, la cintura era un gonnellino composto da piastre a forma di zanne ricurve verso l’interno, che scendevano sul bacino e le cosce, penzolando e battendo una contro l’altra in maniera sinistra ad ogni gesto del Flagello. Il pettorale era particolarmente gonfio sul torace, rinforzato da una piastra aggiuntiva simile a quelle tipiche delle vesti di Cristal o Phoenix, ma a differenza di queste ultime non aveva forme tondeggianti, bensì appuntite, e scavate in modo da dare l’impressione di disegnare due grossi occhi squadrati, scintillanti di bagliori color sangue. Il bordo inferiore inoltre si restringeva sino a terminare con due protuberanze aguzze parallele l’una all’altra, simili a denti, tanto lunghe da coprire ulteriormente l’addome ed arrivare a qualche centimetro dalla cintura.
Agganciate alle schiena vi erano due maestose ali nere lunghe fino ai polpacci, ripiegate come un mantello, i cui vertici superiori terminavano in due uncini agganciati davanti alla gola di Violenza. Osservandole bene, Pegasus si accorse che non erano ali da uccello ma assomigliavano piuttosto a quelle dei pipistrelli, composte da una membrana metallica più sottile intervallata da tre o quattro raggi.
L’elmo infine era squadrato, più alto sulle tempie che sulla nuca o la fronte, e scendeva fino alla linea degli occhi del guerriero, terminando con un bordo seghettato. Il viso sottostante era quello di un uomo dai capelli rossastri, quasi tendenti al viola, con lineamenti duri e marcati, occhi piccoli e un naso aquilino curvo quasi ad angolo retto.
"Ed ora che conosci il mio nome, preparati a morire!" sogghignò, muovendo un passo in avanti.
Intanto, a molti chilometri di distanza, Sirio correva attraverso la foresta ormai morta, stanco per la battaglia contro Jormungander e dolorante per i colpi subiti, ma privo di gravi ferite. L’avanzare però era reso difficile dall’assenza di un sentiero, e da tronchi e radici che rendevano faticoso il procedere in linea retta, obbligandolo a volte ad aggirare gruppi particolarmente fitti, o a balzare sui rami più bassi.
Più volte aveva pensato di usare le ali dell’armatura, oppure di aprirsi un varco con la forza, ma dopo la battaglia con l’Imperatore preferiva muoversi con prudenza, per timore di essere scoperto e attaccato da nuovi nemici che, nel migliore dei casi, lo avrebbero se non altro rallentato ulteriormente.
"Il cosmo di Cristal è improvvisamente calato d’intensità, e quello di Pegasus sembra impegnato in una nuova battaglia… chi avranno incontrato?" si chiese, scivolando nel letto di un fiume in cui scorreva ancora qualche rivolo d’acqua, evidentemente proveniente dal lago dove aveva affrontato il gigantesco figlio di Loki. Era però ridotto a meno di un ruscello e veniva rapidamente assorbito dall’arido suolo senza riuscire ad ammorbidirlo, perché tale era il volere della Prima Ombra: Avalon tutta doveva essere un deserto di morte, popolato solo dai suoi servitori.
Preoccupato per i compagni, Dragone si fermò un attimo, concentrandosi sul cosmo di colui che Pegasus stava fronteggiando. "Non sembra l’aura di Erebo, anche se le è simile per oscurità, ma non assomiglia neppure a quella di Jormungander. Quanti seguaci ancora avrà su questa isola? Tanti da rendere inutile il sacrificio dei Cavalieri ad Asgard?" pensò amaramente, con un peso sul cuore.
In quel momento avvertì un rumore tra gli alberi e si voltò di scatto, sollevando la guardia pronto ad un possibile scontro. Non fu però un nemico ad emergere davanti a lui, ma una figura ben nota.
"Phoenix!" lo riconobbe, sorridendo a metà tra il sorpreso e il sollevato alla vista del compagno.
"Sirio! Era tua la presenza che avevo avvertito!" esclamò il Cavaliere della Fenice, mentre entrambi osservavano preoccupati i rispettivi corpi malconci.
"La via per Avalon non ci è spianata come speravamo…" commentò alla fine Dragone.
"Non lo è mai stata!" rispose Phoenix, prima di voltarsi verso la direzione da cui sentiva provenire i cosmi più accesi. "Pegasus è già occupato in combattimento, dobbiamo affrettarci!"
"Come al tempio di Zeus!" concordò Sirio, ed i due amici ripresero la corsa.
***
"Fulmine di Pegasus!!" gridò l’eroe scatenando una pioggia di dardi alla velocità della luce.
"Tsk, ancora quella ridicola tecnica! Non chiamare fulmine quel che non è neppure scintilla!" rispose Violenza, facendo scattare un’unica volta il pugno sinistro in avanti e disperdendo come niente le sfere del colpo segreto di fronte allo sguardo allibito del ragazzo.
Contemporaneamente lo raggiunse e sferrò il destro, così rapido che solo reagendo istintivamente di riflesso Pegasus riuscì a pararlo incrociando le braccia. Tali furono però l’angolazione e l’impeto dell’assalto da sollevarlo da terra di quasi mezzo metro, mentre onde di dolore si propagavano sugli arti.
Stringendo i denti, Pegasus accompagnò la spinta all’indietro e contemporaneamente sferrò una serie di calci, prendendo di mira la testa del nemico.
Limitandosi a sorridere e chinare leggermente il capo, il Flagello non si difese minimamente, lasciando infrangere sull’elmo i primi colpi. Poi saltò verso Pegasus con sorprendente veemenza, investendolo all’addome con la spalla e spingendogli l’aria fuori dai polmoni.
Ansimando, l’eroe abbassò le braccia per un doppio colpo con il taglio della mano, sbattendo però ancora una volta sulla Veste Cinerea del nemico senza arrecare danno.
"Come il tuo amico, anche tu sei un folle! Che senso hanno colpi così deboli contro avversari superiori? A misurarne la forza? Già te l’ho detto, un duello non è freddo calcolo e ragionamento… è foga senza limiti, energia allo stato puro tesa soltanto all’annientamento più totale!" ringhiò, sollevando di scatto le braccia ed investendo Pegasus con un vortice di energia che lo scaraventò in aria per decine di metri, premendo con terribile pressione sulla sua armatura.
Gridando di dolore, il Cavaliere ricadde malamente a terra, con tanta violenza da aprire un vero e proprio cratere.
"La sua velocità… non è per niente inferiore alla sua forza… nonostante Destriero dell’Empireo stento a reggere il suo passo…!" mormorò grondando sangue dalla bocca.
Consapevole di essere ben vulnerabile in quello stato, si affrettò a rialzarsi barcollante, ma, con una certa sorpresa, vide che Violenza non sembrava intenzionato a proseguire l’attacco e si era invece fermato.
"Ti reputi superiore a tal punto da non aver bisogno di approfittare di un momento di vantaggio?!" esclamò allora il Cavaliere, con un misto di collera e fastidio. "Sei forte in effetti, ma non crederti invincibile! Nemici ben più ardui ho saputo superare con questo Fulmine di Pegasus!!"
"Stento a crederlo! Superiore a me vi è solo il sommo Erebo, e tu, che ti ostini ad usare armi già spuntate, non gli sei certo paragonabile!" ritorse Violenza, lanciandosi stavolta all’attacco senza neanche preoccuparsi di disperdere il Fulmine. Un raggio poderoso partì dal suo pugno, saettando verso l’eroe.
Nel vederlo però Pegasus sorrise, ed anziché cercare di pararlo come aveva fatto con gli assalti precedenti, lo schivò piegandosi di scatto. Un momento dopo si gettò sul Flagello, sbilanciato in avanti, e ne afferrò il corpo spiccando contemporaneamente un salto.
"Spirale di Pegasus!!" gridò, volando con lui verso il cielo e poi cambiando improvvisamente direzione.
"Finalmente qualcosa d’interessante!" sogghignò Violenza, senza però alcuna traccia di preoccupazione. Memore del modo in cui altri nemici, tra cui Thanatos e Surtur, avevano ribattuto la sua tecnica, Pegasus rimase in guardia pronto ad eventuali contrattacchi, ma non ve ne fu nessuno e, dopo qualche istante, poté balzare via lasciando schiantare a terra il Flagello.
Mantenendo alta la guardia, il ragazzo toccò terra ad alcuni metri di distanza e, senza sprecare un istante, fece esplodere il suo cosmo disegnando nell’aria le tredici stelle della sua costellazione.
"Ora, mentre è a terra! Fulmine di Pegasus!!"
Come il più intenso dei diluvi, il colpo segreto si abbatté sul Flagello, tempestandolo di dardi in cui era impressa più energia possibile. Secondo dopo secondo, istante dopo istante, Pegasus mantenne l’offensiva, generando centinaia e centinaia di sfere alla velocità della luce, il cui impeto parve tale da spingere Violenza indietro.
Improvvisamente però, il suddito di Erebo si arrestò, piantando i piedi al suolo nonostante raffica dopo raffica di fasci luminosi continuasse a sbattere sul suo corpo. Guardando con attenzione, Pegasus si accorse che la Veste Cinerea era intatta.
"Sì, decisamente meglio, ma ancora molto lontano da qualsiasi speranza di vittoria!" esclamò di colpo e, alzando il pugno, fece partire a sua volta una tempesta di fasci d’ebano.
In un oceano di scintille e bagliori, i due poteri si incrociarono a mezz’aria, creando come un muro in mezzo ai contendenti.
"Sta intercettando… il mio Fulmine, colpo su colpo!" realizzò sbalordito Pegasus. Non un solo dardo andava più a segno, tutti venivano fermati da altri di eguale energia, e nemmeno aumentarne il numero o l’intensità, o cercare di cambiarne la direzione, sembrava riuscire a spezzare quello stallo.
Poi, senza alcun preavviso, i colpi di Violenza raddoppiarono, sovrastando il Fulmine ed abbattendosi in pieno sul giovane guerriero, troppo veloci per permettergli qualsiasi difesa. Sputando sangue e grugnendo di dolore, venne spinto indietro da raffiche incessanti che lo centrarono al petto, al viso ed agli arti, stridendo con forza crescente sull’armatura divina.
"Se continua così la corazza andrà in pezzi, e io con lei! Devo reagire!" pensò a stento, cercando una via d’uscita. Stringendo i denti, nonostante le forze iniziassero ad abbandonarlo, si sforzò di tenere lo sguardo fisso sui colpi, come appreso alla quinta casa di Leo, ed alla fine si accorse che gli attacchi non erano esattamente continui ma giungevano a scariche, intervallate da una minuscola frazione di secondo.
Troppo poco per allontanarsi, ma abbastanza per contrattaccare.
"Lacrime di Pegasus!!" gridò, facendo esplodere improvvisamente il suo cosmo con tutta l’energia che gli restava ed eseguendo la tecnica difensiva ingegnata contro Surtur, l’unica che era parsa in grado di mettere in difficoltà il Flagello all’inizio del duello.
Con un luccicare di bagliori azzurri, la sua aura avvolse le meteore del nemico, facendole alzare al cielo. Un istante dopo, l’empireo stesso sembrò piangere lacrime amare su quel campo di battaglia, bombardando Violenza con raffiche e raffiche di dardi sulla schiena e le spalle, obbligandolo in ginocchio.
Pegasus sentì la vista appannarsi per la fatica, la testa iniziare a girare, le palpebre sbattere desiderose di chiudersi almeno per un attimo di respiro. Con uno sforzo di volontà però evitò di cadere e continuò a prolungare l’offensiva, consapevole che forse non avrebbe avuto altre opportunità, specie ora che Violenza sembrava finalmente incapace di reagire.
Poi i suoi occhi incrociarono quelli del Flagello, e tale certezza lo abbandonò.
Ridendo soddisfatto, il poderoso suddito di Erebo si risollevò, con appena una smorfia di dolore sul viso a indicare gli effetti dell’assalto di Pegasus che continuava a colpirlo sulle spalle e la testa. Incassato il braccio nel fianco, lo fece scattare in avanti, liberando un potentissimo raggio di luce che, spalancando gli occhi, l’eroe vide arrivare senza poter far niente per evitarlo, provato e indolenzito com’era.
L’impeto del colpo fu straordinario, tale da sbalzare il Cavaliere da terra e catapultarlo all’indietro con un grido di dolore. Nello stesso momento, sotto i suoi occhi allibiti e increduli, la parte più esterna del coprispalla sinistro andò in frantumi, accompagnata da schizzi di sangue.
"De… Destriero dell’Empireo!" inorridì Pegasus, vedendo la sua difesa più solida spaccarsi completamente per la prima volta. L’armatura forgiata con il sangue degli Dei dell’Olimpo, la corazza più potente che avesse mai indossato, sembrava giunta al limite.
Qualche secondo dopo, l’onda d’urto scemò, lasciandolo schiantare contro alcuni alberi del frutteto. Un lago di sangue si allargò sull’erba morta sotto di lui, tingendola di rosso.
Tossendo linfa vitale, il giovane si sforzò di sollevarsi carponi, accorgendosi che Violenza lo aveva già raggiunto ed ora lo sovrastava minaccioso. I loro sguardi si incrociarono ancora, quello di Pegasus colmo di rabbia e disperazione, quello del Flagello soddisfatto e sarcastico mentre un sorriso gli si allargava sul volto.
"Sei stato un nemico interessante, caparbio se non particolarmente dotato! Ma ora è tempo di finirti, lascerai questo mondo insieme al tuo amico!" esclamò, sollevando la mano e poi riabbassandola di scatto.
Deciso a lottare fino all’ultimo, il Cavaliere incrociò le braccia con le forze residue, pronto a subire l’impatto. Al suo posto però non giunse che un clangore metallico ed il suono di anelli in tensione.
Una catena aveva bloccato il polso del Flagello: Andromeda era emerso al centro del cortile reale, in affanno ma pronto alla battaglia.
***
"Andromeda!" sussurrò tra sé e sé Phoenix, percependo il cosmo del fratello comparire vicino a quello di Pegasus.
"Sembra che gli altri siano riuniti! Manchiamo solo noi!" esclamò accanto a lui Dragone, impegnato a superare una zona particolarmente fitta di alberi. Da alcuni minuti la foresta, già impervia, era diventata quasi impraticabile, un muro di tronchi talmente vicini da risultare soffocanti.
Così difficile era il cammino che l’allievo di Libra si insospettì.
"C’è qualcosa di innaturale nella disposizione di questi alberi, neanche nelle foreste nebbiose dei Cinque Picchi ho visto un ambiente del genere!" pensò.
"Non possiamo continuare a perdere tempo, rischioso o meno dobbiamo farci largo!" disse stizzito Phoenix, caricando il pugno.
Sirio chinò il capo per annuire, ma in quel momento gli sembrò di cogliere qualcosa, una figura appena distinguibile tra i nodi del legno dell’albero più vicino.
Agendo d’istinto più che razionalmente, afferrò il polso dell’amico, bloccandolo.
"Sei impazzito, Dragone?!" si lamentò Phoenix, guardandolo allibito, specie quando l’amico, lasciata la presa, si avvicinò ad un tronco e ne sfiorò la superficie con la mano. "Non è questo il momento di guardare le piante, Pegasus e gli altri ci stanno aspettando!"
Sirio però parve ignorarlo, e per qualche secondo continuò a guardare il tronco, come a cercare di focalizzare la vista. Poi, sbalordito, indietreggiò di scatto.
"Queste non sono piante, Phoenix! Guardale bene: sono esseri viventi!" esclamò.
"Che cosa?!" balbettò la Fenice, studiandole per la prima volta con più attenzione. Dopo alcuni istanti, come quelli di qualcuno che gioca a distinguere una figura nascosta all’interno di un’altra, i suoi occhi si adattarono, e comprese cosa Sirio volesse dire.
Celati tra i nodi e le spaccature del legno, vi erano volti di creature viventi. Occhi spalancati, bocche aperte, narici dilatate, e ancora braccia eternamente mutate in rami, gambe attaccate al suolo come profonde radici.
Increduli e inorriditi, i due amici si guardarono attorno, rendendosi conto che non erano casi isolati. Quasi tutti gli alberi sembravano imprigionare qualcuno, esseri nelle più svariate posizioni, come se la corteccia fosse cresciuta loro attorno senza alcun preavviso, immortalandoli per sempre nell’atto che stavano compiendo. Alcune erano figure umane ma con lunghe orecchie a punta, altre erano più piccole e alate, altre ancora più simili ad animali.
"Uuh… chi… chi sono costoro?!" domandò Phoenix.
"Non… non saprei… a meno che…" rispose Sirio, con un lampo di comprensione. "Devono… devono essere gli abitanti di Avalon! Le genti di Oberon, condannate da Erebo ad un fato di prigionia! Titania aveva accennato della loro esistenza ai Cavalieri d’Oro, lo abbiamo visto nei ricordi di Mur!"
"Erebo… non vuole alcuna creatura vivente nel suo regno!" realizzò Phoenix. "Ma perché proprio qui sono così numerosi?" aggiunse poi, guardandosi di nuovo attorno, studiandone le pose e le espressioni. Alcuni erano sorpresi, la maggior parte semplicemente terrorizzata, ma tutti sembravano star correndo via da un’unica direzione.
"Erano riuniti…" comprese la Fenice, cercando di scrutare oltre gli alberi finché i suoi occhi non caddero su una piccola radura, vuota ad eccezione di un blocco di pietra posto esattamente al centro. Attorno ad esso, il terreno era mosso da leggere impronte di piedi nudi.
"Guarda!" esclamò, avvicinandosi alla roccia seguito dall’amico. Come gli alberi, anche essa celava una figura al suo interno, coperta di crepe simili a ferite e dallo sguardo spento.
"E’ una specie di elfo…" commentò Sirio notando le orecchie a punta, in qualche modo visibili. "Dev’essere qui da poco, non vi è polvere negli incavi. Quando Erebo è comparso gli altri lo stavano guardando, forse compiangendo… chi potrà essere?"
Per alcuni secondi i due Cavalieri rimasero perplessi ed immobili di fronte a quella strana figura, a stento discernibile. Poi Phoenix si scosse e girò verso la direzione del castello.
"Non è tempo per misteri o enigmi, dobbiamo andare!" esclamò riprendendo la corsa. Dopo un’ultima occhiata alla misteriosa statua, Sirio lo seguì.
***
"Andromeda!" balbettò Pegasus, riconoscendo l’amico giunto in suo soccorso. "Anche tu qui!"
"Appena in tempo!" rispose il ragazzo. "Fortunatamente sono precipitato vicino a quello che dovrebbe essere il sentiero principale, non ho dovuto far altro che seguirlo!"
Nel parlare, osservò preoccupato il compagno, ed in particolare la ferita alla spalla. Poi si accorse di Cristal e dilatò gli occhi allarmato.
"E’ vivo, solo svenuto!" disse subito Pegasus, anticipando la domanda per timore che preoccupazione e dubbio spingessero il compagno ad abbassare la guardia.
"Bene!" sussurrò tra sé Andromeda, concentrandosi su Violenza, che dal canto suo lo osservava con uno sguardo strano, meno battagliero di quelli riservati a Pegasus o Cristal. Alla fine, scrollò le spalle.
"Sei meno adatto dei tuoi amici a combattere con me!" esordì sibillino, prima di tendere la catena per trascinarlo a se ed aggiungere "Ma non importa, la sorte di chi si imbatte nei Flagelli è già segnata!"
"Flagelli?!" ripeté Andromeda, richiamando contemporaneamente a se l’arma ed accigliandosi, memore delle parole di Wadjet, suddita di Apopi, ma privo di altre informazioni. "La tua stirpe mi è ignota… non ho mai sentito parlare di voi. Ma se è la lotta che desideri…"
Il cosmo rosato del ragazzo si accese, avvolgendolo, e brillando di una decisione che sorprese Pegasus, abituato a vederlo ben più remissivo. Poi però il primo Cavaliere di Atena si accigliò e, spiccando un salto, balzò davanti all’amico, frapponendosi tra lui e il Flagello.
"Non interferire, Andromeda! E’ mia questa battaglia!" dichiarò. "Cercherò di aprirti la strada, tu prendi Cristal ed entra nel castello!"
"Sei sicuro? Sei ferito!" protestò l’amico.
"Proprio per questo devo concludere io questo scontro! E’ probabile che vi siano altri come costui sulla via per Erebo, non giova a tutti noi sprecare le forze su un unico avversario! Arriveremmo da Erebo già esausti. No, proseguite, ed io vi raggiungerò!" insistette.
Comprendendo la logica del suo ragionamento, Andromeda annuì, limitandosi a sussurrare "Ad un tuo cenno!"
"In bocca al lupo e sii prudente, costoro sono pericolosi!" rispose l’eroe, facendo contemporaneamente esplodere il suo cosmo. "Fulmine di Pegasus!!"
Stavolta, nello sferrare il suo attacco speciale, Pegasus si lanciò contro l’avversario nella speranza che il conseguente aumento nella forza e velocità dei colpi sortisse qualche effetto. Contemporaneamente, Andromeda scattò a semicerchio, aggirando Violenza.
Il Flagello, del tutto incurante delle scariche di Pegasus che si infrangevano sul suo corpo, sembrò per la prima volta indeciso e si limitò ad osservare per qualche secondo Andromeda, ed in particolare il suo unico occhio. Poi, sorprendendo Pegasus, rimase immobile, lasciandosi superare.
Raggiunto Cristal, Andromeda se lo caricò frettolosamente in spalla. Scoccata un’ultima occhiata preoccupata in direzione dell’amico, varcò l’ingresso del maniero, scomparendo tra le ombre.
"Li hai lasciati passare?!" esclamò sorpreso Pegasus, continuando a portare il suo attacco.
"Non è nemico adatto a me, l’ho già detto! E che mi importa dell’altro, che avevo già sconfitto?! No, li lascio ad altri, voglio che sia tu il primo a cadere!" rispose baldanzoso, alzando la testa.
"Non credere ti sarà facile! Iaii!!!" urlò il Cavaliere, raddoppiando i suoi sforzi, senza riuscire ancora ad ottenere risultati soddisfacenti. "Non vacilla neppure! E’ come colpire una muraglia con spruzzi d’acqua, ma prima o poi dovrà cadere, non può essere invincibile!" pensò.
"Anche la quercia più alta può essere abbattuta da tanti colpi di una piccola accetta… è questo che stai pensando, non è vero?" rise Violenza. "Una strategia corretta… ma inutile contro di me!"
Senza alcun preavviso, il Flagello scattò in avanti, annullando la distanza tra sé e l’avversario nonostante le raffiche sempre più intense del Fulmine. In un unico movimento incassò il pugno e poi sferrò un affondo che raggiunse l’eroe in pieno addome, annullando il suo impeto e scaraventandolo indietro con flotti di sangue che uscivano dalla bocca.
Sbattendo al suolo, Pegasus scavò un solco nel terreno con la schiena, ma riuscì a riaprire gli occhi in tempo per vedere il seguace di Erebo che si avventava su di lui con un calcio devastante.
Il Cavaliere reagì rapidamente con un colpo di reni ed una capriola all’indietro, ma di nuovo Violenza lo raggiunse, sollevando di scatto le braccia e generando un vortice di energia che lanciò il discepolo di Castalia in aria urlante.
Stringendo i denti però Pegasus seppe arrestare la propria ascesa e spiegò le ali della sua armatura divina, facendo esplodere ancora una volta il suo cosmo.
"Ti proclami invincibile ma nessuno lo è, né uomo né Dio! Finché il mio cosmo continuerà ad ardere non esisterà nemico che io non possa sconfiggere! Fulmine di Pegasus!!" gridò ancora.
Senza rispondere nulla, Violenza spiegò per la prima volta le grandi ali della sua Veste Cinerea, innalzandosi in aria con una velocità molto superiore a quella di Pegasus e comparendogli davanti, accompagnato da un vento poderoso. Prima che il ragazzo potesse fare qualcosa, lo centrò con un pugno allo stomaco. Poi un altro, ed un altro ancora, finché sull’armatura non comparvero nuove crepe da cui filtravano flotti di sangue. Solo allora sferrò un’onda di energia, precipitandolo malamente a terra.
Atterrando, lo fissò soddisfatto mentre tentava di rialzarsi, gli occhi appannati ed il viso madido di sudore.
"Hai compreso adesso? Neanche sforzandoti cento volte… neanche facendo esplodere il tuo cosmo nel pieno del nono senso, riusciresti a sconfiggermi! Non confondermi con i nemici contro cui hai combattuto finora, da tutti loro noi Flagelli siamo profondamente diversi! Neanche le divinità ci sono paragonabili!" dichiarò.
"Diversi dici?" ripeté Pegasus, ricordando le parole di Andromeda poco prima. "Insomma, chi siete voi di cui neppure il mito ha memoria?!"
"Chi siamo? La risposta già la conosci, il mio nome te l’ha rivelata: i Flagelli che dall’alba dei tempi affliggono gli uomini! Guerra, Morte, Colpa, Agonia ed io, Violenza! Le nostre gesta non sono parte del mito o della storia perché profondamente incise nel presente, che ogni giorno le vede ripetersi!" spiegò, osservando interessato il mutarsi dell’espressione del Cavaliere.
"Intendi dire che voi… siete l’incarnazione… la personificazione dei cinque mali? La causa delle sofferenze degli uomini?!" balbettò Pegasus alla fine.
"No! Non la causa, ma il risultato… il prodotto della loro più intima natura! In un certo senso, siamo loro figli!" rise beffardo il nemico.
"Spiegati! Non è tempo per enigmi e indovinelli!"
"Ancora non capisci? Da me trae la forza ogni essere vivente che, spinto da rabbia, odio o gelosia, su un altro compie violenza! Ogni uomo che colpisce una donna, ogni bambino che ferisce un animale… ogni Cavaliere che uccide un nemico!" puntualizzò con un sorriso sarcastico, accentuando il brivido che attraversò il corpo di Pegasus a queste ultime parole.
"Da me viene l’energia che permette loro di agire, quell’impeto che li spinge all’azione! E, al tempo stesso, da loro, dal loro desiderio di violenza io traggo vigore… e vita! L’aspetto con cui compaio ora a te non è che un corpo temporaneo, l’incarnazione, la rappresentazione di una piccola parte della violenza del mondo, che grazie al sommo Erebo ha ritrovato la consapevolezza di se che aveva un tempo, prima di venire dispersa tra troppe creature! Tante quante ne popolano il creato… tante quanto bramano sangue!" disse con enfasi. "Capisci adesso perché non hai speranze? Come può un uomo paragonarsi a tale realtà dell’esistenza?!"
Come a rispondergli, Pegasus fece avvampare il suo cosmo e tornò ad alzarsi, instabile sulle gambe e sporco di sangue ma con gli occhi ancora carichi di disperata determinazione.
"Può farlo invece, se porta nel cuore il desiderio di pace degli uomini! Da loro viene la forza che spinge un Cavaliere a combattere, non dalla violenza ma dagli uomini che desiderano un mondo migliore in cui risplenda finalmente il caldo sole della giustizia! Il sole di Atena!! Cometa Lucente!!" gridò.
A queste parole, l’espressione del Flagello si fece improvvisamente seria. Spalancò le ali della sua Veste Cinerea e congiunse le mani davanti al petto, concentrando in esse la sua immane energia. Ancora una volta, un’aura demoniaca si alzò alle sue spalle, con occhi malvagi e brillanti.
"Parli di giustizia, ma non si può sconfiggere la violenza con la violenza, per quanto da millenni gli uomini provino a farlo!" disse soltanto, lasciando partire un’esplosione di luce che dissolse completamente la Cometa del Cavaliere.
Eppure, in quel momento qualcosa accadde, qualcosa che stupì Violenza: sul fianco sinistro della sua Veste Cinerea comparve una crepa. Minuscola, a stento visibile sulla nera armatura, ma comunque presente.
Su di essa si concentrarono gli occhi del Flagello e del Cavaliere, con espressioni diametralmente opposte, prima che l’impeto dell’assalto si abbattesse sull’eroe.
Incapace di difendersi, Pegasus venne investito in pieno. Il diadema andò in frantumi, come disintegrato, e insieme a lui il coprispalla sinistro, che era già danneggiato, e parte della protezione per il fianco. Per di più, la parte esterna del coprispalla destro esplose in pezzi, mentre un dedalo di crepe si apriva sul pettorale e sui bracciali, spaccati sui bordi più esterni.
Senza neanche rendersi conto di quel che era accaduto, Pegasus si ritrovò riverso sulla schiena, con il corpo e soprattutto la testa grondante sangue.
"Uh… uuh… immensa è la forza di costui… superiore persino a Surtur, privo di dubbi o incertezze. E’ davvero possibile vincere contro nemici così potenti? Tutti i miei sforzi non hanno aperto che una piccola crepa sulla sua armatura… e se fosse davvero come dice… se i miei attacchi traessero davvero da lui la loro forza? Come può una fiamma ribellarsi all’incendio che l’ha generata?" si chiese con amarezza, cercando di rialzarsi, e fallendo miseramente.
Poi, quasi involontariamente, i suoi occhi si spostarono verso il castello, riportando alla memoria i tragici eventi dell’ultima volta in cui lo aveva visitato.
"Lady Isabel… a poche decine di metri da qui ha dato la vita, per permetterci di fuggire! Da lei viene la forza di un Cavaliere… da Atena che indica la via per la giustizia! Ho aperto una crepa, dovrò solo allargarla!" si disse, stringendo il pugno e tentando di nuovo.
Ci riuscì stavolta, ma solo per poi crollare di nuovo carponi, ansimante.
"Ancora non vuoi arrenderti? Ma me ne compiaccio, mi piace la tua disperata determinazione, la brama di vittoria che ti leggo negli occhi! Posso quasi sentire una minuscola frazione del mio potere fluire verso di te, alimentata dall’odio che provi nei miei confronti. Mi annienteresti se te ne lasciassi la possibilità! Si, dolce è il desiderio di violenza che spira da te" esclamò soddisfatto il Flagello.
"Dici di trarre la tua forza dagli esseri umani… ma nel mondo creato da Erebo tutti loro saranno annientati, e tu non avrai più ragione di esistere! Lo hai pensato questo?!" disse improvvisamente il Cavaliere.
"Non importa. Nel mondo creato dal sommo Erebo, tutto sarà violenza!" rispose con una sonora risata, di fronte alla quale l’ira di Pegasus avvampò.
"Folle!!" gridò, lanciandosi in un nuovo attacco a testa bassa.
"Quando la violenza fallisce, si ricorre alle parole! Quando le parole falliscono, si ricorre a maggior violenza! Tipico uomo sei tu, anche se Cavaliere di Atena!" lo derise, colpendolo a mezz’aria con un manrovescio che spezzò due costole nonostante la corazza, e scaraventandolo a terra.
In quel momento, dall’interno del castello si elevarono cosmi accesi in battaglia.
"Andromeda!" sussurrò Pegasus, riconoscendo quello dell’amico. Anche Violenza sembrò pensieroso e, dimenticandosi dell’avversario, si voltò verso il maniero.
"E’ strano il cosmo del tuo amico, capace di scindere forza da collera e odio, mai avevo incontrato qualcuno così. Purtroppo per lui però ciò non gli sarà d’aiuto, tragica è la sorte che lo aspetta…" commentò.
"Dovrò… dovrò andare io in suo soccorso…!" esclamò Pegasus tra i denti, rialzandosi ancora una volta ed avanzando con i pugni serrati, ma anche con passo incerto e barcollante.
"Che vuoi fare tu?" lo derise Violenza. Poi però si accorse del bagliore che avvolgeva il Cavaliere, accecante nonostante le scarse condizioni in cui versava, e la sua espressione si mutò in una di rispetto.
"Anche tu a modo tuo sei notevole, di rara foggia è la determinazione che sostiene i tuoi passi. Peccato sia completamente inutile…"
Il sorriso di scherno che accompagnò queste ultime parole fece avvampare la collera di Pegasus. "Parli come se avessi già vinto, ma la speranza è l’ultima a morire! La speranza di un mondo dominato dalla giustizia, privo di oscuri tiranni atti a soggiogarlo! Fulmine di Pegasus!!"
"Ampio è il tuo cosmo, ampio come quello di un Dio! Hai ormai trasceso i limiti umani, piena è la padronanza del nono senso…" si complimentò in tutta risposta Violenza, restando però imperturbabile alle migliaia di colpi che si schiantavano sulla sua Veste Cinerea. "Ma anche la speranza che dici sostenerti deve arrendersi all’evidente realtà dei fatti: è impossibile sconfiggere colui che violenza incarna! Addio!"
Allargando di scatto le braccia, il Flagello fece esplodere il suo cosmo in un’onda devastante, sbalzando Pegasus in aria circondato da schizzi di sangue e frammenti di armatura.
Un istante dopo, il ragazzo si schiantò a terra, dove giacque immobile. Solo il lento alzarsi e abbassarsi dell’addome indicava che era ancora in vita.
"Non ti è amica la sorte, l’armatura ti ha salvato, appena. Sarebbe stato meglio per te morire sul colpo e invece l’abbraccio di Morte giungerà a te lentamente…" commentò il Flagello, con parole che giunsero deboli e ovattate alle orecchie del ragazzo, accompagnandolo nella discesa nell’oblio.
Fu una voce a risvegliarlo, non un messaggio d’aiuto ma un eco dai recessi della sua memoria. "Convinti che lord Erebo sia ingiusto, gli avete mosso guerra, macchiandovi degli stessi crimini che a lui additate ma nascondendovi dietro la maschera della giustizia!"
"Surtur!" lo riconobbe, ripensando al duello combattuto solo qualche ora prima con il demone del fuoco, e al dilemma morale e filosofico che lo aveva accompagnato.
"Perché proprio ora mi tornano in mente le sue parole?" si chiese, alla ricerca di una risposta. Ben presto ella giunse, nella voce del Flagello stesso. "Da me trae la forza ogni essere vivente che, spinto da rabbia, odio o gelosia, su un altro compie violenza! Da me viene l’energia che permette loro di agire, quell’impeto che li spinge all’azione! E, al tempo stesso, da loro, dal loro desiderio di violenza io traggo vigore… e vita!"
"«Non si può sconfiggere la violenza con la violenza»" ripeté, spalancando gli occhi. Improvvisamente sentiva di essere sulla via giusta, di poter cogliere indizi che gli erano sfuggiti nel corso del duello.
"Perché non mi ha finito? Avrebbe potuto farlo più di una volta, ma non ha mai vibrato il colpo di grazia! Che sia stato per prolungare il combattimento? Però… ora che ci penso non ha mai attaccato per primo… ha sempre solo risposto ai miei assalti!" realizzò, ripensando alle fasi della battaglia, all’impeto con cui il Flagello aveva saputo abbatterlo, fermandosi però ogni volta che lui era a terra.
"Non vuole… o non può prendere l’iniziativa, questa è la chiave!" si disse, sentendo nuove forze fluirgli in corpo. Un momento dopo, davanti allo sguardo sorpreso del Flagello, Pegasus si rialzò, incurante del sangue che ancora grondava copioso.
"Tsk! Cavaliere, non sai attendere in pace la fine? Inizia a stancarmi questa tua insistenza. Non mi sconfiggerai, dovresti averlo compreso ormai!" lo derise.
Stavolta però fu Pegasus a sorridere sornione, prima di rispondere "Non importa, non devo sconfiggerti! Scopo della missione è solo raggiungere Erebo, per il resto mi basta superarti!"
"Uhm?" commentò Violenza, adombrandosi leggermente. "E credi che io ti lascerò passare tradendo il mio signore?"
"Lo farai! Non per tradimento ma perché non sei in grado di attaccare per primo! Mai lo hai fatto finora, neppure quando indifeso ed inerme giacevo al suolo, ad un passo dalla morte! La violenza chiama a se altra violenza, ma solo se il suo seme è piantato su un terreno fertile!" esclamò, notando il progressivo incupirsi del viso del nemico.
"E così intendi superarmi senza combattere…"
"Proprio così! Finché non leverò la mia mano su di te sarai inerme!" disse Pegasus, iniziando a correre verso di lui.
"Capisco…" rispose pensoso, prima di sibilare "Capisco che per salvarti la vita sei disposto a sacrificare quelle dei tuoi amici! Due di voi non sono ancora arrivati fino a palazzo… non sanno quello che li aspetta!".
"Sirio! Phoenix!" comprese Pegasus spalancando gli occhi e rallentando involontariamente l’andatura.
Il dettaglio non sfuggì a Violenza, che riprese. "Se anche il tuo ragionamento fosse corretto… se anche fosse davvero questa la chiave per vincermi, loro non ne sarebbero a conoscenza! Saprebbero trovarla da soli, o come te cercherebbero di superarmi con la forza?"
Esitando, Pegasus chiuse gli occhi, sforzandosi di ignorare il nemico, ma il dubbio ormai aveva attecchito nel suo cuore. "Dice il vero! Lo attaccheranno, e così facendo rischieranno la vita! Ma non posso esitare, devo avere fiducia in loro… Phoenix è scaltro, e la saggezza di Sirio non ha eguali, sapranno trovare la strada!" si disse, sforzandosi di proseguire.
"Sei pronto a sacrificarli pur di salvarti la vita, è chiaro! Ti riempi la bocca di discorsi sulla giustizia e vuote parole, ma alla fine poni la tua incolumità sopra ogni cosa… ha ben donde il sommo Erebo a combattervi!"
Ancora Pegasus continuò a camminare a testa bassa.
"Ma in fondo cosa potevo aspettarmi da chi, come te, ha abbandonato anche la Dea che aveva giurato di proteggere?" sibilò allora il Flagello. Ed un solo sguardo gli bastò a comprendere di aver colto nel segno.
"Isabel!" esclamò Pegasus spalancando gli occhi.
"L’hai lasciata morire per salvarti, non è così? Proprio a pochi metri da qui, il suolo è ancora chiazzato del suo sangue!" rise.
Pegasus sentì la rabbia avvampargli in corpo e fu tentato di colpire, ma riuscì a trattenersi. A stento. Non poté però fare a meno di scoccare un’occhiata colma di odio al Flagello, che sorrise soddisfatto e sollevò il braccio, lasciando partire una potentissima scarica di energia con cui travolse il ragazzo, centrandolo ai fianchi ed all’addome prima di catapultarlo di nuovo a terra, con gli occhi sbarrati.
"Non… è possibile?! Come ha fatto a colpirmi stavolta!" si chiese perplesso, rialzando il viso sanguinante.
In tutta risposta, Violenza scoppiò a ridere fragorosamente. "Hai ben compreso il mio segreto, ma non importa! Non è necessario che tu mi attacchi, l’odio che provi nei miei confronti non è manto così facile da nascondere. I tuoi occhi lo tradiscono più dei tuoi gesti… gli occhi, che sono specchio dell’anima e riflesso del cuore!" rise ancora, sferrando un altro colpo e scagliando Pegasus più indietro.
"E’ impossibile per gli esseri umani rinunciare alla propria natura, soprattutto per i guerrieri, avvezzi alla battaglia ed alla foga che la contraddistingue! E’ stato un valido tentativo, sì, ma destinato a fallire! Nessuno, per quanto convinto delle sue ragioni, può scendere in campo con cuore sereno! Ah ah ah ah"
Queste furono le parole del Flagello di Erebo, mirate a spegnere ogni residua speranza nell’eroe. Eppure, in quella nuova baldanzosa dichiarazione, a Pegasus parve di cogliere una malcelata esitazione. Non la prima.
La sua mente, forse acuita dallo stato in cui il corpo versava, ripensò all’unico colpo che era riuscito a portare a segno, la Cometa con cui aveva aperto una crepa sul fianco del nemico. Sul momento aveva creduto fosse stata la sua energia a trionfare per un attimo, ma adesso, alla luce di quanto appreso, ne dubitava. Altro gli aveva permesso di riuscire nel suo intento, ma cosa?
Lasciò vagare la mente verso un altro episodio: il bizzarro atteggiamento avuto da Violenza nei confronti di Andromeda, e la frase con cui lo aveva lasciato passare: «Non è nemico adatto a me». Parole che Pegasus aveva immaginato dettate da spocchia o orgoglio, ma che adesso assumevano un altro significato.
E finalmente comprese.
Quel colpo andato a segno era stato sferrato portando nel cuore il nome di Atena. Per un istante, il pensiero della fanciulla aveva preso il sopravvento sul desiderio di vittoria su Violenza o persino Erebo. Per lei aveva colpito.
Con questa certezza, anche quello che era accaduto dopo acquistava un significato. "Non era nemico adatto a lui Andromeda, perché troppo puro di cuore! Non serve frenare il braccio né reprimere o nascondere l’odio, devo liberarmene!" pensò, cercando la calma dentro di sé.
Respirando profondamente due o tre volte, si issò ancora una volta in piedi, gli occhi chiusi non più per ignorare, ma per concentrarsi.
"Hai deciso di tentare ancora? Quante volte potrai farlo, ormai sei allo stremo, un ultimo assalto e morirai!" disse Violenza, senza però ottenere risposta.
Un altro colpo andò allora a segno, ed ancora il Cavaliere crollò carponi, solo per rialzarsi di nuovo, sorretto da uno spirito incrollabile che persino Violenza non poté fare a meno di ammirare.
"Devo svuotare la mente, impedire che siano rabbia o anche solo voglia di vittoria a guidare la mia mano… La lezione di Surtur, dovrei averla imparata ormai: la giustizia è l’unica cosa che conta, l’unica per cui valga la pena combattere! Per questo devo colpire, non per violenza, ma per giustizia!" pensò, spalancando gli occhi e lasciando partire un singolo raggio di luce.
Contemporaneamente, anche il Flagello fece lo stesso, centrandolo alla base del collo e sbattendolo a terra.
"Uh uh uh, te l’ho già detto, è impossibile combattere senza ricorrere ai miei servigi!" dichiarò Violenza, soddisfatto nel vederlo rantolare. La protezione per il collo era andata in frantumi ed ora nuovo sangue bagnava Destriero dell’Empireo.
In quel momento però, la risata morì sulle sue labbra. Con un gesto improvviso si piegò per una fitta di dolore e portò la mano al fianco destro. Prima che lo potesse raggiungere, la Veste Cinerea in quel punto andò in pezzi.
Con gli occhi spalancati, Pegasus vide fuoriuscire non sangue, ma una specie di nero miasma, un vapore mortifero che aleggiò intorno al Flagello per qualche istante e poi si disperse nell’aria.
"Non è stato inutile!" si disse, sforzandosi di alzarsi ancora nonostante ormai fosse allo stremo delle forze. Per la prima volta però negli occhi del Flagello si leggeva sorpresa, e soprattutto paura.
"Non sopravvalutarti, è stato solo un colpo fortunato! Chi non è stato neppure in grado di proteggere la propria Dea non potrà mai sconfiggere un Flagello! O vuoi forse dire di averla lasciata morire di proposito, pur possedendo i mezzi per salvarla?" insinuò, incassando nel contempo il pugno e scagliando un nuovo raggio di energia.
Pegasus fece lo stesso, ed ancora una volta i due colpi si incrociarono in aria. Centrato all’addome, l’eroe barcollò piegandosi in avanti. Nello stesso momento, un urlo di dolore esplose dal Flagello, il cui gambale sinistro era andato in frantumi.
"Come… può essere?!" sibilò, fissandolo con collera mista a dubbio.
"Sgherro di Erebo, spreca pure il fiato ma le tue parole non mi raggiungeranno più!" rispose Pegasus, rialzando la testa "Ho compreso ormai: la violenza di cui sei portatore non è solo fisica, ma anche verbale, la tortura che si può infliggere con frasi ben misurate ed atte ad accrescere nel nemico odio e rancore!
"Ma proprio Atena, di cui continui a parlare, ha saputo insegnarci che non sempre chi scende in battaglia dev’essere sorretto dal desiderio di violenza! E lo ha fatto non con parole ma con dolorose azioni, sacrificandosi per noi! Lei, che più e più guerre ha guidato nel corso dei secoli, non ha mai combattuto per violenza, ma per amore!" disse, con ritrovata serenità.
"Follia! La violenza è parte stessa della battaglia, come si può lottare senza di lei? Senza di me!" ritorse il suddito di Erebo.
"Semplicemente non lo è, non deve esserlo! Non vi è violenza in un colpo vibrato accidentalmente, né tantomeno in uno sferrato non per far del male, ma per salvare, perché la vera violenza non è nel gesto ma nell’intento! È questo che avevo nel cuore la prima volta che un mio attacco ti ha raggiunto, ed è sempre questo che hai sentito in Andromeda, perché è un dilemma che lui ha saputo superare da tempo. Ed ora finalmente anch’io l’ho capito!"
Impallidendo, Violenza indietreggiò di un passo, ma poi i suoi occhi si colmarono di odio.
"Menzogne!! Tutto è violenza!!" gridò, spiegando le ali e lanciandosi in volo all’attacco.
Chiudendo gli occhi, il ragazzo bruciò il poco cosmo che gli restava e sollevò le braccia.
"Fulmine… di Pegasus!"
Il colpo segreto esplose, più brillante di quanto non fosse mai stato in passato, ed investì in pieno il Flagello, travolgendolo tra grida di dolore mentre la Veste Cinerea andava quasi completamente in frantumi.
Pegasus però lo scorse appena. Ormai stremato crollò in ginocchio, con la vista appannata, rivoli di sangue che scorrevano sul corpo e l’armatura prima di grondare a terra.
Per qualche secondo rimase immobile, oscillando al debole vento, in procinto di crollare.
Poi udì vagamente qualcosa.
A stento intravide il nemico rialzarsi, distrutto e moribondo ma sostenuto dal suo stesso odio, e strisciare verso di lui.
Lo vide raggiungerlo, sollevare la mano, cercare di colpirlo.
Privo di ogni forza per reagire, pensò allora a lady Isabel, chiudendo gli occhi e concentrando su di lei gli ultimi pensieri. Lasciò la di lei immagine crescere nel suo cuore, fino ad avvolgerlo con un caldo abbraccio.
Sentì la mano del nemico sfiorarlo appena, poi un urlo di dolore disumano, più simile all’ululato di un demone mitologico che alla voce di un qualsiasi essere dall’aspetto umano.
Riaperti gli occhi, intravide una sagoma demoniaca contorcersi in agonia, mentre il suo corpo scompariva, disperdendosi progressivamente come cenere violastra.
Due occhi rossi colmi di odio lo fissarono per un secondo ancora con uno sguardo assassino, poi si dissolsero nel vento.
Un istante dopo, Pegasus crollò al suolo privo di sensi.
***
"Le Strane Sorelle!" sibilò Erebo guardando le tre donne che erano comparse nella sua sala del trono. Ad ogni passo il loro aspetto mutava, da giovani diventavano bambine, da fanciulle donne anziane piegate dal peso degli anni, ma non vi era dubbio sulla loro identità. L’aura che le avvolgeva era inconfondibile, perché diretta propagazione di quella dell’unico essere che a lui era superiore.
Fluttuando nella stanza appena sopra il pavimento, le donne lo guardarono, parlando all’unisono.
"Lode a te, Erebo, prima tra le ombre…"
"…uccisore di Dei…"
"… conquistatore del mondo…" salutarono.
"Perché siete qui?" rispose cupamente la Prima Ombra, ignorando quei titoli altisonanti.
Anziché rispondere, le sorelle si avvicinarono al trono, accarezzando i resti avvizziti di Oberon senza però che alcuna traccia di rammarico o tristezza emergesse sui loro volti inespressivi.
"Perché sei sorpreso? Non hai scorto nei ricordi del signore di Avalon il ruolo che abbiamo svolto negli eventi che qui si dipanano?"
"Non è forse grazie a noi che hai ritrovato la libertà?"
"Noi siamo come te"
"Tu sei come noi"
"Un araldo del sommo Lord Fato, colui che è un Dio per gli Dei. Non è normale una nostra visita, dopo tutto questo tempo?"
Il quesito riecheggiò nel salone semivuoto. In tutta risposta, Erebo sembrò scomparire, avvolto dalle tenebre, solo per riapparire una frazione di secondo dopo accanto ad una delle sorelle. Con un gesto deciso, tese la mano verso la sua gola.
Per qualche istante le dita sembrarono annaspare, come se stessero stringendo nebbia anziché carne ed ossa, ma poi il cosmo nero le avvolse ed esse si strinsero sulla candida pelle della fanciulla, imprigionandola.
Per la prima volta, una traccia di panico comparve sul volto di quest’ultima, ed i suoi occhi si dilatarono per sorpresa e paura. Le altre due si scambiarono uno sguardo vacuo.
"Bada a quello che fai, prima tra le ombre…"
"Levare una mano su di noi…"
"Equivale a levarla sul nostro signore!" avvertirono.
"Non ascolterò i vostri enigmi!" rispose Erebo, ma lasciò comunque la presa. L’ombra di paura sui volti delle sorelle mostrava che il suo messaggio era stato recepito: aveva mostrato loro di poterle ferire, se necessario.
"Sì, ho visto il ruolo da voi svolto, e so bene che non agite mai senza una ragione più profonda. Ditemi dunque, perché mi avete permesso di ritornare in vita?" ringhiò terribile.
"Perché è il tempo di chiudere una contesa!" risposero in coro.
"Che cosa sapete?"
"Noi sappiamo molte cose. Cose che furono…"
"Cose che sono…"
"E cose che saranno!"
"Il futuro che si sta plasmando vede te unico, indiscusso sovrano, secondo solo al sommo Lord Fato!"
"Ma il futuro è mutevole, cangiante come le correnti…"
"E persino tu hai dei dubbi… su questa e su altre cose…"
"Come la morte di Atena!" conclusero, parlando all’unisono.
"Atena!" sibilò Erebo tra i denti.
***************
LA GRANDE GUERRA DI ASGARD
Invasione
Avanzando sanguinante su una sottile rampa di pietra, il guerriero udì grida stridule risuonare nell’aria, ed alzò a fatica la testa. Gli occhi, appannati e stanchi, scorsero il cielo affollarsi di migliaia di figure urlanti, segno inequivocabile che la fine dell’assedio era vicina.
Stringendo il pugno con odio, riprese faticosamente ad avanzare.
***
A decine e decine le arpie si avventarono in picchiata sui difensori di Asgard, dilaniandoli con gli artigli oppure sollevandoli urlanti in aria prima di lasciarli precipitare sulle mura sottostanti. Neppure uomini abituati al gelo del nord ed alla violenza della guerra avevano mai visto creature simili, di cui parlavano solo i racconti con cui erano cresciuti da bambini.
Ora, per molti di loro, trovarsele di fronte, vedere quei denti aguzzi affondare nelle carni dei compagni, era troppo da sopportare. Un senso di scoramento si diffuse veloce: un conto era combattere contro altri uomini, o persino Cavalieri, ma contro i figli del mito che speranze avrebbero potuto avere?
La linea difensiva, inutile contro quell’inattesa armata, spesso troppo veloce per frecce o lance, era improvvisamente sul punto di spezzarsi.
Accorgendosene con un solo sguardo, Ioria fece avvampare il suo cosmo, espandendolo in modo da avvolgere più uomini possibile in un rassicurante abbraccio dorato che desse loro nuovo vigore.
"Per il Sacro Leo!!" gridò, liberando contro il cielo la furia delle zanne dorate. Tanto fitto era lo stormo che decine di arpie precipitarono, moribonde o ferite.
"Non abbiate timore, sono mortali proprio come noi! Non esitate, e colpite quando si tuffano in picchiata!" gridò, tentando di rinfocolare i loro spiriti. Incoraggiati, i soldati più vicini si avventarono sulle arpie ferite per finirle, una vista che sembrò ridare coraggio anche al resto dell’esercito. Ma per quante i colpi del Cavaliere ne abbattessero, sembravano essercene a decine pronte a sostituirle.
Contemporaneamente, approfittando di questo nuovo appoggio, gli invasori raddoppiarono gli sforzi, ergendosi in numero sempre maggiore sulle mura, mentre soldati ed Einherjar si trovavano stretti tra l’urto delle armate esterne, le streghe volanti ed i plotoni nemici improvvisamente comparsi all’interno della città.
"Troppi… sono troppi…!" realizzò Ioria, trovandosi assalito da più direzioni.
"Rinserrate!!" urlò in quel momento Ilda a squarciagola, accorgendosi del caos e balzando su un merlo con la lancia in pugno per poter essere ben visibile nonostante ciò la rendesse facile bersaglio per i dardi del nemico. Scorpio e Mizar però la affiancavano, falciando chiunque cercasse di avvicinarsi a lei e permettendole di impartire gli ordini necessari.
"Arcieri! Cavaliere di Leo! A voi la difesa del cielo! Gli altri soldati si dispongano su due fronti! Orion, tue sono le mura!"
Questi ordini furono eseguiti con ammirevole solerzia. Gli arcieri indietreggiarono, lasciando i bordi merlati ai compagni con lance ed asce, ed alzarono le loro armi verso il cielo. Contemporaneamente, alcuni squadroni si lanciarono verso gli invasori del cortile interno.
"Quale spirito valoroso! Invero è costei un Cavaliere in corpo di fanciulla!" commentò Ioria, ammirato dall’abilità e dal coraggio di Ilda.
"Hai ben detto, solo uno spirito indomito potrebbe governare Asgard!" annuì Orion, comparendo accanto a lui. A queste parole, Ioria non poté fare a meno di sorridere prima di disporsi come gli era stato ordinato.
Ignara di queste lodi, Ilda spostò la propria attenzione al fronte interno, dove i difensori erano già in rotta. Il nemico infatti attaccava con ordine, guidato da un guerriero che stringeva in pugno una spada infuocata.
"Chi è quell’uomo… e perché impugna la spada d’ametista che fu di Megres?" si chiese per un istante, prima di spostare l’attenzione a questioni più importanti. "Scorpio, Mizar e Syria non sono in condizione di combattere contro un altro Comandante, e Ioria ed Orion sono i soli in grado di difendere le mura…" pensò, spostando lo sguardo verso Mur, che quasi da solo stava presidiando la parte più lontana della cinta difensiva. Affidare a lui la battaglia avrebbe ulteriormente indebolito le difese, ma cosa poteva fare?
Aprì la bocca per impartire l’ordine, quando la risposta si presentò da sola ai suoi occhi: emergendo da un vicolo laterale, Libra e Mime ricomparvero in città, feriti e chiaramente sbalorditi di fronte alla vista dell’esercito invasore.
"Il nemico allora non ha usato il passaggio!" comprese Ilda, prima di porre da parte la questione e contattare telepaticamente i due.
***
Nel frattempo, all’esterno, Toro fissò sbalordito l’immensa mole dei Giganti di Jotunheim avanzare a grandi passi verso la città. Talmente imponente era la loro figura, alta quanto un edificio di diversi piani, che il Cavaliere della seconda casa rimase per qualche istante immobile e spiazzato.
Fu un grido di guerra a richiamarlo alla realtà.
Facendo vorticare la sua ascia, Thor spazzò via alcuni nemici e concentrò il cosmo nel braccio. "Lasciali a me, me ne occuperò io!" ringhiò all’alleato.
"Sei impazzito?!" strabuzzò Toro, indicando il braccio spezzato dell’asgardiano. "Sei ferito, non hai speranze!"
"Non senti?! Cosmi malvagi si levano dalla città, il nemico ci ha invaso!" gridò Thor di rimando. "Mio è questo fronte, lo difenderò finché avrò vita o finché la città non sarà caduta! Tu torna all’interno, le mura non possono essere lasciate ulteriormente sguarnite!"
Senza nemmeno attendere una risposta, il campione di Asgard fece esplodere il cosmo accumulato contro il primo gigante a raggiungere il campo di battaglia, trapassandolo in pieno stomaco. Franando come una montagna, la creatura crollò, ma subito altre apparvero dietro di lei.
Intonando un canto da guerra vichingo, Thor strinse Mjolnir e si lanciò all’attacco.
***
"Agli ordini, mia regina!" esclamò Mime non appena Ilda ebbe spiegato la situazione a lui e Libra. Uno in particolare era stato il comando della Celebrante: uno di loro avrebbe affrontato il Comandante invasore, mentre l’altro avrebbe aiutato l’esercito contro le schiere di soldati che stavano invadendo i cortili interni della città.
Guardando le ferite che numerose riempivano il corpo del Cavaliere d’Oro, il musico esclamò "Penserò io al Comandante, tu raggiungi le truppe! La tua esperienza sarà loro d’aiuto!"
Libra però scosse la testa, aggrottando cupamente le sopracciglia. "La mia esperienza temo sarà necessaria contro quell’uomo!" disse, indicando il Comandante nemico. "C’è qualcosa di familiare nel suo cosmo, due volte nella mia vita ho avvertito aure simili! Se è come temo, affrontandolo sarò avvantaggiato!"
Mime aprì la bocca per opporsi, ma Libra lo zittì amichevolmente. "Apprezzo la preoccupazione che ti muove… e ne sono onorato! Ma ti chiedo di fidarti di me. E poi la tua musica meglio si adatta a dar battaglia a numerosi nemici!"
"Senza contare che non sarà da solo!" esclamò una voce. Un momento dopo, l’imponente massa di Toro atterrò accanto a loro.
"Non stupitevi! E’ stata Ilda ad inviarmi in vostro aiuto, non appena ho fatto ritorno sulle mura!" disse, indicando la Celebrante. "L’annientamento di questi invasori ha la priorità, o la cittadella non potrà resistere ancora a lungo! E non provare a rifiutare il mio aiuto, in fondo non sei più a capo di tutti noi, Cavaliere di Libra!"
Quest’ultima frase, pronunciata con un sorriso bonario, frenò qualsiasi rimostranza del Cavaliere. Con un ultimo sguardo di saluto all’ormai rassegnato Mime, i due si gettarono nella mischia, mentre il musico si spostava verso un altro punto dello spiazzo da cui affiancare i soldati.
"Stai in guardia amico mio, la forza dei Comandanti di Hela non è da sottovalutare, e temo che costui sarà nemico particolarmente difficile!" avvertì Libra, facendosi strada tra alcuni guerrieri avversari e portandosi di fronte a colui che li guidava: il quarto seggio Alberico.
Con indosso un mantello rosso porpora, costui era un uomo dall’aspetto maturo seppur non anziano. I capelli biondo chiarissimo erano infatti venati da fili d’argento e lasciavano scoperta parte della fronte, estendendosi principalmente dietro la nuca e poi sulle spalle, fino al torace. Avevano un aspetto untuoso, in netto contrasto con la luce astuta che brillava negli occhi del guerriero, verdi come la giada.
L’armatura che indossava era priva di elmo, e principalmente di colore violaceo chiaro, quasi brillante. Aveva un solo, massiccio coprispalla semicilindrico, sul lato destro, con il bordo interno rialzato perpendicolarmente al resto in modo da proteggere il lato del collo, e quello esterno che scendeva sul braccio a proteggere il bicipite fino al gomito. La spalla sinistra invece era coperta dal pettorale, indossato come una specie di mantellina a piastre, che si incastravano nella cintura. Le piastre sulla spalla sinistra tuttavia erano staccate dalle altre su tutti i lati tranne quello superiore, per permettere ad Alberico di muovere l’arto agevolmente. La cintura a sua volta era una fascia metallica da cui partiva una seconda mantellina o, più propriamente, un gonnellino di piastre lunghe fino alle ginocchia.
I bracciali guantati erano a loro volta molto spessi e ornati da fregi e rifiniture, ma oltre alle mani coprivano solo la metà inferiore dell’avambraccio. Stesso schema era quello degli schinieri, spessi attorno alle caviglie ma alti solo fino a due terzi della tibia, con il ginocchio e la rotula scoperti.
"Strano guerriero costui…" commentò Toro, un po’ alla sprovvista. Libra però rimase cupo, particolarmente alla vista di quegli occhi verdi che sembravano confermare i suoi sospetti.
"E così i miei nemici si sono fatti avanti finalmente. Due Cavalieri d’Oro…" disse intanto Alberico, studiandoli con attenzione.
Notando l’enfasi sul numero, Toro avanzò di un passo. "In tempo di guerra è riposto ogni spirito cavalleresco. Ma, se questo è quel che desideri, ti affronteremo uno alla volta, come si conviene tra uomini d’onore!"
A queste parole Libra lo fissò allarmato, ma, prima che potesse dire qualcosa, Alberico scoppiò a ridere.
"Mi fraintendi. Due Cavalieri d’Oro, specie malconci come voi, sono troppo pochi per chi, come me, ha in dono i poteri degli Dei celesti! Speravo in avversari più degni o numerosi!"
"Ci sottovaluti!" rispose Toro, muovendo un altro passo. Libra però gli si parò davanti e, tenendo dietro il compagno con un braccio, si rivolse direttamente al Comandante.
"Appartieni alla stirpe dei Megres, non è vero? Il cosmo che ti circonda e la spada che stringi nel pugno ti tradiscono! Dimmi, chi sei, e come mai possiedi quell’arma?"
"Tradirmi? A lungo ho celato il mio cosmo, avrei potuto continuare a farlo se solo avessi voluto, ma non è più il tempo dei segreti! Ai Megres appartengo, hai ben detto, perché ne sono il fondatore: Alberico! E di questa spada ho privato un mio discendente, che più non ne aveva bisogno…" rispose, puntualizzando l’ultimo commento con un risolino.
Libra e Toro si incupirono a quella risposta, ma il Comandante non diede loro il tempo di dir nulla e concentrò l’attenzione sul Cavaliere della settima casa. "Anche io so chi sei: l’anziano maestro di Cina, guardiano della Bilancia! Hai sconfitto un Megres un tempo, proprio come il tuo allievo ha fatto con l’ultimo discendente della nostra dinastia. Era dunque scritto nel fato il nostro incontro…"
Nel dire queste parole, Alberico avvicinò le braccia al corpo, espandendo il suo cosmo.
"Se è la lotta che vuoi…!" minacciò Toro caricando il pugno. Libra però lo fermò con parole di prudenza. "Stai attento, i Megres sono capaci di controllare gli spiriti della natura ed usarli come arma!"
"In questo caso non è molto furbo costui, qui in città non c’è natura che possa sfruttare!" rispose il custode del secondo tempio, lanciandosi all’attacco. "Per il Sacro Toro!!"
"Stolto!" rispose Alberico, tendendo verso di lui la spada d’ametista. "La natura è sempre attorno a noi, non ne sono forse parte anche le fiamme di questa lama?"
Al suo comando, il fuoco che avvolgeva la spada sembrò prendere vita, allungandosi su Toro con gigantesche pire e scagliandolo indietro. Per di più, quel muro infuocato lo nascose alla vista per qualche secondo, dettaglio che non sfuggì a Libra.
"Non era solo un attacco: in qualche modo il Sacro Toro non ha avuto effetto, ma ha usato le fiamme per impedirci di vedere!" comprese preoccupato, sferrando nello stesso istante un raggio di energia. In tutta risposta, le fiamme virarono verso di lui, allungandosi con sottili lingue ed obbligandolo ad indietreggiare.
"Sono proprio come le ricordavo, attratte dal bruciare del cosmo! Ma so come ingannarle, le ho già affrontate in passato! Devo restare immobile, annullare la mia presenza, rendere il mio spirito un tutt’uno con la natura che mi circonda! Leggera brezza e impercettibile alito di vento, questo devo diventare!" pensò, inspirando profondamente e bloccandosi, incurante delle fiamme che gli turbinavano attorno.
"Doko!" gridò Toro allarmato. Poi però si accorse che il fuoco sembrava aver perso interesse e smesso di dargli la caccia. "Quale prodigio…"
"La forza di uno spirito in comunione con la natura, nient’altro! Gli spiriti non riescono più a trovare la loro preda e desistono, tornando nel remoto eremo da cui erano stati invocati!" spiegò il guerriero, prima di incassare il pugno e voltarsi a guardare l’avversario negli occhi.
"Mi dispiace, Alberico, ma come tu stesso hai ricordato, ho già combattuto con un membro del casato dei Megres in passato! Allora compresi come annullare le Anime della Natura, e la regola evidentemente è ancora valida! A te ora la difesa: Colpo Segreto…"
"Uh uh… non dovresti essere così sicuro di te!" lo interruppe però il Comandante, alzando una mano al cielo. In risposta a quel richiamo, un fulmine attraversò l’empireo, abbattendosi con inaudita violenza sul custode della settima casa.
"Aaaargh!!!" gridò Doko, barcollando agonizzante, ma soprattutto sbalordito dalla facilità con cui Alberico lo aveva colpito.
"Non confondermi con i miei discendenti, indubbiamente fiaccati da una vita di agi e ricchezze! A tutti loro io sono superiore: già ve l’ho detto, piuttosto che tra gli uomini, i miei eguali sono da cercarsi tra gli Dei!" rise.
"Questo è da vedere!!" ringhiò Toro, caricando il nemico con tutta la sua mole e sferrando un pugno carico di energia.
"Affatto! Lento e malridotto, cosa potrebbe farmi un bestione come te?" rispose il seguace di Hela, saltando agilmente in modo da toccare la spalla del Cavaliere d’Oro con il palmo della mano e sferrare un fendente trasversale sul torace. Avide di carne, le fiamme ustionarono le parti in cui l’armatura era ormai in frantumi, strappando un grido all’eroe e facendolo barcollare. Atterrando alle sue spalle, Alberico vibrò un affondo, trafiggendo da parte a parte la coscia là dove l’armatura era in pezzi.
Il grido del Cavaliere del Toro fu assordante, accompagnato solo dal crepitare delle fiamme che lambivano le sue carni devastandole dall’interno.
Alberico tuttavia non si fermò: estratta l’arma, fece un semplice gesto e uno, due, tre fulmini precipitarono dal cielo, bersagliando il custode della seconda casa fino a farlo crollare fumante.
"Toro!!" urlò Libra, riuscendo in qualche modo a rialzarsi, anche se il peso delle numerose ferite accumulate ormai era terribile, e fiumi di sangue scorrevano copiosi attraverso le crepe di quello che restava della sua armatura.
"I fulmini sono comunque alla velocità della luce, posso schivarli!" pensò, correndo all’attacco a denti stretti e concentrando il cosmo nel pugno. "Colpo Segreto del Drago Nascente!!"
"A me, Scudo di Ametista!" rispose soltanto Alberico. Sotto lo sguardo incredulo del Cavaliere, una nebbia di cristalli violacei comparve dinanzi a lui, circondando e disperdendo l’impeto del Drago Nascente.
Ridendo dell’espressione del nemico, il Comandante stese il braccio verso di lui. "Vi invoco, Anime!!"
Il vento stesso sembrò rispondere a quel richiamo, mutandosi in vortice e scaraventando Doko a terra.
"E ora, che una gelida coltre sia il vostro tormento!" comandò Alberico. Un istante dopo, una tormenta di neve sembrò venir fuori dal nulla e abbattersi sui guerrieri con temperature glaciali, di decine e decine di gradi sotto lo zero al punto che i loro corpi si coprirono di brina, e persino il sangue che scorreva sulle armature cominciò a venir avvolto da una patina di ghiaccio.
"Non… non credere di averci già vinto!" disse Toro, scrollandosi la neve di dosso e issandosi in qualche modo su una gamba, mentre con il suo busto possente faceva da scudo al compagno.
"Non ancora, ma presto! Le ferite che portate in corpo già vi condannano! E se la neve non è per te abbastanza, che sia il ghiaccio a flagellarti!" ridacchiò Alberico.
Quasi immediatamente, i soffici fiocchi di neve si mutarono in chicchi di grandine sempre più grossi, fino alle dimensioni di un pugno umano, ed iniziarono a bombardare il Cavaliere. In condizioni normali, l’armatura d’oro sarebbe stata barriera più che adeguata contro di loro, ma essa era ormai in frantumi, totalmente divelta in alcune zone e piena di crepe in altre, e per di più i chicchi di grandine, spinti dalla furia del vento, colpivano con più violenza di enormi magli.
Sotto quel bombardamento incessante era come essere lapidati. Spinti a terra, Toro e Libra si coprirono i volti con le mani, sentendo la pelle lacerarsi ogni volta che una zona scoperta veniva centrata, ed in alcuni casi persino le ossa spezzarsi ed i muscoli strapparsi, dilaniati da frammenti particolarmente aguzzi.
"Ah ah ah ah! E’ questa la forza dei mitici Cavalieri d’Oro?" rise Alberico nel vedere un lago di sangue allargarsi attorno a loro.
"Devo reagire… ma le forze mi abbandonano!" pensò Libra, tentando invano di rialzarsi. Sentiva il sangue scivolare via dal suo corpo, un’emorragia sempre più copiosa che presto lo avrebbe privato della vita. Già le dita stavano diventando insensibili, e soprattutto iniziava a non sentire più il dolore, macabra prova che poco ormai gli restava.
Improvvisamente però sentì un peso schiacciarlo e riaprì gli occhi, strozzando sbalordito un grido di stupore.
Sdraiato prono sopra di lui, intento a fargli da scudo con il proprio corpo contro quel bombardamento, c’era il nobile Toro.
"Ca… Cavaliere!" balbettò Libra.
"Non… sorprenderti!" gli sorrise a stento il compagno, sollevandosi su mani e ginocchia in modo da essere carponi sopra di lui. "A cosa servirebbe questo mio corpo gigantesco se non a far da bastione per i miei amici? Della tua guida abbiamo tutti bisogno, ti proteggerò… finché avrò forza!"
A queste parole, sottolineate dal grondare di rivoli di sangue, lacrime di sincera commozione velarono gli occhi di Doko, rigandone il viso. Lacrime il cui tepore ben contrastava con il gelo della tempesta che Alberico stava scatenando su di loro.
"Nessuno di noi morirà!" rispose con convinzione, scuotendosi.
"Hai in mente qualcosa?"
"Sì! Non giova noi uno scontro prolungato, i nostri cosmi sono allo stremo! Preparati a farti da parte, al cielo sferrerò la furia dei Cento Draghi cercando di interrompere questo bombardamento, tu approfittane per colpire Alberico con quanta più forza ti resta! È la nostra sola possibilità!" spiegò.
"E sia! Ad un tuo cenno!" rispose Toro con uno sguardo d’intesa dopo qualche attimo di riflessione.
Ad un segnale di Libra, il possente custode della seconda casa si fece da parte, mentre Doko si alzava di scatto, il cosmo concentrato nei palmi delle mani.
"Anime della Natura, sprofondate tra le tenebre! Colpo dei Cento Draghi!!" gridò, scatenando la furia del suo colpo segreto. Scariche di energia dorata attraversarono l’aria, disintegrando la grandine e disperdendo per qualche istante i venti e persino le fiamme che ancora vorticavano attorno a loro.
"Adesso!" urlò poi il guerriero di Cina.
In risposta, Toro sollevò la propria enorme mole e, fissando torvo Alberico, fece esplodere il suo cosmo. "Il tuo Scudo di Ametista, mettiamolo alla prova con un vero attacco! Selvaggia Corrente delle Pleiadi!!" ruggì, liberando la sua arma migliore. L’energia non era più la stessa del duello con Oghma, fiaccata da troppe battaglie consecutive, ma si trattava comunque di una tecnica devastante, una furia selvaggia diretta sull’esile Comandante.
Eppure, Alberico non si scompose. "Insane sono le strategie dettate dalla disperazione che precede il trapasso! Scudo di Ametista!!"
Rispondendo a tale comando, la nebbiolina viola tornò a sollevarsi, danzando nell’aria e disponendosi a difesa del proprio padrone proprio nel momento in cui la Corrente delle Pleiadi stava per travolgerlo.
Davanti agli sguardi sbalorditi dei Cavalieri d’Oro, il colpo segreto fu completamente annullato, scomparendo tra i cristalli d’ametista.
"Co… come può essere?!" balbettò Toro. "Era colpo di inusitata violenza eppure è stato spento come nulla. Nemmeno il Muro di Cristallo di Mur ha simili poteri!"
Sentendo questo commento, Alberico scoppiò a ridere.
"Non capite? Lasciate allora che vi aiuti a comprendere!" sibilò sarcastico, aprendo contemporaneamente il palmo verso di loro. Nello stesso momento, i cristalli di ametista che ancora danzavano nell’aria si accesero di una luce dorata ed esplosero, travolgendo Libra e Toro con un’onda dalla violenza inaudita, che li scaraventò contro le mura del palazzo reale.
Non fu però la veemenza di quell’assalto a sconvolgere i due eroi agonizzanti. Era la natura del cosmo alle sue spalle che celava il vero orrore di quel che era accaduto.
"Quel… quel colpo… era la Corrente delle Pleiadi!" balbettò Toro, mentre frammenti della sua armatura d’oro si spaccavano e cadevano in pezzi tra la neve. "Ha rivolto contro di noi… il mio stesso colpo segreto!"
"Lo Scudo… lo Scudo di Ametista non è semplice barriera!" comprese Libra.
"Ah ah ah, iniziate a capire, finalmente! Il mio Scudo non è un comune muro, esso non para i colpi del nemico ma li avvolge ed intrappola, piegandoli al mio servizio! Come mosche imprigionate dall’ambra, perdono ogni vigore finché non decido di farvi ricorso! In fondo, non si dice forse che tra tutte le pietre l’ametista è l’unica in grado di intrappolare persino l’anima? Ah ah ah ah!" scoppiò a ridere Alberico, avvicinandosi soddisfatto.
Un momento dopo però le risate scomparvero, rapide com’erano venute, sostituite da una luce colma di orgoglio e ambizione. "Tornano indietro gli attacchi sferrati contro me, proprio come quelli lanciati contro gli Dei! A loro e loro soltanto sono paragonabile, non ve l’ho già detto? Mio è il dominio delle forze naturali, mia è la difesa impenetrabile unita all’arte del contrattacco! Cosa più ci separa? Niente!" dichiarò, sollevando minacciosamente la spada.
"Ed ora che avete avuto un saggio della mia grandezza, vi finirò con la tecnica suprema di cui sono padrone! Unione della Natura!!"
A quel comando, il vento ricominciò ad ululare, accompagnato da tormente di neve; il cielo fu attraversato da fulmini, la terra tremò, le fiamme della spada si innalzarono. Era come se il creato tutto stesse rispondendo alla chiamata alle armi del suo sovrano.
Di fronte agli sguardi sbalorditi di Toro e Libra, la furia degli elementi si concentrò in un unico gorgo: un vortice attraversato trasversalmente da fulmini simili a lance, al cui interno coesistevano neve e fiamme.
Lo videro, per un istante appena, poi si abbatté su di loro.
Sulle mura, Scorpio, Syria, Mizar, Orion, Mur, Ilda e Ioria si fermarono un momento, scambiandosi uno sguardo spaventato di fronte ad una tale manifestazione di forza. Persino le arpie ed i soldati invasori sembravano ammirati ed insieme atterriti dinanzi a quel turbine che si alzava fino al cielo, disperdendo le nubi come a creare un corridoio tra la terra e l’universo.
Fu proprio il Cavaliere del Leone il primo a scuotersi.
"Li… annienterà! In quel vortice si perderanno!" balbettò con gli occhi sbarrati, guardando disperatamente in direzione di Ilda. "Devo fare qualcosa!"
Comprendendo la situazione, e vedendo il terrore negli occhi del giovane eroe al pensiero della sorte dei compagni, la Celebrante soppesò la situazione, in cuor suo consapevole che i difensori delle mura erano già allo stremo e avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile. Ma a che sarebbe servito proteggere la cinta difensiva mentre la città cadeva? E poteva davvero chiedere a quei Cavalieri di restare impassibili a guardare di fronte al sacrificio dei loro amici? Rispondendosi nell’unico modo possibile, gli fece cenno di andare.
Sorridendo grato, il Leone piegò le gambe per saltare, quando una mano lo fermò.
"Le tue tecniche sono più adatte a difendere le mura! Lascialo a me!" disse una voce fiera, con tanta nobile autorità che Ioria non poté rifiutarsi.
Un momento dopo, un raggio di energia esplose ai piedi di Alberico, spezzando la sua concentrazione ed obbligandolo a disperdere il vortice. Precipitando come sassi, Toro e Libra si schiantarono a terra, circondati dalle loro armature ormai quasi completamente in pezzi, e privi di sensi.
Ma vivi, seppur a stento.
Dinanzi a loro una figura si erse maestosa, avvolta da un cosmo bianco come la neve e protetta da un’armatura blu notte.
"Comandante di Hela sta' pronto! Orion di Asgard sarà adesso il tuo avversario!" proclamò a gran voce il principe dei Cavalieri del Nord.
"L’armatura della stella Alfa…" la riconobbe Alberico, accigliandosi e sollevando la guardia.
Per una frazione di secondo i due si studiarono, guardandosi negli occhi: la luce nobile e fiera di Orion in netto contrasto con l’astuta malizia del fondatore della stirpe dei Megres. Poi il Cavaliere attaccò per primo, indicandolo con l’indice.
"Spada di Asgard!"
Indietreggiando di un passo allarmato, Alberico vide un cerchio spaccare la terra attorno a lui. Prima che esso si chiudesse allora balzò in aria, appena in tempo per evitare l’esplosione, ed allargò le braccia. "Venite a me, venti del nord!" comandò, invocando il turbinare delle correnti ed usandolo per intercettare le pietre ascendenti che componevano la seconda parte della Spada di Asgard, in modo da disperderle prima che potessero colpirlo.
"Conoscevi già il mio colpo segreto?" notò Orion vedendolo atterrare soddisfatto.
"Da molto tempo, sì. Dall’epoca del fondatore del tuo casato, il primo Cavaliere di Duhbe, la cui armatura ora indossi! E’ tradizione della vostra famiglia la Spada di Asgard, più volte l’ho vista in azione nelle battaglie per la difesa del regno!" rispose l’invasore.
"Dunque è vero quel che avevo udito: sei il primo degli Alberich o Megres, il capostipite che insieme alla mia famiglia, ai Polaris ed ai Merak fondò questa città! Sei tornato da traditore?!" ringhiò.
"Affatto!" ribatté Alberico sprezzante, prima di curvare le labbra in un sorriso. "Sono tornato nei panni che mi sono sempre appartenuti, quelli di seguace della venerabile Hela cui nelle epoche antiche giurai fedeltà! La mia lealtà ad Asgard ed alla corona era una maschera, niente più!"
"Una maschera!" ripeté Orion.
"Una maschera, sì! Mio era il compito di spiare Asgard per ordine di Hela, e di minarne le fondamenta se possibile! La nascita di questa città era scritta nelle profezie del mito, così come era scritto che prima o poi, nella guerra del Ragnarok, essa avrebbe giocato un ruolo determinante! La sovrana di Hel così mi chiese di essere i suoi occhi e le sue orecchie tra queste mure, offrendo in cambio l’eterna servitù delle anime della natura per me e per i miei discendenti! Non hai mai notato che è un teschio a vestire l’elmo dell’armatura di ametista della stella Delta?" sibilò, facendo trasalire il Cavaliere. "A lungo è appartenuta a me quella corazza, anche se ora torno finalmente ad indossare quella che per me fu forgiata nelle epoche antiche, e che avevo dovuto dimettere per non destare sospetti!"
"Una serpe in seno…" comprese Orion, prima di esclamare con enfasi "Ma a nulla sono servite le tue trame: Asgard ancora si erge, baluardo degli uomini liberi contro le armate di Hel!"
Fu ora il turno di Alberico di accigliarsi. "Fallii, è vero, proprio a causa del Cavaliere di cui ora indossi l’armatura! Lui, uno stupido bestione privo di intelletto o raziocinio, votato solo all’arte della guerra, per qualche miracolo comprese che vi era un secondo fine dietro la corte che incessante facevo alla giovane primogenita del capostipite dei Polaris!
"Avrei voluto sposarla, e tramite lei salire al trono del regno, ma Sigfrido di Duhbe - perché questo era il nome di quel barbaro - scorse la verità dietro i miei sorrisi e le mie ricchezze, e sconsigliò a Wotan di Polaris di concedermi la di lei mano! Il suo nome era onorato a corte per le imprese in cui si era distinto, così Wotan l’ascoltò! Nondimeno, neppure Sigfrido poté impedirmi di entrare nelle grazie del sovrano, e da allora sono sempre stati saldi i rapporti tra Megres e Polaris!"
"Una stirpe di traditori!" disse Orion con disprezzo.
"No, non tutti loro in realtà, meno di quanti avrei voluto! Come tutti i semi, anche quello dell’ambizione può fiorire solo su un apposito terreno! Quando compresi che poco restava alla mia esistenza terrena, redissi un manoscritto in runico, chiamandolo ‘Libro del Destino’. Lì scrissi alcuni eventi il cui avverarsi sapevo già essere solo questione di tempo, ed altri che nessuno sarebbe vissuto a testimoniare! In mezzo a loro, posi una profezia, che vedeva un Megres salvare il regno e conquistare gloria e potere!
"Speravo che essa avrebbe spronato altri della mia stirpe ad ingegnare arditi piani e far crollare Asgard, ma molti di loro avevano spirito nobile sorretto da sogni e ideali piuttosto che da concreta ambizione, mentre altri, come colui che ti è stato compagno, non avevano i mezzi o le capacità per portare a termine quel che si erano prefissati!"
Di fronte a queste rivelazioni, Orion si accese di rabbia e indignazione. "Non vi al mondo che una cosa più spregevole di un traditore, ed è qualcuno che pianta il seme del tradimento nel cuore altrui! Ti annienterò Alberico o Megres o qualunque sia il tuo nome, anche troppo a lungo hai calcato le nevi di Asgard!"
Queste parole furono accompagnate dallo scivolare della visiera e dall’accendersi del suo cosmo, il cui espandersi sollevò mulinelli di neve ed elettrizzò l’aria, mentre il drago bicefalo si ergeva alle sue spalle.
"Prendi!" ringhiò, lanciandosi all’attacco e sferrando uno dopo l’altro una serie di fasci di energia. Tale fu l’impeto del suo assalto che Alberico, schivati i primi con una serie di balzi all’indietro, fu centrato all’addome e scaraventato a terra.
Saltando in aria, Orion proseguì con un calcio, che però il Comandante fu lesto a evitare rotolandosi nella neve. "Colpite, fulmini celesti!" sibilò al tempo stesso.
Precedendo il rombare dei tuoni, diversi fulmini zigzagarono attraverso il cielo saettando contro il Cavaliere. Aspettandosi che li schivasse, Alberico si preparò ad aizzare contro di lui anche la furia dei venti, in modo da rallentare i suoi movimenti e renderlo vulnerabile, ma Orion si limitò a incassare le braccia nei fianchi con i pugni serrati, ed a far esplodere il suo cosmo prima di scagliare una serie di fasci di energia.
"Sta intercettando i fulmini!" comprese sorpreso Alberico nel vedere saetta dopo saetta esplodere a mezz’aria a contatto con il cosmo del guerriero.
"E non solo loro! Poc’anzi hai evitato la Spada di Asgard perché già la conoscevi, ma ora rivolgerò su di te la tecnica più potente che io stesso ho creato! Occhi del Drago!!" tuonò, facendo esplodere la sua arma micidiale.
"Spaventosa è la loro forza, ma non mi lascerò certo colpire! Scudo d’Ametista!" rispose il Comandante, impedendo a stento ad una punta di panico di emergere nella voce. A suo comando, ancora una volta i cristalli vorticarono nell’aria, imprigionando gli Occhi del Drago.
"Uhm!" grugnì Orion, studiando attentamente la situazione, e dovendo ammettere che, per quanto potente fosse la sua tecnica d’attacco, ogni iota di energia era stata intrappolata senza causare il minimo graffio ad Alberico.
"La mia difesa è impenetrabile, ma tu potrai dire lo stesso? Specie di fronte al tuo stesso colpo segreto?" rise il nemico, saltando elegantemente indietro a gambe unite ed agitando la spada. Un istante dopo, i cristalli di ametista si spaccarono, rilasciando l’energia accumulata contro Orion sottoforma di una spaventosa esplosione.
In qualche modo avvantaggiato dall’aver già seguito il duello di Toro e Libra, l’eroe anticipò quella mossa balzando indietro a sua volta ed evitando il grosso dell’esplosione. Non poté però impedire all’onda d’urto di accecarlo con neve e polvere, costringendolo a coprirsi gli occhi con la mano.
Approfittandone, Alberico si avventò su di lui disegnando un semicerchio con la spada infuocata, ed aprendo un taglio sanguinante su una delle poche zone scoperte dall’armatura - il bicipite appena sotto la spalla - oltre che uno sfregio sul pettorale.
Toccandosi il braccio ferito, il guerriero si girò di scatto verso il Comandante, che si era portato alle sue spalle e ridacchiava soddisfatto. "Il possente Orion sanguina come gli altri esseri umani! L’invulnerabilità di cui ho sentito parlare da Megres non benedice più le tue carni!"
Aggrottando le sopracciglia, il favorito di Ilda non rispose niente, ripensando però al suo risveglio nella fortezza del Valhalla, dopo il sacrificio nello scontro con Syria, ed alle parole con cui Odino lo aveva accolto. "Ho ripristinato il tuo corpo, e con esso l’udito che avevi perduto! L’aura invulnerabile che proteggeva le tue membra però era frutto del sangue del drago leggendario… frutto di una magia antica che neppure io posso ripetere, perché legata alla stirpe dei Vani. Sii prudente nel giorno del Ragnarok, perché le tue carni si presteranno ai colpi del nemico come quelle di chiunque altro!"
Questo avvertimento ora si riaffacciava alla mente del Cavaliere, anche se senza portare con sé dubbi o paura. La morte Orion l’aveva già accettata sacrificandosi contro Syria, e prima ancora l’aveva rischiata affrontando il drago del nord, quindi non temeva di perire in battaglia. Molto di più temeva di sopravvivere e vedere la caduta della sua amata città in mani nemiche.
Scambiando la sua esitazione per paura, Alberico sorrise e sferrò una serie di affondi ad altissima velocità, sfruttando le fiamme per aumentare il raggio d’azione della spada. Orion però seppe schivarli con una serie di movimenti laterali, portandosi sempre più a ridosso del nemico fino a colpirlo allo stomaco con un pugno.
Spinto indietro, il Comandante eseguì un colpo di reni mutando la caduta in una capriola, ed alzò una mano al cielo: "Anime della Natura, ancora una volta vi invoco! Che la vostra furia si scateni su chi osa attaccarmi credendosi invincibile!"
Convocati in tal modo, gli spiriti si unirono ad Alberico nel dare battaglia. Per prime, pire di fuoco schizzarono verso Orion, che fu lesto ad evitarle con una serie di salti. Poi anche il vento e la neve scesero in campo, abbattendosi su di lui e frenandone i movimenti, mentre fulmini e saette cercavano di colpirlo dal cielo.
Sotto un tale sbarramento, colui che godeva del titolo di principe tra i Cavalieri fu costretto alla difensiva, schivando o intercettando gli assalti senza riuscire a contrattaccare. Dettaglio che non sfuggì ad Alberico.
"Siamo in fase di stallo, devo sorprenderlo con una mossa che non possa anticipare!" si disse, lanciando improvvisamente in aria la spada di ametista, nello stesso momento in cui un altro fulmine cadeva dal cielo. A mezz’aria i due si scontrarono, proprio qualche metro sopra Orion, e l’energia della saetta fu come spezzata e propagata dalla lama, trasformandosi in una scarica a largo raggio che si abbatté sul Cavaliere e sul suolo circostante.
Impreparato, l’eroe gridò di dolore mentre alcune ustioni sanguinanti si aprivano sul suo corpo. Un istante dopo però strinse i denti e, accortosi che Alberico era immobile a fissarlo, fece finta di barcollare in avanti e lasciò partire un raggio di energia, centrandolo in pieno petto e sbattendolo contro le mura.
"Adesso! Occhi del Drago, colpite nel segno!" disse imperioso.
Con un rivolo di sangue sull’angolo della bocca, Alberico aprì gli occhi e sollevò la mano. "Scudo di Ametista!!"
I due poteri si scontrarono proprio davanti al Comandante, ma l’esito non fu quello sperato da Orion. Per quanta energia imprimesse nel suo colpo segreto, la difesa del primo dei Megres riusciva sempre ad arrestarlo senza alcuno sforzo.
"Il mio scudo è invincibile, neppure la folgore di Zeus tonante potrebbe oltrepassarlo!" dichiarò Alberico, riaprendo la mano e scatenando la forza degli Occhi del Drago contro chi li aveva generati.
Aspettandosi questa mossa, Orion balzò indietro, venendo investito solo in piccola parte dall’onda d’urto dell’esplosione. I suoi pensieri però erano cupi e minati dal dubbio.
"E’ scaltro costui, degno del quarto seggio di Hela! E’ pericoloso in attacco, ma soprattutto la difesa è invulnerabile, non sono riuscito a raggiungerlo che con deboli colpi! Cosa fare?!" si chiese preoccupato.
In quel momento, un rumore assordante si levò nell’aria ed Asgard stessa sembrò tremare, mentre ombre gigantesche oscuravano per qualche istante il sole.
Girandosi di scatto, perché era dalle mura che proveniva quel caos, Orion vide con orrore giganteschi blocchi di ghiaccio e pietra, o persino interi edifici, venire lanciati con forza disumana contro la cinta muraria: alcuni Giganti, sfuggiti alla disperata resistenza di Thor, avevano iniziato a bersagliare con enormi proiettili il bastione, colpendo sia i soldati loro alleati che i difensori, e facendo vibrare l’intera cittadella.
In preda al panico di fronte a quell’ennesimo assalto, alcuni guerrieri di Asgard iniziarono ad indietreggiare o ad abbassare le armi.
"Non vi arrendete!!" risuonò allora imperiosa la voce di Ilda. Infilzando un’arpia con la lancia e travolgendo due nemici con una sfera di energia, la Celebrante si rese conto del momento di scoramento e gridò con quanto più fiato aveva in corpo. "Serrate i ranghi, tenete unite le linee! I giganti sono vulnerabili a frecce e lance, non abbiate timore! Non arrendetevi!!"
Le sue urla però furono soffocate da un grido di terrore alla vista di un intero, enorme arco di pietra che, divelto da due edifici della cittadella inferiore con la sola forza delle braccia degli abitanti di Jotunheim, era stato scagliato proprio contro la sezione di mura dove si trovava la donna.
Contemporaneamente, Eric Bloodaxe, visto il momento favorevole, fece esplodere il suo cosmo e, con una luce di follia negli occhi, lanciò l’Ascia di Sangue proprio nello stesso punto.
L’esplosione che seguì fu devastante. Le mura vennero completamente divelte con una pioggia di pietra, ed i difensori catapultati all’interno.
"Ildaa!!!" urlò Orion, vedendo terrorizzato la fanciulla volare via, seminascosta dalla nuvola di polvere e detriti. Improvvisamente dimentico del duello, mosse un passo verso di lei.
"Una distrazione, proprio ciò di cui avevo bisogno! Anche il fato vuole la mia vittoria" sibilò trionfante Alberico, allargando di scatto le braccia. "Unione della Natura!!"
Resosi conto dell’errore, Orion si voltò di scatto ed incrociò le braccia, ma ormai era troppo tardi per qualsiasi difesa. Il vortice elementale lo travolse in pieno, frantumando in alcuni punti la sua armatura e precipitandolo malamente a terra.
"Mia… regina…" sussurrò riaprendo gli occhi e guardando in direzione delle mura, incurante dei rivoli di sangue che ora grondavano dal suo volto, o anche della presenza di Alberico, che aveva ripreso la spada di ametista e la teneva sollevata pronta al colpo di grazia.
Una spaccatura enorme, larga diversi metri ed alta quanto il bastione stesso, era stata aperta e attraverso essa l’esercito invasore stava sciamando all’interno, calpestando i corpi dei caduti spinto dall’ebbrezza della vittoria ormai certa. Al contrario, la linea difensiva era spezzata, i difensori indietreggiavano in preda al panico, oppure venivano circondati ed abbattuti da stuoli di nemici. Il solo Mime cercava di tener loro testa, ma neppure lui poteva frenare da solo l’avanzare di un’intera armata.
A terra, circondata da frammenti di roccia e pozzanghere di neve sciolta, Ilda rialzò stancamente la testa, che ora sanguinava copiosamente da un taglio alla fronte dove il diadema era volato via. Guardandosi attorno, vide Syria, Scorpio e Mizar, privi di sensi tra i detriti, ed i cadaveri di numerosi soldati ed arpie, abbattute dall’esplosione.
Poi scorse le armate di Hela farsi largo, uccidendo a colpi di spada e lancia chiunque si ponesse sulla loro strada, e per la prima volta la disperazione scese persino su di lei.
"E’ finita!" mormorò, sentendosi mancare.
Proprio in quel momento però, nuove grida di guerra si levarono nell’aria dalla direzione opposta, e la terra tremò al rumore di centinaia di passi.
Voltandosi, Ilda spalancò gli occhi sbalordita.
Erano scese in campo le donne di Asgard.
Tutte loro che poche ore prima avevano salutato un marito, un genitore o un figlio, vedendolo salire mestamente sulle mura per respingere l’assedio, avevano ricevuto riparo nei grandi saloni del palazzo. Ma il loro spirito, temprato dalla vita nell’austera città del nord, non era fatto per nascondersi e piangere spaventate in attesa della fine. Terrorizzate per coloro che amavano, alla vista del crollo delle mura e dell’esercito invasore avevano reagito con la forza della disperazione, uscendo in massa e gettandosi sui soldati nemici armate solo di utensili presi dalle cucine, o di armi raccolte da terra. Erano prive di armature o addestramento, ma combattevano spinte dall’amore che provavano verso i loro cari e verso Asgard stessa, che per una vita intera era stata la loro casa, e che non avrebbero lasciato crollare senza reagire.
Così, con grida tumultuose e senza organizzazione, si gettarono sull’impreparato esercito nemico spingendolo indietro con la sola forza del numero, vibrando fendenti ed eseguendo affondi, prendendo il posto di chi cadeva e continuando ad avanzare.
Per di più, nel vederle i soldati di Asgard furono colmati da un misto di vergogna, per l’aver considerato la resa, ed amore misto a preoccupazione, che li spinse a triplicare i loro sforzi ignorando dolore e ferite.
In pochi, gloriosi momenti, la battaglia sembrò capovolgersi e coloro che erano stati in rotta ora ne guidavano l’impeto.
"E’ impossibile!" mormorò sorpreso Alberico, abbassando un attimo la lama.
"No! E’ la forza infinita di chi ha qualcosa di caro da proteggere!" rispose Orion alzandosi di scatto con rinnovata determinazione e bloccando entrambe le braccia del Comandante con i gomiti.
"Che vuoi fare?!" disse Alberico cercando invano di divincolarsi.
"Colpirti con tutta la forza di cui dispongo! Con le mani bloccate non potrai usare lo Scudo di Ametista!" disse trionfante il Cavaliere, facendo esplodere il suo cosmo.
"No! Fermati!" urlò il suddito di Hela. Invano, perché già il cosmo del dragone bruciava nei pugni dell’eroe.
"Occhi del Drago!!"
La deflagrazione travolse entrambi con una forza devastante. Orion, investito dal contraccolpo, venne scagliato sanguinante al suolo, ma Alberico fu lanciato contro le mura più lontane, con l’armatura in pezzi.
"M… maledetto… non hai esitato a ferire anche te stesso…" mormorò con voce carica di odio, mentre flotti di sangue grondavano a terra.
"Era l’unico modo… immaginavo che un egoista come te, votato solo alla propria ambizione, non si sarebbe mai aspettato un attacco come quello, che mettesse a rischio anche la mia vita! Bloccare le mani e colpire a distanza ravvicinata, era questa la via per superare le tue tenaci difese!"
"Uuh…" sussurrò Alberico, iniziando a guardarsi attorno alla ricerca di una via di fuga. Il suo sguardo cadde su Ilda, di nuovo in piedi in lontananza, e sorrise.
Con un balzo, il Comandante evitò il colpo successivo di Orion e saltò prima su una scalinata di pietra alle sue spalle e poi sulle mura occidentali, quelle che affacciavano sul dirupo e che per questo erano praticamente sguarnite.
"Non un altro gesto!" gridò, alzando la mano. "Non un altro gesto, o le Anime della Natura si abbatteranno su quella donna!"
"Non oserai!" esclamò Orion impallidendo.
"Oserò invece, e tu lo sai bene! Non sono forse proprio come mi hai descritto, votato solo alla mia ambizione? Ora cedi le armi ed offrimi spontaneamente la tua vita, solo in questo modo forse la fanciulla sarà salva!" rise.
Inorridito, il Cavaliere lo fissò per alcuni secondi con occhi di fuoco, consapevole che non avrebbe esitato a mettere in atto quella minaccia, e che la vita di Ilda era la cosa più importante, non solo per lui ma per Asgard tutta. Lentamente, iniziò ad abbassare le mani.
Improvvisamente, in quel momento un’ombra balzò fuori dai recessi delle mura, avventandosi su Alberico e trapassandogli la schiena con la mano.
"Ci rivediamo, o mio Comandante!" sussurrò sarcasticamente una voce che entrambi riconobbero subito.
"Megres!" esclamarono all’unisono.
Ed infatti ad aver colpito alle spalle Alberico era stato proprio il Cavaliere traditore, moribondo e grondante sangue, ma con una luce sinistra nello sguardo.
Prima che chiunque potesse fare qualcosa, Megres cinse il presunto alleato in un abbraccio sul torace. Contemporaneamente, dalla ferita sul petto del quarto saggio iniziò ad allargarsi uno strato di ametista, che coprì l’arto saldandolo al corpo sottostante.
Soddisfatto, Megres iniziò a trascinarlo verso le mura e mise un piede sui merli.
Comprendendo quel che voleva fare, Alberico impallidì ed incominciò ad agitarsi. L’ametista però li cingeva inevitabilmente insieme e, unito al dolore lancinante della ferita, gli impediva di reagire.
"Lasciami andare, ti supplico! Lasciami andare ed avrai quel che desideri, gloria, onore e potere saranno tuoi!" gridò alla fine. "Vuoi sacrificarti per Asgard?!"
"Che mi importa di Asgard, che vada pure in rovina!" disse Megres, tossendo sangue. Guardandolo, Orion si accorse che era davvero in fin di vita, sostenuto solo dal suo odio. "Ma ho sentito quel che hai detto prima e non accetto di essere la pedina di nessuno! Mi hai ingannato, per ben due volte, e per questo pagherai con la tua vita!"
Il tono definitivo di queste parole fece urlare Alberico di terrore. Sordo alle sue suppliche, Megres si voltò verso Orion, incrociandone per l’ultima volta lo sguardo.
"Muoio, ma solo per mia stessa mano!" disse con orgoglio, prima di saltare nell’abisso trascinando con sé Alberico.
Ripresosi dalla sorpresa, Orion corse sulla mura affacciandosi a guardare. Decine e decine di metri più in basso, sfracellati sulle rocce in un lago di sangue, i due cadaveri giacevano immobili.
"Megres…" sussurrò, prima di girarsi verso la battaglia in pieno svolgimento. Dopo l’impeto iniziale a favore degli abitanti di Asgard, la situazione era tornata in equilibrio ed anzi la spinta dei seguaci di Erebo stava di nuovo aumentando. Prive di difese e addestramento, le donne stavano cadendo numerose, e per di più molti uomini stavano lasciando i ranghi per correre da loro ed aiutarle, o anche solo per riabbracciare chi temevano di non vedere mai più.
I due fronti si erano spezzati in un’infinità di piccoli scontri di gruppo o duelli individuali. Alcuni Cavalieri privi di sensi si erano ripresi, ma erano ormai troppo malconci per essere un fattore rivelante.
Accigliandosi, Orion tornò nella mischia, avvolgendosi nella luce del suo cosmo.
***
Da dietro le finestre del palazzo, Flare seguiva con crescente preoccupazione le fasi della battaglia. Consapevole della crisi, chiuse gli occhi per diversi secondi, respirando tormentata. Poi un’idea si fece strada nella sua mente.
"Kiki, ho un piano per aiutare mia sorella e gli altri! Ma avrò bisogno del tuo aiuto!" esclamò, guardando il bambino che era stato insieme a lei per tutto il tempo, e che annuì.
***
Nel passaggio segreto sotterraneo, Fasolt, quinto seggio dell’esercito di Hela sconfitto in battaglia da Libra e Mime, strisciava appoggiandosi alla parete, sostenuto solo dal suo odio.
"Megres… pagherai per avermi tradito!" sussurrò assetato di vendetta.
In quel momento, la parete rocciosa alle sue spalle, franata nel corso dello scontro, esplose, con tanta forza da spingerlo a terra.
Rialzata la testa, Fasolt vide una figura avanzare scostante tra i detriti, con le braccia incrociate. Spalancando gli occhi incredulo, la riconobbe.
"A… aiutami!" lo chiamò, tendendo una mano.
Accortasi di lui, la figura lo fissò incuriosita per qualche secondo. Poi alzò un dito nella sua direzione, avvolgendolo nel proprio cosmo.
Un singolo raggio di luce trapassò Fasolt da parte a parte, schiantandolo a terra privo di vita.
Senza più curarsi di lui, l’altro riprese a camminare, trattenendo a stento una risata.