CAPITOLO XXIV

«Ho intenzione di costruire un villaggio proprio laggiù al di là di quella collinetta» disse Vasianos con ferma convinzione ed indicando con il dito un punto non molto distante da dove si era soffermato ad ammirare il paesaggio in compagnia dei gemelli.

«E com’è che ti è venuta questa idea? Non stai bene con noi e gli altri alla fattoria?» replicò prontamente Hermos.

«Assolutamente no amico, gli altri bambini della nostra vecchia banda ed io non ci possiamo certo lamentare del trattamento che riceviamo quotidianamente da Eleni, da Athena e da tutti voi cavalieri e saremo per sempre grati ad Atthia, Gordias ed Alexandros per averci liberati dalla schiavitù di Zelos e dalla vita infame che conducevamo ma credo che sia meglio, non tanto per noi ma soprattutto per voi, che anche se di molto poco i termini di distanza il nostro gruppo vi lasci liberi di allenarvi per divenire ciò che siete destinati ad essere. Per quanto vi siamo affezionati e per quanto vorremmo noi stessi partecipare alla vostra missione, non possediamo il cosmo che vi rende persone straordinarie e non certo dei comuni essere umani come noi. Sappi sin da ora mio caro Hermos che, se mai ne aveste bisogno, potrete fare sempre affidamento su di noi, che daremo, per quanto ci è possibile con le nostre limitate capacità, anche la vita per venire in vostro soccorso e che, così come ci ha esplicitamente chiesto la Dea Athena, manterremo per sempre il segreto sulla vostra esistenza e sulla vostra presenza anche se, pur sforzandomi, con ne capisco la ragione» replicò passandosi le dita tra la fulgida chioma.

Hermos si limitò a tacere mentre Ofiuco, che sino ad allora era rimasta in silenzio accarezzando gli steli d’erba, appoggiò le braccia sulle spalle di Vasianos stringendolo con affetto:

- Ti capisco ed in ogni caso sappiamo che noi tutti ci saremo sempre uno per l’altro, non c’era nemmeno bisogno di dirlo.

Hermos condivideva in cuor suo il pensiero della sorella ma quell’abbraccio dato così gratuitamente a Vasianos lo fece velatamente innervosire; quindi si affrettò a trovare una scusa per dare un taglio alla situazione:

- Certo questo è ovvio, ora però, come ha giustamente sottolineato il nostro amico, dobbiamo fare ritorno ai nostri doveri. Ofiuco: torniamo alla magione, i nostri compagni si staranno sicuramente chiedendo che fine abbiamo fatto. Vasianos: tu non hai da recarti al frutteto a fare da vedetta?

Quest’ultimo arricciò le labbra, poi un po’ deluso dall’aver perso il contatto con la ragazza che il fratello aveva già preso per mano e tirato a sé, rispose con un tono a metà tra l’amareggiato e il divertito:

- In verità sono disoccupato, il maestro Theodote ha preso il mio posto! Mi ha detto che non si muoverà da quel ramo di fico dove si è appollaiato sino a quando Atthia non giungerà al frutteto.

L’ateniese era infatti ormai da giorni appostato sul limitare dell’appezzamento coltivato da dove osservava senza tregua la collina di fronte dalla quale si sarebbe aspettato di veder giungere da un momento all’altro l’ultimo dei suoi compagni. Dormiva sotto gli alberi e mangiava qualche frutto o ciò che almeno una volta al dì gli portava la gentile Eleni la quale, inutilmente, tentava ogni volta di convincerlo ad unirsi al resto del gruppo.

Quando dopo dieci giorni di bivacco stava quasi per cedere ai ripetuti inviti della giovane donna, il cosmo prese a pizzicargli. Senza porsi troppe domande si precipitò fuori dal perimetro del frutteto e risalì correndo il fianco della collina guadagnandone la cima. Da qui vide uno splendido cavallo grigio montato dall’amico che stava attendendo da giorni accompagnato da una bella ragazza mulatta.

Il viso di Theodote si illuminò di un sorriso contagioso che, come sempre, creò sulle sue gote due simpatiche fossette; sistemandosi in piedi sopra ad una roccia ed assumendo una posizione dittatoriale apostrofò lo spartano, che avendo il sole negli occhi non lo aveva ancora potuto mettere a fuoco, con la sua consueta ironia:

- Adesso capisco la ragione del tuo ritardo: ti sei trovato la fidanzata!

Scendendo da cavallo Atthia sorrise beffardamente e si portò la mano all’altezza delle sopracciglia per ripararsi gli occhi dall’accecante luce solare:

- Vedo solo la tua sagoma ma la tua voce e la tua sfrontatezza sono inconfondibili, o Theodote! Sono lieto di sentirti e di intendere che non hai perso il tuo buon umore. In quanto alla donna che è con me ti presento Clio che non è la mia ragazza ma un futuro cavaliere di Athena proprio come me e te. Ti consiglio per tanto di chiederle scusa come si conviene ad un damerino del tuo nobile rango ateniese per le tue stupide illazioni anche perché potresti pentirtene amaramente; non ha un bel carattere, te lo dico per esperienza personale.

Theodote scoppiò a ridere, scese dalla roccia su cui si era piazzato ed andò incontro allo spartano; i due si strinsero la mano con forza e reciproca stima, poi il più giovane dei due si esibì in un inchino reverenziale accompagnato dall’ennesima presa in giro:

- Mi scuso per la poca educazione avuta nell’accogliervi, o mia signora. Purtroppo vedere il qui presente guerriero spartano in compagnia di una donna mi ha fatto credere, o quantomeno sperare, che finalmente l’irreprensibile Atthia si fosse interessato almeno per una volta al genere femminile anziché all’arte della guerra.

Clio, che in quanto a serietà non era da meno rispetto allo spartano, trattenne a stento una risata.

«Il tuo amico è proprio scemo» concluse.

Atthia sollevò gli occhi al cielo come a voler dire alla ragazza «che vuoi farci», poi, come non aveva più potuto fare da un anno, afferrò Theodote ancora prono per il colletto del chitone e gli appoggiò la suola del sandalo sulle natiche:

- Tieni il cavallo per le briglie, idiota!

Poco dopo i tre stavano scendendo il versante opposto della collina; Atthia rifattosi serio chiese a Theodote di parlargli degli esiti della sua avventura e soprattutto volle sincerarsi del fatto che i componenti del proprio gruppo fossero giunti sani e salvi a destinazione, solo alla fine domandò di Patros e della Dea.

«Non è stato affatto semplice, ho incontrato difficoltà e pericoli in ogni dove ma infine ho portato a termine l’incarico che mi era stato affidato. Alexandros, Gordias, Heliodoros e i due gemelli sono qui da un po’, stanno bene e non vedono l’ora di riabbracciarti. Inoltre già all’inizio dell’anno si è presentata qui una banda di ragazzini capeggiati da un tipo risoluto e dai capelli rossi, mi pare si chiami Vasianos. Patros ed Athena stanno benissimo, anche loro ne hanno passate delle belle ma adesso, un po’ come tutti noi, aspettavano solo te. Il nostro amico ha fatto buona guardia mentre non eravamo qui e ha lavorato sodo per giunta; immagino abbia un’armatura nuova di zecca da farti provare. Quando lo vedi non prenderlo però in giro per quelle due specie di voglie che ora ha al centro della fronte: ci ho già pensato io abbondantemente anche se, da quando ho scoperto cosa esse testimoniano, devo dire che lo invidio parecchio. Viviamo tutti in una fattoria molto vicina al frutteto dove ci eravamo lasciati, è un bel posto dove stare e ognuno si dà da fare come può per aiutare la proprietaria che si chiama Eleni ed ha un figlio di nome Kallistratos che è un altro aspirante cavaliere» raccontò Theodote senza fare mai una pausa per riprendere fiato.

«Va bene, va bene. Mi hai dato un perfetto quadro d’insieme, ora rilassati e fai strada verso questa famigerata casa. Anche io ho voglia di conoscere tutti e di riabbracciare la nostra Dea» concluse Atthia.

Quando quest’ultimo giunse nell’aia della magione che fu di Akepsimas venne accolto come un Re; chi lo aveva già conosciuto gli stringeva la mano e gli batteva delle sonore pacche sulle spalle, chi lo vedeva per la prima volta si presentò dicendogli che aveva spesso e volentieri sentito parlare di lui e che averlo finalmente in Attica era un gran piacere, con Patros ci fu un tanto silenzioso quanto sentitissimo abbraccio. Athena fu l’ultima ad accoglierlo stringendolo e baciandolo:

- Mio primo cavaliere, non avevo alcun dubbio sul fatto che ti avrei rivisto ma ora che finalmente sei tra noi mi sento sollevata.

Dopodiché la Dea della giustizia richiamò l’attenzione dei presenti:

- Miei cavalieri, ora siete tutti riuniti. L’impresa durata un anno dei prodi Atthia e Theodote ha portato i suoi frutti. Voi siete gli uomini e le donne che le stelle hanno scelto per proteggere la razza umana, so perfettamente che questo è un onore ma al contempo un onere. Ciò che il destino ha scelto per voi e che voi stessi avete accettato è un compito ingrato, dovrete sudare per addestravi e per divenire degli abili guerrieri per poi infine rischiare la vostra stessa vita lanciando la sfida all’intero Olimpo. Mi rendo ovviamente conto che questo sembrerebbe più un ruolo adatto ai pazzi che non alle persone sane di mente, chiunque si domanderebbe perché tentare un’impresa del genere, perché osare opporsi agli Dei, perché mettere a repentaglio la propria vita per qualcosa di folle ed incerto senza averne in cambio tesori o gloria. La risposta, o miei cavalieri, è semplice: sul mondo incombe un’invisibile minaccia e solo voi ed io abbiamo il coraggio e le capacità di sventarla. Il sacrificio di pochi gioverà al bene di tutti. Le stelle hanno scelto ed hanno scelto voi: Atthia, Patros, Theodote, Chrysante, Kallistratos, Demetrios, Costa, Alexandros, Gordias, Heliodoros, Hermos, Ofiuco e Clio. Questi sono i vostri nomi e questi saranno i nomi di coloro che mi auguro potranno realizzare il mio sogno. Come ho già detto la strada sarà lunga e tortuosa ma sono certa che Atthia saprà trasformarvi in perfetti ed efficienti combattenti mentre Theodote avrà il ruolo di insegnarvi ad esplorare, a conoscere in profondità e a sfruttare adeguatamente il potere del cosmo che arde dentro di voi. A Patros invece affido il compito di costruire delle armature capaci di proteggervi dagli attacchi dei nemici e di divenire un tutt’uno con l’energia derivante dalle stelle che voi portate nel cuore. Non combatterete infatti con spade o lance ma solo sfruttando la straordinaria forza che l’universo ha infuso nelle vostre anime e che i vostri spiriti e le vostre armature sapranno convogliare in colpi scagliati con il solo fine ultimo di perseguire ideali di amore e giustizia.

Il gruppo ascoltò in religioso silenzio il discorso della Dea. Arrivati alla conclusione di esso, nacque spontaneo un grido di entusiasmo.

Quando il clima si rasserenò ed il vociare del gruppo tornò su toni più tranquilli, da dietro la capanna dove Athena sotto le mentite spoglie di Daphne e Patros avevano passato gli ultimi dodici mesi, si sollevò un applauso.

«Congratulazioni per il bellissimo discorso di incoraggiamento, sorella. Se questi sono i presupposti con i quali la tua truppa si appresta a sfidare i Santi dell’Olimpo, posso incominciare a credere che forse potrebbe uscirne qualcosa di buono» disse un giovane di bell’aspetto e finemente abbigliato accompagnato da una seconda persona facendo la sua comparsa da dietro il piccolo edificio.

«Ma quello è Angeliaforos» disse Alexandros indicando a Gordias e a Heliodoros l’uomo che rimaneva in secondo piano rispetto a colui che aveva appena parlato.

«Non so chi sia questo Angeliaforos, ma quello lo conosciamo anche Theodote ed io. Lo incontrammo sulla strada per Meteora; senza le sue preziose indicazioni ci saremmo persi tra le montagne» bisbigliò Demetrios richiamando l’attenzione del compagno.

Tra lo stupore e la curiosità di tutti intervenne Athena:

- Questo è mio fratello Hermes, il messaggero degli Dei e con lui c’è il suo Santo che, da quel che sento, alcuni di voi hanno già incontrato in precedenza.

«Esatto! Diciamo che ho inviato il mio fedele servitore a dare una controllata a ciò che facevate giusto per essere sicuro che tutto procedesse in modo regolare. Il suo vero nome comunque non è né Angeliaforos né altro. Si chiama Petro» puntualizzò Hermes.

Petro, dal canto suo, fece un passo in avanti e, guardando negli occhi uno a uno coloro nei quali si era già imbattuto, si scusò per averli ingannati ricevendo in cambio solo dei ringraziamenti.

«Mi pare di intuire facilmente come i miei compagni ti siano riconoscenti per quanto hai fatto per loro ma dov’eri quando dei misteriosi nemici ci attaccavano?» irruppe Costa facendosi largo tra Gordias e Theodote.

Petro stava quasi per rispondere quando sia Hermes che Athena frenarono con un cenno le parole del Santo.

«Mi dispiace non aver avuto la possibilità di inviare Petro in vostro aiuto ogni qual volta ce ne sia stato realmente bisogno ma l’averlo fatto partecipare anche saltuariamente alla vostra impresa è stato per me un grosso rischio. Zeus in persona aveva dato il divieto a tutti gli olimpici di mettere bocca o mano sulle questioni riguardanti voi o Athena. Ciò nonostante ho messo a repentaglio la mia persona ed il mio ruolo trasgredendo al volere del padre di tutti gli Dei per stima e affetto nei confronti di mia sorella. In merito agli attacchi che avete subito non ne so molto più di voi ma temo che, come io stesso ho fatto, anche qualche altra divinità avversa per le più svariate ragioni ad Athena abbia fatto illegalmente uso delle forze in suo possesso. Per l’appunto sono qui per indagare sull’attentato che mia sorella ha subito qualche tempo addietro e durante il quale hanno perso la vita alcuni degli abitanti di questo luogo» sentenziò il messaggero.

La Dea della giustizia si rattristò ricordando Akepsimas e Iphigenia, poi prese sotto braccio il divino fratello e gli chiese di seguirla all’interno della casupola per discutere con lui.

Petro restò all’esterno osservando quei tredici cavalieri che sapeva di lì a qualche anno avrebbe dovuto combattere con ogni sua forza.

- FINE PRIMA PARTE -