GLI ULTIMI CAMPIONI

Sulla leggendaria Avalon, Isola delle Nebbie un tempo regno di Oberon e Titania, Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, i cinque paladini della giustizia, correvano verso il loro destino, provati dalle dure battaglie contro gli Imperatori ma vittoriosi.

In quelle stesse ore fatidiche, i loro alleati - i Cavalieri d’Oro di Grecia ed i Cavalieri del Nord - combattevano una sanguinosa guerra nella leggendaria Asgard, l’ultima fortezza degli uomini liberi su cui si erano scatenate le forze di Hela, Imperatrice di Erebo, e dei suoi Comandanti. Lì, sotto il comando di Ilda di Polaris, uomini che un tempo erano stati nemici lottavano spalla a spalla, consapevoli che difficilmente avrebbero visto l’alba di un nuovo sole, ma anche disperatamente determinati a dare ai cinque amici una speranza. Anche a costo della vita.

Ma c’erano altri guerrieri che finora il conflitto aveva lasciato da parte, e che, ignari di molto di quel che era accaduto, passavano ore colme di angoscia e tensione.

Appoggiata al vetro di una delle finestre scorrevoli dell’ospedale privato di Thule, a Nuova Luxor, in penombra e nascosta dalle tende quasi completamente tirate, una di loro osservava pensierosa e sconsolata il mondo esterno. Un mondo che nelle ultime ore sembrava essere stato sconvolto e spinto con forza in un abisso di tenebre più nere della pece. Non le naturali tenebre della notte, che pure si stavano rapidamente distendendo sulla città, ma quelle di un cosmo tanto oscuro quanto immenso, che da diverse ore si era innalzato da qualche parte a Occidente, avvolgendo il globo intero con un alone di morte.

"Nemes!" la chiamò Tisifone, strappandola dai suoi pensieri e facendola sussultare. Con attenzione, la fanciulla addestrata sull’Isola di Andromeda riappoggiò le tende, voltandosi verso la più anziana compagna.

"Cosa sta succedendo, Tisifone. Tu lo sai?" chiese, visibilmente preoccupata.

La sacerdotessa dell’Ofiuco non rispose, limitandosi ad osservare la ragazza. Il suo corpo era ricoperto di ferite e vistose fasciature, e l’armatura del Camaleonte era piena di crepe e danni più o meno gravi. D’altra parte, lei stessa non era in condizioni migliori, e solo un miracolo permetteva alle sue vesti d’argento di continuare a proteggerla invece di sbriciolarsi in polvere.

Tali ferite erano il risultato di una durissima battaglia contro Aircethlam, Guardiano di Avalon, inviato contro di loro dalla regina Titania nella speranza di distogliere l’attenzione dei Cavalieri d’Oro dalla missione in cui erano stati impegnati: distruggere i Sigilli di Oberon e liberare Atena, Pegasus e gli altri dall’Olimpo. In quel senso, il piano di Titania si era rivelato un fallimento visto che, dopo una lunga battaglia, Aircethlam, impressionato dal coraggio dei suoi avversari, aveva preferito privarsi della vita con le sue stesse mani piuttosto che ucciderli.

Quella vittoria, se tale poteva essere chiamata, aveva però richiesto un prezzo tremendamente alto, a confronto del quale le ferite di Nemes e Tisifone erano meno che graffi insignificanti. Aspides di Idra e Ban del Leone Minore avevano infatti perso la vita, stroncati dalla devastante potenza del Guardiano, e solo per miracolo erano stati le uniche vittime. Geki dell’Orsa e Black il Lupo erano stati infatti feriti in maniera gravissima e soltanto dopo ore di intervento chirurgico i medici erano riusciti a stabilizzare le loro condizioni, dandogli una speranza di salvezza ma avvertendo anche che le ore successive sarebbero state fondamentali. In quel momento, i due, collegati a svariati macchinari, dormivano in coma farmacologico.

Nella stanza accanto alla loro riposavano altri che erano stati duramente provati da quella battaglia: Shadir, Benam e Lear, i Cavalieri d’Acciaio, che pur di aiutare i compagni non avevano esitato a sacrificare le loro armature, il loro stesso status di guerrieri, avevano subito anche loro diverse ferite gravi, seppur non fatali. E Mylock, il fedele maggiordomo di Lady Isabel, era stato quasi sepolto dai detriti nel crollo di parte di Villa Thule, ed estratto con numerose ossa rotte, una leggera emorragia cerebrale ed un polmone perforato. Anche lui, pur non essendo un Cavaliere, aveva protetto a rischio della vita Patricia e Fiore di Luna, le fanciulle che Pegasus e Sirio avevano affidato loro prima di partire per l’Olimpo. Per una guerra che aveva prodotto ramificazioni inattese e terribili.

«Cosa sta succedendo?» aveva chiesto Nemes. Una domanda legittima, ma cui Tisifone non sapeva rispondere. Sospirando dietro la maschera, pensò a quel che era accaduto dopo la battaglia contro Aircethlam: la fugace visita di Scorpio, l’improvvisa percezione dei cosmi di Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, evidentemente liberi, e l’innalzarsi poco dopo di un’aura immensa e spaventosa, infinitamente più fredda o buia di quella di Thanatos, il Dio che in passato li aveva attaccati al Grande Tempio. Un cosmo talmente vasto da abbracciare la Terra, rendendo loro impossibile percepirne qualsiasi altro a più di qualche metro di distanza. E poi la comparsa nel cielo di centinaia di navi volanti, cariche di guerrieri minacciosi dediti alla distruzione e all’apparenza privi di un vero obiettivo. Fortunatamente, per qualche motivo sconosciuto, costoro si erano dileguati prima che fosse necessario affrontarli, ed in fondo al cuore di ciò tutti erano lieti perché difficilmente avrebbero potuto sopravvivere ad un’altra battaglia, specie contro un esercito di tali dimensioni.

Era stata comunque quella misteriosa apparizione a convincere Asher, Tisifone, Castalia e Nemes, i pochi a poter ancora lottare, ad abbandonare Villa Thule trasferendosi nell’ospedale della Fondazione, in modo da poter stare vicino agli amici. In precedenza avevano temuto che in caso di attacco una mossa del genere avrebbe messo a repentaglio vite innocenti, ma adesso che si prospettava una vera e propria invasione la situazione si era totalmente capovolta.

Rimasta di guardia fino a poco prima, Tisifone aveva ceduto il testimone a Castalia e, sinceratasi delle condizioni di Fiore di Luna e Patricia, finalmente addormentatesi stremate, aveva raggiunto Nemes mentre Asher cercava di mettersi in contatto con Lamia e l’Orfanotrofio delle Stelle.

Anziché darle sollievo però, quella pausa sembrava aumentare il peso che sentiva sulle spalle. C’erano così tante cose cui pensare, così tante domande senza risposta, così poche informazioni su cui basarsi che la Sacerdotessa non sapeva che fare. Aveva pensato di fare ritorno al Grande Tempio nella speranza di trovare i Cavalieri d’Oro, ma esitava a lasciare gli altri da soli, ed in cuor suo non sapeva nemmeno se i custodi delle Dodici Case fossero ancora in vita.

"Kiki non ha ancora fatto ritorno da Asgard…" commentò in quel momento Nemes, ricordandole l’ennesimo problema. Il bambino era stato inviato ore ed ore prima nella città di Odino su consiglio di Scorpio, e da allora se ne erano perse le tracce.

"Se solo sapessimo cosa sta succedendo…" sospirò, appoggiandosi stancamente al muro e cercando di mantenere salda la voce per quanto le era possibile. "Pegasus, Cavalieri d’Oro… dove siete?" si chiese, tenendo però per se quel pensiero.

"Forse uno di noi dovrebbe andare in missione esplorativa… scoprire come si sia conclusa la battaglia di Avalon…" suggerì Nemes, ma Tisifone scosse la testa.

"Non sapremmo neppure dove andare. Secondo Castalia, Scorpio è stato vago prima di partire. E poi…"

Qui la Sacerdotessa si bloccò, consapevole che c’era dell’altro. Un qualcosa che aveva creduto di avvertire nonostante il cosmo oscuro, ma che non osava dire a gran voce per timore di avere ragione. Una possibilità tanto terribile quanto devastante, che avrebbe distrutto loro e tutti coloro che credevano nella giustizia.

"Stai pensando… ad Atena?" sussurrò tentativamente Nemes, facendola trasalire e voltare di scatto verso la Sacerdotessa del Camaleonte, il cui capo era chino.

"Lo hai sentito anche tu?" trovò alla fine la forza di domandare.

"Ore fa… il suo cosmo si è innalzato per un attimo… e poi…" disse a bassa voce, non trovando la forza di concludere la frase. Poi rialzò di scatto la testa, proseguendo con più enfasi "Deve esserci una spiegazione… forse la nostra Dea è ferita! Forse ha bisogno del nostro aiuto!"

Tisifone però scosse il capo. "Speravo… di essere stata la sola a sentirlo… di essermi sbagliata… ma se l’hai avvertito anche tu non possono esserci dubbi! Il cosmo di Atena si è dissolto nel nulla… e questo può significare solo che lei è… è…"

"Non osare dire una cosa del genere!!" gridò Asher comparendo sulla soglia, gli occhi spiritati, il respiro affannato. Correndo come una furia si gettò su Tisifone, spingendola contro la parete e stringendole con forza le spalle. "Non farlo, spergiuro, altrimenti…"

"Asher!!" gridò spaventata Nemes, afferrando il braccio del Cavaliere di Unicorno e cercando di allontanarlo. Tisifone però la fermò con un gesto del capo, prima di guardare il ragazzo negli occhi.

"L’hai sentito anche tu, non è vero?"

Posta in un sussurro, la domanda colpì Asher come un maglio. Lasciando la presa, abbassò lo sguardo, ora velato dalle lacrime. "Ho avvertito il suo cosmo spezzarsi e poi dissolversi… ma devo essermi sbagliato! Atena… Lady Isabel… non può essere morta, non può! Pegasus non lo avrebbe mai permesso!" disse, non riuscendo a trattenere i singhiozzi.

Incapaci di trovare parole per consolarlo, e segretamente giunte alla stessa conclusione, Tisifone e Nemes abbassarono la testa in silenzio, cercando ciascuna di affrontare in qualche modo quella terribile possibilità.

In quel momento, un rumore di passi in corsa risuonò dal corridoio, ed un secondo dopo Castalia entrò di scatto nella stanza.

"Ho sentito delle urla nel parco, non lontano da qui! Vado a controllare, ma voi restate in guardia!" gridò, voltandosi subito.

"Verremo tutti!" esclamò però Asher, fermandola. "Se qualcuno è in pericolo è nostro dovere intervenire! Dopotutto… siamo Cavalieri di Atena!"

La solennità con cui il Cavaliere di Unicorno aveva pronunciato queste parole fu tale che nessuno poté obiettare, ed un momento dopo i quattro si lanciarono all’esterno, precipitandosi nel parco e correndo tra gli alberi.

In coda al gruppo, Tisifone guardò il ragazzo dall’armatura violacea. "Sei cresciuto, Asher… la sorte ti ha sempre lasciato in disparte, ma hai saputo accettarlo, svolgendo ogni compito che ti è stato affidato senza permettere ad orgoglio e mania di protagonismo di accecarti." pensò, non potendo trattenere un sorriso sotto la maschera, e soprattutto non potendo evitare di paragonarlo a Pegasus, soprattutto com’era nei giorni dell’investitura e com’era diventato poi negli ultimi anni, temprato da battaglie sempre più difficili.

Ad un tratto, i quattro si accorsero che le grida si stavano facendo più vicine e saltarono in un viale. A pochi metri di distanza, due ragazzi appena adolescenti fuggivano terrorizzati, inseguiti da quello che sembrava un soldato nordico armato di ascia. Accigliandosi, il Cavaliere gli corse incontro.

"Chiunque tu sia, Asher dell’Unicorno non ti permetterà di fare quello che vuoi!" gridò, balzando in avanti e centrandolo al volto con un calcio, che lo lanciò indietro sanguinante. Soddisfatto, disse ai due giovani di correre nell’ospedale e restare lì fino al loro ritorno, poi si avvicinò al soldato, sollevandolo per il colletto. "Chi sei, parla!"

"Sono un umile suddito di Hela, il mio nome ha poca importanza! Quel che conta è chi sei tu, Cavaliere di Atena!" rispose l’uomo, sorridendo sinistramente.

"Hela?! La sovrana degl’Inferi del Nord!" intervenne Castalia. "C’è lei dietro a tutto questo?!"

"Lei si, in nome del sommo Erebo, colui che presto dominerà la Terra e l’universo tutto!" sorrise ancora il soldato, illuminandosi con occhi maliziosi.

"E… Erebo!"

"La Prima Ombra, il portatore dell’Apocalisse, lo sterminatore di Dei! Per mano sua sono caduti i Numi dell’Olimpo. Presto anche gli ultimi Cavalieri che ancora resistono saranno annientati e più nessuno si opporrà al suo dominio!" disse.

Queste parole generarono un senso generale di sbalordimento e sorpresa.

"Gli Dei sono caduti…" mormorò Castalia.

"Hai detto che dei Cavalieri ancora resistono! Dove?" domandò imperiosa Tisifone, facendosi avanti.

"Questa non è cosa che chi sta per morire ha bisogno di sapere…" sorrise il guerriero, spezzando improvvisamente la presa di Asher e saltando all’indietro. Contemporaneamente, una ventina di uomini pesantemente armati e vestiti in maniera simile a lui emerse attorno ai quattro, circondandoli, mentre la pallida forma di un’imbarcazione a remi si stagliava nel cielo, risplendendo sinistramente alla luce della luna.

"Una trappola!" mormorò Castalia, alzando la guardia.

"Noi siamo i soldati degli Inferi, le armate di Hel! In questo momento la maggior parte dell’esercito sta combattendo per annientare gli ultimi Cavalieri, ma il Capitano della nostra Naglfar ha pensato fosse una buona idea restare nelle retrovie per stanare eventuali codardi tenutisi in disparte. E quale luogo migliore per farlo di Nuova Luxor, la città dei Cavalieri, specialmente adesso che il Grande Tempio è caduto e Atena non c’è più!" rise.

A quelle parole, i quattro rabbrividirono. "A… Atena! Che le avete fatto?!" gridò Asher avanzando di un passo e tremando nel sentire i suoi peggiori incubi trovare conferma in quella maniera.

"E’ stata la prima vittima del grande Erebo, non avete sentito il suo cosmo spegnersi? Ma non temere, presto la raggiungerete all’Inferno!" rise. Una risata che fece avvampare di rabbia il cosmo del ragazzo.

"Maledetto!!" gridò lanciandosi in avanti più rapidamente di quanto il soldato si aspettasse. "Criniera dell’Unicorno!!"

L’uomo ebbe appena il tempo di strabuzzare gli occhi che una serie devastante di calci lo annientò, facendolo crollare a terra privo di vita, e quasi subito il suo corpo scomparve, lasciando pochi pezzi di armatura vuota.

"Che razza di esseri…?" mormorò Nemes rabbrividendo. Nel medesimo istante però, i compagni del caduto si gettarono all’attacco con un grido di guerra.

"Folli!" li criticò Tisifone sferrando un calcio al più vicino, per poi calare la mano su altri due e dilaniarli con le unghie. "Che siate uomini o spiriti risorti, non avete speranze contro un Cavaliere di Atena!"

"Sono soltanto soldati semplici, come possono pensare di sconfiggerci?!" si chiese Castalia concentrando il cosmo nel pugno. "Meteora Pungente!!"

Un paio di guerrieri caddero, abbattuti dalla tempesta di pugni, ma subito altri alle loro spalle levarono le armi, vibrando una serie di fendenti ed affondi che la Sacerdotessa schivò con alcuni movimenti laterali.

Improvvisamente un pugnale da lancio volò verso di lei e, reagendo più per istinto che per una reale minaccia, Castalia sollevò il braccio per deviarlo. Con un grido di dolore però vide la lama perforare come niente il suo bracciale, penetrando in profondità nella carne e facendo cadere rivoli di sangue.

"Le nostre armi sono imbevute del tocco della morte, non esiste armatura che possa fermarle!" rise il soldato, sfoderando la lancia. In quel momento la frusta di Nemes schizzò in avanti, bloccandogli il polso. Seppur spezzata nel combattimento con Aircethlam, l’arma era ancora abbastanza lunga da poter essere usata con successo a distanza ravvicinata. Con uno strattone la ragazza tirò il nemico a terra, spezzandogli il collo con un calcio ben assestato, ma subito dopo dovette saltare indietro per evitare la falce di un altro, che si era subito buttato in avanti assetato di sangue.

"Abbassati!" le urlò Asher, correndo alle sue spalle. Immediatamente la ragazza si tuffò di lato, permettendo al Cavaliere di centrare in pieno petto il nemico con una ginocchiata e sfondargli la cassa toracica.

"Non sottovalutateli!" gridò intanto Castalia, strappando il pugnale e guardando preoccupata il braccio sanguinante. Quasi subito, due uomini si avventarono su di lei, costringendola sulla difensiva. Dopo aver indietreggiato con alcuni passi veloci però, cambiò direzione di getto, incuneandosi tra di loro e travolgendoli con una raffica di pugni.

Accanto a lei, avvolta dalla luce del suo cosmo, Tisifone sollevò minacciosamente la mano e sferrò il Cobra Incantatore, annientando con una sola scarica altri cinque o sei avversari prima che avessero anche solo il tempo di capire cosa stesse accadendo.

"La loro difesa è debole! Dobbiamo solo stare attenti a quelle armi!" commentò ad alta voce Asher, fulminando un nemico con una scarica di energia. In pochi minuti, di una ventina di soldati ne erano rimasti a stento un paio, palesemente in rotta.

Pur nell’enfasi dello scontro, la sua affermazione riecheggiò nell’aria, giungendo all’orecchio di un uomo in piedi sul ponte di prua della Naglfar, e strappandogli un sorriso sarcastico. Alle sue spalle, decine e decine di figure silenziose con le armi strette in pugno erano in paziente attesa di un ordine. "Stolti! Impareranno presto a loro spese a non sottovalutare le armate della grande Hela!" sogghignò, salendo in piedi sull’orlo della murata.

Nel frattempo, Nemes abbatté il penultimo guerriero, lasciando l’unico superstite circondato da tutti i fronti.

"E’ tutta qui la vostra forza? Compiango Hela che ha un così misero esercito, potreste anche essere migliaia, ma i Cavalieri d’Oro vi annienteranno senza sforzo alcuno!" lo schernì. In tutta risposta, l’uomo sbuffò sarcastico.

"Io compiango Atena, che per secoli ha avuto simili sciocchi come servitori! Noi non eravamo che semplici scout, truppe esplorative il cui unico scopo era attirarvi allo scoperto! Altri saranno i vostri carnefici!" sorrise.

Sorpreso ed allarmato, Asher aprì la bocca per rispondere quando improvvisamente qualcosa precipitò al suolo, travolgendo i Cavalieri con l’onda d’urto ed investendoli con una folata di polvere. Rialzando la testa, i quattro videro un uomo dalla corporatura muscolosa, con una corta barba rossa e capelli e baffi dello stesso colore, indosso un mantello scarlatto ed un’armatura grigia priva di particolari segni distintivi. Alle sue spalle, decine e decine di guerrieri, vestiti in maniera identica ma privi di mantello, sembravano letteralmente piovere dal cielo e circondarli.

"Capitano Guthrum…" sorrise l’esploratore affiancandolo e guardando i nemici con aria di sfida.

"Capitano?" ripeté Tisifone alzandosi per prima "Sei dunque tu a capo di questo esercito?"

"Oh no!" si schernì l’uomo, facendo ironicamente spallucce. "Ben altri guidano le schiere della regina Hela: i leggendari dieci Comandanti, al cui confronto io sono meno di un’ombra! Ma quale esercito è composto da due soli ranghi? Ogni Naglfar è condotta da un Capitano, che prende ordini direttamente da uno dei Comandanti e a sua volta li impartisce a chi è di stanza sulla sua imbarcazione! Suo dovere è guidare il vascello, accertandosi che tutto sia eseguito come ordinato, ed evitare che le Naglfar si intralcino a vicenda. Un tedio che farebbe venire a noia l’esistenza, se ogni tanto non venissero affidati incarichi… più particolari!" concluse, sottolineando le ultime parole con un sorrisetto malevolo. Alle sue spalle, il resto dell’esercito, una trentina di guerrieri almeno, si mosse all’unisono correndo verso i quattro.

Fu Tisifone la prima a scattare loro incontro. "Parole colme di sicurezza, ma che mal si addicono alle labbra di qualcuno la cui avanguardia giace a terra sconfitta! Stessa sorte attende il resto della tua marmaglia! La vita stessa dev’esserti venuta a noia se pensi di vincerci con la mera forza del numero!" esclamò, avventandosi su un gruppetto di avversari. "Cobra Incantatore!"

Fulminati da scariche elettriche a migliaia di volt, i due o tre soldati più vicini crollarono in ginocchio, aprendo un corridoio verso Guthrum, che dal canto suo era rimasto totalmente impassibile.

"Sconfitto lui gli altri fuggiranno!" pensò la Sacerdotessa apprestandosi ad attaccarlo, quando improvvisamente uno dei nemici che credeva di aver appena abbattuto si rialzò di colpo e fece scattare il braccio in avanti sferrando un fascio di luce. Sbalordita, Tisifone fu colta del tutto di sorpresa e raggiunta in pieno addome, venendo scaraventata indietro a terra di fronte agli occhi preoccupati dei compagni.

"Sanno usare il cosmo!" realizzò Castalia mentre l’amica si rialzava massaggiandosi lo stomaco un po’ ammaccato.

"Uh uh uh, certo, non si tratta più di esploratori ma di truppe d’assalto, addestrate alla battaglia! Le stesse che stanno uccidendo i vostri compagni, dovreste esserne onorati!" rise Guthrum alzando il braccio al cielo e poi abbassandolo di scatto per impartire un ordine. "In nome della grande Hela, massacrateli!"

"Non così in fretta! Per Atena, Cavalieri!" gridò Asher guidando la carica.

In pochi istanti i due gruppi si incrociarono avventandosi gli uni sugli altri. Con un gesto preciso, Castalia schivò un affondo di lancia e fece scattare la mano in avanti, centrando un avversario in pieno petto. Nello stesso momento, una catena schizzò in aria per avvolgersi attorno al collo della donna, ma la frusta di Nemes l’intercettò a mezz’aria, permettendo alla Sacerdotessa d’Argento di balzare in aria e concentrare il cosmo nella gamba per colpire con il "Volo dell’Aquila Reale!!"

Il soldato, centrato in piena fronte, cadde esanime con l’elmo in frantumi ed un istante dopo il suo corpo si dissolse come fumo. Subito però altri presero il suo posto e Castalia dovette rapidamente saltare indietro per evitare due fasci di luce incrociati. Così facendo finì quasi tra le braccia di un altro guerriero, il cui fendente di spada aprì un taglio profondo sulla schiena della ragazza facendola gridare di dolore.

"Criniera dell’Unicorno!!" urlò Asher lanciandosi in suo soccorso ed annientando il nemico, per poi sferrare una raffica di pugni precisi all’addome di un altro guerriero e farlo barcollare all’indietro. Nonostante l’energia impressa in quei colpi tuttavia l’uomo non cadde, ed anzi si tuffò improvvisamente in avanti, lanciandosi sull’Unicorno e cercando di trascinarlo a terra con se. Scartando lateralmente, Asher rispose con un nuovo calcio volante, ma proprio in quel momento un altro nemico comparve accanto a lui, afferrando al volo la gamba protesa nell’attacco e sfruttandone l’impeto per far ruotare in aria il ragazzo e sbatterlo con violenza contro il tronco di una quercia. Intontito, Asher non riuscì a riprendersi in tempo per evitare un raggio di luce, che lo spinse ad abbattere l’albero e crollare malamente a terra dall’altro lato.

"Artigli del Cobra!!" gridò Tisifone correndo in suo aiuto, le unghie affilate ed intrise di energia. Una scarica elettrica violentissima fulminò il combattente permettendo alla Sacerdotessa di porsi a difesa del compagno e permettergli di rialzarsi.

"Sono completamente diversi dagli esploratori di prima…" avvertì l’Unicorno pulendosi un filo di sangue dalle labbra.

"Nondimeno dobbiamo vincere!" rispose bruscamente Tisifone, correndo di nuovo nella mischia senza degnarlo di uno sguardo.

"Quale spirito guerriero…" pensò Asher, sinceramente ammirato. Fino alla venuta di Aircethlam non aveva mai visto la donna combattere ed i racconti di Pegasus non le rendevano giustizia: era come una furia indomabile, ovunque sia nel proteggere gli altri tre che nel falciare gli avversari. Al contrario, Nemes era chiaramente in difficoltà e schivava con visibile fatica gli affondi ed i raggi nemici senza riuscire a contrattaccare con efficacia.

"Avremmo dovuto lasciarla in ospedale… Andromeda l’ha affidata a noi affinché la proteggessimo, se le succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo!" pensò, prima di chiamare Castalia e farle segno di aiutarla mentre lui stesso copriva le spalle a Tisifone. Intuendo il suo piano, la maestra di Pegasus abbatté un guerriero con una raffica di raggi e balzò accanto a Nemes, concentrando il cosmo nel pugno. "Cometa Pungente!!"

Il colpo segreto che aveva ispirato il Fulmine di Pegasus non fallì il bersaglio, travolgendo gli impreparati soldati con tutta la sua energia e sbattendoli a terra privi di vita. Nel lanciarlo però Castalia incespicò a causa del riaprirsi di una delle ferite inferte da Aircethlam. Subito, uno dei guerrieri le afferrò il polso, sollevandola di peso e sferrando contemporaneamente un montante devastante che la sbalzò in aria. Approfittandone, un altro soldato la centrò al volo con un fascio di luce, stridendo sul lato sinistro della sua già malridotta armatura e lasciandola ricadere al suolo.

"Castalia!!" gridò Nemes cercando di aiutarla ma venendo paralizzata da una fitta di dolore bruciante. Abbassando lo sguardo, si accorse che una lancia le aveva trapassato la gamba destra all’altezza del polpaccio, sfondando senza problemi l’armatura e facendo grondare fiumi di sangue. Barcollando inorridita, la spezzò con un calcio cercando di girarsi verso chi l’aveva colpita quando un raggio di energia l’investì, frantumando in più punti lo schienale e facendola strisciare malamente a terra.

Nel frattempo anche Tisifone ed Asher erano circondati ma non per questo disposti alla resa, come confermava la luce sfavillante dei cosmi che li avvolgevano.

"Fatevi avanti, che siate decine o centinaia la vostra sorte non cambierà! Cobra Incantatore!!" esclamò con decisione, falciando tre guerrieri, per poi afferrare la lancia di uno di loro e scagliarla contro un quarto, che stava cercando di accorrere e che venne trafitto in pieno petto. Senza perdere un momento, Tisifone proseguì ruotando sul piede d’appoggio e colpendo con le unghie un uomo che aveva cercato di sorprenderla alle spalle.

Nel cadere, costui le afferrò il polso, tentando di fermarla abbastanza a lungo da permettere a due compagni di trafiggerla con le loro armi, ma in quel momento Asher si avventò su di loro, abbattendoli con un doppio calcio e atterrando accanto alla Sacerdotessa.

"Combatti come un esercito, in ospedale sono stato fortunato! Ricordami di non sfidarti mai!" le sorrise sornione, dimenticando per un attimo il dolore della morte di Isabel. Senza attendere una risposta, concentrò il cosmo nelle gambe e spiccò l’ennesimo salto in avanti. "Criniera dell’Unicorno!!"

"Tsk, sbruffone e spavaldo… proprio come Pegasus!" si disse la Sacerdotessa, concedendosi a sua volta un sorriso sotto la maschera prima di affiancarlo all’attacco.

Spalla a spalla i due si gettarono sugli impreparati avversari, abbattendoli con pugni e calci, artigliate e scariche elettriche fino a creare attorno a loro una zona franca, coperta solo dalle armature vuote dei caduti. D’un tratto però Asher scorse Guthrum, sempre in disparte con le braccia incrociate, fare un cenno con la mano, ed in risposta i soldati, che fino a quel momento avevano attaccato alla rinfusa, si organizzarono in uno schieramento a ranghi serrati.

Un muro di scudi avanzò compatto, respingendo un calcio dell’Unicorno ed obbligando i Cavalieri ad indietreggiare mentre dalle retrovie piovevano lance ed asce. Una di esse quasi si conficcò nella spalla di Asher, aprendo comunque un taglio profondo e strappandogli un grugnito. Per di più, un dolore lacerante al fianco lo avvertì che una delle ferite della battaglia contro Aircethlam si era riaperta riprendendo a sanguinare. Contemporaneamente una lancia strisciò diagonalmente sulla schiena di Tisifone, facendola vacillare.

Cogliendo l’attimo, i soldati in prima fila si spostarono lateralmente all’unisono permettendo a quelli alle loro spalle di sferrare una raffica di fasci di energia verso i malcapitati.

"Asher!!" gridò Tisifone, riuscendo ad afferrare il compagno per il ventre ed a trascinarlo via appena in tempo, spingendolo verso Castalia e Nemes che nel frattempo stavano cercando di rialzarsi. Improvvisamente però alcuni raggi si intersecarono sopra di loro, generando un’esplosione devastante che travolse i quattro, sbattendoli a terra tra schizzi di sangue e frammenti di armature.

"Ma… ledizione…" mormorò Tisifone strisciando per rimettersi in piedi. Una spada però le trafisse la mano, impalandola al suolo e facendola gridare di dolore.

"Tisifone!" urlò Asher tentando di aiutarla ma crollando in ginocchio per un colpo di maglio alla nuca, mentre numerose ferite grondavano sangue copiosamente. Accanto a lui anche Castalia e Nemes erano in condizioni simili, sporche di terreno e linfa vitale che filtrava tra le numerose crepe di quel che restava delle loro armature.

Ridendo, Guthrum si avvicinò squadrandoli. "C’è del fuoco in voi, mi spiace doverlo spegnere…" commentò, guardando in particolare le Sacerdotesse e le loro vesti parzialmente strappate. Il suo sguardo brillava di un desiderio che non si curava minimamente di nascondere.

"Unitevi a noi e vi faremo salva la vita. Le donne languono nel nostro esercito e avremo bisogno di concubine per festeggiare la vittoria!" propose con un sorriso di trionfo, avvicinandosi a togliere la maschera a Tisifone ed ammirandone divertito il volto.

In tutta risposta la donna si strappò la spada dalla mano e saltò verso di lui come una furia, le unghie tese a sfregiargli il viso. Venne però abbattuta da un manrovescio e poi definitivamente da un calcio alla schiena, che la costrinse di nuovo a terra, schiacciata dal piede di un soldato. "Te ne pentirai!" ringhiò, rialzando la testa sporca di fango e fissando Guthrum con occhi di fuoco. "Chi priva una Sacerdotessa guerriero della maschera e ne vede il volto è destinato a morire per sua mano, ricordalo!"

"Sciocca, rifiutare così un gesto di pietà…" commentò il Capitano senza badare a quella minaccia. Spostò poi lo sguardo verso Nemes e Castalia con fare interrogativo. Entrambe lo ignorarono, dimenandosi per rialzarsi, ed alla fine l’uomo scrollò le spalle con un misto di fastidio e indifferenza.

"E sia, uccideteli tutti…" disse semplicemente, dando loro le spalle.

Immediatamente i soldati sollevarono le armi per finirli.

"Maledizione! Siamo sopravvissuti ad un uomo d’onore come Aircethlam, non accetto di cadere per mano di simili vermi!" imprecò a denti stretti Asher, trovando nella rabbia la forza di far partire una scarica elettrica dal corno dell’elmo, sufficiente a far vacillare il soldato che lo teneva a terra ed a permettergli di rialzarsi con un pugno deciso. Nello stesso istante però gli altri calarono le armi sulle indifese Sacerdotesse.

Quel che accadde dopo fu così veloce da lasciare senza parole il Cavaliere di Unicorno. La spada diretta alla testa di Tisifone si bloccò a mezz’aria, mentre le lance mirate ai corpi di Nemes e Castalia vennero fermate da catene rosa. Contemporaneamente, una mezza dozzina di giovani e tre guerrieri in armatura comparvero sul campo di battaglia a difesa dei Cavalieri, travolgendo i soldati con raggi di energia cosmica.

Riconoscendo il suo soccorritore, Tisifone spalancò gli occhi sbalordita. "Virnam!"

"Reda! Salzius!" esclamò Nemes alla vista dei due compagni di un tempo.

"Appena in tempo a quanto pare!" sorrise il primo, ritirando la catena e poi usandola per sferzare l’aria e allontanare un nemico.

"Che… che ci fate qui?!"

"Perché tanto stupore?" rispose Salzius. "Siamo anche noi Cavalieri di Atena! I crimini di un tempo li abbiamo lasciati alle spalle, sigillandoli sotto queste cicatrici!"

Solo allora Nemes si accorse che i loro volti erano segnati da vistosi segni, a imperitura memoria del duello con Andromeda avvenuto quel lontano giorno al porto.

"Gli inganni del Grande Sacerdote sono parte del passato!" dichiarò Virnam, spalancando gli occhi ed avvolgendosi con un’aura dorata. Un’onda di invisibile energia telecinetica si abbatté sui nemici, sbalzandoli indietro confusi. "Da tempo la grande Dea ci ha perdonato! La sua generosità ha purificato i nostri cuori corrotti, offrendoci una nuova possibilità!"

"Come ci avete trovato?" domandò allora la ragazza.

"Con il Grande Tempio in rovina e Villa Thule distrutta, abbiamo immaginato doveste essere da qualche parte a Nuova Luxor…" spiegò Virnam, senza distogliere lo sguardo dai nemici.

"Questi ragazzi…" commentò Castalia, guardando i giovani che avevano accompagnato i Cavalieri. Indossavano le tenute da addestramento degli allievi, ed un paio avevano delle catene avvolte attorno all’avambraccio destro.

"Discepoli!" sorrise Reda. "Dopo la guerra civile e poi la battaglia con Hades, Atena ci ha chiesto di iniziare ad addestrare dei ragazzi ai rudimenti del cosmo, in attesa che i Cavalieri d’Oro potessero concludere l’opera! Quelli che vedete sono coloro che avevano fatto i maggiori progressi!"

"E che preferiscono morire combattendo piuttosto che restando nelle retrovie come codardi!" esclamò uno di loro, un ragazzo con forte accento teutonico, dai lunghi capelli biondo rame e lo sguardo fiero.

"Portare dei ragazzi sul campo di battaglia… siete impazziti?!" criticò duramente Castalia, ottenendo in cambio solo uno sguardo sprezzante.

"Come Rudolph ha appena detto, quando la fine del mondo è vicina non ha senso prendere precauzioni!" ribatté Salzius.

"E poi sarebbero venuti comunque. Meglio insieme a noi che da soli…" concluse Virnam.

"Ben detto!" applaudì Guthrum, ripresosi dalla sorpresa. "Meglio morire tutti insieme che uno alla volta! Eliminateli!"

Con un grido di guerra, la quindicina di soldati restanti si lanciò all’attacco, alcuni scagliando le loro lance verso i nemici.

"Fate attenzione alle loro armi, hanno il potere di trapassare le armature!" avvertì Asher. Guardandolo di sottecchi, Virnam sorrise e poi spalancò gli occhi. Nello stesso momento, le lance si fermarono in volo, restando sospese a mezz’aria per qualche secondo prima di ruotare su se stesse e tornare indietro, trafiggendo chi le aveva scagliate.

"Chi… chi è costui?!" chiese Asher sbalordito.

"Virnam della Bussola, Cavaliere d’Argento. Anni fa accompagnò me ed Argor di Perseo in missione per uccidere Pegasus, e per il nostro fallimento venne esiliato dal Grande Sacerdote. Avevo sentito dire che Atena lo aveva richiamato e perdonato, ma non speravo di rivederlo. Il suo aiuto ci sarà prezioso!" sorrise Tisifone.

Come a voler confermare quelle parole di lode, Virnam allargò di scatto le braccia generando un’altra onda psicocinetica con cui travolse i nemici, impreparati di fronte ad un potere del genere.

"Guerrieri di Andromeda, alla battaglia!!" gridò intanto Reda lanciando in avanti la sua catena ed avvolgendola intorno al corpo di un uomo fino a spezzarne il collo. Accogliendo con entusiasmo quell’ordine, Rudolph ed un altro paio di discepoli si gettarono in avanti, imitati ben presto dai rimanenti ragazzi non appena Virnam ebbe fatto un cenno di assenso con il capo.

Cercando di riorganizzarsi, alcuni guerrieri di Hela lanciarono dei raggi di luce verso di loro. Salzius però scattò a difenderli, fendendo rapidamente l’aria con le sue catene ed intercettandoli, prima di spostarsi lateralmente e permettere a Reda di scatenare ancora una volta la sua arma. Contemporaneamente il ragazzo di nome Rudolph raccolse una spada da terra e si avventò sul nemico più vicino, ferendolo al fianco di striscio prima di incespicare a causa della spinta del suo stesso attacco.

Vedendo l’apertura, il soldato alzò la propria ascia per ferirlo quando la frusta di Nemes gli legò i polsi a mezz’aria. Un istante dopo, Castalia lo abbatté con una raffica di pugni.

"Ci siamo anche noi!" esclamò, per un attimo tentata di criticare tanta avventatezza. Poi però ammise che non era suo quel compito - non più - e tornò a concentrarsi sulle schiere di Hela, che stavano cercando di ricreare il muro di scudi. "Non stavolta! Volo dell’Aquila Reale!!"

Il colpo segreto sfondò agevolmente la difesa avversaria, aprendo un varco verso cui Asher e Tisifone scattarono correndo fianco a fianco. Nel frattempo Virnam si teletrasportò nel mezzo dello schieramento nemico, comparendo tra gli sbalorditi soldati e facendo esplodere una sfera concentrica di energia che spezzò completamente il fronte.

"Criniera dell’Unicorno!" "Cobra Incantatore!" "Cometa Pungente!"

I colpi segreti falciarono la maggior parte dei seguaci di Hela, lasciando i rimanenti alle catene di Reda e Salzius ed ai ragazzi, che nell’uno contro uno riuscivano a tener loro testa riportando solo qualche taglio e ferita superficiale.

In pochi minuti, non fu rimasto che Guthrum, la cui espressione era passata dal divertito all’impassibile, e dall’impassibile al seccato. Solo quando due discepoli si lanciarono su di lui, ignorando un grido di avvertimento di Castalia, l’uomo si scosse bloccandone i pugni con i palmi delle mani e stringendo abbastanza da costringere i giovani a fermarsi.

"Lasciali andare ed arrenditi!" ordinò Reda.

"Sei solo ormai, non hai più guerrieri a proteggerti! Vattene e avrai salva la vita!" esclamò Asher, ottenendo però uno sguardo carico di astio da Tisifone, visibilmente intenzionata a vendicare il torto subito quando il Capitano le aveva tolto la maschera.

"Uh uh uh… solo?" ripeté sarcasticamente Guthrum inarcando un sopracciglio ed emettendo un fischio acuto nella notte. "Un Capitano di Hela non è mai da solo!"

Nello stesso istante, il cielo venne attraversato da un ronzio ed un nugolo di frecce dall’asta in osso piombò dalla Naglfar, sorprendendo i Cavalieri prima che riuscissero ad alzare le loro difese. Tre discepoli caddero privi di vita mentre numerosi dardi si conficcarono sui corpi degli altri, trapassandone le armature e le carni, per lo più negli arti anche se Rudolph fu trafitto al fianco e Salzius alla spalla, ad appena pochi centimetri dalla testa.

I due ragazzi ancora bloccati da Guthrum videro con orrore i compagni ed i maestri crollare in ginocchio sanguinanti, mentre un’altra ventina di soldati balzava a terra dal vascello, riformando lo schieramento alle spalle del Capitano.

"Non… è possibile! Un’imbarcazione di quelle dimensioni non può ospitare così tanti uomini!" mormorò Castalia strappandosi una freccia dal braccio. Fortunatamente avevano la punta sottile e non sembravano avvelenate, ma avevano comunque completamente ribaltato la situazione.

"Uh uh… ah ah ah ah! Che importa la capienza?!" scoppiò a ridere Guthrum. "Lascia che vi riveli una cosa: a bordo di ogni Naglfar vi è un portale collegato direttamente al regno di Hel, popolato dai milioni e milioni di guerrieri caduti nel corso dei secoli! Grazie a loro le nostre schiere sono praticamente infinite! Siamo le armate della distruzione! Siamo coloro che conquisteranno il mondo in nome della somma Hela!"

Riecheggiando sul campo di battaglia, la sua risata portò sgomento nei cuori degli eroi.

"Oh no…!" mormorò Castalia impallidendo a questa rivelazione.

"Non abbiamo… speranze!" sussurrò Nemes, sentendosi mancare.

"Proprio così, e visto che avete rifiutato la salvezza che vi avevo offerto, preparatevi a morire!" gridò. Con un’espressione improvvisamente invasata, Guthrum lasciò la presa sui pugni dei ragazzi, trapassandone subito dopo il torace con due fasci di energia e correndo verso i Cavalieri alla testa del suo esercito.

"Dobbiamo… resistere!" esclamò Asher a denti stretti, rialzandosi alla testa dei Cavalieri proprio mentre i nemici sferravano una pioggia di raggi di luce.

"Oooohhhh!!" sospirò Virnam spalancando gli occhi ed ereggendo frettolosamente una barriera di energia a loro difesa. Tale era però il numero di colpi che essa, dopo averne fermati alcuni, andò in pezzi mentre una serie di esplosioni disperdeva i Cavalieri sbalzandoli a terra.

"Reda! Asseconda i miei colpi! Catena di Cassiopea!" chiamò il guerriero dell’Isola di Andromeda rialzandosi per primo e scagliando in avanti la propria arma.

"Nemes, Unicorno e le Sacerdotesse sono spossati, feriti da battaglie precedenti… ma noi siamo freschi di forze! Non possiamo lasciarci sconfiggere così facilmente! Non senza aver espiato fino in fondo le nostre colpe!" pensò, espandendo il suo cosmo.

Un momento dopo, la catena di Reda si affiancò alla sua, avvolta in un’aura simile. "Andromeda! Ho giurato a me stesso che ti avrei guardato negli occhi ancora una volta e non intendo diventare uno spergiuro! Non potrò eguagliare la tua forza, ma anche io sono un discepolo del maestro Albione!"

Incrociandosi, le due catene sprofondarono sottoterra e poi riemersero numerose volte, formando un reticolato dalle maglie abbastanza fitte da imprigionare la maggior parte dei soldati avversari.

"Rete dei Due Cieli!" gridarono all’unisono, stringendo la presa e facendo esplodere i loro cosmi lungo le catene, che vennero attraversate da scariche di energia rosata. Un grido di dolore si levò dai soldati imprigionati, prima che i loro corpi si mutassero in fumo lasciando cadere a terra soltanto armature vuote.

Il sorriso di trionfo sui volti di Reda e Salzius però fu di breve durata. Altri nemici infatti saltarono a terra dalla Naglfar, rimpinguando nuovamente le schiere di Guthrum, la cui risata riecheggiava incessante attorno a loro.

"Se non abbattiamo quella nave siamo spacciati!" realizzò Asher mentre un raggio di energia del Capitano esplodeva ai piedi di Reda e Salzius, scaraventandoli a terra. "Virnam! Puoi teletrasportarti lassù?!"

Il Cavaliere della Bussola alzò lo sguardo verso la cupa imbarcazione e chiuse gli occhi per concentrarsi. Per un attimo la sua immagine traballò, sul punto di svanire, ma poi tornò a solidificarsi, mentre l’espressione dell’uomo si faceva perplessa. Un secondo tentativo portò gli stessi inconcludenti risultati.

"Non… non ci riesco! Qualcosa me lo impedisce… un cosmo mortifero avvolge quella nave!" rispose alla fine. Un momento dopo un fascio di luce lo centrò alla schiena, incrinando la sua armatura e costringendolo in ginocchio.

"Il cosmo della regina Hela! Le Naglfar possono essere conquistate solo con la forza! Il teletrasporto ed altri trucchetti sono inutili!" spiegò Guthrum guardando chi aveva appena colpito, e sferrando contemporaneamente un pugno alla tempia dell’accorrente Rudolph, che crollò privo di sensi.

Nel sentire le sue risate, il suo tono tronfio e soddisfatto, qualcosa in Asher si spezzò ed egli si sentì pervaso dalla collera di fronte ad una situazione così smaccatamente a suo sfavore. Frustrazione e rabbia repressa esplosero, convogliandosi nel suo cosmo e facendolo correre a testa bassa contro il Capitano. "Criniera dell’Unicorno!!"

Tale fu l’impeto del calcio che Guthrum sarebbe morto se proprio in quel momento un soldato non gli si fosse posto davanti con lo scudo, cercando di proteggerlo ma finendo per venir abbattuto al posto suo. Conscio del pericolo corso, il Capitano sferrò un pugno all’addome del ragazzo, frantumando del tutto la sua cintura, e poi lo travolse con un raggio di energia.

Cercando di soccorrerlo, Tisifone, Castalia, Nemes, Virnam, Reda e Salzius si mossero nella sua direzione. Nello stesso istante, ad un cenno del Capitano, i soldati di Hela ripeterono la tattica usata in precedenza dai loro compagni, intersecando i propri colpi per aumentarne l’energia e causare un’esplosione che travolse tutti, scaraventandoli malamente al suolo inermi.

Sfregandosi le mani, Guthrum li guardò, coperti di sangue e fango. Assaporando già l’estasi della vittoria, ordinò ai sottoposti di avanzare e finirli.

Con la vista appannata ed in bocca il sapore del sangue, Asher guardò i nemici che si preparavano al colpo di grazia. Con la coda dell’occhio vide Tisifone issarsi su un ginocchio, ma troppo lentamente per poter fare qualcosa in tempo. Lacrime di disperazione e rabbia gli comparvero sul viso, mentre invano cercava nuove energie per tornare a combattere.

"Sacerdotessa…! Ancora lotta per rialzarsi… un tale spirito guerriero non merita di cadere così… nessuno di noi lo merita! Ma cosa posso fare? Cosa?!!!" si chiese, sbattendo il pugno a terra nel momento in cui i raggi di luce partivano per annientarli.

"Alzarti e combattere!" rispose una voce nella sua mente. Una voce che ben ricordava, giovanile e sincera, ma anche fiera e salda. Contemporaneamente, un’armatura comparve a difesa sua e degli altri: un’armatura piena di crepe e danni, assemblata nella forma di un braccio.

Un braccio d’argento.

Pur non avendo mai visto la corazza in quella disposizione, Asher la riconobbe subito. L’armatura di colui che quasi lo aveva ucciso, appena poche ore prima, e che ora giungeva inaspettatamente in suo soccorso.

"Aircethlam!" balbettò sbalordito.

"Si, io, il Braccio d’Argento, Guardiano di Avalon. Tuo antico nemico!" risuonò la voce nella sua mente. Asher poteva quasi vederlo dinanzi a se, con lo stesso sguardo nobile che ricordava, finalmente privo da tracce di tormento interiore e convinto della direzione da intraprendere.

"Le stelle che ci hanno visto avversari ora finalmente ci rendono alleati, perché anche Avalon è nemica di Erebo! A causa sua il nostro signore Oberon è caduto! Coraggio e spirito di sacrificio non ti fanno difetto, accetta ora il nostro aiuto e la nostra forza!" esortò la figura. "Accetta questo dono!"

Solo allora Asher si accorse che, stretta nel pugno del braccio d’argento era una lancia, dall’asta spezzata. Da essa emanava un’aura quasi palpabile di energia, un senso di potenza pura ed inebriante.

"Sleà Bua, la Lancia di Vittoria! Una delle quattro armi dell’Isola Sacra. Essa apparteneva ad un compagno che per me era come un fratello: ora sarai tu ad impugnarla, con la nostra benedizione! Che in battaglia le schiere di Erebo comprendano che non è solo Atena che devono temere, ma anche Avalon!" concluse la figura evanescente, e ad Asher parve di scorgere qualcun altro accanto a lui. Nell’istante in cui le sue dita si tesero a sfiorare quel dono, entrambe le figure sorrisero.

Commosso da quell’atto di fiducia, l’Unicorno impugnò Sleà Bua, sfilandola dal braccio d’argento. L’asta era spezzata ma sotto la metà, permettendogli di maneggiarla agevolmente, e la lancia stessa sembrava obbedire ai suoi pensieri più che ai suoi gesti, come se fosse sempre stata sua. Asher sentì un nuovo coraggio riscaldargli il corpo e sollevò il pugno armato al cielo, guardando con decisione i compagni.

"Alzatevi, Cavalieri! Alzatevi, Sacerdotesse! Respingete l’ingiuria del male e riprendete le armi, perché quest’oggi non combattiamo solo per Atena, ma per tutte le genti del mondo! Per coloro che non ci sono più e per coloro che ancora resistono! Per la libertà contro il regno oscuro di un tiranno!" gridò infiammando il suo cosmo.

A contatto con esso, Sleà Bua iniziò a brillare luminosa come una piccola stella. Alcuni soldati, abbagliati da una luce così intensa, corsero verso Asher per estinguerla, ma al Cavaliere bastò sferzare l’aria con il braccio per abbatterli con fendenti di energia, restando lui stesso ammirato dal taglio e dalla precisione della lama.

Una lama che comprese di non dover utilizzare contro semplici sgherri, ma contro la vera minaccia.

"Che… che cos’è quella lancia?!" domandò Guthrum, sul cui viso per la prima volta era comparsa la paura.

"Lo stendardo di una nuova alleanza!" rispose Asher con orgoglio, ruotando Sleà Bua e scagliandola contro la Naglfar con tutta la forza che aveva in corpo.

In una frazione di secondo, la Lancia di Vittoria separò lo spazio che la separava dal vascello, trapassandone la chiglia e frantumando tutto quel che incontrava sulla propria strada prima di riemergere sul ponte, ancora ammantata di energia. Un istante dopo vi fu un’esplosione di luce e la Naglfar cadde in pezzi, precipitando tra gli alberi con un frastuono assordante.

Impallidendo a quello spettacolo, il Capitano indietreggiò di un passo, calcolando rapidamente che al suo fianco aveva ancora più o meno solo una dozzina di guerrieri. Abbastanza in condizioni normali, ma ora?

"La… situazione si è ribaltata!" esclamò Castalia, sembrando leggergli nel pensiero. Accanto a lei, anche gli altri Cavalieri si erano rialzati ed apparivano pronti a riprendere la lotta.

Serrando i denti, Guthrum strinse il pugno e chiamò attorno a se i soldati. "Non temete costoro e le loro armi, la grande Hela è con noi! Uccideteli!!" li aizzò, lasciandoli sfilare accanto a se e correre all’attacco. Subito dopo però si girò di scatto, precipitandosi nella direzione opposta.

Solo per trovarsi di fronte la figura cupa e determinata di Tisifone, il cui cosmo brillava ancora intenso nonostante tutto.

"Abbandonare i tuoi uomini per farti salva la vita! Un vile come te non merita pietà!" esclamò con disprezzo, alzando la mano mentre alle sue spalle si innalzava la figura minacciosa del grande serpente. "Cobra Incantatore!!"

Stridendo sulla rozza armatura di Guthrum, gli artigli ne penetrarono le carni dilaniando il torace e facendo schizzare copiosi flotti di sangue. Portando la mano alla cintura il Capitano parve voler reagire, ma poi crollò in ginocchio, rantolando di dolore mentre la Sacerdotessa si avvicinava.

"Ri… risparmiami…" supplicò, la barba intrisa di sangue, gli occhi intenti a cercare una traccia di compassione nello sguardo gelido dell’avversaria.

"Hai dimenticato? Chi priva una Sacerdotessa guerriero della maschera e ne vede il volto è destinato a morire per sua mano!" disse, terrorizzandolo per la calma del suo tono ed alzando il braccio per il colpo di grazia.

Allora però Tisifone sentì un rumore a pochi passi e si accorse che Rudolph aveva ripreso i sensi e la stava fissando. Uno sguardo confuso, perplesso, di fronte ad un gesto di apparente crudeltà che la fece esitare per un istante fatale.

Quel che accadde dopo ebbe luogo in una frazione di secondo. Sbarazzandosi di uno degli ultimi soldati con la lancia che aveva fatto ritorno nelle sue mani, Asher vide Guthrum saltare in avanti brandendo qualcosa. Distratta, Tisifone se ne accorse e reagì con un momento di ritardo.

Attimi dopo, il Capitano barcollò all’indietro, fissando con orrore il torace perforato all’altezza del cuore dagli artigli della Sacerdotessa. Poi il suo sguardo si allungò sull’avversaria e le labbra si distesero in un sorriso sarcastico. Un’ultima smorfia di trionfo che restò sul suo volto anche quando gli occhi divennero vitrei ed il corpo si schiantò a terra, privo di vita.

Contemporaneamente, Tisifone si accasciò, con il polmone mortalmente trafitto da un pugnale. La bocca le si riempì di sangue, il respiro si fece pesante, la vista si appannò.

"Tisifone!!" gridò Asher disperato, lasciando cadere Sleà Bua e correndo verso di lei. "Ha bisogno di cure! Dobbiamo portarla in ospedale, presto!!"

Appena l’ebbe raggiunta però si rese conto che ben poco le restava: l’emorragia si diffondeva copiosa e già un lago di sangue si stava allargando sotto il suo corpo.

Un dolore immenso, pari a quello che aveva provato per Ban ed Aspides ed amplificato dal fatto che una tale tragedia sembrava giungere proprio a vittoria conquistata si impossessò del Cavaliere di Unicorno. In quel momento, mentre vedeva gli occhi di Tisifone spegnersi istante dopo istante, mentre sentiva il respiro affievolirsi, il battito diventare impercettibile e lo spirito abbandonarne le membra, ebbe come una rivelazione e comprese che avrebbe preferito cadere lui stesso piuttosto che vederla morire.

Senza pensare, senza dir niente, l’abbracciò, stringendola a se, sentendo il suo sangue scorrergli sulle mani, e chiuse gli occhi. Non poteva accettarlo, non ci riusciva, non voleva. La avvertì tremare, mentre il sangue, fonte di calore, abbandonava il corpo, ed istintivamente infiammò il proprio cosmo per riscaldarla, dando fondo ad ogni traccia residua, ad ogni stilla di energia che ancora serbava.

Una simile donna, forte e spavalda e nel contempo dolce e sensibile, che spietata aveva fatto strage di nemici, rialzandosi sempre e comunque, ma che aveva anche esitato a parlargli della morte di Atena, non poteva cadere a quel modo, colpita a tradimento da un nemico indegno. Non lo meritava.

Fiumi di lacrime iniziarono a rigare il suo viso, ed Asher le lasciò scorrere senza vergogna, abbandonandosi totalmente a quel torrente di emozioni. Tendendo tutto il suo essere verso un solo desiderio.

Fu un rumore a scuoterlo.

Bump.

Spalancò gli occhi, riconoscendolo ma non osando sperare. Temendo un crudele inganno dei sensi.

Bump. Bump. Bump.

Era un battito. Irregolare, ma sempre più forte.

Bump. Bump. Bump. Bump. Bump.

Abbassò lo sguardo verso la ferita, rimanendo allibito. L’emorragia si era fermata, e la lesione si stava richiudendo. Non del tutto forse, ma abbastanza da rendere possibile qualche cura.

"Asher!" lo chiamò Castalia. Solo allora il ragazzo si accorse che gli altri avevano sconfitto i nemici restanti ed ora erano ammassati attorno a lui. I loro volti riflettevano lo stesso stupore che egli sentiva in se.

"Com’è… possibile?" balbettò confuso.

"Il corno! Il corno dell’elmo!" indicò improvvisamente Nemes.

"Sta… sanguinando?" notò Salzius, perplesso ma incapace di trovare una spiegazione migliore. Dalla punta gocciolava infatti un liquido rosso scarlatto, che però nel cadere acquisiva la luce brillante del cosmo di Asher e fondendosi con esso diventava argentato, più lucido di qualsiasi metallo. Al tocco con il corpo di Tisifone brillava un’ultima volta, prima di svanire come assorbito.

E risanare leggermente la ferita, goccia dopo goccia.

"E’ sangue di unicorno…" mormorò Castalia, con la voce di chi non sa se credere alle proprie parole, attirando l’attenzione di tutti. "E’ raro, bramato per secoli da re e imperatori, perché narrano i miti che esso sia in grado di guarire qualsiasi ferita!"

"La mia armatura… nascondeva un tale potere?" si chiese Asher, stupito quanto gli altri.

"Ma perché ora? Se è una capacità dell’armatura, avrebbe dovuto essere evidente sin dal principio!" intervenne Nemes.

"Non… so dirlo con certezza, ma si racconta che non esistesse nel creato tutto un animale più puro e indifeso del leggiadro unicorno! Per questo cacciarlo, servirsi della sua linfa vitale per scopi egoisti, era considerato il più grave tra i crimini contro gli Dei! Ma la cura che Asher desidera non è per se… è un desiderio puro ed altruista, nato da affetto sincero, lo stesso che possiamo avvertire nel caldo tepore del suo cosmo espanso ai limiti massimi! Dev’essere stato questo… si, dev’essere stato questo a risvegliare il potere dell’Unicorno!" dedusse Castalia.

Asher però l’ascoltò solo in parte, limitandosi a stringere Tisifone e piangere lacrime di sincera gratitudine. Dentro di se si era sempre un po’ vergognato dei propri scarsi successi in battaglia, specie a paragone dei trionfi di Pegasus e gli altri, ma adesso, forse per la prima volta, era fiero di se.

"Non per ferire, ma per donare aiuto e conforto deve bruciare il cosmo di Unicorno, solo adesso lo capisco davvero!" sorrise, singhiozzando sollevato.

Per alcuni minuti tutti rimasero in silenzio. Poi Nemes si chinò accanto al ragazzo, prendendo delicatamente Tisifone tra le braccia. "E’ fuori pericolo, penseranno i medici a fare il resto!" gli sorrise.

Contemporaneamente, avvicinandosi un po’ imbarazzato, Virnam gli porse Sleà Bua, che aveva raccolto da terra. Comprendendo il significato di quel gesto, Asher si rialzò, con una nuova luce negli occhi, resi ancora più vivi dal bagliore della luna. Completa era la sua maturazione, non si trattava più di un ragazzo ma di un uomo, un vero Cavaliere, che dentro di se sapeva che strada intraprendere.

Afferrata l’arma, alzò lo sguardo al cielo notturno. "Pegasus, Cavalieri d’Oro, non so dove siate in questo momento o quali nemici state affrontando, ma tenete duro! Presto saremo al vostro fianco!" giurò.

*************

Ad Avalon, Erebo avvertì lo spegnersi del cosmo di Jormungander e si alzò di scatto dal trono. Fulmini neri e lampi di energia lo avvolgevano, agitando il mantello lacero e dandogli un aspetto ancora più terribile del solito.

"I cinque Imperatori sono caduti, per mano di piccoli esseri umani! Com’è possibile questo?!" tuonò, con tanta minacciosa veemenza che persino i Flagelli sembrarono allontanarsi da lui. Tutti tranne Morte, impassibile in un angolo come se la faccenda non lo riguardasse, e Guerra, che rimase in ginocchio con il capo chino. A lui la Prima Ombra si rivolse, avvicinandosi fino a torreggiargli sopra.

"L’alto ufficio della difesa era nelle tue mani, come spieghi questo fallimento?" domandò.

"Mio signore, la loro caduta è stata… inattesa, certo, ma figlia di semi da loro stessi piantati, e come tale non è poi una gran perdita." iniziò il comandante dei Flagelli.

"Gli Imperatori erano divinità con grandi poteri, ma tutti loro erano minati da dubbi, ambizioni, desideri personali… vestigia di umanità di cui siamo privi. Hanno svolto il loro compito, testando questi Cavalieri di Atena… ma non erano nulla a nostro confronto, e non c’era spazio per loro nel regno che lei si appresta a costruire. Non è forse per questo che ci ha risvegliati?" chiese rispettosamente.

Non ottenendo risposta, continuò. "Hela, forse l’unica ad essere degna di lei, vive ancora e presto riporterà vittoria su coloro che ancora resistono. Mentre noi, i suoi fedeli Flagelli, annienteremo gli invasori! Di questo io, Guerra, colui nel cui corpo riecheggiano le battaglie della storia, le faccio promessa!"

"E sia!" concesse alla fine il Dio ancestrale, voltandosi. "La difesa del palazzo è affidata a voi, fate in modo che nessuno raggiunga questa stanza!"

Annuendo, Guerra fece per alzarsi quando onde nere lo fermarono, lambendo anche gli altri suoi compagni e stridendo dolorosamente sui loro corpi. "Badate" - sibilò la Prima Ombra dando loro le spalle - "Non tollererò nulla all’infuori di una vittoria totale! Erebo non ha pari, ha soltanto schiavi, e può distruggerli con la stessa facilità con cui li ha creati!"

A questa minaccia, Morte rimase immobile e indifferente. Agonia sorrise, felice per quelle scariche che lo tormentavano. Colpa indietreggiò chinando il capo. E Violenza guardò adirato Guerra, ritenendolo responsabile di quella punizione.

Il primo tra i Flagelli però non disse nulla. Non erano nella sua natura le parole, solo i fatti avevano valore. Limitandosi ad annuire ancora si rialzò, guidando i parigrado fuori dalla sala del trono e chiudendone le porte alle spalle.

Appena usciti, Morte si allontanò senza dir niente, scomparendo in un corridoio laterale. Violenza invece gli si avvicinò, gli occhi brillanti di desiderio.

"Vai pure, e spazzane via anche il ricordo!" sogghignò Guerra, anticipando qualsiasi richiesta e guardandolo soddisfatto dirigersi verso l’ingresso del castello. Poteva sentire nel suo cosmo la rivalità che provava nei suoi confronti, ma non se ne curava, ed anzi ne era felice perché avrebbe reso Violenza ancora più terribile.

Nel frattempo, nella sala del trono, Erebo si lasciò sprofondare sul seggio, seccato dalla resistenza che i Cavalieri continuavano a porre nonostante la loro causa fosse disperata, ma anche dal dover affidare ad altri la loro distruzione. Per due volte era stato tentato di andare personalmente ad annientarli, completando il lavoro inspiegabilmente lasciato in sospeso in precedenza, e per due volte qualcosa lo aveva distolto, la sensazione di una presenza vicina ed evanescente.

La terza volta però non gli sfuggì.

"Chiunque tu sia mostrati, e affronta il tuo destino!" tuonò, alzandosi e fissando il salone apparentemente vuoto.

"Il Destino…"

"Come potremmo temerlo…"

"Noi che ne siamo le figlie?"

cantilenarono tre figure femminili identiche, emergendo come fantasmi dalla parete e fluttuando nell’aria fino a fermarsi di fronte a lui.

Accigliandosi, Erebo le riconobbe.

"Le Strane Sorelle!"

***************

LA GRANDE GUERRA DI ASGARD

Il mastino degli Inferi

Ritto in piedi sull’orlo della Naglfar ammiraglia, Fafnir, primo Comandante delle armate di Hela, osservava con sguardo vigile il procedere dell’assedio alle alte mura di Asgard. Con le braccia incrociate sul petto ed una gamba sulla murata, incurante del vento e della neve che gli sferzava il viso, fissava con occhi verdi i plotoni di soldati di Hel che, orda dopo orda, si abbattevano sulla cinta difensiva del palazzo, cercando di aprire una breccia. I difensori però lottavano strenuamente, respingendo ogni assalto nonostante l’inferiorità numerica.

Ad un tratto, Fafnir avvertì l’aria vibrare alle sue spalle, ed un momento dopo il comparire di un cosmo familiare. Sorridendo, si voltò a salutare Sigmund, il suo secondo e l’unico uomo che rispettasse davvero nell’esercito di Hela.

Nel vederlo però, il suo sorriso vacillò per un attimo. La brillante armatura d’oro in alcuni punti era spaccata e sporca di sangue, e sul fianco il fodero della leggendaria spada Gram era vuoto.

"È raro che delle ferite alberghino sul tuo corpo. Che cosa ti è accaduto? E che ne è di Semargl e Seven Macaw" gli chiese.

"Caduti in battaglia, per mano dei Cavalieri che si erano recati al Grande Tempio di Atena!" spiegò Sigmund, affiancandolo e volgendo a sua volta lo sguardo alla guerra in corso. Nella sua voce non c’era traccia di dolore o rammarico, e con medesima espressione vagamente disinteressata Fafnir scrollò le spalle.

"Erano solo l’ottavo ed il decimo seggio, e per di più stranieri raminghi, di patria privi. Misera perdita per le nostre armate, rimpiazzarli non sarà difficile. Più mi sorprende che quei Cavalieri siano riusciti a impegnarti a tal punto, non credevo ci fossero uomini così potenti tra le fila del nemico…" commentò.

"Lo sono invece… potenti e coraggiosi, pronti al sacrificio…" sospirò Sigmund, continuando a guardare l’esterno. Dal suo tono, Fafnir si accorse di un’ombra di disagio, una sfumatura che sarebbe sfuggita ad altri ma non a lui, che da tempo conosceva il secondo Comandante. Rispettando però il suo silenzio, cambiò leggermente discorso.

"La missione è comunque compiuta, altro non conta!"

"Compiuta? No, non lo è… non ancora" rispose Sigmund, strappandogli per la prima volta una smorfia di reale sorpresa. Girandosi a guardarlo negli occhi, il secondo seggio proseguì "Tre Cavalieri si erano recati al Grande Tempio di Grecia. Due di loro, Luxor ed Alcor, guerrieri di Asgard, sono caduti per mano mia. Ma il terzo, Scorpio, Cavaliere d’Oro di Atena, è ancora vivo e presto farà qui ritorno!"

La franchezza di queste parole lasciò Fafnir interdetto per qualche attimo. "Se è qui che si sta dirigendo, avresti potuto facilmente intercettarlo se lo avessi voluto. Non è da te non portare a termine un compito che ti è stato affidato, cosa ti ha spinto a questa scelta?"

"Una promessa… una promessa fatta ad un nemico morente" rispose semplicemente Sigmund, ripensando al combattimento con Alcor, e prima ancora al duello con Luxor.

Fafnir socchiuse gli occhi, prima di accennare un sorriso. "Conosco bene il tuo orgoglio di guerriero. Costui doveva essere un uomo di rara virtù per averti convinto a metterlo da parte…". Parlò con il tono di un amico piuttosto che con quello di un superiore deluso per un fallimento, e di questo Sigmund gli era grato perché, nonostante la differenza di rango e poteri, come uomini si erano sempre considerati eguali. Fratelli forgiati dallo stesso fuoco guerriero.

Sospirando, allargò il braccio in direzione delle mura di Asgard, indicandone i difensori. "Combattono valorosamente, da veri eroi!" disse, con una punta di rammarico.

"Vorresti unirti a loro, non è vero? Tornare ad essere un eroe per un popolo intero" intuì Fafnir. "Puoi farlo se lo desideri, non ti tratterrei!". In tono diverso quest’affermazione sarebbe parsa una provocazione, o un atto d’accusa, ma la voce del Comandante era sincera e spontanea.

"Verresti con me?" gli chiese allora Sigmund, fissandolo con enfasi. "La causa per cui combattiamo è oscura, lo sai anche tu! Oscura come il cosmo di questo Erebo, cui la regina Hela obbedisce! Dovremmo essere in prima linea tra le schiere che a lui si oppongono, lottando spalla a spalla con i Cavalieri che proteggono Asgard e sollevando fieri lo stendardo della libertà, invece di essere a comando del suo esercito, guidando orde di defunti e uomini senza onore!"

Il trasporto nella sua voce era evidente, come la convinzione in ciò che aveva detto, e che di norma avrebbe dovuto valergli un’accusa di tradimento ed un’immediata condanna a morte. Fafnir però non ne fu sorpreso né adirato, si limitò a chiudere gli occhi.

"Il mio cuore risponderebbe si in un secondo. E’ vero quel che dici, la causa per cui combattiamo è peggio che sbagliata… è malvagia, e sarei felice di contrastarla fino all’ultimo respiro! Ma anche tu conosci bene la ragione per cui io, Fafnir del Dragone, non tradirò mai la regina Hela, qualsiasi cosa accada. Se anche mi affidasse il più ripugnante degli incarichi, lo porterei comunque a termine, in suo nome. Hela desidera conquistare la terra per Erebo, ed anche se non ne condivido il fine, l’aiuterò comunque!" esclamò.

Annuendo, Sigmund gli poggiò la mano sinistra sulla spalla destra. "Parole decise che già mi aspettavo e che chiudono la questione anche per quel che mi riguarda, perché, come dissi quel lontano giorno, mai più io leverò mano contro te! Giusta o sbagliata che sia la causa, combatteremo sempre fianco a fianco. Da fratello a fratello, vostro nella vita e nella morte!"

"Da fratello a fratello!" rispose Fafnir con un sorriso, poggiando a sua volta la mano sinistra sulla spalla destra del compagno e scambiando con lui uno sguardo d’intesa.

"Solo una cosa ti chiedo" disse poi Sigmund, tornando a guardare il teatro di guerra. "Permettimi di attendere che il Cavaliere dello Scorpione faccia ritorno prima di scendere di nuovo in campo, che la mia promessa sia rispettata! Poi conquisterò questa città anche da solo!"

"Potrebbe non essere necessario un tuo intervento…" disse però Fafnir, rabbuiandosi e indicando un punto preciso della cinta muraria. "Il terzo Comandante ha spezzato i legacci!"

"Il terzo Comandante…" ripeté Sigmund, senza neppure provare a celare il disprezzo nella voce. "Garm!"

***

Sulle mura, Sirya, Ilda, Orion, Ioria e Mur fissarono con attenzione la figura che avevano di fronte, parzialmente celata dall’ombra di una torretta di guardia che aveva abbattuto con il suo stesso corpo. Per alcuni secondi era rimasta immobile, respirando a pieni polmoni l’aria circostante, ma poi si era scossa, osservando i Cavalieri con occhi che scintillavano nel buio e avanzando di un passo. Due soldati che gli erano vicini si gettarono subito all’assalto con le armi in pugno, ma con movimenti così rapidi da essere a stento visibili l’invasore spaccò loro il cranio, bagnandosi del sangue e liquido cerebrale che schizzò fuori mentre gli sventurati crollavano a terra privi di vita. Il soffiare del vento portò ai Cavalieri un odore nauseabondo, mentre i sensi percepivano un cosmo immenso e buio come un pozzo senza fondo.

Nell’avvertirlo, Ilda non poté trattenere un brivido, consapevole della vastità di quell’aura cosmica. Ciononostante mantenne salda la voce, ben conscia che un tremore o un sussulto avrebbero immediatamente spezzato lo spirito dei soldati, gettandoli nello sconforto. "Orion!" chiamò soltanto, facendogli cenno di dirigersi verso il nuovo venuto.

Allontanando con un colpo deciso del braccio alcuni guerrieri nemici che avevano raggiunto la cima delle mura, il Cavaliere si incupì per un istante, consapevole del rischio insito nel lasciare scoperta la zona che stava cercando di difendere, e che, con Artax scomparso, Mur impegnato al margine opposto, e Toro e Thor nella mischia all’esterno, sarebbe rimasta nelle sole mani di Ioria. D’altra parte, Sirya e Mizar difficilmente avrebbero potuto contrastare una forza del genere nelle loro condizioni, e per di più il Cavaliere della Tigre del Nord si era accasciato alcuni secondi prima.

"Allo svanire del cosmo di Alcor…" pensò con rammarico il principe dei Cavalieri, consapevole che anche l’aura di Luxor, dopo essere bruciata all’estremo per qualche minuto, alla fine si era estinta nel nulla. Annuendo allo sguardo di Ilda si mosse in direzione del nemico, quando un grido lo fermò.

"Resta dove sei, non un altro passo! E’ mia… questa battaglia!" esclamò proprio Mizar, rimettendosi in piedi. Il volto era velato dalle lacrime, ma lo sguardo determinato, e soprattutto che non accettava repliche. Senza neanche attendere una risposta, si girò verso il Comandante immobile nell’ombra.

"Mio fratello ed io ci eravamo finalmente riuniti, ritrovandoci dopo anni di incomprensioni e lontananza, ed ora l’ho perso di nuovo… per sempre! Suddito di Hela, su di te si scatenerà la mia collera!" gridò, infiammando il suo cosmo.

"No… no è una follia! Non puoi affrontarlo da solo!" disse Orion. "Non lasciare che l’ira ti accechi, costui è fuori dalla tua portata! Non sei in condizione di…"

"Non sarà da solo!" intervenne in quel momento Sirya, interrompendolo. "Lo affiancherò io! Bada alla difesa delle mura e lascia a noi la battaglia".

Orion guardò il Generale con freddezza, memore del loro breve duello proprio nella città che ora diceva di voler difendere. Ma alla fine annuì, a conoscenza del modo in cui Sirya aveva combattuto nella guerra contro le schiere di Avalon.

"Devo fidarmi di lui, siamo alleati…" si disse, dandogli le spalle e tornando a presidiare il bastione. Contemporaneamente, Sirya affiancò Mizar, che lo guardò con un misto di rimprovero e irritazione.

"Non possiamo lasciarci accecare da odio e desiderio di vendetta. Asgard cadrà se permetteremo a costui di conquistare questo versante della cinta muraria!" disse soltanto il musico.

"Mpf… chi avrebbe mai pensato di morire accanto ad un Generale di Nettuno…" sospirò Mizar.

"E morire accanto ad un amico?" gli chiese l’altro, con l’ombra di un sorriso.

Le parole sorpresero il Cavaliere, lasciandolo interdetto per qualche secondo. Poi finalmente anche lui si concesse un sorriso. "Si… questo si!" rispose alzando la guardia.

"Ooh… siete già pronti a morire… molto, molto saggio…" sussurrò la voce rauca e profonda del Comandante.

"Tsk! Non sopravvalutarti, sgherro di Hela! Forse questo sarà il nostro ultimo giorno, ma nelle profondità di Hel tu ci farai da guida!" dichiarò Mizar.

"Da guida? Che vuota minaccia, le lande che tanto temi sono per me comoda casa… è dai tempi dei tempi che le abito!" rispose, emergendo finalmente alla luce. "Dove altro potrebbe risiedere Garm, il Mastino degli Inferi?"

Nel sentire il suo nome, Sirya rimase immobile ma Mizar impallidì, indietreggiando istintivamente di un passo.

"Mi conosci, la paura che vedo dipinta sul tuo sguardo ti smaschera!" sorrise sinistramente il Comandante.

"Non è possibile! Garm dal Petto Insanguinato!" disse il ragazzo con gli occhi sbarrati.

"Di che stai parlando?" sussurrò Sirya, allarmato da quella reazione.

"Garm è una creatura mostruosa parte del mito! Si dice che, intento in perenne caccia, vaghi sulle sponde del fiume Slith, dalle cui acque color del piombo emergono a migliaia lame e pugnali! E’ il mastino che divora le ossa di coloro che sono caduti con disonore, bagnandosi del loro sangue!" balbettò.

"Un altro Cerbero…" pensò Sirya incupendosi ed osservandolo. Tarchiato, e privo di elmo, aveva irti capelli castani, un viso dal naso schiacciato e le forme spigolose ed un corpo muscoloso per lo più coperto da un’armatura grigio scuro, su cui però spiccava vistosa una chiazza scarlatta che, scendendo sul collare, si allargava sul petto e sull’addome proprio come un’inquietante macchia di sangue. Egualmente mostruosa era la cintura, un gonnellino le cui piastre raffiguravano la testa del leggendario animale: davanti era la testa, con le fauci spalancate ed i denti aguzzi, talmente lunghi da sporgere oltre le labbra. Sulle anche le orecchie, a forma di rombo, dritte ed appuntite. Dietro la nuca, che avvolgeva il bacino. Per il resto la corazza era liscia e con forme tondeggianti, evidenti in particolare nei grossi coprispalla ovali.

"Sono colui che si nutre degli uomini che sono caduti con sommo disonore, nato dai loro spiriti in pena che invano ululano ai cieli la propria agonia! Indegni del Valhalla, tale è la loro colpa che non meritano neppure di vagare in Hel, diventando così mio pasto! Delle loro carni mi nutro, sulle rive di Slith!" si presentò, spezzando le frasi con numerose pause, come se non fosse abituato a far uso della parola.

"Se sei davvero il Mastino degl’Inferi, come puoi essere qui adesso? Il mondo dei vivi non è luogo per te!" esclamò Sirya, ottenendo però soltanto una risata.

"Sono sempre stato l’incubo dei viventi, che temono di scorgermi al momento del trapasso! La regina Hela mi ha promesso un banchetto degno della mia fama, arruolandomi tra le sue schiere, ed è ora che le mie labbra assaporino il tepore di un cuore ancora pulsante! Non bastano pochi uomini a saziarmi, l’esercito alle vostre spalle mi sarà gradito pasto!"

"Dovrai conquistarlo con la forza allora, perché noi non resteremo certo qui a farti da prede!" gridò Mizar, riprendendosi dallo stupore iniziale e lanciandosi in avanti. "Bianchi Artigli della Tigre!!"

Appoggiandolo, Sirya sollevò di scatto la mano, creando un piano di energia violacea.

"Stolti, che resistiate o meno il vostro fato è già scritto!" sogghignò Garm, espandendo a sua volta il proprio cosmo grigiastro. Esso si aprì come un ventaglio, dilaniando e dissolvendo il duplice assalto prima di investirne i fautori e scaraventarli a terra.

Con un grido, Garm si avventò su Sirya, che fu lesto a rotolarsi su un fianco ed evitare di essere trapassato dalle mani del Comandante, capaci di spaccare come niente la pietra del bastione. Annaspando, il Generale cercò di rialzarsi ma con un solo gesto il Mastino di Hel liberò la mano, lanciando lastroni e frammenti di pietra contro di lui, ed obbligandolo ad incrociare le braccia davanti al viso per difendersi, venendo comunque spinto indietro per l’impatto. Una delle pietre in particolare lo raggiunse alla tempia, stordendolo e facendolo crollare a terra con un rivolo di sangue sul volto.

Accortosi del pericolo, Mizar corse di nuovo all’attacco, le unghie della mano sinistra mutate in affilati artigli. Vedendolo, Garm sorrise beffardo. Piegandosi in avanti, si contorse in modo da far strisciare gli artigli sul coprispalla e contemporaneamente afferrò il braccio teso all’altezza del polso.

"La Tigre del Nord che fiero rappresenti non è che un gattino in confronto a me!" lo derise, guardandolo negli occhi. Poi, senza nemmeno sforzarsi, strinse la presa, frantumando l’armatura in quel punto ed affondando le dita nella carne. Flotti di sangue zampillarono grondando a terra, ed un istante dopo Mizar sentì le ossa sbriciolarsi ed urlò di dolore, cercando invano di liberarsi. Garm però mantenne la stretta abbastanza a lungo da sferzare l’aria con l’altro braccio, investendo il ragazzo con un’onda di vento e luce.

Sentendo le sue grida, alcuni soldati si fecero coraggio e corsero in suo soccorso nonostante il terrore che solo guardare Garm generava. Per uomini del Nord come loro, cresciuti al racconto delle gesta di Odino e desiderosi di venire accolti nell’aldilà dal galoppare dei destrieri delle Valchirie, trovarsi di fronte al Mastino degli Inferi era come un incubo che si avverava, la visione del peggior fato possibile. Nondimeno, l’ammirazione per Mizar era tale da dargli la forza di mettere da parte la paura e stringere le armi, gettandosi sul Comandante e cercando di afferrarne e trattenerne le braccia e le gambe mentre altri sollevavano asce e spade.

Purtroppo per loro, lo sforzo fu tanto nobile quanto futile.

"Mi risparmiate la fatica di venirvi a cercare…" sussurrò il demone, spezzando facilmente la loro stretta ed affondando la mano nel braccio del più vicino, strappandolo di netto dal suo corpo ed usandolo come mazza per allontanare gli altri. Alla vista del compagno dal petto squarciato, il loro coraggio venne meno e, inorriditi, cercarono di indietreggiare e mettersi in salvo.

"Non servono a nulla dichiarazioni di fedeltà e prove di coraggio: messo di fronte al terrore della morte anche lo spirito più valoroso si spezza. Vengono messi da parte l’onore ed i legami, l’egoismo ha il sopravvento e solo la propria salvezza preme. Ma è tutto inutile perché alle sponde di Slith sono destinati quelli come voi!" sibilò Garm, facendoli rabbrividire e vergognare al tempo stesso.

Soddisfatto, il Mastino si gettò su di loro, ma improvvisamente una serie di fendenti di luce lo intercettò a mezz’aria, obbligandolo a compiere una giravolta e tornare a terra.

"Non ascoltatelo!" urlò Mizar. "Non avete nulla da temere! E’ solo un tentativo per distrarvi, per spingervi alla fuga! Guardatevi attorno! Gli Einherjar appartengono al mito proprio come costui, e stanno combattendo al nostro fianco! La fiamma di Asgard che brucia nei nostri cuori non sarà così facilmente estinta! Bianchi Artigli della Tigre!!"

La veemenza delle parole del Cavaliere sortì l’effetto sperato, risvegliando lo spirito guerriero dei soldati che, strette di nuovo le armi, si gettarono su Garm. Purtroppo per loro però i Bianchi Artigli, pur colpendo in pieno il bersaglio, non ebbero uguale successo scheggiando appena l’armatura in qualche punto. Sogghignando, il Comandante fece esplodere il suo cosmo attorno a se, travolgendo gli uomini e gettandoli sanguinanti a terra, prima di concentrarsi sul Cavaliere.

"Le mie non erano menzogne…" sussurrò, fissando Mizar negli occhi. "Il sogno di una vita priva di rimpianti è ben diffuso tra gli uomini, ma in fondo al cuore tutti provano vergogna per qualche azione della loro vita, qualche gesto cui non hanno potuto o voluto porre rimedio, o anche solo per un pensiero indegno di quel che si reputano essere! La loro pena continua nell’aldilà, amplificata dalla consapevolezza di essere stati giudicati indegni del Valhalla! Da quel senso di vergogna e disprezzo per se stessi sono nato io! Di esso mi nutro insieme alle tenere carni!"

Nel dire ciò, Garm scoppiò a ridere, e nello stesso momento la sua armatura sembrò prendere vita. Inorridito, Mizar si accorse che dei volti, volti umani di uomini, donne e bambini stavano comparendo a rilievo sulla corazza, come se stessero premendo dietro ad un telo tentando disperatamente di strapparlo. Non si trattava di semplici fregi, essi erano vivi e spalancando la bocca emettevano grida sorde prima di scomparire, venendo sostituiti da altri ed altri ancora. Centinaia, forse migliaia di spiriti in pena.

"E’ mostruoso tutto ciò!" rabbrividì Mizar con gli occhi sbarrati.

"Sono solo alcune delle mie tante prede, obbligate a soffrire per l’eternità dentro al mio corpo, ed a servirmi in battaglia! Prima hai detto che i tuoi uomini non avevano nulla da temere, ma il seme della vergogna esiste in ogni uomo, devo solo trovarlo! Sospiro dei Tormenti!" esclamò.

A quel comando, fu come se le anime in pena imprigionate nell’armatura potessero finalmente fuggire, e numerosi spiriti, biancastri ed evanescenti, emersero circondando Garm e vorticandogli attorno, per poi scorgere Mizar e saettare verso di lui.

Preso di sorpresa ed ancora colpito da quel che aveva visto, il Cavaliere stentò a reagire con prontezza. Schivò alcuni spiriti buttandosi di lato, ma poi altri lo raggiunsero, trapassando da parte a parte il suo petto. Ciò non fu accompagnato da alcuna ferita o dolore fisico, ma da una sensazione terribile, come se ogni gioia di vivere, ogni traccia di colore e radiosità fosse improvvisamente scomparsa, sostituita da un grigiore ed un senso infinito di sconforto ed amarezza.

Combattere, vivere, la patria, l’onore, parvero improvvisamente cose senza alcun senso, meri ostacoli su una vita di dolore e lacrime la cui unica, inevitabile conclusione è la morte. Ancora attorno a lui, gli spiriti si avvicinarono, sussurrandogli nelle orecchie con voce colma di rimpianto e sofferenza. Gli ricordavano errori del passato, cose che aveva ritenuto sciocchezze o cui credeva di aver rimediato, ma che adesso pesavano come macigni, facendogli rendere conto di quanto misera e vergognosa fosse stata la sua vita.

Crollando in ginocchio, Mizar si mise la testa tra le mani. Non poteva fare a meno di chiedersi che senso avesse avuto un’esistenza come quella. Come aveva potuto non rendersene conto prima? Ogni sua scelta, ogni sua azione era stata un errore. Una pietra sul selciato di una vita indegna.

Incessanti, gli spiriti continuarono a circondarlo, avvolgendolo nei loro lamenti, sussurrandogli che ormai per lui non c’era rimedio o salvezza. Ascoltandole, Mizar sollevò la mano ancora sana, mutandone le unghie in artigli ed avvicinandoli alla gola.

"Bravo, prendi la tua vita! Dopo la fuga non vi è vergogna più grande del suicidio per un guerriero!" sorrise Garm vedendo le prime gocce di sangue iniziare a scorrere sul collo del nemico.

In quel momento, una melodia di flauto si levò intorno a loro, sovrastando i lamenti degli spiriti che, colti di sorpresa, si contorsero su se stessi e svanirono. Mizar sbatté le palpebre, come destandosi da un sonno profondo, e si guardò attorno, proprio come Garm, che con una smorfia di fastidio si accorse che Sirya si era rialzato.

"Un secondo ancora e la sua vita sarebbe stata mia! Pagherai per avermi fermato!" esclamò, scattando verso di lui. In tutta risposta, Sirya aumentò l’intensità della musica, facendola diventare più veloce e penetrante. La sua figura divenne indistinta, e circondata da immagini di flutti, ninfe e sirene in festa con sorrisi maliziosi sul volto. "Incantesimo Suadente!"

Spalancando gli occhi, Garm si trovò a barcollare e poi a fermarsi, mentre i suoi sensi impazzivano ed il corpo era attraversato da ondate di dolore. La linea dell’orizzonte ruotava e si curvava, privandolo di punti di riferimento al punto da rendere incerto il passo. Al tempo stesso tuttavia non riusciva a smettere di ascoltare quell’inebriante melodia, che sembrava capace di rapire il suo spirito e portarlo via con se, tra le onde del mare.

Allontanando per un attimo il flauto dalle labbra, Sirya lo fissò, senza alcuna traccia di rammarico. "Non amo la lotta, ma privare il creato di un essere crudele come te è atto di giustizia verso gli Dei tutti! Sinfonia Finale!"

Aumentando ancora, la musica si fece assordante, strappando un grido di dolore persino al terzo seggio. Stringendosi i fianchi, Garm chinò la testa in avanti. Flotti di sangue cominciarono a grondare dalle sue labbra: prima poche gocce, poi una fontana intera, che sorprese persino Sirya.

"Nebbia di Sangue!" esclamò in quel momento il Comandante. Dalla chiazza che aveva sul pettorale sprizzò una cascata di linfa vitale che, anziché ricadere a terra, rimase sospesa in aria formando un velo rossastro talmente spesso da occultare il Mastino degli Inferi.

Spalancando gli occhi per lo stupore, Sirya sferrò un raggio di luce per dissolverla, solo per scoprire che Garm era scomparso.

"Sopra di te!!" gridò allarmato Mizar, ancora in ginocchio.

Girando di scatto la testa, Sirya vide che Garm era riapparso alle sue spalle, ma non riuscì ad allontanarsi in tempo. Le mani del Comandante calarono su di lui e perforarono le ali della sua armatura, penetrando nelle spalle e facendolo urlare di dolore.

"Ti avrei strappato il cuore se non fosse stato per queste ali! Ma esse non ti salveranno di nuovo!" esclamò Garm, liberando le mani con un gesto a spazzare, e frantumando sia le ali che parte dello schienale di Sirya.

Grondando sangue da due profonde ferite alle scapole, il Generale crollò carponi. Senza dargli respiro, il nemico sferrò un altro assalto, strappandogli a mani nude alcune piastre laterali del cinturino e aprendo un profondo taglio sulla coscia.

Rotolando per terra, Sirya strinse i denti e lanciò una serie di piani di energia, centrando l’avversario al petto senza tuttavia farlo vacillare. Si portò allora il flauto alle labbra, ma prima di poter cominciare a suonare fu investito da un fascio di luce e scagliato contro i merli del bastione. L’impatto, unito al tocco della pietra gelida sulla schiena martoriata, lo fece gridare ancora, mentre Garm, ridendo, balzava su di lui.

Con la vista appannata dal dolore, l’ultimo difensore del Regno di Nettuno sollevò faticosamente il braccio, intercettando in qualche modo l’attacco ma non potendo evitare di essere spinto su un ginocchio. Inorridendo, si accorse che i volti degli spiriti in pena erano ricomparsi sull’armatura di Garm, che sorrise sinistramente. "La musica ha salvato il tuo amico prima, ma niente salverà te! Sospiro…"

Reagendo con la forza della disperazione, Sirya strinse il flauto con tutte le forze e vibrò un colpo nello stomaco del nemico, fermandolo e strappandogli un grugnito.

Quella frazione di secondo gli bastò a saltare di lato e colpire il volto scoperto con un piano di energia, facendolo sanguinare.

Furioso, Garm lo fissò con occhi colmi di odio e sollevò il braccio per reagire. In quel momento però una pioggia di fendenti si abbatté su di lui, facendolo barcollare.

"Bianchi Artigli della Tigre!!" gridò Mizar, attaccando con tutte le forze che ancora gli restavano, imprimendo la massima energia possibile in ogni singolo affondo e fendente. Senza neppure fermarsi a riprendere fiato toccò le mura con i piedi, dandosi la spinta per un secondo assalto. Contemporaneamente, Sirya lanciò altri piani di energia, cercando di intersecarli con i colpi di Mizar.

Alcune crepe e scheggiature si aprirono sui bracciali di Garm, che ruggì furioso e rispose con un raggio di luce, sferrato però quasi alla cieca. Schivandolo, Mizar saltò in aria, allargando di scatto le braccia. "Per i Silenti Ghiacci di Asgard!!"

Un’onda gelida di neve ed aria ghiacciata si abbatté sul Comandante, facendolo vacillare all’indietro e congelando leggermente la sua armatura.

"Come immaginavo! Per te che sei abituato al fuoco di Hel, il freddo di Asgard può essere fatale!" notò Mizar, attaccando ancora. Contemporaneamente, Sirya lo centrò al ginocchio con un raggio di energia, piegandolo.

Alzando la testa torvo, Garm sferrò un fascio di luce in direzione del musico, che però lo contrastò con uno proprio. Con enorme stupore del Mastino di Hel, fu il colpo del Generale a prendere il sopravvento, centrandolo alla spalla.

Per la prima volta realmente sorpreso, Garm si accorse che il suo cosmo era vistosamente calato di intensità, e con esso era diminuita la forza dei suoi colpi.

"La fatale melodia del mio flauto, credevi di esserne sfuggito così facilmente?" chiese Sirya, leggendo lo stupore del nemico. "Essa ha il potere di disperdere il cosmo di chi ne è vittima, riducendolo a quello di un bambino! I Guardiani di Avalon erano protetti dai suoi poteri dalla volontà di Oberon, ma tu non hai difesa alcuna! Sinfonia Finale!!"

Assordante, la musica di flauto si abbatté su di lui, e contemporaneamente Mizar fece esplodere il suo cosmo, concentrando l’aria ghiacciata nella mano. "Bianchi Artigli della Tigre!!"

In quel momento però Garm rialzò la testa, e la luce nei suoi occhi fece rabbrividire entrambi. Non era lo sguardo di chi temeva per la propria vita, ma piuttosto di chi si era stancato di un gioco giunto ormai a noia.

"Vermi! Non meritate neppure un suicidio indolore! Strapperò con le mie mani le carni dai vostri corpi prima di darvi il colpo di grazia!" gridò, allargando orizzontalmente le braccia su ambo i lati, i palmi socchiusi rivolti verso l’esterno. "Morso del Peccatore!!"

Dalla luce si innalzarono minacciose le fauci del Mastino degli Inferi, digrignate e grondanti bava e sangue. Poi una gigantesca esplosione concentrica di energia sovrastò la musica di flauto e spazzò via i Bianchi Artigli, abbattendosi sugli atterriti Cavalieri.

"Non basta la Sinfonia, è tecnica dalla forza devastante!!" comprese Sirya prima di essere travolto. La sua armatura andò in frantumi sul fianco destro, sulla spalla e sul braccio, mentre quella di Mizar veniva dilaniata sul lato sinistro e sulla coscia. Per molti secondi frammenti di metallo e pietra e schizzi di sangue si sparsero nell’aria insieme ai corpi dei due guerrieri, circondati da scariche di energia. Poi Garm abbassò le braccia, lasciandoli schiantare a terra tra le macerie del camminatoio del bastione. Laghi di sangue si distesero sotto i loro corpi immobili.

Sogghignando, il Mastino degli Inferi si mosse verso di loro, assaporando il banchetto che lo attendeva. Improvvisamente però qualcuno gli sbarrò la strada, ponendosi a difesa dei caduti e fissandolo con sguardo fiero, privo di qualsiasi traccia di paura. Vedendola, Garm non poté trattenere un sorriso malevolo, perché a porsi d’ostacolo era una fanciulla dai lunghi capelli d’argento.

"La ricompensa per tutti questi sforzi. Le tue tenere carni saranno un pasto pregiato, donna!" ringhiò, gettandosi su di lei.

"Non sarò io a saziare la tua sete di sangue, e non è ‘donna’ che desidero essere chiamata. Il nome mio discende dal mito, e nell’antica lingua Hilda significa guerriera!" gridò la Celebrante di Odino, sollevando la lancia ed investendolo con un fulmine che lo colpì in pieno petto, sbalzandolo indietro con alcune crepe sull’armatura già danneggiata. Un altro gesto ed una sfera di energia lo travolse, sbattendolo contro le mura merlate.

Un momento dopo, torvo e furioso, Garm si rialzò, espandendo il suo cosmo e preparandosi ad attaccare di nuovo, con più prudenza ma anche più decisione. Conscia che difficilmente sarebbe riuscita a vincerlo da sola, ma anche decisa a proteggere i due eroi, Ilda strinse la presa sulla lancia. Fu allora che una luce dorata illuminò il cielo sopra i contendenti.

Sulla nave ammiraglia, l’ombra di un sorriso si distese sul volto di Sigmund.

"Il tuo cuore è saldo, regina di Asgard, ma non combatterai da sola! Cuspide Scarlatta!!" esordì Scorpio, comparendo accanto ad Ilda e mandando a segno otto colpi sul corpo di Garm, che urlò per l’improvvisa agonia.

"Cavaliere d’Oro!" lo riconobbe Ilda illuminandosi, mentre anche Mizar e Sirya finalmente si scuotevano. "Ha avuto successo la missione? Hai la daga di Crono?"

L’espressione contrita di Scorpio però tagliò le gambe alle sue speranze prima che il ragazzo aprisse bocca. "Scomparsa! Trafugata prima ancora del nostro arrivo! Non sappiamo da chi, neanche il nemico sembrava esserne a conoscenza!"

"Trafugata…" ripeté Ilda impallidendo, e non riuscendo stavolta ad impedire alla disperazione di filtrare nella sua voce. "Allora è davvero finita…!"

Scorpio però scosse il capo, espandendo il suo cosmo. "Sarà finita solo quando il cuore dell’ultimo guerriero avrà smesso di battere! Ed ora lasciate che vi aiuti, ho una promessa da mantenere!"

Queste ultime parole furono accompagnate da uno sguardo in direzione di Mizar, che, comprendendone il significato, spalancò gli occhi.

"Mio fratello Alcor…"

"E’ caduto da eroe, combattendo fino all’ultimo! Le sue ultime parole sono state per te, ed erano parole d’orgoglio! Anche per lui, e per Luxor, mi unisco ora a voi nella lotta!" dichiarò il Cavaliere d’Oro, porgendogli la mano.

Annuendo commosso, Mizar l’accettò, issandosi ancora una volta in piedi. Era coperto di ferite, sporco di sangue, fango, sudore e polvere, ma anche deciso a non essere da meno, a mantenere alto il nome dei Cavalieri di Asgard di cui adesso era l’ultimo superstite, visto che Orion e gli altri erano comunque destinati a scomparire all’esaurirsi dell’energia che li manteneva in vita.

Accanto a lui, anche Sirya si risollevò, negli occhi una luce simile a quella dell’amico. Osservando loro due e Scorpio, Ilda non poté trattenere un sorriso. "Asgard, Atena e Nettuno uniti sotto un unico vessillo di pace. Pur con tutti i suoi lutti, questa guerra ha portato anche una nuova speranza sulla terra!"

"Che siate quattro o quattromila, non basterà a salvarvi!" gridò Garm rialzandosi in piedi nonostante le Cuspidi.

Istintivamente, Mizar si pose dinanzi ad Ilda. "Mia regina, la prego, resti indietro e lasci condurre a noi la battaglia. Non indossa armatura e la sua vita è preziosa per Asgard!"

"Le vite di tutti sono preziose, ed a maggior ragione le vostre. Non vi è nulla di più triste di un sovrano che non sa proteggere il suo popolo!" rispose calma ma decisa la fanciulla.

"Quanto spreco di parole!" commentò sprezzante Garm, lanciandosi alla carica. In tutta risposta Scorpio fece lo stesso, l’indice trasformato in aculeo scarlatto. Con un gesto improvviso però il Comandante scalciò il camminatoio già malridotto, sollevando un lastrone di pietra e sbattendolo sul Cavaliere con abbastanza forza da frenarne l’impeto.

Da tempo privo dell’elmo, Scorpio barcollò all’indietro con diversi tagli sul viso, venendo afferrato proprio per il volto dalla stretta del nemico e sollevato a mezz’aria. Una sfera di energia però centrò il suddito di Hela al fianco, facendolo voltare torvo verso Ilda, e nello stesso momento Mizar si gettò in avanti, afferrando Scorpio e rotolando con lui a terra.

"Non sottovalutarlo! Non è nemico da poco, suo è il terzo seggio di Hela!" avvertì, prima di accorgersi con orrore che gli spiriti erano ricomparsi attorno a lui. "Sospiro dei Tormenti!"

"Incantesimo Suadente!" ritorse Sirya, suonando ancora una volta la sua melodia alla massima concentrazione di cui era capace, ed incrociando contemporaneamente lo sguardo con Garm, nei cui occhi si leggevano rabbia e odio alla vista delle anime che si dissolvevano.

"Adesso!" esclamò Mizar, facendo esplodere il suo cosmo. "Bianchi Artigli della Tigre!!"

"Cuspide Scarlatta!!"

Gelidi fendenti ed altre sei cuspidi si abbatterono sul Mastino degli Inferi, facendolo vacillare e sanguinare.

Ma ancora non cadde. Anzi il suo cosmo bruciò sempre più forte e maestoso, innalzandosi come un manto sul campo di battaglia. Con un gesto quasi distratto sferrò un raggio di luce, centrando Mizar alla gamba e costringendolo in ginocchio.

"Lotta in maniera selvaggia… ma non possiede la stessa abilità, la stessa virtù guerriera di un Cavaliere addestrato alla lotta. Devo approfittarne!" pensò Scorpio gettandosi su di lui alla velocità della luce. "L’ago della cuspide! Antares!"

"Nebbia di Sangue!" sibilò in risposta Garm, svanendo un attimo prima dell’affondo del Cavaliere, che si perse nel vuoto. Confuso, l’eroe esitò per un istante fatale.

"Dietro di te!!" gridò Ilda, ma il suo avvertimento non giunse in tempo. Comparendo alle spalle di Scorpio, Garm lo colpì a distanza ravvicinata con un raggio di energia, sbattendolo contro i merli delle mura con tanta violenza da sfondarli quasi.

Cercando di intervenire in suo aiuto, la Celebrante di Odino sferrò una serie di sfere di energie, obbligando l’avversario a restare sulla difensiva. "Maledetta la musica del flauto, senza di essa saresti già memoria!" si lamentò, consapevole dell’incessante melodia di Sirya che gli intorpidiva le membra. Nondimeno, riuscì a raggiungere Scorpio e, difendendosi con il dorso di un braccio dai colpi di Ilda, sollevò l’altro per finirlo.

Con un certo stupore però si accorse che, seppur sanguinante dalla bocca, dalla fronte e da numerose ferite sul torace, dove la sua armatura era stata quasi distrutta, il Cavaliere d’Oro non aveva perso i sensi, ed anzi aveva sollevato la mano verso di lui.

"Cuspide… Suprema!"

Il colpo più potente dello Scorpione lo trapassò da parte a parte all’addome, frantumando parte della maschera del cane e facendolo gridare di agonia mista a rabbia e sorpresa. Flotti di sangue gocciolarono copiosamente a terra trasformandosi in emorragia, ed obbligandolo a tamponare la ferita con la mano. Così facendo non poté difendersi dalle scariche di Ilda, venendo centrato alla spalla ed il fianco.

Ma nonostante tutto ancora Garm non cadeva, anzi il suo cosmo bruciava, alimentato dalla rabbia per lo star provando così tanto dolore. Un bagliore che sbalordì Scorpio, certo di aver sferrato il colpo della vittoria.

Frustrato, Garm allargò le braccia, concentrando in esse tutta la sua aura. Un gesto che Sirya e Mizar riconobbero subito. "Morso del Peccatore!!"

Con un salto disperato, Mizar si gettò su Ilda, facendole scudo con il proprio corpo appena un istante prima dell’esplosione, talmente devastante da far tremare l’intera sezione di cinta muraria.

Sirya eresse una barriera difensiva con un movimento del flauto, ma neanche questa bastò a proteggerlo del tutto e così venne scaraventato contro una delle torri di guardia, che gli franò addosso. Lo schienale dell’armatura di Mizar andò in frantumi e le mura già malridotte su cui poggiava Scorpio caddero in pezzi, facendolo precipitare all’esterno.

"La sua forza è immensa, di un nulla inferiore a quella di Sigmund! Che speranze abbiamo contro uomini così?" si chiese il Cavaliere nel cadere. A stento cosciente, si contorse in modo da sbattere a terra con il lato destro del corpo, ancora coperto dall’armatura. Nonostante la neve fresca però l’impatto fu comunque notevole e lo lasciò semi-svenuto e sanguinante, troppo lontano da Thor e Toro, facile vittima per i soldati di Hela.

Accortosi di lui, un gruppetto si gettò infatti subito all’attacco con le armi in pugno. Gli occhi semichiusi, l’eroe comprese che non sarebbe riuscito a difendersi in tempo.

Fu in quel momento che un suono riverberò attorno a lui, bloccando i soldati per la sorpresa e spingendolo a riaprire del tutto gli occhi.

Era un ululato.

Emergendo come dal nulla nella tormenta di neve, decine e decine di lupi si gettarono sui guerrieri, spingendoli a terra, azzannandoli alle braccia o alle gambe, e finendoli con morsi alla gola. Per quanti i sudditi di Hela ne abbattessero, colpendo disperatamente con le armi, altri si buttavano nella mischia, fino a creare un cordone difensivo attorno al Cavaliere d’Oro ed impedire a chiunque di avvicinarsi.

"Luxor… anche dopo la morte sei ancora al nostro fianco…" mormorò, non potendo impedire ad una lacrima di rigargli il viso, accompagnata da un senso di amarezza. "Vergognati, Cavaliere dell’ottava casa… non è da te abbandonarti allo sconforto. Se i defunti ancora combattono… a maggior ragione devono farlo i viventi!"

Lanciò uno sguardo stanco alla cima delle mura, dove si stagliava ben chiara la figura di Garm. Disposti attorno a lui, con le zanne scoperte e gli artigli pronti a scattare, i lupi ringhiavano furiosamente, impedendo ai nemici di avvicinarsi. Consapevole di cosa dovesse fare, strinse i denti e si rialzò, iniziando la scalata.

In cima al bastione, sanguinante e madido di sudore, il Mastino degli Inferi era il solo ancora in piedi. Pur cercando di non darlo a vedere, era in affanno, e ciò aumentava la sua collera e frustrazione. "Non pensavo che questi vermi mi avrebbero impegnato così tanto! Ma adesso…" sogghignò guardandosi attorno.

Tra gli altri, solo Ilda era incolume, protetta dal corpo di Mizar che ora era riverso su di lei, cosciente ma troppo debole per muoversi. Sorridendo, Garm si diresse verso di lei, proprio mentre la Celebrante di Odino si rialzava, spostando Mizar il più delicatamente possibile.

Inorriditi, Orion e Ioria, che avevano seguito in qualche modo la battaglia, cercarono di farsi largo per correre in loro aiuto, ma, con così tanti Cavalieri impegnati in un combattimento, le mura erano quasi scoperte ed i due e Mur erano i soli a poter aiutare soldati ed Einherjar a resistere all’urto dell’esercito nemico. Per ogni guerriero che cadeva, altri due si affacciarono al suo posto con le armi in pugno, obbligando i guerrieri a restare dov’erano.

Accorgendosi del pericolo corso da Ilda, Mizar sussultò, girando a fatica la testa. "Fatti forza!" gli sussurrò la fanciulla, sfiorandolo con la mano e cercando di infondere in lui il proprio cosmo, anche se con prudenza. In passato aveva curato piccole ferite, ma i danni dei colpi di Garm erano troppo grandi per lei ed anche solo tentare l’avrebbe completamente spossata e lasciata inerme in mano al nemico.

Nel vederlo avvicinarsi, strinse la presa sulla lancia. Sapeva di avere poche speranze, ma era comunque intenzionata ad affrontare il destino con le armi in pugno.

"Altri ti reputerebbero coraggiosa, donna, ma ai miei occhi sei solamente sciocca! Anche se rischi la vita per un altro, nel momento dell’estremo bisogno sarai sempre abbandonata., perché questa è la natura degli esseri umani, egoisti e codardi!" commentò Garm, guardandola negli occhi. "Quanti ne ho visti sulle rive di Slith, piagnucolare e supplicare pietà, tradendosi a vicenda ed offrendomi il compagno o il fratello in cambio della vita! Uomini così mi hanno creato, da loro viene la mia forza. E, come hai potuto vedere, la mia forza è infinita!"

Queste ultime parole furono accompagnate da un raggio di energia, che Ilda a stento riuscì a contrastare con una sfera.

"Ti sbagli, gli uomini non sono come li descrivi. Non tutti! Guardati attorno: le schiere di Cavalieri, soldati ed Einherjar che spalla a spalla combattono dimostrano che esistono anche persone diverse, disposte a rischiare la vita per un bene superiore! Avrebbero potuto fuggire e invece sono rimasti, aiutandosi l’un l’altro senza badare alla propria salvezza o incolumità!" rispose, ottenendo però solo una smorfia beffarda.

"Si aiutano perché insieme hanno più possibilità di sopravvivere, nient’altro!" tagliò corto, piegando le gambe per lanciarsi all’attacco. In quel momento però un raggio di energia lo centrò alle spalle, facendolo quasi cadere in avanti.

"Chi come te ha sempre vissuto da solo non può capire il cameratismo che esiste tra uomini che condividono un medesimo ideale!" disse Sirya, in ginocchio e sanguinante da decine di ferite, che grondavano tra le crepe di quel che restava dell’armatura. "Persino noi Generali di Nettuno, che non eravamo stretti da solidi legami di amicizia, saremmo stati pronti a sacrificarci l’uno per l’altro, perché uniti intorno al nostro sovrano dalla stessa visione!"

"Gioisci allora, perché dopo essere stato fatto a pezzi diverrai parte delle anime che risiedono nella mia armatura, e non esiste gruppo più unito ed affiatato!" lo derise Garm, lanciando improvvisamente due raggi di energia ai piedi dei nemici e facendoli cadere doloranti per l’esplosione. Soddisfatto, mosse un passo verso il musico.

"Fermati, mostro!" intervenne una voce, sofferente ma determinata. "Non è fanciulla o straniero che dovrai combattere per primo, ma Mizar, Cavaliere di Asgard!"

"Mizar!" esclamò Ilda, sollevata e insieme spaventata nel vederlo alzarsi alle sue spalle e muovere qualche passo incerto in avanti, superandola. Il suo cosmo era flebile, a stento distinguibile.

"Perdoni il mio ardire, gliene prego, ma non è giusto che sia lei o Sirya a rischiare per primo! Per me rivendico la difesa della bella Asgard, per me che sono il suo ultimo Cavaliere! Già una volta ho assistito impotente ad uno scontro che avrei dovuto sostenere, non lascerò che si ripeta! Comunque termini questa guerra, Mizar la combatterà in prima linea, con i Bianchi Artigli della Tigre!!"

Nonostante il pallore del cosmo, il colpo segreto esplose con sorprendente vitalità, stupendo per un istante lo stesso Garm. Una frazione di secondo dopo però il Mastino degli Inferi reagì con un fascio di energia, contrastando a mezz’aria i Bianchi Artigli ed iniziando ben presto a prevalere.

"Anche tu sei un folle sognatore come questi due! I vostri sforzi sono inutili!" dichiarò il Comandante, aumentando ulteriormente la spinta.

"Che abbia ragione… il suo cosmo è troppo potente, si abbatte con furia tempestosa, non riuscirò a resistere!" realizzò Mizar pronto al peggio.

"Non arrenderti, fratello!" esclamò allora una voce attorno a lui. Una voce ben nota e che temeva non avrebbe più udito.

"Alcor!"

L’immagine del Cavaliere ombra comparve accanto a lui. "E’ vero quel che hai detto: sei l’ultimo Cavaliere di Asgard, sulle tue spalle dovrà poggiare la difesa del regno! Sulle tue spalle, che so salde e sicure! Ma ricorda, qualsiasi cosa accada non sarai mai da solo, perché su di te risplendono lucenti le stelle dell’Orsa!" l’incoraggiò prima di svanire.

Commosso, Mizar chinò il capo. "Poche parole le sue, ma cariche di significato! Non posso ancora morire, se anche la guerra fosse vinta che ne sarebbe di Asgard? Resterebbe in balia del fato e priva di difensori! Non posso permetterlo!"

Con un gesto rabbioso, il Cavaliere fece esplodere il suo cosmo, rinnovando l’attacco.

"E’ uno sforzo inutile, il tuo misero cosmo non basta a…" iniziò Garm, ma le parole gli morirono sulle labbra, perché accanto alla tigre nera ne era comparsa un’altra, bianca e con le zanne scoperte. Nello stesso momento l’impeto dei Bianchi Artigli raddoppiò.

Sbalordito, Garm indietreggiò, cercando di bilanciare l’improvviso vigore di quel cosmo che fino a poco prima era sul punto di spegnersi ed ora invece brillava luminosissimo. Dando fondo alle sue forze sembrò comunque sul punto di trionfare e prendere di nuovo il controllo quando una terza belva si unì alle altre: un lupo, con le fauci digrignate e lo sguardo furioso.

A quella visione la sua concentrazione vacillò, ed in quel momento le tre fiere presero il sopravvento, investendolo e scagliandolo indietro. Solo con uno sforzo notevole riuscì a restare in piedi, scavando profondi solchi con i piedi.

"Che è successo… di chi erano le aure che l’hanno aiutato?" si chiese.

"Era il cosmo di un amico! Unito a quello di un fratello che non c’è più, ma non per questo ha smesso di aiutarlo!" intervenne Scorpio, comparendo oltre il ciglio delle mura.

"La tua forza è straordinaria, Comandante di Hela! Neanche insieme potremmo sconfiggerti! Ma nonostante tutto oggi conoscerai la disfatta, perché non siamo in quattro a contrastarti, ma in sei! Sei cosmi votati ad una causa di giustizia!" dichiarò, circondandosi di un alone dorato.

"Hai ben detto!" affermò Ilda, avvicinandosi a Mizar.

"Anche io… mi unirò a voi!" disse Sirya, sollevando il flauto.

"Mia regina… fratello… ed anche voi Luxor, Sirya, Cavaliere d’Oro!" sussurrò Mizar, non potendo trattenere un sorriso nel vederli tutti lì, pronti ad affiancarlo. Al contrario per la prima volta sul viso di Garm si leggeva la paura. Poteva quasi vedere i due spiriti disposti accanto ai Cavalieri, decisi

"Non hai speranze ormai! Abbandona la lotta ed avrai salva la vita!" gli offrì.

"Abbandonare la lotta?" rispose a denti stretti il Mastino, torvo in viso e con occhi accesi come tizzoni. "Abbandonare la lotta?! Fuggire e diventare come i miserabili che divoro? Umiliazione a cui preferisco la morte!! Ma non sopravvalutatevi, perché nemmeno in mille riuscireste a vincermi! Morso del…"

"Sinfonia Finale!!" lo anticipò Sirya, sovrastandolo con la sua musica.

"E’ questo il momento!" gridò Scorpio, facendo esplodere il suo cosmo e sollevando la mano destra. "Cuspide Suprema!!"

"Luxor, Alcor, datemi la vostra forza! Bianchi Artigli della Tigre!" esclamò Mizar.

"Per le genti libere! Per Asgard!" li appoggiò Ilda, scagliando la propria lancia ed avvolgendola della sua aura.

L’effetto di quell’assalto combinato fu devastante. La Sinfonia Finale bloccò sul nascere l’esplodere del Morso del Peccatore, facendo impazzire i sensi di Garm ed impedendogli di difendersi. Furiosi, il lupo e le tigri del nord si abbatterono sulla sua armatura con zanne e artigli, perforandola per la prima volta e facendo volare copiosi schizzi di sangue sulle mura. Nel medesimo istante, la lancia si conficcò nel fianco destro, penetrando in profondità, dilaniando muscoli e organi, mentre la Cuspide Suprema trafiggeva il cuore del Mastino degli Inferi.

Allo spasmo, Garm gridò in agonia, la bocca inondata di sangue e bava, gli occhi ridotti a sfere vitree. Quante volte i defunti avevano maledetto il suo nome, augurandogli una morte atroce, e quante volte li aveva derisi prima di divorarli. Al pensiero di essere stato finalmente vinto, una furia cieca lo avvolse.

"Non… morirò… così!" ringhiò, trovando la forza di allargare le braccia e far esplodere un’onda di energia che travolse i Cavalieri ed Ilda, sbattendoli violentemente a terra.

"Ha ancora forza per combattere!!" mormorò atterrito Mizar.

Con un gesto rabbioso, Garm strappò la lancia dal fianco, incurante della fontana di sangue, e la lasciò cadere a terra. Poi spostò lo sguardo su Ilda, che era la più vicina.

"Almeno tu… almeno tu verrai con me!" sogghignò, muovendo un passo verso di lei davanti agli sguardi inorriditi dei Cavalieri.

Ma a quel movimento, la sua armatura, ormai danneggiata oltre ogni dire, crollò in pezzi, scivolando dal suo corpo e sbriciolandosi come vetro. Nel momento in cui i frammenti toccarono terra, da loro sembrò fuoriuscire una specie di nebbia. Una nebbia di fronte alla quale l’espressione di Garm si mutò in una di sorpresa e poi di terrore.

Finalmente libere dalla prigionia, di fronte agli sbalorditi eroi centinaia e centinaia di anime si sollevarono, circondando il Mastino cariche di rabbia e desiderio di vendetta per la sorte che avevano patito. Sibilando, gli ruotarono attorno, sempre più vicine, colme di un odio quasi palpabile.

"Indietro! State indietro!" gridò Garm nel panico, agitando invano le braccia senza però poterle toccare. Prima che anche un solo Cavaliere potesse muoversi, gli spiriti emisero un verso che fece rabbrividire i presenti, quasi un ululato, e lo attraversarono tutti insieme.

Vibrando, con gli occhi ormai spenti ed il viso mutato in una maschera di paura, il Mastino degli Inferi mosse un passo come spiritato. Poi, abbassando la testa, fissò lo sguardo sulla lancia di Ilda, la sollevò e senza alcuna esitazione se la piantò in gola.

Un verso di gioia giunse allora dagli spiriti, che smisero di circondarlo e cominciarono a separarsi, festanti. Uno dopo l’altro salirono al cielo e scomparvero tra le nuvole. Nello stesso momento in cui l’ultimo di loro si fu dissolto, Garm, terzo Comandante di Hela, crollò al suolo privo di vita.

"Che morte orribile…!" commentò Ilda rabbrividendo mentre Mizar le si avvicinava zoppicando.

"Non soffra per lui, è stato vittima di coloro che aveva crudelmente usato e dileggiato… del suo stesso fato Garm è stato l’artefice!" disse Scorpio, con un braccio attorno alla spalla di Sirya che lo aiutava a stare in piedi. Attorno a loro regnava la desolazione. Quell’intero settore di mura era stato devastato e sia il camminatoio che i merli erano sfondati in più punti e pericolanti in altri.

Memore dell’aiuto dei lupi, Scorpio in qualche modo si sporse per vedere cosa ne fosse stato di loro. Più in basso la neve era tinta di sangue e su essa si stagliavano numerosi cadaveri di uomini e belve, ma la maggior parte del branco era scomparsa, probabilmente tornata nella foresta o nascosta tra i vicoli della città esterna. Allargando lo sguardo però, vide anche che nuove schiere si stavano avvicinando per tentare la scalata.

"Non c’è concesso respiro, presto saranno di nuovo su di noi!" esclamò Ilda, impugnando la lancia che Mizar aveva strappato dal cadavere ed ora le porgeva.

Consapevole che i due Cavalieri ed il Generale erano ormai allo stremo, la alzò per chiamare a se soldati ed Einherjar, quando un suono riecheggiò sul campo di battaglia.

***

"Garm è caduto…" commentò Fafnir con un misto di sorpresa e indifferenza. Accanto a lui, Sigmund chiuse gli occhi per un attimo. Riapertili, volse le spalle e si allontanò dalla murata. "La mia promessa è stata rispettata, non c’è più nulla a trattenermi! E’ ora che anche io mi unisca alla lotta!"

"Hai ben detto… anche troppo abbiamo giocato per dare un’occasione di gloria ai Comandanti inferiori! E’ tempo di porre fine a quest’assedio!" concordò Fafnir, impugnando un corno da guerra che portava agganciato alla cintura ed avvicinandolo alle labbra.

UHUOOOOOOOOOOOOOONNNNNNNNNNNNNN

Cupa e profonda, la nota del corno riverberò su tutto il fronte, paralizzando per un istante assalitori e difensori. Poi la terra stessa parve tremare e delle figure immense, alte come edifici, scarsamente vestite ed armate con rudimentali clave di legno o ghiaccio si innalzarono dalla foresta e dalla costa, avanzando a grandi passi verso la città.

"Non è possibile! I Giganti… i Giganti di Jotunheim!!" li riconobbe Thor rabbrividendo.

Contemporaneamente, l’aria si riempì di stridule urla e nugoli di figure indistinte emersero dalle nuvole, gettandosi in picchiata. Figure alate solo vagamente umane, che si avventarono sui difensori falciandoli con zanne ed artigli, oppure sollevandoli in cielo e poi lasciandoli cadere.

"Arpieeee!!!!!" gridò Ioria spalancando gli occhi.

***

Nella mischia, circondato da nemici, Eric Bloodaxe sorrise. "Uh uh, il sommo Fafnir si è deciso a fare sul serio…" si disse, prima di sgozzare un Einherjar e sollevare l’arma al cielo.

"La vittoria è vicina! Non lasciatevi intenerire da suppliche e lacrime: fama ed eterna gloria attendono chi conquisterà per primo la roccaforte del nemico! Alle muraaa!!!" urlò invasato, lanciando l’Ascia di Sangue contro il bastione con tanta forza da aprire un piccolo cratere e guidando l’esercito alla carica.

***

"Non… non può essere…" impallidì Ilda.

Proprio quando, con la caduta del terzo seggio, la vittoria sembrava essere diventata più di un miraggio, quelle nuove minacce avevamo completamente capovolto la situazione. Visibilmente scossi e spaventati, i soldati sulle mura stavano spezzando la linea difensiva, e nemmeno il valore dei Cavalieri sembrava bastare a rincuorarli.

Alzando istintivamente la lancia, la Celebrante aprì la bocca per rincuorarli e richiamarli all’ordine, ma un grido sovrastò le sue parole.

Un grido di guerra, proveniente dal cortile interno.

Centinaia di soldati infernali, con le armi strette nel pugno, si stavano lanciando all’attacco contro gli sbalorditi difensori. Alla guida, un uomo con una spada di ametista.

"Asgard è nostra! In nome della grande Hela, alla battaglia!!!" urlò Alberico spronando le sue truppe alla conquista.

La città dei ghiacci era stata invasa.