XIX
Ade li aveva convocati poche ore dopo che Persefone lo aveva raggiunto. La dea non era molto soddisfatta di veder il suo amato allontanarsi dal talamo a così poche ore dal loro incontro nel Santuario che era appartenuto ad Atena, ma si consolava al pensiero che ciò stava a significare che la Guerra Sacra era prossima all’ultimo, decisivo atto. Il dio degli Inferi ora stava assiso sul seggio che era stato di Atena e osservava gli Spettri al suo cospetto, in particolare i Tre Giudici, coloro che avrebbero dovuto scrivere gran parte del capitolo conclusivo di quello scontro tra divinità.
Si alzò e parlò con voce solenne. Informò i presenti dove si trovava Atena e illustrò loro come avrebbero dovuto agire. Fece presente che gran parte dei difensori era ormai caduta e altri non avrebbero potuto raggiungere in tempo la loro dea. "Alcuni di loro si trovano nei pressi di questo Santuario. Percepisco i loro cosmi. Uno dei Giudici si occuperà di loro, così che non possano più esserci d’intralcio. Il grosso della schiera si dirigerà a Delfi, senza indugio."
"Mio signore" disse fiero Radamante "lasciate a me coloro che ancora si aggirano nei pressi di Atene."
Ade lo squadrò. "Radamante, porterai a termine la missione questa volta?"
Il Giudice si sentì avvampare nell’udire quelle parole, ma non poteva certo rispondere con la stessa, graffiante ironia al sommo Ade. Non solo per l’obbedienza che gli doveva: qualcos’altro, di ben più potente, lo tratteneva dal manifestare la sua irritazione: la vergogna e l’imbarazzo. Sapeva di aver mancato i precedenti obiettivi, anche se la sua seconda sortita aveva avuto comunque un risvolto positivo grazie alla caduta di un nemico.
"Sommo Ade, prima che l’armata parta per Delfi state pur certo che uno dei seguaci di Atena cadrà. Poi mi occuperò degli altri, col vostro permesso." Era più che mai determinato a portare a termine l’incarico.
"Molto bene, Radamante." replicò Ade compiaciuto. "Ora, se lo ritieni, scegli qualcuno che ti assista nell’impresa."
"Non necessito di assistenza." disse freddo Radamante.
"Radamante, dai occasione anche ad altri di mostrarmi la loro fedeltà!"
Radamante sorrise e volle accontentare il figlio di Crono a modo suo. "In questo caso lo farò ben volentieri, sommo Ade." E con tono deciso disse: "Che combatta al mio fianco Aletto, la Furia!"
Si levò un mormorio e Minosse ed Eaco si scambiarono uno sguardo che tradiva sorpresa.
"Non stiamo parlando di una traditrice?" disse Ade irritato.
"Mio signore, sono certo che Aletto ha riconsiderato la sua posizione. Quale occasione migliore di questa per metterla alla prova?"
Una voce gli fece eco dal fondo del gruppo degli Spettri. "L’ho riconsiderata, certo! Tuttavia, Radamante, ricordati di chiamarmi Maia, o potrei non rispondere ai tuoi comandi." La ragazza avanzò fiera e incurante degli sguardi che sentiva su di sé. Indossava la sua armatura nera con l’emblema della Furia, che non era ancora stata riparata e portava i segni dello scontro con Plistene.
"Sono certo che sai ciò che fai, Radamante." disse Ade. "Bene, guerrieri degli Inferi, preparatevi ad agire. Per la battaglia finale sarete tutti sotto il mio diretto comando." Detto questo, il nume si congedò.
Mentre gli Spettri se ne stavano in attesa di ricevere ordini, Minosse ed Eaco si avvicinarono a Radamente.
"Veramente ti fidi ancora di lei?" chiese il primo.
"Ha motivo di mostrare fedeltà ad Ade più di quanto non pensi."
"Dunque devo dedurre" fece Eaco "che le hai promesso di salvare suo fratello?"
Radamante si produsse in qualcosa che poteva essere un sorriso: "Non sta a me fare simili promesse, è il nostro signore Ade ad avere l’ultima parola sui nostri nemici e su chi cade nostro prigioniero." Minosse ed Eaco non potevano non sapere che l’astuto e fiero Radamante doveva avere un piano.
Maia si avvicinò a loro: "Salute a voi, nobili Giudici."
Minosse storse la bocca: "Evita la commedia con me, donna! Quand’anche restassi fedele in eterno ad Ade, io certo non dimentico quanto accaduto ieri."
"Avete buona memoria, mio signore."
"Adesso basta!" disse Minosse e fece per colpirla, ma Maia lo aveva preceduto e le sue unghie affilate erano già pericolosamente vicine al suo collo. "Minosse, ricorda che ho imparato da uno dei Giudici e che so essere determinata e spietata in battaglia, se occorre!"
Minosse abbassò la guardia e lanciò un’occhiataccia a Radamante: "La tua allieva è superba e irritante, spero per te non ci giochi brutti scherzi."
"Non lo farà."
Eaco volle essere più diplomatico: "Maia, sai bene che Ade sa essere tanto misericordioso quanto spietato con chi abusa della sua fiducia. Non ha avuto belle parole per te quando lo abbiamo informato dei fatti recenti. Hai molto da farti perdonare, cerca di ricordartene quando scenderai sul campo di battaglia."
"Lo farò senz’altro, nobile Eaco."
Minosse, seccato, richiamò gli Spettri che erano ai suoi ordini e la stessa cosa fece Radamante, che assegnò il comando della propria schiera allo stesso Minosse, almeno fino a quando non avesse completato la propria missione.
Eaco approfittò di quell’attimo per parlare a tu per tu con Maia. "Mi fa piacere constatare che alla fine hai fatto la scelta giusta. E’ un grande piacere riaverti tra noi."
Maia lo osservò per un attimo, non trovando le parole da rivolgere a colui che aveva provocato la morte di suo fratello. "Dei tre Giudici sei insieme quello che apprezzo e odio di più, sappilo. Le tue parole, ieri, hanno colto nel segno ma tu resti pur sempre l’assassino di Pisandro. Lo avresti risparmiato se si fosse arreso? Davvero lo avresti fatto, col rischio di incorrere nell’ira di Ade?"
"Un Giudice degli Inferi gode di una certa libertà di giudizio, non credi? Inoltre" disse con parole lievi "so quando vale la pena di correre dei rischi."
"Rischieresti di metterti contro Radamante se attaccasse l’altro mio fratello?" chiese provocatoria.
"Certo che no, conosco il suo valore. Ma potrei rischiare per te. Devo saldare un debito."
"Non lo salderai mai!"
Eaco le si avvicinò e le strinse delicatamente un braccio: "Forse no, però voglio iniziare subito col provarci. Non hai forse capito che Radamante ti ha voluta con sé proprio per metterti alla prova? Ferito nell’orgoglio com’è dopo i fatti recenti, quella prova potrebbe essere terribile, hai pensato a questo?"
Non ci aveva pensato e il sangue le si gelò nelle vene. Guardò verso Radamante, che proprio in quel momento le stava facendo cenno di seguirlo. Era davvero un ghigno quella piega che le pareva di vedere sul suo volto?
"Ti attendo per la battaglia finale. Fatti onore e che il Fato ti conceda di ottenere ciò che vai cercando." disse Eaco congedandosi e guardando pure lui in direzione di Radamante.
Maia era combattuta e avrebbe voluto maledirlo e ringraziarlo al tempo stesso. Nella sua mente vi era un turbinio di pensieri senza fine. Alla fine le sue labbra si mossero e sussurrò: "Grazie." Ma Eaco era già troppo lontano per udirla. Dal canto suo il Giudice sapeva che Maia certo si sarebbe distinta negli scontri successivi. Doveva fare in modo che lo facesse in favore di Ade e non di Atena, come temeva avvenisse. Per questo era il caso di evitare che Radamante potesse aumentare il risentimento della ragazza, un’alleata preziosa in quella Guerra Sacra che si prospettava più dura del previsto.
***
Archita si puntellò sui gomiti e si alzò. Anassilao era a pochi passi da lui, sporco di terra e con braccia e mani coperte di graffi. Alzò gli occhi e capì. Dovevano essere caduti dal pianoro soprastante, tra arbusti spinosi e massi affioranti. Si alzò e si avvicinò all’amico. Lo scosse.
"Sembra che ti debba la vita, amico mio."
Anassilao si alzò a sua volta. "Lo stesso vale per me." disse guardandosi le mani ferite. "Non avessi resistito tanto a lungo ad Ascalafo avrei subito un doppio attacco e per me sarebbe stata la fine."
Restarono un attimo in silenzio, consci di quanto fossero stati entrambi prossimi alla fine. Fu Anassilao a realizzare completamente quant’era accaduto. "Plistene! No, maledizione!" Archita comprese subito la gravità della situazione. Risalirono il pendio con foga furiosa e con l’animo tormentato da un dubbio atroce.
Quando approdarono alle balze dove avevano combattuto videro due corpi stesi a terra, non molto lontani l’uno dall’altro. Ascalafo era supino, l’armatura in pezzi e coperto di ferite. Lo sguardo dei due passò oltre, sino alla figura prona poco oltre. Plistene era riverso a terra, immobile. Si avvicinarono con il cuore in gola. Il volto del cavaliere era rivolto verso terra e a loro invisibile, una mano stringeva un ciuffo d’erba.
Anassilao voltò delicatamente il compagno e subito si rese conto che il corpo era rigido anche se ancora non freddo. Passò un attimo che parve eterno. Ora Plistene aveva due occhi ciechi rivolti verso di loro. Archita fu colto alla sprovvista da quel che vide, poi capì e sorrise.
Anassilao era incredulo, ma felice. "Un accessorio che in battaglia non si usa mai, eppure lo ha salvato." E così dicendo tolse la maschera dorata dal volto di Plistene. Il cavaliere respirava lentamente ma in modo regolare.
"Era svenuto, come poteva indossarla?" chiese Archita.
Anassilao scosse leggermente Plistene mentre diceva: "Forse nell’impatto la maschera è calata dall’elmo, forse semplicemente il Fato ha deciso di beneficiare il nostro compagno." Fece una pausa e tirò un profondo sospiro. "Ho capito troppo tardi che l’ultimo colpo di Ascalafo era rivolto a lui e non a te. Se non avesse avuto la maschera calata sul volto, il veleno lo avrebbe ucciso."
"E’ probabile." annuì grave Archita. "Plistene, mi senti?"
Plistene aprì gli occhi e distinse le figure dei compagni di battaglia. "Quei due…"
"Sconfitti." disse Archita sorridendo.
"Ben fatto cavalieri. Io stavo percorrendo le vie dell’Ade e ad un certo punto ho temuto di essere perduto."
"Credo che l’Ade dovrà attenderti ancora per qualche tempo." disse Anassilao.
Plistene si mise a sedere. "Mi basta che gli Spettri che hanno invaso le terre di Grecia mi precedano. Poi posso anche scendere negli Inferi e attenderò il vostro arrivo per farvi da guida nel Tartaro, quando le Parche avranno decretato la fine per tutti noi."
"Sì, ma solo allora." disse Anassilao. "Ora, ti prego, abbandona questi pensieri cupi. Il Fato ci è stato benigno e ci ha concesso di combattere ancora assieme, per Atena."
"Abbiamo una missione da compiere." gli fece eco Archita.
"Sì, per Atena." concluse Plistene.
I loro sguardi erano già rivolti al Parnaso.
***
"Mio signore Ade, vorrei ritirarmi. Sono piuttosto stanca."
Ade guardò perplesso la propria compagna. Sotto quell’angolo di cielo trapunto di stelle di cui avevano goduto poco prima Persefone gli era parsa bella come non mai, ma solo ora notava che, anche fuori dall’Ade, ella aveva un incarnato chiaro, delicato, quasi pallido.
"Sei giunta solo da poche ore. Non vuoi restare ancora un po’?"
"Perdona, Ade. La risalita dagli Inferi mi ha fiaccata. E le gradinate di questo Santuario, tutte quelle stanze dentro i templi…"
"Come desideri." disse pensieroso.
"Avremo domani e i giorni a venire per noi." replicò Persefone per consolarlo.
"No, solo domani e forse nemmeno. Pure io partirò con gli Spettri. O forse non vuoi che Atena cada al più presto?"
"Sì, che cada al più presto." Ma nel profondo l’idea di una nuova separazione la turbava. "E se combattessi al tuo fianco?" ardì dire.
Ade la guardò meravigliato. "Mia dolce Persefone, non sei una dea guerriera e se basta la salita al Santuario per toglierti le energie cosa saresti in grado di fare contro Atena in persona? E quand’anche fossi una dea guerriera pensi che mi arrischierei a farti scendere sul campo di battaglia, col rischio che tu venga ferita?" Le si avvicinò.
"Certo che no, Ade, però io…"
"Non se ne parla." La baciò sulla fronte e la congedò dicendo: "Per quanto sia forte il tuo risentimento contro la tua congiunta non permetterò che tu corra dei rischi per affrontarla."
"Almeno permettimi di assistere alla sua caduta." disse lei quando fu giunta sulla soglia. I suoi occhi brillavano in mezzo al viso dall’incarnato bianco.
"Ne parleremo domani." rispose lui.
Per alcuni istanti restò solo nella stanza, le fiaccole che crepitavano e rilasciavano piacevoli aromi, che assaporava a pieni polmoni. Erano delizie di cui raramente poteva disporre in Ade. Il pensiero della Guerra Sacra fu di nuovo in lui. Tutto pareva andare per il meglio ma vi erano alcuni dettagli che ancora gli sfuggivano.
Uno dei suoi soldati si fece avanti. "Sommo Ade, colui che avete fatto chiamare è arrivato."
"Bene, fallo entrare."
Lo Spettro che fu introdotto nella stanza indossava una corazza di un nero lucido splendente. Le decorazioni su pettorale, bracciali e schinieri erano finemente realizzate. Alcune appendici appuntite dei copri spalla, dei bracciali e degli schinieri rendevano l’armatura possente oltre che elegante, così come i rinforzi su gomiti e ginocchia. L’elmo infine era adorno di corna anch’esse appuntite e cesellate.
"Desideravate vedermi, sommo Ade?" esordì con voce ruvida e nobile al tempo stesso.
"Fatti avanti. Quello scranno è per te." disse accennando ad un sedile di legno.
L’uomo si tolse l’elmo e non riuscì a celare un sorriso beffardo. "Per un attimo mi ero illuso che voleste finalmente accordarmi un altro scranno, al quale tengo assai di più."
"Non credo che i tuoi fratelli prenderebbero bene la cosa."
"Mi accontenterei anche solo di far mio il posto che ora è occupato da uno spirito di Spettro. Non è forse caduto in battaglia? Addirittura due volte, a quanto mi consta."
Ade non poté reprimere un moto di fastidio ripensando a quell’episodio poco chiaro di un paio di giorni prima. Che egli sapesse? Lui, che volutamente aveva tenuto sempre ai margini ma che era, bisognava riconoscerlo, uno dei guerrieri più potenti tra gli Spettri. Forse era a conoscenza il segreto che gli premeva svelare al più presto.
"Spazza via i Cavalieri d’Oro di Atena e lo scranno cui tieni sarà tuo."
"Non riuscirei da solo dove altri prima di me hanno fallito. Farò comunque la mia parte."
"Sei saggio oltre che valoroso. Ma non vi è motivo di stupirsene."
"E per me non vi è motivo di stupirmi se non otterrò ciò che voglio. Sommo Ade, non oso sperare di ottenere quello che bramo. Tre è un numero perfetto. Ma se vorrete associarmi a quella nobile schiera, come è già accaduto ad un altro prima di me, mi renderete un grande onore."
"Scendi in campo con gli altri Spettri e combatti con i tuoi pari. Saprò essere benevolo."
I miei pari, ripeté tra sé e sé con soddisfazione. Sì, gli piaceva. "E dove siamo diretti, mio signore?"
"Al Santuario di Delfi. E’ là che porremo fine a questa Guerra Sacra. Ma avrò bisogno di tutti i migliori combattenti dell’Ade."
"Dove sono i migliori combattenti dell’Ade io non posso certo mancare."
"Molto bene." disse Ade soddisfatto. "A quale schiera vuoi dunque unirti?"
"Come voi certamente comprenderete, scelgo senza dubbio quella del nobile Eaco."
Ade acconsentì. L’indomani numerosi paladini di Atena avrebbero attraversato l’Acheronte.
***
Lisandro percepì il cosmo del proprio nemico mentre attraversava l’agorà. D’istinto si girò verso l’Acropoli ma non era da là che proveniva il pericolo. Una sottile inquietudine si impadronì di lui. Cosa stava accadendo? Che il Tartaro stesso fosse sul punto di aprirsi e che le armate di Ade stessero per riversarsi sulla Terra? Fu grato a coloro che avevano fatto sì che la città fosse stata sgomberata. Qualunque cosa stesse per accadere nessun Ateniese sarebbe stato in pericolo; in giro non vi era più nessuno e non si udivano voci né rumori nelle vicinanze.
Dal buio una sagoma nera apparve sul lato opposto dell’agorà. L’armatura non permetteva il minimo errore riguardo l’identità del nemico.
"Non vuoi proprio saperne di tornare negli Inferi, a quanto vedo." Le parole gli uscirono dalla bocca spontaneamente e se ne sorprese.
"No, ma ti propongo di andarci assieme, se proprio ci tieni!"
"Proprio tu, Radamente, che ti sacrificheresti pur di ottenere la vittoria? No, è un’assurdità, non lo faresti mai."
"Esatto, non lo farei mai. Soprattutto perché sono certo della vittoria."
Un dubbio si insinuò nel cuore di Lisandro. Era certo di averlo vinto, di averlo sconfitto. Non aveva senso, Radamante era caduto. Come poteva essere ancora lì, a pochi passi da lui? Che si trattasse di un inganno, di una malia, di un oscuro artifizio di Ade per ingannarlo?
"Togliti l’elmo, Radamente. Voglio vederti in viso."
Con noncuranza l’altro obbedì e gettò l’elmo ai suoi piedi, con gesto plateale. "Come vedi non è solo l’armatura di Radamante che hai di fronte, ma Radamante stesso. Ma sono certo che lo sapevi già dal momento che hai percepito il mio cosmo. O forse ha perduta questa tua facoltà."
Il cosmo non mentiva, meditò Lisandro. Lo aveva sempre saputo. Radamante era vivo, pronto a combattere nuovamente. Per quanto potesse essere assurdo, era così.
"Ti ho vinto già una volta. Credi non possa farlo ancora?"
"Lo credo, ma non te ne darò l’opportunità. Non vincerai una seconda volta."
Una seconda volta, considerò Lisandro. Allora significa che sei caduto davvero, che ti ho sconfitto. Quel pensiero gli infuse fiducia. Certo, restava da capire come potesse essere tornato in vita. Gli altri Spettri che aveva incontrato, una volta sconfitti, erano evidentemente sprofondati nell’Ade. Perché ciò non era avvenuto pure con Radamante? Domande, dubbi per i quali non c’era tempo. L’ennesimo confronto era ormai imminente.
"Userai ancora le armi di Libra, contravvenendo alle leggi della tua dea? Lancerai ancora i Cento Draghi? Hai ancora qualcosa che non conosco da mostrarmi?" C’era sicurezza e determinazione in Radamante e Lisandro non seppe dire se ciò fosse spudoratezza o una consapevolezza nuova. Certo, un nuovo confronto si sarebbe rivelato in un gioco sottile, sull’orlo dell’abisso, tra due contendenti che si erano studiati e che ormai avevano ben poche risorse da mettere in campo per decidere la contesa. Uno scarto minimo avrebbe determinato sconfitta e vittoria.
"Radamante, lasciamo che siano le azioni a determinare l’esito del nostro ultimo scontro. Quanto a leggi da trasgredire, non lanciare provocazioni. Il fatto che tu sia qui mi induce a pensare che una legge di natura tu l’abbia violata. E nel tuo caso credo il tuo signore ne sia già al corrente perché non può essere che tu abbia percorso, avanti e indietro, il cammino da cui nessun viaggiatore ritorna senza che egli se ne sia accorto. Oppure devo supporre che Ade stesso abbia violato le leggi di natura concedendoti una seconda possibilità?"
Radamante fu scosso da quelle parole ma allo stesso tempo si sentì motivato e spronato alla lotta. Lisandro si dimostrava una volta di più un validissimo avversario, acuto e senza paura.
"Il Fato a volte decide al posto nostro ed oggi ha giocato con il mio e il tuo destino. A noi, cavaliere di Atena! Scopriamo se l’esito sarà il medesimo!"
***
Astylos e Kyriakos guardarono per l’ultima volta verso l’altura su cui si ergeva il Santuario. Il pensiero che la dimora di Atena era diventata la roccaforte delle truppe di Ade li dilaniava e a stento riuscivano a contenere il furore. Sarebbe tornato il Sole, sarebbe tornata Atena nella sua dimora, sarebbero tornati i giorni dei Cavalieri della Dea, come quelli che essi avevo conosciuto, tempo addietro. Questo promisero a se stessi e a quelle fiere rocce su cui si ergeva il Santuario.
Stavano per lanciarci verso le alture che fanno da corona alla piana di Atene quando avvertirono uno strano cosmo avvicinarsi. La percezione divenne poi uditiva e passi leggeri si avvicinarono. Infine, dalla notte, emerse uno degli Spettri di Ade.
"Non avanzare oltre." disse secco Astylos. "Dove credi di andare?"
Kyriakos nel frattempo era già pronto a colpire, essendo tornate alla sua memoria le immagini del brutale attacco ad Eleusi; era infatti certo di aver già percepito quel cosmo.
Entrambi furono stupiti di udire una voce ben diversa da quella che si sarebbero aspettati. "Ma tu sei il cavaliere che era con Plistene!"
Kyriakos ricordò e sentì montare la rabbia. "Aletto…" mormorò amaro.
"Chi è costei?" disse Astylos tra lo stupito e l’irritato vedendo quello che aveva ritenuto essere uno Spettro togliersi l’elmo e rivelarsi come fanciulla.
"Ha affrontato Plistene a Eleusi…" Un dubbio atroce si insinuò nella sua mente. "Che ne è stato di lui? Parla!"
"Plistene dovrebbe essere già qui, con voi. Anzi forse è già ad Atene e…"
"Cosa stai farneticando, donna!" Kyriakos fece esplodere un destro e Maia cadde all’indietro sputando sangue.
"Kyriakos! Che ti prende?" lo ammonì Astylos. "Non è da te colpire in questo modo un nemico. Sarà pure un guerriero di Ade ma è pur sempre una ragazza."
Il cavaliere del Cancro guardò il compagno e quello non potè non leggere la rabbia mista a tristezza nel suo sguardo. "Astylos, mai verrei meno alle mie profonde convinzioni di devoto di Atena, che mi impongono il rispetto dell’avversario e una condotta leale in battaglia, tanto più se ho di fronte una ragazza. Tuttavia" e indicò Maia, che si stava rialzando asciugandosi il rivolo di sangue che le colava dalla bocca "sappi che costei è una Furia del Tartaro. Aletto è il suo nome." Fece una pausa e c’era disgusto sul suo viso severo. "Lei ha promesso, vantandosene, che Eleusi sarebbe stata rasa al suolo, lei è uno degli Spettri che hanno condotto l’attacco alla mia patria e poi al Santuario di Atene. Ebbene, Aletto, posso dire che sei stata di parola. Ben poco è rimasto di Eleusi a parte l’orrore che tu e gli altri demoni del Tartaro avete seminato a larga mano. Gioisci pure della tua impresa!" Kyriakos stringeva i pungi con rabbia. "E se la tua presenza qui sta a significare che Plistene è caduto affrontandoti ti sprofonderò nel Tartaro, anzi, ti ci trascinerò io stesso, dovessi affrontare tutta l’orrenda genia cui appartieni."
"Nobile Kyriakos, ti prego lascia che…" disse accorata.
"Taci!" Il cosmo del cavaliere era splendente e furioso. "Per il Sacro…"
"Furie del Tartaro!" l’attacco di Maia fu repentino e inatteso. Non andò a segno perché non aveva potuto imprimervi la necessaria potenze e perché Astylos lo aveva subito disperso con un gesto del suo arco dorato. "Più temibili credevo fossero le Furie. Poca cosa è il tuo attacco."
"Non voleva essere un attacco, credetemi. Dovete ascoltarmi, ve ne prego. Il mio nome è Maia e sono certa che Plistene sta bene, è stato lui a farmi grazia della vita."
"Che vai dicendo?" replicò Kyriakos.
"La verità! Non sono una Furia degli Inferi, non mi chiamo Aletto. Plistene ve lo confermerebbe. Vi prego, fatemi proseguire per Atene, devo seguire Radamante e aiutare mio fratello."
"Tuo fratello?" disse stupito Astylos.
"Pisandro e Lisandro sono i miei fratelli. Perduto è il primo, fate che io riveda almeno il secondo!"
Per un istante non riuscirono a dir nulla, scossi dalla veemenza di quell’invocazione. Poi tuttavia Kyriakos levò su di lei uno sguardo colmo di disprezzo, e non da meno era quello di Astylos.
"La tua arroganza e la tua impudenza non hanno limiti."
"Uno Spettro di Ade che si proclama fratello di due nostri fedeli compagni d’armi. C’è più pazzia che arroganza nelle tue parole, Aletto!" Astylos, scosso da tanta audacia, aveva ora posto mano all’arco. "Mai avrei creduto che a tali bassezze potessero giungere gli Spettri di Ade."
Maia si rese conto di essere in un vicolo cieco. Come poteva convincerli della sua buonafede, come poteva dimostrare di essere dalla loro parte, nel mentre indossava una nera Surplice dell’Ade e per di più di fronte a un cavaliere che poche ore prima coperto di male parole e minacciato di portare distruzione nella sua città, cosa che era infine avvenuta, anche se non ad opera sua? Si sentì perduta e perse il controllo. Un lacrima, non vista, le solcò il viso.
"Ho combattuto per Atena alla Quinta Casa e ho indossato le vestigia del Leone per…"
"Sagitta!" Il colpo di Astylos fu una stilettata amara, un calice di veleno. "Adesso ne ho abbastanza!" disse con veemenza il cavaliere del Sagittario. "Di stragi e colpi di mano siete maestri, ma vedo che sapete coltivare con altrettanta bravura menzogna e viltà. Ti avrei concesso una fine indolore, ma chi osa infangare la memoria dell’allievo del mio amico Pelopida non merita compassione alcuna. L’armatura del Leone… rifuggirebbe il male come poche altre!" Maia era piegata in due dal dolore e crollò sulle ginocchia. La freccia dorata aveva perforato un bracciale e la punta acuminata aveva morso la sua carne. Maia tuttavia non avvertì nemmeno il dolore al braccio, che il Fato si stava facendo gioco di lei e nel suo cuore si stava raccogliendo una mestizia infinita.
Due cosmi, in lontananza, avvamparono vigorosi ma solo lei li riconobbe subito, che le sue parole, sincere, ma prese per spergiuro, avevano ottenebrato la mente dei due cavalieri.
"Combatti e cerca almeno di cadere con dignità, Aletto." Sentenziò Kyriakos. "Astylos, la lascio a te, il mio cuore è gonfio di tristezza e rabbia, non combatterei come combatte un devoto di Atena." Kyriakos stava ripensando allo sfogo di Pegasios nel mezzo delle rovine di Eleusi e al modo in cui egli lo aveva duramente ripreso. Ora sarebbe stato lo stesso Pegasios a dover rimproverare lui e ne avrebbe avute le ragioni, che un Cavaliere d’Oro non si dovrebbe far sopraffare dal furore.
Astylos si avvicinò alla ragazza, pronto a fare il suo dovere.
"Mi chiamo Maia…" Stavolta il suo pianto proruppe irrefrenabile e violenti singhiozzi la scossero mentre nascondeva il viso tra le mani.
Com’era diversa, pensò Kyriakos, dalla figura fiera, sicura di sé, arrogante e crudele, che aveva veduto ad Eleusi.
"Sono la figlia perduta di Nisandro, sorella di Pisandro e Lisandro…" Appoggiò le mani a terra e alzò gli occhi al cielo. "Atena, te ne prego, ascoltami! Io non voglio combattere i compagni di colui che mi ha restituita alla vita, gli amici premurosi dei miei fratelli…"
Astylos e Kyriakos la guardarono esterrefatti. Avvertirono che qualcosa stava accadendo.
In quel mentre due cosmi vigorosi esplosero con violenza.
***
"Cerchi di Spirito!"
Lisandro evitò il colpo, per l’ennesima volta. Radamante ebbe una smorfia.
"So come evitare quel colpo, non ostinarti inutilmente."
"So quello che faccio Lisandro! Gli Inferi presto ti avranno." Così dicendo Radamante aprì le ali dell’armatura, si dette uno slancio e planò sull’avversario: "Castigo Infernale!"
Utilizzando lo scudo Lisando della Libra dissipò il colpo e passò al contrattacco. "Colpo del Drago Volante!"
Radamante scartò alla propria sinistra e fu colpito solo di striscio. "Il Drago Volante… Vuoi farti gioco di me? Non mi puoi sopraffare con un colpo simile, dovresti saperlo!"
"Le nostre risorse sono pari, Radamante, ma forse so come avere ragione di te ancora una volta."
"Pari in attacco e pari in difesa. Secondo te, Lisandro, cosa può fare la differenza?" Ora Radamante rideva.
Lisandro fu colto dal dubbio e comprese a cosa alludeva l’avversario. "La differenza, Giudice, è costituita dal fatto che, è evidente, voi Spettri sembrate avere due vite. Che sia il potere del Signore degli Inferi a concedervi questa prerogativa o altro non saprei dire. So per certo che è un modo vigliacco di combattere, ma non vedo perché stupirmene. La vostra natura di creature demoniache non può che portarvi a combattere in modo sleale. Non sapete cosa siano lealtà e virtù guerriera."
"Cerchi di Spirito!" Fu la roboante risposta. Dopo che il colpo fu nuovamente andato a vuoto Radamante, per nulla scosso, disse: "Mi usi ben poca cortesia se credi che io difetti di virtù guerriera. Sarà pure vero che ho beneficiato di una seconda possibilità, inutile nascondertelo dato che è palese ai tuoi occhi, ma sappi che ora ti vincerò con il valore, la forza e la tattica. Ho imparato molto dal nostro precedente scontro. Avrei tu imparato allo stesso modo?"
"Colpo del Drago Nascente!" L’agorà si accese di luci e nuovamente i due contendenti si trovarono a posizioni invertite. Ora era Lisandro a combattere con l’acropoli alle spalle. "Radamante, sei tu che pecchi di arroganza insinuando che io non sappia trarre beneficio dalle esperienze passate."
"No, mi limito a considerare la realtà dei fatti. Stai per soccombere, Lisandro."
"In virtù di cosa?"
"In virtù del mio colpo più potente."
"Lo conosco e lo temo. Ma come ho già fatto, saprò contenerlo e sopraffarti. Possiedo un colpo di pari forza. Lo hai forse dimenticato?"
Radamante assunse la posizione d’attacco. "E allora a noi. Urlo Infernale!"
Lisandro fece esplodere la sua aura dorata: "Colpo dei Centro Draghi!"
Come già accaduto sull’acropoli pure nell’agorà, lo sfolgorio dell’energia cosmica e il vigore dell’attacco cominciarono a produrre danni negli edifici circostanti. Nulla sembrava poter spezzare l’equilibrio.
"Lisandro!" disse ad un tratto Radamante "Quanto tempo potrai resitere?"
"Il tempo necessario a sopraffarti!"
"Dimentichi una cosa."
Lisandro stette in ascolto. Radamante continuò: "Perché credi ti abbia lanciato contro più e più volte i Cerchi di Spirito? Sapevo che li avresti schivati, tu sai come neutralizzare quel colpo che sarebbe fatale per tanti altri. Tuttavia quante energie fisiche e mentali ti è costato tutto ciò? Ben più di quante ne abbia adoperate io per evitare i tuoi colpi, ne sono certo."
Il cavaliere di Atena,teso nel massimo dello sforzo, era conscio di poter resistere ancora a lungo, tuttavia il vigore dei Cento Draghi non sarebbe potuto crescere d’intensità. Come poteva vincere nuovamente? L’Urlo Infernale mugghiava ora più forte di prima, l’aura di Radamante si estendeva oscura. Lisandro si accorse di esser sospinto indietro. Reagì, ma ora la stanchezza di faceva sentire. Doveva inventarsi qualcosa o alla lunga sarebbe davvero stato sopraffatto. L’avversario era più fresco, più vigoroso di lui, realtà evidente e amara.
"Lisandro, quando avrò finito con te raggiungerò i miei pari e assieme marceremo su Delfi, dove Atena si è rifugiata e porremo fine a questa guerra. Siete rimasti in pochi, le vostre difese saranno travolte. Ricordi? Al termine del nostro precedente scontro avevi detto che questo mondo non soccombe. Ebbene, mi pare che sia evidente che avevi torto. Stai per soccombere e uno dopo l’altro cadrete tutti, come è inevitabile che sia. L’ecumene soccomberà alla notte!"
"Radamante, sei uno sciocco." replicò magnanimo Lisandro, il cui cosmo ardeva ancora, fiero come al primo assalto. "Che io soccomba e che altri possano seguirmi non implica che debba soccombere pure questo mondo e gli uomini con esso. E perciò te lo dico nuovamente: questo mondo e chi lo popola non soccombe. Ciò per me, ora, è una certezza."
"Certezza vana, stai per morire."
"E anche fosse vero? Altri sopravvivono e avranno ragione di te! Tuttavia non dispero della vittoria. Questo mi è stato insegnato! Brucerò fino alla morte le energie che mi restano e, se necessario, ti porterò con me quando dovessi scivolare nell’Ade. Sono luoghi che dovresti conoscere!"
"Risparmia l’ironia. Da solo cadrai. Lisandro, ritieniti onorato nel subire quello che è il mio colpo definitivo, quello che raramente ho mostrato in passato."
"Il tuo colpo definitivo?" Lisandro non poté nascondere la sorpresa e lo sgomento.
"Cedi ora e ti risparmierai un’orrida fine. Cadresti comunque con onore. Fa che l’abbraccio della morte ti sia dolce!"
Lisandro immaginò gli ultimi istanti di vita del fratello Pisandro e se lo figurò quale immagine di se stesso, qual era sempre stato. Certo avevo lottato fino all’ultimo, senza arretrare, nemmeno di fronte al Fato inesorabile e alle nere Moire.
"Se davvero credi di possedere un colpo più potente di Cento Draghi, fai pure!"
"Pagherai cara questa tua presunzione." Radamante bruciò la sua aura nera e qualcosa parve sfrigolare nell’aria. "Cerchi di Spirito! Voragine del Tartaro!"
La notte fu come strappata e un abisso nero si spalancò tanto in cielo quanto in terra, come cupe fauci di tenebra e lamento. Dalla voragine aperta proruppe un’energia carica, malvagità, ferocia e tristezza.
Lisandro sentì l’armatura della Libra incrinarsi. Avvertì una pressione mortifera su tutte le membra e il respiro farsi affannoso. Davanti a lui Radamante, gli occhi scuri, disegnava un cerchio con le mani. Lisandro, estrasse una delle spade corte della propria armatura e, con fatica, l’alzò davanti a sé, come a fendere l’attacco avversario.
"Stolto, cosa credi di fare?" urlò Radamante.
La spada s’illuminò poi, d’improvviso, sparì in un lampo dorato e l’aura di luce che la circondava fu spazzata via. Uno sforzo notevole per il suo cosmo stanco, ma necessario, considerò Lisandro. Con le residue energie rinnovò il suo attacco: "Colpo dei Centro Draghi!!!" L’armatura di Libra si accese e parve diventare pura luce.
I draghi verde acqua furono scossi dalle grida e si scontrarono con le anime inquiete del Tartaro, le anime del Tartaro furono per un attimo atterrite dalle fauci dei draghi, tuttavia infine fu l’urlo nero che prorompeva dall’Ade a prevalere. Atene sprofondò nella tenebra.
***
"Questo lamento… è agghiacciante…" disse Kyriakos scrutando le tenebre in direzione della città.
"Lisandro!" esclamò Astylos.
"No, fratello!" gemette Maia.
Una luce dorata l’avvolse. Le vestigia di Aletto caddero a terra e una corazza dorata si dispose sul suo corpo.
Astylos non credeva ai propri occhi. Kyriakos era del pari incredulo. "L’armatura del Leone! Ma allora…"
Due cosmi, prossimi al parossismo, si levarono alti. Vi era poco tempo per le riflessioni, era il tempo dell’azione.
"Andiamo Kyriakos!" Il cavaliere stava per rivolgere lo stesso incitamento a Maia, ma lei li stava precedendo, agile e splendente, d’oro fasciata.
***
Radamante udì il rumore scomposto delle mura e della copertura dell’ennesimo edificio che andava in pezzi. La polvere sollevata dal crollo di mura e colonnati, combinata col buio, impediva di vedere solo pochi passi davanti a sé. Tuttavia dopo alcuni istanti la individuò, splendente come nulla fosse accaduto. L’armatura della Bilancia si era ricomposta e giaceva a fianco del proprio possessore, esanime. Negli ultimi istanti gli scudi della Libra sembravano aver voluto proteggere la testa del cavaliere; le sue membra erano infatti orribilmente straziate ma il suo volto era chiaramente riconoscibile. Gli occhi erano ancora aperti e sembrava esservi ancora vita in essi.
"Onore a te, Lisandro!" Radamante si avvicinò. Un rantolo ruppe il silenzio. Era ancora vivo. Incredibile, pensò. Avvertì il suo cosmo, flebile, e poi un altro, simile a quello. Indubbiamente quello del gemello Pisandro. Nell’istante supremo il Giudice ebbe come l’impressione che Lisandro sorridesse, quasi avesse colto pure lui una sua vittoria. Scacciò quel pensiero ridicolo, ma non poté non avvertire una leggera inquietudine farsi strada dentro di sé.
"Lisandro, no!" L’urlo di Aletto lo riportò alla realtà.
Si girò verso la sua sottoposta ma quel che vide fu Maia. "Quella corazza… Ebbene, è evidente che hai definitivamente tradito!"
Maia lo ignorò e si inginocchiò accanto al fratello, nel volto del quale conobbe, dopo anni, il volto di entrambi i gemelli, che aveva veduti l’ultima volta poco più che bambini. L’armatura della Libra entrò in risonanza con quella del Leone e per un istante fu come se pure Pisandro fosse lì con loro.
"Risparmia le lacrime, stai per raggiungere i tuoi fratelli." disse gelido Radamante. Fece per calare la mano sulla nuca di lei per ghermire la sua vita, ma qualcosa lo colpì. Urlò di dolore e sollevò la mano, mentre rivoli di sangue cominciavano a scorrere lungo il bracciale. Una freccia, una freccia dorata aveva perforato il bracciale e la cuspide mordeva le sue carni.
"Toccala, demone, e la prossima te le pianterò nel cuore! Sempre che tu ne abbia uno…"
"Astylos del Sagittario…" disse Radamante tra i denti.
"E Kyriakos del Cancro." aggiunse l’ultimo arrivato. "Hai mietuto la tua ultima vittima."
Radamante estrasse la freccia con una smorfia. "Non ne sarei così certo al vostro posto. Ad ogni modo ho una missione da svolgere e non sarete certo voi a fermarmi. Cerchi di Spirito!"
"Attenta Maia!" gridò Kyriakos. La ragazza era troppo vicina per sottrarsi al colpo. Provò a reagire ma fu inutile e si sentì trascinare negli Inferi. Il corpo di Lisandro sparì. Gli occhi velati di lacrime videro come ultima cosa il volto di Radamante, freddo e spietato. Poi fu il buio.
"Radamante!" urlò Astylos lanciandosi in avanti sorretto dalle ali dorate del Sagittario. Radamante planò del pari verso di lui, ma all’ultimo virò e passò oltre, evitando il colpo dell’avversario. "Ci rivedremo per la resa dei conti a Delfi, Astylos!" Poi la sua voce si perse nel buio. Astylos fece per lanciarsi all’inseguimento ma con sgomento si accorse che tanto Maia quanto Kyriakos erano svaniti nel nulla. Ci mise un attimo a realizzare quanto stava accadendo, ma tanto bastò al Giudice degli Inferi per sottrarsi definitivamente a lui.
Il cosmo di Kyriakos scintillò e il cavaliere ricomparve, sorreggendo Maia con un braccio. "Gli Strati di Spirito si sono rivelati provvidenziali. Avessi tardato saresti stata perduta."
"Grazie…" disse Maia, ma il suo sguardo era vuoto. Calò il silenzio. I due cavalieri avevano il cuore pesante. Tardi avevano compreso e un alto prezzo era stato pagato.
***
Elettra era felice. Le sembrava strano, considerate le circostanze, eppure lo era. Aver ritrovato Atena, aver udito la sua voce ed essersi intrattenuta con lei le aveva dato enorme sollievo. Certo, la cortina di tenebre era ancora stesa su di loro, ma il Santuario di Atena Promachòs appariva un luogo sicuro e familiare, adatto a tutti i pellegrini in fuga da Atene. Il Parnaso, la fonte Castalia, il santuario di Apollo poco più in alto, contribuivano a renderla calma e serena. Certo, una nuova battaglia era imminente. Atena era stata chiara a riguardo. Lei, il Grande Sacerdote e gli altri Cavalieri avevano annuito gravi alle parole della dea. Una nuova battaglia, l’ultima battaglia di quella Guerra Sacra. Si poteva essere felici nell’attesa di un evento che avrebbe potuto spezzare molte vite, compresa la sua? Sì, era possibile e non faticava a individuarne la ragione. Atena scomparsa e il Santuario di Atene conquistato, oltre alla caduta di tanti valorosi compagni, avevano minato il morale di tutti e la speranza stessa sembrava essere svanita. Ora invece la sentiva rinascere. Era bastato rivedere la dea, sorridente, gli occhi limpidi, seduta sullo scranno dentro il tempio, era bastata la sua accoglienza, quasi che fosse più preoccupata lei per il loro ritardo che non i Cavalieri per la sua sorte.
Scrutò le tenebre e le parve di vedere qualcosa muoversi in fondo alla valle. Distinse tre cosmi e un sorriso si allargò sul suo volto.
"Metoneo, abbiamo visite!" esclamò.
Il Cavaliere dell’Altare si alzò in piedi e in pochi passi fu vicino a lei. "Sono davvero loro?"
"Ne distinguo chiaramente il cosmo!" rispose lei.
Non passò molto tempo che le ombre nella notte si fecero uomini in cammino e gli uomini in cammino divennero tre Cavalieri d’Oro che si approssimavano ormai alla dimora della loro dea.
"Anassilao! Archita! Plistene!" esclamò Elettra.
Per i tre pellegrini la presenza della compagna, alta sopra di loro, i biondi capelli nell’aria fredda della notte, fu come il sorgere del sole dopo una notte durata troppo a lungo.
***
"Maia… dobbiamo andare." disse Astylos posando una mano leggera su quella della ragazza, che stava rannicchiata a terra, scossa dai singhiozzi.
Lei alzò gli occhi su di lui e il cavaliere vi lesse una disperazione e una malinconia senza fine.
Kyriakos non aveva più parlato. Nella sua mente scorrevano le immagini della precedente Guerra Sacra, dei suoi compagni caduti, del suo amico fraterno Callistrato, del suo maestro e di tutti coloro che erano caduti senza che si potesse far nulla per loro. La morte di Lisandro, si andava dicendo, era da imputare anche a lui. A cosa erano serviti anni e anni al fianco di Atena, gli insegnamenti del suo maestro, la dimestichezza con il mondo degli Inferi, l’aver sconfitto avversari che sembravano al di là della sua portata se poi non era stato capace di leggere la verità negli occhi e nel cuore della sorella di Lisandro, che lo implorava di correre in aiuto del fratello? A tal punto la tenebra aveva oscurato le loro menti? Rivide Pisandro e Lisandro il giorno del loro arrivo al Santuario. Ricordava il loro sguardo fiero, la loro devozione e soprattutto la loro giovialità, che aveva conquistato subito buona parte dei cavalieri più anziani. Erano stati una ventata di freschezza al Santuario, così come altri giovani arrivati in quei giorni, giorni che ora sembravano troppo lontani, remoti… Ricordò la sua sorpresa nell’averli veduti, certe sere, guardare malinconici verso il tramonto. Ricordò quando aveva scoperto che erano soliti recarsi a portare offerte votive nei boschi suoi colli di Atene; ne aveva chiesto loro il motivo. Non aveva ottenuto risposta, solo sguardi profondamente tristi. Si era chiesto quale fosse il motivo di quella malinconia, che sapevano dissimulare così bene quando si trovavano con gli altri, tanto da essere considerati da tutti gli allievi più allegri dei Santuario. Ora conosceva la risposta a quella domanda. La maschera d’allegrezza, le battute di spirito, la risata pront erano maschere che erano loro necessarie per ricacciare indietro la malinconia, quella malinconia che aveva nome Maia ed era una sorella perduta. Una sorella che non avevano avuto modo di rivedere. Avvertì come un colpo alla bocca dello stomaco. Maia stava ancora singhiozzando, consolata vanamente da Astylos.
"Atena ci attende. Kyriakos ed io non possiamo indugiare oltre." disse infine il Cavaliere del Sagittario. "Se te la senti puoi venire con noi, sono certo che la dea ti accoglierà volentieri e avrà parole di consolazione per te." La sua era una voce calda, morbida come un abbraccio. Maia apprezzò le sue parole.
"Ti ringrazio, Astylos." disse alzandosi in piedi. Si avvicinò a Kyriakos che faticò a sostenere il suo sguardo. "Non tormentarti per quello che è accaduto. Se il male non si fosse radicato nel mio cuore così profondamente e se io avessi trovato la forza di sradicarlo e allontanarlo da me, mai avrei abbracciato la causa di Ade, non avrei avuto parole sprezzanti nei tuoi confronti e in quelli di Plistene, non avrei irriso la tua nobile città Eleusi e tu avresti potuto fidarti di me. Sconto il frutto della malvagità che ho coltivato in me… il Fato sa davvero come punire i mortali…"
"No, Maia, non avevi modo di opporti al male e al dolore. Ho visitato alcune delle lande degli Inferi e solo parzialmente. Tu vi sei giunta giovane, troppo giovane, e hai visto dove albergano i mali del mondo. Pochi, davvero, avrebbero resistito al tuo posto, non colpevolizzarti…"
"No!" urlò lei serrando i pungi. "Io dovevo riuscirci… dovevo… riuscirci…" Sparse le ultime lacrime, che asciugò con un gesto repentino. "Andate ora. Atena vi attende. Io vi guarderò le spalle e farò in modo che non siate seguiti… fino a che resisterò. L’ira dei Giudici e quella di Ade mi colpiranno e castigheranno il mio tradimento, tuttavia non cadrò senza aver colpito chi ha portato via i miei fratelli."
Astylos e Kyriakos si lanciarono uno sguardo d’intesa. Non vi era altro da dire, altro da fare.
"Buona fortuna, Maia." disse infine Astylos. Fecero per andarsene ma c’era ancora qualcosa che lei doveva fare.
"Aspettate!" disse. "Armatura del Leone, torna da Atena!" Espanse il suo cosmo e si liberò dell’armatura del Leone che si ricompose in totem posizionandosi accanto a quella della Bilancia. "Portatele ad Atena. Forse potranno servire a qualche valoroso che, indossandole, proteggerà la dea e gli uomini dalle mire di Ade."
"Un gesto nobile, il tuo, ma non eri obbligata a farlo poiché…" Kyriakos non riuscì a terminare la frase.
Le sacre vestigia del Leone s’illuminarono e andarono a disporsi nuovamente su Maia. La ragazza vide la corazza brillare, sempre più forte, poi spegnersi repentinamente. "L’armatura è ancora con me, com’è possibile?"
"Non lo hai capito? Eppure è così semplice, come è semplice la verità." rispose Astylos sorridendo "Tu stessa l’hai invitata a tornare da Atena ed essa ad Atena è tornata."
"Ma questo vorrebbe dire…" disse lei incredula.
"Sì, Maia, hai compreso." disse Kyriakos. "Le armature di Atena hanno vita propria ed entrano in sintonia con il cosmo del loro possessore. L’armatura del Leone ti ha scelto come degna custode. Lo ha fatto perché il cosmo di tuo fratello e quello di coloro che l’hanno indossata prima di lui ne hanno permeato ogni singola parte. L’armatura vive, sente e, credimi, non si farebbe mai indossare da chi non fosse degno di farlo. Sei una di noi, Maia."
"Lo sei sempre stata, nel fondo del tuo cuore, e l’armatura del Leone, forgiata su volontà della dea, lo ha percepito prima di tutti noi." concluse Astylos.
La ragazza, incredula, sollevò le mani e ammirò se stessa, d’oro rivestita.
Astylos e Kyriakos, in quel mentre, stavano considerando quanto fosse strano che una donna indossasse una delle dodici armature d’oro. Non era mai accaduto, tuttavia non potevano che rallegrarsene. In un certo qual modo era come se la dea in persona avesse voluto dare una prova tangibile della sua presenza, del suo essere ancora con loro e pronta alla lotta.