UNA PICCOLA MORTE

CRASH

Il rumore risuonò improvviso nella stanza dell'infermeria di Asgard, facendo voltare di scatto Flare.

Ai piedi di Ilda, la brocca che la Celebrante stava portando era in pezzi, e l'acqua che fino a pochi attimi prima era contenuta al suo interno si stava allargando rapidamente sul pavimento di legno, infilandosi tra le fessure.

La principessa le sorrise per chiederle come avesse fatto a sfuggirle di mano, ma poi incrociò il suo sguardo e si bloccò di colpo, gli occhi dilatati per la paura.

Un'espressione di puro terrore era comparsa sul viso di sua sorella maggiore. Pallida come le nevi del nord, Ilda era immobile come una statua di marmo, la bocca aperta senza che però ne uscisse alcun suono, gli occhi spalancati ed atterriti, lo sguardo perso nel vuoto.

Alle sue spalle, la medesima espressione di incredulo allarme era dipinta sui visi di Alcor, Mizar, Syria e persino Kiki, che stava tremando vistosamente.

In un lampo di consapevolezza, Flare avvertì i battiti del proprio cuore quasi fermarsi, comprendendo istintivamente che qualcosa di terribile stava accadendo. Qualcosa che non avrebbe riguardato solo loro, ma il mondo intero.

"É… successo…!" mormorò alla fine Ilda, inclinando la testa verso Sud.

**********

Sulle coste di Scozia, i Cavalieri d'Oro barcollarono, colpiti quasi fisicamente dall'energia che era appena comparsa.

Ioria, Toro, Scorpio, e persino Mur, Virgo e Libra, solitamente pacati ed in controllo di se, condividevano improvvisamente la stessa espressione di atterrimento e stupore nel fissare l'orizzonte. I loro volti erano improvvisamente rigati da rivoli di sudore che nulla avevano a che fare con la stanchezza delle lotte o la temperatura notturna.

"Q… questo… cosmo…" balbettò il Cavaliere della prima casa, impallidendo al sol pensiero.

"Un cosmo ogni oltre immaginazione si è appena levato su Avalon…!" mormorò Virgo.

**********

I cinque Cavalieri dello Zodiaco, protetti di Atena, fissarono increduli l'essere che era comparso di fronte a loro, annientando con spaventosa facilità il nemico che finora li aveva tenuti in scacco: Oberon, signore di Avalon, la sacra isola delle nebbie.

Gli eroi avevano trascorso la maggior parte dell'ultima giornata sull'Olimpo, residenza degli Dei di Grecia, dove Oberon li aveva intrappolati subito dopo la loro sofferta vittoria su Zeus. Obiettivo del Dio di Avalon era la distruzione della stirpe del Cronide, verso il quale provava un profondo rancore per un vecchio torto subito secoli prima, e per questo aveva eretto una barriera attorno al monte sacro, tramite la quale prendere la vita di Zeus e le altre divinità.

Nettuno, inaspettatamente presente sull'Olimpo, aveva però protetto tutti loro, mettendo a repentaglio la propria vita per contrastare l'immenso potere di Oberon abbastanza a lungo da permettere a qualcuno di distruggere i numerosi sigilli che sorreggevano la barriera.

Con Pegasus e gli altri intrappolati, erano stati i Cavalieri d'Oro a partire per la missione, determinati a salvare Atena ed i loro compagni. Alleato inatteso si era rivelato essere Syria, l'ultimo Generale degli Abissi ancora in vita. Sulla loro strada però, i Cavalieri avevano trovato la fiera opposizione dei Guardiani di Avalon, stirpe di guerrieri raccolti da Oberon nel corso dei secoli.

E così, nelle ore successive, tremende battaglie si erano succedute senza sosta o quartiere. La forza dei Guardiani si era dimostrata pari, o persino superiore, a quella dei Cavalieri d'Oro, ma ciononostante questi ultimi avevano saputo farle fronte, ottenendo sofferte vittorie e distruggendo i sigilli. Anche Asgard era stata coinvolta: in nome della vecchia amicizia nei confronti dei Cavalieri, e di un imperituro senso dell'onore, Mizar ed Alcor, ultimi superstiti tra i guerrieri del Nord, erano scesi in campo contro Avalon.

Nel corso degli scontri, Virgo aveva appreso parte della storia di Oberon, e del suo antico duello con la progenitrice Maab, mentre Ioria aveva convinto il suo avversario, Bres, a rinunciare alla lotta, permettendogli di riscoprire il valore della vita. Ma vi erano stati anche momenti colmi di tragedia: gli strumenti dello Scultore, affidati a Mur ed indispensabili per la riparazione delle armature, erano andati distrutti, mentre a Nuova Luxor, Aspides dell'Idra e Ban del Leone Minore avevano perso la vita per proteggere Patricia, Nemes e Fiore di Luna da un inatteso attacco del nemico. Infine, proprio quando la vittoria finale era sembrata a un passo, Kanon di Gemini, già in fin di vita dopo lo scontro con la semidivina Banshee, era stato costretto al sacrificio estremo per permettere ai compagni di sconfiggere l'ultima Guardiana: la regina Titania, sposa di Oberon.

Finalmente liberi, con i cuori colmi di dolore e desiderio di vendetta, i cinque Cavalieri avevano fatto irruzione ad Avalon per fronteggiare personalmente Oberon prima che potesse mettere in pratica altri piani ai loro danni. La battaglia però si era rivelata ben più tremenda del previsto, e gli eroi erano stati rapidamente soverchiati dall'immensità del potere divino.

Ma proprio quando un miracolo aveva permesso loro di sfiorare la vittoria, un nuovo nemico, richiamato sulla terra da un Rito proibito, era emerso dai sotterranei del castello di Avalon, abbattendo Oberon con un colpo solo e parandosi sul loro cammino: il suo nome era Erebo, il portatore del Caos, che ora si stagliava minaccioso e terribile di fronte ai cinque eroi.

Pur non gigantesco, Erebo era ben più alto di chiunque di loro, ed aveva una corporatura slanciata che lo rendeva in qualche modo simile a Thor di Asgard. Indossava un'armatura quasi integrale, nera ma con numerose decorazioni e fregi in oro. L'elmo, sormontato da due paia di corna simili a quelle delle armature di Andromeda, era una maschera dalle forme appuntite, che circondavano gli occhi del Dio ed il setto nasale, terminando quasi con due zanne accanto agli angoli della bocca. Altre due corna d'oro si trovavano sui coprispalla, arrotondati in modo da piegarsi attorno alle articolazioni, e abbastanza grandi da estendersi ben oltre la cima delle braccia. Il pettorale copriva interamente il torace, il busto e l'addome, diventando tutt'uno con la cintura che, per lo più d'oro, aveva le inquietanti forme di un teschio capovolto, con i denti, in realtà più simili a zanne che ad una normale dentatura, che puntavano verso l'alto. Dietro la schiena, erano ben evidenti quattro lame, aperte a ventaglio verso l'alto ed i lati. Altrettanto minacciosi erano i bracciali, dal bordo superiore seghettato ed appuntito, ed i gambali, su cui spiccavano delle ginocchiere in oro a forma di artigli ricurvi, vagamente simili a quelli di Kira di Scilla ma ben più minacciosi.

Nonostante un solo sguardo a quell'armatura incutesse timore, essa non era la cosa più lugubre. Il corpo di Erebo era infatti interamente nero, come se la notte stessa componesse le sue carni, con solo due eccezioni di rilievo: i capelli, candidamente bianchi e lunghi fino a metà della schiena e del torace, e gli occhi, iniettati di sangue e dalla pupilla gialla iridescente.

Attorno al Dio, vorticava un'aura cosmica di pura oscurità, al cui contatto le pietre del pavimento si annerivano come se fossero carbone, diventando grezze e taglienti. Dopo alcuni secondi, l'ombra stessa del sotterraneo sembrò strisciare verso di lui ed avvolgerlo, mutandosi in un lacero mantello nero.

Atterriti, confusi da quell'inattesa e spaventosa apparizione, incerti su cosa fare, i Cavalieri indietreggiarono di un passo, mantenendo lo sguardo fisso sull'essere che avevano di fronte, il cui nome avevano sentito solo nei racconti dei miti più antichi.

"Il cosmo che lo circonda… non sta bruciando particolarmente, eppure sembra non avere confini, si estende a inglobare l'universo tutto! Neppure da Zeus… neppure da Oberon ho mai sentito provenire un'aura così immensa…" sussurrò Sirio.

"Non solo immensa… il cosmo di quest'essere è oscuro! Più oscuro di qualsiasi altro abbia mai percepito, come se le tenebre stesse si agitassero al suo interno…" aggiunse Phoenix.

"E… Erebo, la divinità primordiale portatrice della notte… che si narra esistesse prima ancora della nascita del mondo… possibile che ora sia di fronte a noi?!" balbettò Pegasus.

"Il suo solo aspetto trasuda malvagità… è una creatura del male! Possibile che fosse lui il guerriero di cui parlava Oberon?" si chiese Cristal.

"Non lo credo… Oberon non avrebbe mai pensato di poter gestire un tale essere! E' talmente superiore il cosmo che spira da lui…" disse Andromeda rabbrividendo.

"Ma allora che sta succedendo?!" domandò Pegasus a denti stretti.

Erebo osservò tutti loro per un attimo, nel più completo disinteresse, e ciascun Cavaliere non potè trattenere un brivido quando gli occhi del Dio si posarono su di lui. Egli poi abbassò lo sguardo su Oberon, e continuando a non degnare i ragazzi di alcuna particolare attenzione, si chinò su di lui, afferrandone il cadavere per la testa e sollevandolo fino ad averlo di fronte.

Il Dio primordiale chiuse gli occhi, e, sbalorditi, i Cavalieri videro le sue dita affondare fino alle nocche nella testa di Oberon, come se non fosse altro che gelatina. Mentre flotti di sangue grondavano dal cranio senza vita del signore di Avalon, l'istinto e l'orrore gridavano loro con tutte le forze di fuggire, ma la ragione ed il dovere li tenevano ancorati a terra.

Dopo circa un minuto, Erebo riaprì gli occhi e la mano, lasciando cadere di nuovo Oberon. Le sue pupille scintillavano sinistramente nel buio.

"Aah… Vedo che la mia prigionia è durata molto più a lungo di quanto pensassi. Interi millenni sono trascorsi… eoni…" sospirò, senza però che il suo tono rivelasse reali tracce di malinconia o tristezza "E in tutto questo tempo, l'universo ha continuato a esistere e a brillare, senza che un solo sovrano sia asceso a dominarlo. Gli Dei bambini hanno quasi abbandonato questo mondo, la piaga degli uomini si è sparsa… e colui che era stato mio acerrimo nemico ha ormai lasciato questo piano dell'esistenza! Si, molto è cambiato…"

Queste ultime parole furono accompagnate da una increspatura delle labbra, come un accenno di sorriso. "E molto ancora cambierà!"

Il suo sguardo si fissò sui cinque Cavalieri, che non poterono trattenere un brivido e sollevarono la guardia.

"Cavalieri di Atena, che inconsapevoli avete contribuito a ridarmi la libertà, sarete i primi a ricevere l'abbraccio della notte… L'onore di cadere per mia mano sarà la vostra ricompensa!" affermò, e l'ombra attorno a lui sembrò muoversi al solo suono delle sue parole.

Reagendo d'istinto, i Cavalieri balzarono di lato, e nello stesso momento il suolo dove si erano trovati fino ad un attimo prima andò in pezzi, scatenando una pioggia di detriti.

"Non ci voleva un altro nemico, proprio adesso! Non siamo in condizione di combattere, troppe battaglie abbiamo affrontato nelle ultime ore!" pensò Pegasus, rotolandosi su un fianco e sollevando la mano, consapevole di non avere comunque scelta. Difficilmente sarebbero riusciti a fuggire, ed un solo tentativo sbagliato li avrebbe fatalmente esposti agli attacchi del nemico. Inoltre, Erebo era chiaramente una minaccia, e pur in circostanze così sfavorevoli, affrontarlo senza dover prima combattere contro schiere di guerrieri sarebbe potuta essere un'occasione unica.

Un'occhiata veloce sui visi cupi e contriti dei compagni gli confermò che anche loro stavano pensando la stessa cosa, ma anche che, come lui, non erano affatto certi di poter vincere. Pegasus avrebbe voluto dire qualcosa per incoraggiarli, qualcosa di sarcastico e sprezzante, ma la gola era improvvisamente secca, e le parole faticavano ad uscire.

"Che ti succede, Pegasus?! Basta questo mascherone di Halloween a spaventarti?!" si chiese, cercando di ritrovare calma e coraggio, concentrando il cosmo nel pugno e prendendo di mira il nemico che era ancora immobile di fronte a lui. "Vediamo di cosa è davvero capace! Fulmine di…"

Prima che potesse finire la frase o lanciare il suo colpo segreto però, Erebo era scomparso. Nello stesso istante, il ragazzo sentì una minaccia incombente alle sue spalle e si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con il Dio, ed il bagliore sinistro dei suoi occhi.

Qualcosa in quello sguardo risvegliò in Pegasus una sensazione di morte imminente, spingendolo ad abbandonarsi all'istinto per una volta e saltare indietro prima ancora di poter ragionare coscientemente.

Tale gesto gli salvò la vita. Con un movimento talmente rapido da non essere neppure percettibile, Erebo sollevò la mano destra, frantumando completamente il coprispalla e parte del pettorale dell'armatura divina del Cavaliere che, se non si fosse mosso in tempo, avrebbe perso il braccio all'altezza della spalla. Tra schizzi di sangue e frammenti di corazza, l'eroe strisciò a terra sulla schiena.

La vista dell'amico in pericolo, sembrò scuotere gli altri Cavalieri, che si lanciarono all'attacco.

"Non ho neppure visto l'attacco a Pegasus! I suoi movimenti sono troppo veloci, più della luce stessa! Devo riuscire a rallentarlo o non avremo nessuna possibilità!" pensò Cristal, bruciando il suo cosmo e spazzando l'aria con le braccia "Rallentarlo… con l'Aurora del Nord!!"

Liberi di colpire e forti dello zero assoluto, i ghiacci della Siberia attraversarono in meno di un istante lo spazio della stanza, schiantandosi sul corpo di Erebo, che non sembrò neppure interessato a difendersi.

Un sorriso speranzoso si allargò sul volto di Cristal, ma morì prima ancora di poter vedere del tutto la luce. Cosa che non era mai successa prima, il ghiaccio dell'Aurora del Nord non aveva fatto presa sul corpo del nemico, scivolando a terra innocuo. Per di più, le nevi erano diventate nere, come se il solo tocco del Dio le avesse contaminate.

Prima ancora che il Cigno potesse riprendersi dalla sorpresa, Erebo guardò nella sua direzione, investendolo con un'ondata di energia che lo scaraventò contro la parete, spaccando la protezione per l'addome della sua corazza.

Nel vedere l'amico in pericolo, Dragone si lanciò a sua difesa con lo scudo alzato, sostenendo il peso dello sguardo dell'assassino di Oberon. Nuove crepe comparverso sulla sua principale arma di difesa, mentre il cosmo del Dio lo spingeva indietro, ma con i piedi ben saldi a terra Sirio continuò a resistere ed a proteggere se stesso e Cristal, concentrando la propria aura nello scudo.

Dopo qualche secondo, di fronte a tale difesa, gli occhi di Erebo si aprirono della più piccola frazione di sorpresa, poi il signore della notte sollevò la mano in direzione dei due cavalieri, ed in un'istante la forza del suo attacco decuplicò, mandando in pezzi lo scudo del Dragone. Prima che gli eroi potessero fare qualcosa, l'energia li avvolse, travolgendoli in una colonna di luce.

"Non è possibile, anche lo scudo del Dragone è stato distrutto… dal mero cenno di una mano!" pensò Andromeda, guardando allibito la scena per poi correre ad accertarsi delle condizioni dei compagni. Non appena ebbe fatto tre passi, la colonna di luce esplose, investendo anche lui nell'onda d'urto e gettandolo indietro.

Nello stesso momento, facendo esplodere quel che restava del suo cosmo, Phoenix balzò all'attacco, annegando Erebo in un oceano di fiamme con le Ali della Fenice in cui aveva impresso quante più forze possibile. Ansimando, con la vista appannata per lo sforzo e la guardia ancora alzata, il ragazzo fissò la sagoma del nemico venire avvolta dalle vampe sempre più alte, senza che il Dio neppure provasse a liberarsi.

Dopo qualche istante però, una pioggia di fasci neri partì direttamente dal muro di fuoco, investendo il Cavaliere e tempestandolo di centinaia di colpi, fino a sbatterlo malamente contro la parete facendo volare via schegge di armatura.

Con flotti di sangue che gli uscivano dagli angoli della bocca, Phoenix rialzò la testa, guardando con occhi sbarrati Erebo camminare incurante tra le fiamme, come se neanche esistessero, ed il fuoco stesso contorcersi per allontanarsi da lui, fino a svanire.

Senza dir nulla, senza neppur espandere una frazione del suo cosmo, in un gesto quasi annoiato il Dio sollevò la mano nella sua direzione, incrociando per meno di un secondo il suo sguardo con quello di Phoenix. Tanto bastò al Cavaliere per alzare a difesa le poche piume delle tre code della corazza rimaste e incrociare le braccia davanti al corpo, appena in tempo prima che una spaventosa onda di energia lo investisse in pieno, scaraventandolo attraverso la spessa parete di pietra fino a sbattere contro quella della stanza attigua, che gli franò addosso per l'impatto.

Scosso dal rumore del crollo, Pegasus in qualche modo riaprì gli occhi, guardando in direzione del compagno. Con i bracciali dell'armatura completamente in frantumi, profonde ustioni sugli avambracci e circondato da chiazze di sangue, il Cavaliere della Fenice giaceva immobile, con solo il sollevarsi del torace ed il respiro irregolare ad indicare che fosse ancora in vita.

"Pochi colpi e ci ha già massacrati… di questo passo… ci annienterà!" pensò, appoggiandosi al muro per rimettersi in piedi, nonostante il braccio sinistro grondasse ancora sangue per la profonda ferita, e stesse diventando più freddo e insensibile ad ogni secondo.

"Io li ho condotti qui, mia è stata l'idea di attaccare Avalon… se solo fossimo rimasti sull'Olimpo…!" si torturò, barcollando in avanti, cercando di trovare nuove energie dentro di se nonostante si sentisse ormai prosciugato.

"Lady Isabel è appena tornata a nuova vita… quanto soffrirebbe il suo cuore, già così a lungo vessato, se noi morissimo ora in questo tetro maniero? Come potrebbe affrontare la minaccia di Erebo da sola, scevra dell'appoggio dei suoi paladini? Lei… lei…! Devo fare qualcosa…tenere impegnato quest'oscuro sovrano per pochi minuti appena, che almeno gli altri possano salvarsi!" pensò, mentre un barlume di cosmo tornava a circondarlo, ed a concentrarsi nel suo pugno. "Ancora una volta… Fulmine di Pegasus!!"

Le meteore del colpo segreto si abbatterono su Erebo alle spalle, tempestandolo, ma il loro effetto non fu superiore a quello di granelli di sabbia gettati contro un muro. Il Dio si limitò a girarsi, fissando colui che osava attaccarlo, del tutto incurante dei raggi che si scontravano sul suo corpo, spegnendosi sulle carni e l'armatura.

L'immagine dello sconforto si allargò sul volto di Pegasus, ma ciònonostante per diversi secondi continuò testardamente l'attacco. Poi, con la vista sempre più appannata e stanca, offuscata ora dal sangue oltre che dalla fatica, e la fronte madida di sudore, l'eroe barcollò in avanti, rischiando di crollare.

Mentre stava per cedere tuttavia, un'immagine gli attraversò la mente, e per un istante fu come se un faro si fosse fatto luce tra le ombre della disperazione che radiavano da Erebo. Con uno sforzo sovraumano, Pegasus fermò la caduta, piantando il piede a terra, e rialzò fieramente lo sguardo, stringendo i denti.

"Dea Atena… io ti invoco, in tutta umiltà… Dai ancora la forza, a queste mie stanche braccia!!! Cometa di Pegasus!!"

In un improvviso lampo di luce, i colpi del Fulmine si fusero in uno solo, trasformandosi in brillante meteora e schiantandosi contro Erebo con rinnovato vigore, sembrando far tremare le ombre che lo circondavano.

In quel momento di riscossa, Pegasus sentì una parvenza della sua antica carica riemergergli in corpo, e dovette quasi trattenere l'istinto di sorridere furbescamente. Dentro di lui però sapeva che non era altro che una vittoria di Pirro, perchè la cometa non sarebbe mai bastata a sconfiggere un nemico così potente. Anzichè gioire, lanciò uno sguardo veloce in direzione dei compagni, cercando di non incrociare i loro occhi mentre gridava parole che mai credeva che avrebbe detto loro.

"Fuggite! Andate via di qui!! Erebo è troppo forte, mettetevi in salvo!! Tornate sull'Olimpo… e dite ad Isabel che… ditele che io…".

Ma l'eroe non riuscì a finire la frase. Un dolore lancinante gli attraversò la spalla, all'altezza della cima dell'omero, sollevandolo da terra e sbattendolo contro la parete con un grido di dolore, seguito dalla terribile sensazione di carne e muscoli che si strappavano, così intensa da assalirlo con ondate di nausea. A colpirlo, erano state cinque sottili lame d'ebano.

Le unghie della mano di Erebo si erano infatti allungate a dismisura, disperdendo la Cometa e trapassandolo da parte a parte, fino ad impalarlo al muro per il braccio, che ora stentava a reggere tutto il peso del corpo e dell'armatura.

"Abbandonate ogni speranza, non farete mai ritorno sul bianco monte! Voi che siete stati inconsapevoli pedine delle illusioni di Zeus, cesserete il vostro lungo viaggio tra i cunicoli di questi sotterranei! Le vostre ossa giaceranno qui per l'eternità, primo tributo del genere umano al ritorno del grande Erebo nel mondo!" dichiarò, con il tono di chi evince il più basilare dei dati di fatto, rilasciando scariche di energia attraverso le unghie e fulminando Pegasus numerose volte.

Gridando dal dolore, il ragazzo sbattè numerose volte il taglio della mano contro le unghie che lo bloccavano al muro, ma esse erano più dure del diamante, e non risentivano minimamente di quei disperati tentativi, mentre la mano stessa dell'eroe iniziava a farsi dolorante.

"Mi ridurrà… in cenere!" balbettò Pegasus, alla disperata ricerca di un'altra soluzione, quando un fendente d'oro sbattè contro gli artigli, facendoli vibrare come un diapason. Erebo li ritirò a se, e con un balzo Sirio fu accanto all'amico, afferrandolo al volo prima che si accasciasse a terra.

"Dragone, no… Avreste dovuto fuggire, io…" iniziò il ragazzo, alzando lo sguardo verso il compagno che gli volgeva le spalle, teso in direzione di Erebo. Sirio però scosse la testa.

"Fuggire? Non essere sciocco! Non solo Atena attende il nostro ritorno! Come potremmo dire a Patricia che il fratello che ha cercato per tutta la vita è morto meri mesi dopo averla riabbracciata? Come potremmo guardarla negli occhi e riferire una tale tragica notizia? Persino cadere in battaglia sarebbe preferibile ad un fato così ingrato!" disse, in tono forzatamente distaccato e continuando a non guardarlo in faccia. Alle sue parole, Pegasus spalancò gli occhi, ripensando a quel che al ricordo di Atena aveva per un attimo dimenticato: l'amata sorella che attendeva il suo ritorno a Villa Thule.

Sirio stesso parve perso nei suoi pensieri per qualche secondo, prima che il suo cosmo si accendesse di nuovo, concentrandosi attorno al braccio destro.

"Non è tempo per te di una fine prematura, in cinque siamo venuti ad Avalon, e in cinque la lasceremo!! Excalibur!!" gridò, lanciandosi in avanti, vibrando un fendente dall'alto verso il basso.

Con un solo gesto della mano, il signore della notte l'afferrò al volo, bloccandogli il polso senza subire un solo graffio. Gli occhi di Sirio si spalancarono per lo sgomento.

"La spada forgiata da Oberon… ora null'altro che una lama coperta di crepe prossima al crepuscolo!" lo derise il Dio, ruotando il fianco e sbattendo con violenza inaudita il Cavaliere a terra, frantumando il suolo sotto di lui e facendogli sputare sangue.

Erebo poi alzò e distese la mano per trafiggerlo al cuore, ma in quel momento, una figura oro e cremisi saettò verso di lui, volando sulle ali della sua armatura divina.

"Non gli farai del male! Vai, Catena di Andromeda!!" gridò il giovane eroe, sferrando l'arma d'attacco, unica sopravvissuta alla battaglia con Oberon, contro il volto del nemico.

Pur vedendola arrivare, Erebo rimase immobile, lasciando che si infrangesse contro la protezione per gli zigomi della sua maschera. Con un clangore metallico, la punta triangolare andò in frantumi, simile ad un cristallo contro un muro, e nello stesso momento il Dio scomparve, ricomparendo alle spalle dell'incredulo eroe.

"Non per librarvi alti nel cielo siete stati creati, ma per strisciare sulla nuda terra! Vola giù!" sibilò Erebo, afferrando le ali dell'armatura divina e tirando verso l'esterno allargando le braccia. Con la stessa facilità con cui si spezza un ramoscello, le ali furono totalmente divelte dallo schienale di Andromeda, che precipitò a terra, sbattendo con la testa e poi torcendosi a giacere supino.

Anzichè proseguire l'offensiva però, la Prima Ombra gettò via le ali appena distrutte e gli atterrò accanto, sollevandolo per la gola in modo da fissarlo negli occhi, fino a riflettersi nelle sue pupille.

"Questi occhi… capisco la scelta di Hades… è come se tutta la purezza del mondo si specchiasse al loro interno…" commentò pensosamente alla fine, dopo diversi secondi di silenzio, sollevando contemporaneamente la mano libera.

Incapaci di correre in soccorso dell'amico, gli altri Cavalieri fissarono preoccupati la scena, vedendo la mano di Erebo avvicinarsi sempre di più al delicato viso di Andromeda, sfiorandone la guancia come se volesse accarezzarlo.

"Non mi piacciono!" esclamò poi il Dio, semplicemente, senza alcuna traccia di emozione. E, tra schizzi di sangue, le sue dita affondarono nell'occhio sinistro dell'eroe, distruggendolo.

Andromeda gridò. Un grido di pura, lancinante agonia, che riecheggiò nei sotterranei, rimbombando nelle orecchie, i cuori e le menti degli altri quattro Cavalieri, completamente inorriditi e sconvolti di fronte a quel che era appena accaduto.

Solo Erebo continuava a sembrare disinteressato mentre, ignorando il sangue che ora zampillava copioso dal volto menomato di Andromeda, sollevava la stessa mano verso l'occhio destro.

Questa visione schiarì le menti dei Cavalieri, e tre cosmi esplosero, puntando Erebo con un'energia che non credevano neppure di avere.

"Ali della Fenice!!"

"Colpo dei Cento Draghi Nascenti!!"

"Cometa di Pegasus!!"

Gridarono all'unisono, lanciando i loro colpi con la forza della disperazione, e rischiarando l'oscurità di accecanti bagliori arancioni, verdi e turchesi.

Voltandosi con incredibile velocità, Erebo lasciò cadere Andromeda e spazzò l'aria con la mano in un semicerchio, incontrando i tre colpi segreti con il dorso dell'avambraccio e generando all'impatto un'onda d'urto tale da sollevare i ragazzi da terra, scaraventandoli contro le pareti.

Approfittando del momento però, Cristal afferrò Andromeda, cercando di trascinarlo via.

Accortosi di lui, Erebo indicò con la mano nella loro direzione, generando una sfera di nera energia. Avvistosi del pericolo, il guerriero dei ghiacci si girò in modo da ricevere l'attacco sulla schiena e proteggere Andromeda con il proprio corpo. Le ali dell'armatura divina del Cigno esplosero in frantumi, ed entrambi vennero spinti violentemente per terra, scavando un solco con lo strisciare dei loro corpi sulla pietra.

Quando Erebo si guardò attorno di nuovo, i cinque protettori della giustizia erano riversi a terra, circondati da chiazze di sangue e frammenti di armature. Per la prima volta, l'ombra di un sorriso gli si allargò sul volto, illuminandogli gli occhi di una gioia selvaggia e primordiale.

**********

Nel frattempo, sull'Olimpo, Atena, dal volto pallido per il terrore, fissava negli occhi il padre Zeus, la cui espressione tradiva delusione e preoccupazione. Attorno a loro, gli altri Dei, fino a pochi minuti prima loquaci, erano sprofondati in un pesante silenzio carico di tensione al percepire il cosmo che si era innalzato dalla Scozia, e l'oscurità che da esso spirava.

Anche se nessuno di loro aveva mai incontrato Erebo, persino per gli Dei quel nome sinistro era parte del mito, e rare volte nel corso dei millenni era stato sussurrato con terrore nei corridoi dei templi divini, quasi come quando si parla di un ricordo troppo spaventoso per osare nominarlo alla luce del sole. Un ricordo che, come tutte le paure, prospera nel buio, portando con se un brivido.

Un incubo, se anche agli Dei è consentito averne, che era improvvisamente divenuto realtà.

Ma nessuno dei numi dell'Olimpo aveva un'espressione appena vagamente simile a quella di Atena, che al risveglio non aveva trovato attorno a se i volti amici dei Cavalieri, ma quelli delle Divinità, e soprattutto di Zeus e di Nettuno.

Loro avevano risposto alle domande sulla sorte dei suoi paladini, cercando di calmarla, ma non riuscendo a nascondere tracce di timore, ben evidenti quando, a qualche quesito troppo preciso, sembravano non avere il coraggio di guardarla negli occhi.

Le avevano narrato dell'attacco di Oberon, delle battaglie dei Cavalieri d'Oro, senza però accennare a coloro che erano caduti, timorosi di darle altri dolori. Poi dell'improvvisa partenza dei cinque eroi, decisi ad affrontare il sovrano di Avalon per impedirgli di compiere altri danni, e della loro decisione di soccorrerli non appena avessero finito di recuperare le forze.

A quest'ultima frase, Atena aveva lanciato a Zeus uno sguardo confuso, accorgendosi per la prima volta delle ultime tracce degli effetti del Rito di Sigillo, ma prima che potesse chiedere spiegazioni, il cosmo immane di Erebo si era innalzato, rendendo superflua qualsiasi altra discussione.

"I Cavalieri… stanno combattendo contro Erebo ad Avalon?!" realizzò atterrita la Dea, dovendo quasi appoggiarsi allo scettro di Nike per riuscire a sostenere lo shock di quella notizia. Mille domande le si formarono in mente, ma il solo pensiero dei suoi paladini in pericolo, unito alla sconfinata oscurità che, persino a migliaia di chilometri di distanza, trasudava dal cosmo di Erebo, bastò a scacciarli via tutti.

Al loro posto, una luce determinata le comparve negli occhi, una luce che solo Nettuno le aveva già visto, al tempo della decisione di lasciarsi rinchiudere nella Colonna Portante. Prima che il Dio dei mari potesse chiederle cosa intendesse fare, Atena si sollevò in tutta la sua statura, voltando le spalle a lui e Zeus e dirigendosi verso il bordo esterno del piazzale dell'ultimo tempio divino.

"Fermati, Atena! Che cosa vuoi fare?!" domandò Zeus, impallidendo al suo silenzio ed all'evidente risposta che portava con se "Vuoi andare anche tu ad Avalon? Da sola non puoi far nulla contro Erebo! Egli è al di là dei tuoi poteri… è al di là dei poteri di tutti noi! Ancora pochi minuti e i nostri cosmi saranno di nuovo al massimo, poi…"

"Tra pochi minuti, la vita dei miei cavalieri sarà spenta, non posso aspettare! Loro non hanno mai esitato a rischiare tutto per me, gettando via qualsiasi speranza di una vita felice e spensierata. E' tempo che anch'io faccia lo stesso, sarà il mio modo di ripagarli per aver così tanto sofferto!" rispose fermamente Atena.

"La vita di quei ragazzi non sta a cuore solo a te, non puoi nemmeno immaginare quanto abbia riposto in loro!" insistette il sovrano del fulmine, attirandosi qualche sguardo insospettito dalle altre divinità "Ma andando da sola non potrai far nulla!"

Sorda ai suoi richiami, lady Isabel continuò a camminare dandogli le spalle, ed essere ignorato in questo modo fece esplodere il fiero temperamento del re degli Dei.

"Atena!!" tuonò frustrato, facendo tremare l'intero piazzale dell'Olimpo ed espandendo aggressivamente il suo cosmo. A parte Nettuno, tutti gli Dei fecero un passo indietro preoccupati.

Fermandosi finalmente, Isabel si voltò, ma nei suoi occhi non c'era l'espressione rassegnata che Zeus sperava.

"Hai intenzione di fermarmi con la forza, padre?" domandò freddamente, espandendo il suo cosmo e lasciandosi circondare da un caldo alone dorato, unico cosmo tra tutti quelli divini capace di bilanciare forza e gentilezza.

"Bada, Atena…! Nemmeno a te permetto di sfidarmi!" disse minacciosamente Zeus a denti stretti.

"Eppure dovrai farlo, perchè solo con la forza mi costringerai a restare! In questo momento, i cosmi dei miei Cavalieri stanno gridando di dolore! Se per avere anche solo un'unica, flebile speranza di lenirlo, di dar loro un'attimo di sollievo, dovrò affrontare te, o Erebo, o gli Dei tutti, non esiterò!" esclamò, sforzandosi di tener ferma la voce.

Per diversi secondi, le due auree cosmiche si confrontarono, quella di Zeus chiaramente dominante nonostante gli ultimi effetti del Rito, quella di Atena più piccola ma brillante nella giustizia.

Poi, con un sospiro, il re degli Dei placò il suo cosmo, distogliendo lo sguardo. Senza dir nulla, Isabel si voltò, riprendendo il cammino.

"Atena…" tentò Julian, muovendo un passo verso di lei. Al suono della sua voce, la Dea, ormai al limite del piazzale, girò leggermente la testa, mostrando un sorriso gentile.

"Ti ringrazio per l'aiuto che ci hai dato… qui, e prima ancora in Ade. Anche se siamo stati nemici così tante volte nel corso dei millenni… ti prego: se io non dovessi tornare… abbi cura di loro!" gli disse.

Rabbrividendo, Nettuno annuì. Atena volse di nuovo la testa, illuminandosi dello splendore abbagliante del suo cosmo, a saettò nel cielo in una colonna di luce.

Una frazione di secondo dopo, al Santuario, la grande statua della Dea in cima alle Dodici Case si accese come un faro, scomparendo.

**********

Ad Avalon, Pegasus si issò sui gomiti, pulendosi gli occhi dal sangue con il dorso della mano. Accanto a lui, anche Phoenix e Sirio in qualche modo si scossero, nonostante il più piccolo movimento ormai bastasse a causare dozzine di fitte di dolore.

"Sembra invicibile… ribatte i nostri attacchi più forti con facilità estrema… possiamo davvero avere speranze contro di lui?" si chiese il Cavaliere della Fenice.

"E' il nemico più forte contro cui abbiamo mai combattuto! Forse per la prima volta non so se potremo davvero fare qualcosa… Ugualmente non possiamo restare proni in attesa del colpo di grazia, impotenti vittime in attesa del carnefice… gli amici che ci sostengono dall'alto del firmamento si vergognerebbero di noi oltre ogni dire se accettassimo la resa a capo chino!" commentò Pegasus, ora carponi, stringendo i pugni e cercando di rialzare la testa.

"Non è ancora tempo di abbandonare la speranza… ci resta ancora un'arma!" intervenne Sirio, attirandosi occhiate confuse dai due amici.

Fu Pegasus il primo a capire "Intendi dire…"

"La tecnica proibita, l'Urlo di Atena! Già contro Ercole eravamo pronti a usarla, seguendo l'esempio dei Cavalieri d'Oro. Grazie ad essa hanno sconfitto Titania, ribaltando uno scontro che sembrava perduto… E' un'esile speranza, una foglia nella tormenta, e alto sarebbe il prezzo da pagare, se fallissimo perderemmo l'onore oltre alla vita… ma che cos'altro ci resta? Ve la sentite di rischiare?" domandò.

"Avevo già accettato di fare questo sacrificio sull'Olimpo, e così grande è la differenza tra il prode Ercole e l'oscuro Erebo, estremità opposte dello stesso spettro! Una nuova speranza vale bene questo sacrificio!" acconsentì Pegasus.

"Tsk… il mio onore l'ho già distrutto tanto tempo fa, combattendo per le forze oscure. Non ho nulla da perdere!" concordò sarcasticamente Phoenix.

Scambiatosi un ultimo sguardo d'intesa, i tre si issarono di nuovo sulle gambe, alzandosi a fronteggiare Erebo con un nuovo sguardo di sfida.

Pegasus si chinò in ginocchio, Sirio si pose accanto a lui sulla destra, e Phoenix, che non aveva mai visto di persona la postura della triade, ne imitò la posa come meglio poteva sulla sinistra. I loro cosmi si riaccesero.

"Non abbiamo ancora smesso di combattere! Preparati, Erebo!!" gridò Pegasus, facendo esplodere la sua aura.

Un'ombra di comprensione comparve sul volto del Dio, e la sua espressione si fece più attenta. Ma solo di una frazione.

Prima che i Cavalieri potessero richiamare l'energia necessaria, Erebo scomparve, riapparendo davanti a loro.

"Siete degli sciocchi a pensare che un'arma così lenta possa preoccuparmi! La posa della trinità, prerogativa della tecnica proibita… un'irrinunciabile occasione per potervi raggiungere in tre in un colpo solo!" sibilò, a pochi centimetri dal volto di Pegasus, sollevando repentinamente entrambe le braccia, e travolgendo i Cavalieri con un'esplosione di energia.

Tra grida di dolore, schizzi di sangue e frammenti d'armatura, i tre vennero catapultati fino al soffitto dei sotterranei, colpendolo con forza per poi riprecipitare a terra.

Erebo sollevò la mano per finirli quando altri due cosmi esplosero, dal lato opposto della stanza.

"Ghiacci del nord, compite il miracolo! Per il Sacro Acquarius!!!" gridò Cristal.

"Spinta da queste mie ultime forze, soffia, Nebulosa di Andromeda!!" gli fece eco il discepolo di Albione, il cui lato sinistro del viso era ormai una maschera di sangue.

A mezz'aria, i due colpi segreti supremi si fusero in un'unica potentissima corrente di energia, che saettò contro Erebo, ghiacciando il suolo al suo passaggio.

Con una rapida torsione del busto, la Prima Ombra ruotò su se stesso, fronteggiando l'attacco combinato con il solo palmo della mano. Come un'onda contro la scogliera, il colpo segreto cozzò con forza, ma non riuscì a smuoverlo.

"Cavaliere del Cigno, che ti fregi del titolo di signore dei ghiacci, non può esistere un gelo più tagliente di quello del profondo abisso in cui per millenni sono stato imprigionato! Nulla sei tu al confronto, nulla siete tutti voi! Contempla la forza dell'oscurità!" disse il Dio, portando in avanti la mano e ribaltando senza alcuno sforzo il doppio colpo segreto, investendo Cristal e Andromeda dei loro stessi attacchi, e facendoli schiantare a terra accanto ai tre amici.

Erebo fissò per qualche secondo i cinque nemici, oramai completamente immobili, poi sollevò la mano verso di loro.

"Cavalieri della speranza, avete dunque capito cos'è disperazione? Ora che sono libero da ancestrali legami, è tempo che l'ordine cessi, e che il regno di oscurità e caos di Erebo abbia inizio! Il mondo conoscerà il terrore che solo le tenebre sanno portare, non ci saranno più Dei in cielo nè uomini sulla terra, ma un unico, indiscusso sovrano! Abbandonatevi all'oscurità, Cavalieri di Atena!" proclamò, bruciando per la prima volta il suo cosmo e lanciando un raggio d'ebano ben più potente di tutti gli attacchi sferrati prima.

"E'… finita…" balbettò Pegasus.

Ma in quel momento, una colonna di luce accecante invase la stanza, quasi materializzandosi al suo interno e ponendosi a difesa dei Cavalieri, rischiarando di rifulgenti bagliori l'oscurità di Erebo, costretto a coprirsi gi occhi con il dorso della mano. Contemporaneamente, Pegasus, Dragone e gli altri sentirono qualcosa sollevarli delicatamente da terra, e si accorsero di essere rinchiusi in sfere protettive.

Alzando la testa sbalorditi, videro davanti a loro una figura ritta a difenderli, con indosso un'armatura d'oro e platino, e nelle mani uno scettro e uno scudo, con cui stava cercando di resistere all'assalto di Erebo. Per la prima volta, l'espressione del Dio era livida, come se avesse subito un grave affronto.

"La speranza è la vostra fonte di forza più grande, essa vi ha sempre permesso di sconfiggere qualsiasi nemico! Non abbandonatela!" li incitò una voce ben nota, il cui solo suono fece sussultare i loro cuori.

Sorridendo, la fanciulla si voltò leggermente nella loro direzione.

"Lady… Isabel! Atena!!" esclamarono all'unisono i ragazzi, riconoscendo colei che si era parata a loro difesa. Forte della sua armatura divina, la Dea della giustizia era scesa in campo.

"Cavalieri…" sussurrò la ragazza, sentendo spasmi di dolore alla vista delle loro condizioni. Ma prima che potesse dir loro altro, la forza dell'attacco di Erebo aumentò, costringendola a concentrare tutta se stessa sull'Egida, il grande scudo con cui li stava proteggendo.

Mai i Cavalieri avevano percepito il suo cosmo bruciare a tal modo. In quel momento di fronte a loro non era lady Isabel di Thule, ma la figlia prediletta di Zeus, Pallade Atena. La sua aura brillò come un sole, e per qualche secondo le tenebre di Erebo sembrarono davvero costrette a dissiparsi.

Non durò però che un attimo. La Prima Ombra sollevò l'altra mano, unendola alla prima, ed il suo cosmo esplose in un'onda d'ebano che si schiantò sullo scudo divino. Con un rumore assordante, l'Egida esplose in pezzi, facendo barcollare indietro la Dea della Giustizia.

"Lady Isabel!!" gridarono i cinque Cavalieri all'unisono, ma la fanciulla ritrovò l'equilibrio prima di cadere, e fissò negli occhi il nemico, che a sua volta aveva interrotto l'offensiva e stava reggendo il suo sguardo. L'oscurità che trasudava dal suo spirito era quasi palpabile. Erebo non aveva nulla in comune con qualsiasi altra divinità Atena avesse incontrato o combattuto nel corso dei millenni.

"Sei quindi tu Atena, la figlia prediletta di Zeus, colei che costoro hanno tante volte invocato…" sibilò, con una voce talmente gelida da far rabbrividire la ragazza "Ho visto che innumerevoli volte nel corso dei secoli ti sei resa paladina degli uomini, ma mai nessuno dei tuoi nemici era come me! Il tuo destino è già scritto: arrenditi, e ti concederò una morte rapida!"

"Se credi che in qualsiasi circostanza io possa accettare un'offerta come questa, allora non mi conosci bene quanto pensi! E' vero, il cosmo che spira da te è diverso da qualsiasi altro… più freddo, oscuro e profondo degli stessi abissi del Tartaro. Ma anche l'ombra più nera è destinata a svanire al sorgere del nuovo sole!" replicò convinta Atena, mantendendo stabile la voce.

"Non basteranno coraggio e forza, non puoi vincere!" insistette Erebo, dando l'impressione di intendere qualcosa di più profondo rispetto ad una semplice minaccia.

"Forse no, ma ugualmente tenterò!" rispose fieramente Isabel, bruciando il suo cosmo e concentrandolo nella mano sinistra.

"Bada, Dio della notte, perchè questo di Atena è il colpo! Λάμψη της Φτερωτής Νίκης!!" gridò, sbalordendo i Cavalieri.

Immediatamente, Erebo si lanciò all'attacco per abbatterla prima che potesse lanciare il suo colpo segreto, ma con una mossa inaspettata, Isabel non lasciò esplodere la sfera di energia accumulata, ma la riversò nello scettro di Nike, la cui estremità si illuminò brillante.

Con un movimento a spazzare, Atena colpì Erebo in pieno addome con lo scettro, e per la prima volta una vaga smorfia di dolore comparve sul volto del Dio delle tenebre, che venne spinto indietro. Gli occhi dei Cavalieri si illuminarono di una nuova speranza.

Non fu però che un attimo. Piantando i piedi al suolo, Erebo riuscì a fermarsi restando in piedi, e lanciò uno sguardo oltraggiato alla Dea della Giustizia, che potè avvertire quasi fisicamente il peso del suo odio.

Senza dir nulla, la Prima Ombra portò la mano dietro la schiena, stringendola attorno ad una delle lame della sua armatura, e poi la sollevò sopra la testa, rivelando una spada nera dalla lama larga e sottile. A quella visione, Isabel increspò le labbra, stringendo con entrambe le mani lo scettro.

"Quel bastone non ti salverà! Te lo ripeto: l'esito di questo disputa è già segnato, Atena!" disse il Dio, disegnando un'arco nell'aria con la spada. Un fendente di energia saettò contro Atena, esplodendo poi in centinaia di dardi e tempestandola di colpi, scaraventandola contro una parete con un grido di dolore.

Il cimiero le cadde dalla testa, nere crepe chiazzate di sangue comparvero sulla sua armatura divina.

"Atena!!!" gridarono i Cavalieri, cercando di andare verso di lei ma venendo fermati dalla sfera protettiva. Immediatamente, Pegasus sollevò la mano per frantumarla, quando una voce lo fermò.

"Non… venire…" lo supplicò la fanciulla, dandogli le spalle, e nello stesso momento le sfere si sollevarono ulteriormente da terra, iniziando a fluttuare verso l'uscita del corridoio.

"Non intenderà mica…" balbettò Pegasus.

Con un lampo di comprensione, capì prima di tutti gli altri cosa stesse per accadere, e si lanciò contro la parete della sfera.

"Che cosa vuol fare, lady Isabel?!! Non può rimanere qui da sola!! Resti coi noi!! Abbiamo ancora bisogno della sua guida!" gridò con voce rotta, non riuscendo a trattenere i singhiozzii.

Nel vedere la disperazione del compagno, anche gli altri Cavalieri realizzarono cosa la fanciulla intendesse fare.

"Non lo faccia, è un suicidio!!" fece eco Sirio.

"Non può lasciarci così!! Atena!!" urlò Phoenix.

"Lei deve vivere! Per l'umanità… per noi!!" esclamò Cristal.

"Lady… Isabel…!" balbettò Andromeda, che meglio dei suoi amici aveva capito cosa si agitasse nel cuore della ragazza.

Piegando leggermente la testa, la fanciulla si voltò verso di loro. Sorrideva, ma l'espressione era colma di una sconfinata tristezza, ed il viso rigato dalle lacrime.

"Sirio… Cristal… Andromeda… Phoenix… e soprattutto tu, Pegasus. Non ho parole per ringraziarvi per quel che avete fatto per me in questi anni. Siete stati più che Cavalieri… più che amici: dei fratelli su cui poter sempre contare, solide rocce cui appigliarmi nei momenti più bui! La tua saggezza, Sirio… la tua gentilezza, Andromeda… la tua franchezza, Phoenix… la tua calma, Cristal… e la tua passione, Pegasus… le porterò sempre con me. Grazie a voi, ho vissuto una vita più felice di quanto avrei mai potuto sperare!" disse, fissandoli uno per uno negli occhi per l'ultima volta, soffermandosi per ultimo su Pegasus.

"Perdonate il mio egoismo… non potrei sopportare di perdervi. Addio…" li salutò infine.

"No! No… no… no…" pianse il ragazzo, crollando in ginocchio, mentre le sfere prendevano sempre più velocità, portandoli fuori dai sotterranei del palazzo.

Poi la Dea si voltò di scatto, facendo esplodere il suo cosmo, e si lanciò contro Erebo con lo scettro alzato. Una tempesta di dardi neri saettò contro di lei, perforando l'armatura e martoriandone le carni, ma la fanciulla non rallentò minimamente.

"Perdonatemi, amici miei… il mio unico desiderio… è che voi viviate…!" pensò, concentrando il cosmo nel bastone.

"Λάμψη της Φτερωτής Νίκης!!"

Vedendo il fendente di luce saettare verso di lui, Erebo strinse la presa sulla spada.

"Prima a cadere tra gli Dei di Grecia… addio, Atena!" disse, scontrando la sua lama con lo scettro di Nike.

In un'esplosione abbagliante, luce ed ombra si scontrarono, scatenando un'onda d'urto tale da far tremare le fondamenta stesse del castello di Oberon.

Poi, la lama nera ebbe il sopravvento, frantumando l'emblema della vittoria, e trapassando da parte a parte il cuore della ragazza.

Con un ultimo sorriso sulle labbra, Lady Isabel di Thule, incarnazione della Dea Atena, morì.

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A Nuova Luxor, Asher, Castalia e Tisifone sussultarono, crollando in ginocchio.

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Ad Asgard, Ilda di Polaris corse alla finestra orientata verso sud, con gli occhi spalancati dal dolore e umidi di lacrime.

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Sulle coste di Scozia, i Cavalieri d'Oro tremarono, increduli e sconvolti, incapaci di aprir bocca.

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Sull'Olimpo, gli Dei si scambiarono sguardi preoccupati.

Zeus diede loro le spalle, chiuse gli occhi e strinse il pugno con forza, dando fondo a tutte le energie per impedire alle lacrime di bagnargli il viso.

"Oh, Atena… hai sempre vissuto per gli uomini… hai dato anche la vita per loro… Ciò dovrebbe essermi di conforto… ma non lo è! Perchè proprio tu, figlia mia?!"

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I Cavalieri, ora in volo nei giardini subito fuori il castello, avvertirono lo spegnersi del cosmo di Atena e scoppiarono in lacrime. Ulteriore prova della fine della Dea, le sfere che li circondavano si dissolsero, obbligandoli a toccare terra planando sulle ali, con Sirio e Phoenix che sostennero rispettivamente Andromeda e Cristal.

"E' scomparso… non lo sento più… il leggiadro calore del cosmo di Atena…" singhiozzò Pegasus in ginocchio, versando fiumi di lacrime e prendendo a pugni il suolo erboso. Nella sua mente, tornarono le immagini del giorno in cui aveva incominciato a vedere Isabel con occhi diversi, quando la fanciulla venne a casa sua a portargli la lettera di sfida dei Cavalieri Neri, confidando per la prima volta di essere preoccupata per loro.

"Lady Isabel si è sacrificata… lo ha fatto per noi…" pianse Andromeda, ricordando quando anche lui era stato sul punto di fare lo stesso, e la Dea lo aveva salvato, liberandolo dallo spirito malefico di Hades.

"Nulla più è rimasto del suo cosmo… quel sorriso… è stato il suo addio al mondo…" gemette Sirio, con negli occhi il giorno in cui, cieco e abbattuto nell'ospedale di Luxor, era stato confortato dal tocco gentile della fanciulla.

"Eravamo lì… a pochi passi… e non abbiamo saputo far nulla…" balbettò Cristal con voce rotta, ripensando a quando la Dea era comparsa in suo aiuto, incoraggiandolo nel duello dell'undicesima casa.

"La Dea Atena… lady Isabel… è morta!" esclamò Phoenix tra le lacrime, unico ad avere il coraggio di dirlo ad alta voce, mentre ripensava a come seppe riaccoglierlo tra loro quando decise di abbandonare le forze oscure, senza mai rinfacciagli una sola volta la precedente scelta di campo.

"Isabeeeeeelllll!!!!!" gridò Pegasus, urlando la sua disperazione al cielo.

"Non temete, la riabbraccerete molto presto! Non posso permettervi di lasciare Avalon in vita!" dichiarò in quel momento una voce gelida. Avvolto da una colonna nera, Erebo comparve innanzi a loro, con in mano la spada ancora sporca del sangue di Atena.

A questa visione, il dolore si mutò in furia cieca, più forte di ogni ragione o paura, ed i cosmi dei cinque Cavalieri esplosero.

"Ereboooo!!!!" ringhiò Pegasus, lanciandosi all'attacco frontalmente, a testa bassa, affiancato dagli amici.

"Colpo dei Cento Draghi!!"

"Nebulosa di Andromeda!!"

"Ali della Fenice!!"

"In nomine tuo, Acquarius!!"

"Cometa di Pegasuuuus!!!"

La Prima Ombra vide i loro assalti combinati saettare verso di lui e conficcò la spada a terra, sollevando entrambe le mani di fronte a se.

"Fiat… Nox"

Un'ondata di pura tenebra dalla potenza devastante investì e dissolse i loro colpi segreti, abbattendosi poi su di loro ed avvolgendoli completamente.

I Cavalieri dello Zodiaco urlarono. Poi, dopo alcuni secondi, le loro grida furono soffocate dal buio, spegnendosi in un silenzio assordante.

Quando le ombre si furono dissolte, al suolo non vi erano che macchie di sangue e frammenti di armature.

"E' tempo che il regno delle tenebre abbia inizio!" sorrise Erebo.

**********

Sull'Olimpo, Zeus trasalì, barcollando all'indietro.

"I cosmi di quei ragazzi… sono scomparsi!" disse Ercole con gli occhi sbarrati.

Il signore del Fulmine annuì tremante, chiudendo gli occhi.

"Si… I Cavalieri dello Zodiaco… sono morti!"