XXII

Alcmene fu scosso da un tremito. Non erano i colpi di Valentine la causa, ma ciò che aveva visto accadere non lontano da lui, tra un assalto e l’altro. La sua prima reazione era stata di orrore e spavento, poi erano subentrati sbigottimento e autocommiserazione: in una giornata aveva visto cadere troppi compagni e ora toccava ad Archelao. Che il Fato malefico volesse davvero che chi combatteva al suo fianco fosse destinato a tragica fine? Era un pensiero sciocco, lo sapeva, ma rispecchiava quanto era accaduto quel giorno. Poi, come nubi leggere in un giorno ventoso, questi pensieri passarono oltre per lasciare il posto ad una rabbia smisurata.

"Mi avete stancato, dannati Spettri di Ade!" urlò con quanto fiato aveva in gola.

Valentine lo sfidò sfacciatamente, sfoderando un ghigno di soddisfazione per la caduta di Archelao. "Chi sarà il prossimo, tu o quel vigliacco di Pisandro?" aggiunse per rincarare la dose prima di attaccare: "Brama di Vita!"

Alcmene rispose e colpì al medesimo tempo, quasi senza lasciare all’avversario il tempo di capire cosa stesse accadendo. "Bramerai tu la vita, e subito, perché stai per perderla! Per il Sacro Toro, Grande Corno!" Valentine fu investito in pieno dal colpo e quelli da lui portati si infransero invece sulle vestigia dorate, senza provocare alcun danno al devoto di Atena. Subito dopo egli cadeva a terra tramortito, mentre la sua corazza si frantumava in più punti.

"Quale… devastante… velocità…" mormorò. "Dove hai trovato… tali risorse?"

"Nel profondo dell’animo e sei stato tu a risvegliarle."

"Più rapido… di un lampo… nella tempesta… più forte di un’onda… che travolge…"

"E non hai visto ancora nulla, Valentine. Ora tocca a Minosse!" sentenziò duro Alcmene congedandosi da lui. In realtà Valentine non vide più nulla perché la sua esistenza terminò in quel preciso istante, dopo aver provato la furia devastante del Toro. Cosa della quale, in fondo, si sentì onorato, avendo compreso a pieno la fierezza e la forza dell’avversario.

Minosse intanto aveva lasciato Archelao ad agonizzare, tanto la sua fine era questione di poco, e si stava dirigendo verso Pegasios, Elettra e Metoneo, incerto su chi spedire per primo nel Tartaro a far compagnia ai compagni già caduti. Fu in quel frangente che in pochi istanti vide cadere Valentine e subito dopo avanzare verso di lui Alcmene.

"Minosse! Preparati a fare la stessa fine di Valentine!"

Una smorfia comparve sul volto del Giudice infernale. "Cosa pensi di riuscire a fare?"

"Rispedirti nelle tenebra dalla quale sei uscito. Adesso!"

"Tu non sai quello che dici, stolto! Nessuno di voi custodi dorati può sconfiggere uno dei Giudici degli inferi, avversari ben al di là della vostra portata. Guarda, guarda il tuo amico Archelao, perché così sarai ridotto a breve e insieme approderete sulle grigie sponde dell’Acheronte."

Alcmene vide Archelao, a terra, e in lui orrore e rabbia avvamparono insieme. "Sarai tu a presentarti al traghettatore, ma dubito che ti riconoscerà quando avrò finito con te!"

"Patetico, le tue parole sono vuote, frutto della disperazione, la tua mente è sconvolta e non sai quel che dici." Aprì le braccia accumulando il suo cosmo, che fece scintillare di riflessi violacei la lucida e nera corazza. "Addio Alcmene, raggiungi i tuoi compagni caduti. Tuono di Minosse!"

L’aura che si sprigionò strappò letteralmente dal suolo le pietre del piazzale e un globo di pura energia si diresse verso il cavaliere del Toro, che, però, non era stato a guardare inerme e, anzi, aveva assunto una nuova posizione d’attacco, mentre alle sue spalle un ammasso stellare si accendeva fino a rischiarare il buio della notte. "Corona delle Pleiadi!"

Fu come se due pareti rocciose si scontrassero a mezz’aria, pietre e detriti volarono ovunque mentre i due colpi energetici, carichi di cosmo vitale, crepitavano e mugghiavano, l’uno contro l’altro, in uno sfrigolio di luci e scintille. Poi, d’improvviso, le Pleiadi soverchiarono il Tuono e passarono oltre investendo l’avversario. Minosse stentava a credere a quanto vedevano i suoi occhi. Fu investito e sentì la corazza incrinarsi sotto il peso di tale formidabile attacco. Il Giudice fu sradicato da terra e proiettato lontano, turbinando, sparì lontano all’orizzonte, avvolto di luce dorata. Alcmene, tuttavia, non si curò di vederlo solcare le vie del cielo. Raccolse le sue energie residue e, ansimando, volse la sua attenzione ad Archelao, agonizzante poco lontano.

***

Doveva essere quasi l’alba e il profilo dei monti che scendevano al mare avrebbe dovuto farsi via via più nitido. L’oscurità invece era persistente e pure le stelle sembravano essere state velate. Da quante ore stava correndo? Gli sembrava trascorsa un’eternità da quando si era separato dai compagni e quella notte pareva non avere mai fine. La campagna attorno a lui era avvolta in uno strano silenzio, alberi e arbusti si elevavano come muti simulacri proiettando ombre più buie della notte. Solo a tratti, di tanto in tanto, spezzavano il silenzio belati di pecore sparse sui pendii, guaiti convulsi di cani e gracchiare di cornacchie appollaiate su qualche ramo. Un gallo, di tanto in tanto, cantava inutilmente. Poi il silenzio tornava a sovrastare ogni cosa. Guardò in direzione del mare dove gli pareva di vedere il cielo un po’ più chiaro ma non sapeva se era veramente così o se era soltanto una sua impressione.

D’un tratto si trovò su una strada lastricata e distinse nella notte il profilo di luoghi ben noti.

"Ci siamo", pensò.

Si girò a guardare nella direzione da cui era venuto e gli parve che là la notte fosse ancora più buia. Era assurdo, dato che stava guardando ad est. Fece per riprendere la corsa quando avvertì una presenza. Alzò la guardia e si preparò ad attaccare. Chi si avvicinava sembrava non avere cosmo, oppure sapeva tenerlo ben celato. Nel dubbio bisognava essere cauti.

"Plistene, cavaliere di Virgo, dove ti portano i sentieri della notte?"

"Maestro, Voi qui?" esclamò riconoscendo Kyriakos. "Pensavo foste tornato al Santuario."

Kyriakos si avvicinò e la sua espressione era cupa. "Credevo fossi diretto pure tu là, ma è evidente che hai percepito quello che ho percepito io provenire dal Santuario della dea delle messi. Non è forse così?"

"Non Vi sbagliate, maestro."

In breve si scambiarono informazioni relativamente alle proprie missioni e Plistene apprese come era caduto Pelopida, mentre Kyriakos rifletteva su quanto gli raccontava l’allievo circa il misterioso guerriero che avevano intravisto sull’isola di Limnos.

"Portava qualcosa con se, questo è certo."rifletteva l’allievo.

"Un dono per il suo signore, non credi?" Plistene annuì. "Allora le nostre peregrinazioni forse non sono state del tutto inutili, solo dobbiamo capire cose lega tra loro quei luoghi e perché vi abbiamo avvertito quell’aura maligna. Se solo avessimo notizie di Archita e Anassilao…"

"Maestro, non credete anche voi che forse la chiave del mistero sia proprio nel luogo verso cui siamo diretti?"

"Siamo diretti? Oh no, verso cui io sono diretto, mio devoto Plistene!" fece severo Kyriakos "C’è bisogno di te al Santuario e subito! Sta accadendo qualcosa di terribile e il maggior numero possibile di noi si deve recare là al più presto."

"Perdonate, ma io credo che…"

"Ragazzo" disse con una vena di mestizia nella voce "non hai forse sentito il cosmo vitale di tanti amici indebolirsi e spegnersi?"

Il profilo sottile di Plistene fu alterato da una smorfia di insoddisfazione, cosa che raramente gli capitava. "Credete che per me sia stata una decisione facile?" Stava stringendo i pugni con forza, quantunque ora la sua espressione fosse tornata imperturbabile o quasi. "Avrei voluto correre anch’io a dare manforte agli altri, però sentivo il dovere di venire qui, dal momento che credo che sia proprio nel luogo dove siete diretto anche voi che qualcosa di importante e decisivo potrebbe presto avvenire. Se avete avuto la stessa percezione e vi siete precipitato qui deve essere perché avete avvertito una minaccia da non sottovalutare e forse è un bene che non la affrontiate da solo. Al Santuario i nostri compagni sono stati quasi sopraffatti perché erano rimasti in pochi, come potete chiedermi di lasciarvi andare solo incontro al pericolo?"

Kyriakos si avvicinò al ragazzo, gli pose le mani sui coprispalla e guardandolo disse: "Vedo che i passati insegnamenti e l’esempio dei cavalieri antichi in te sono ben germogliati e hanno dato frutto. Acconsento alla tua richiesta di accompagnarmi. Prima però dimmi di Lisandro e Callimaco."

"Sono diretti ad Atene, anzi sono certo che sono già giunti a destinazione."

"E così sarà stato pure per Pisandro. Sì, sono convinto che essi sapranno tenere lontani i pericoli per tutto il tempo che sarà necessario. Non lo pensi anche tu?"

"Siete stato Voi ad insegnarmi che bisogna riporre la massima fiducia nelle capacità e nei mezzi dei nostri compagni d’armi. Sono certo che saranno all’altezza."

Kyriakos annuì. Plistene parlò a bassa voce, quasi esitando e osò chiedere: "Maestro, tra i cosmi che si sono oscurati avete percepito pure voi quelli…" Ma subito il cavaliere del Cancro lo zittì con un gesto. "Non poniamoci troppe domande senza prima conoscere i fatti e non disperiamo prima del tempo. Coraggio, abbiamo una missione da portare a termine!"

***

Lo spiazzo antistante il Tempio dell’Ariete era ingombro di cadaveri e corazze in frantumi. Qua e là si aprivano fenditure nel terreno e piccoli crateri, alcune pietre pavimentali erano state sbriciolate, altre, lordate di sangue e detriti, erano spari un po’ ovunque. La battaglia doveva essere stata dura e, anche se tra i caduti ve n'erano molti che indossavano corazze scure con fattezze di demoni, ciò non voleva dire che pure i difensori del Santuario non avessero subito delle perdite. Il presentimento si fece certezza quando, avanzando, il giovane riconobbe i frammenti insanguinati dell’armatura della Coppa ed ebbe un sussulto. Poco oltre giaceva riverso Dimione di Cerbero. Un senso di orrore lo invase. Si sforzò di avanzare, dove intuiva esservi bisogno di lui ma a pochi passi dal tempio i suoi occhi distinsero un altro volto noto, seppur straziato del dolore: Miklos dell’Unicorno giaceva a terra in una posa innaturale. Troppo tardi. Era arrivato troppo tardi. Il cuore pareva esplodergli nel petto quand’ecco che vide steso a terra, non lontano dall’ingresso del tempio, pure Alcmene del Toro. Stava per cedere alla disperazione quando una voce lo fece sobbalzare.

"Callimaco… sei veramente tu…"

Si precipitò avanti e si chinò sul cavaliere del Toro, cercando di farlo stare seduto. Appariva stravolto e spossato. "Cos’è accaduto Alcmene? Dove sono quei maledetti?"

Il compagno rispose con un sorriso affaticato: "Per un po’ non ci daranno fastidio… Ho respinto Minosse… il loro comandante che…" In quel mentre fu scosso da un brivido. "Callimaco! Archelao, Pegasios, Metoneo… dove sono? Ed Elettra, come sta Elettra?"

Il cavaliere del Capricorno si alzò in piedi e si guardò attorno. Ecco poco più in là Metoneo, che stringeva a sé Elettra, come a volerla proteggere. Erano vivi. Si sentì sollevato. In quella udì dei passi incerti e in breve si trovò di fronte Pegasios.

"Cavaliere, aiutaci…" barcollò muovendosi verso di lui e dovette sorreggerlo perché non cadesse.

"Pegasios, stai tranquillo. Sembra che il pericolo, per ora, sia passato." Ma a quale prezzo, meditava rabbiosamente dentro di sé.

Il ragazzo rispose con una nota di amarezza nella voce: "Non lo so, avverto ancora una presenza maligna…" E infatti Callimaco distinse chiaramente un cosmo oscuro all’opera poco lontano.

"E’ Kanagos." disse Alcmene alzandosi. "Pisandro lo sta affrontando, o almeno credo."

Callimaco si sentì un po’ rinfrancato nell’apprendere che anche il cavaliere del Leone era già tornato ad Atene e stava per correre a dargli manforte quando i suoi occhi si posarono su qualcuno che giaceva riverso ai piedi di una colonna.

"Archelao no!!!" gridò correndo verso l’amico che giaceva in una pozza di sangue. "Per gli Dei, dì qualcosa, amico mio!" disse constatando che le ferite erano ampie e gravi.

Solo un mormorio uscì dalle labbra di Archelao: "Sono contento di rivederti… Callimaco… e vedo che anche Pegasios… sta bene" Il ragazzo si avvicinò.

"Archelao, vedrai che ti riprenderai." disse Pegasios con trasporto ma calde lacrime gli sgorgavano dagli occhi.

"Non sarà così temo… il mio corpo è spezzato… già mi pare di intravedere le rive dell’Acheronte…"

"Non dire sciocchezze!" urlò Callimaco fuori di sé. "Troveremo Atena, e il mio maestro, e ti salveranno, ne sono certo."

Archelao abbozzò un sorriso, l’ultimo. "Saluta per me… il mio maestro… e prenditi cura di Pegasios…"

"Che dici Archelao? No!" urlò Pegasios picchiando i pugni per terra dalla rabbia.

"Addio, amici miei… è stato un piacere combattere al vostro fianco… è stato un piacere crescere e diventare uomini… diventare cavalieri di Atena… assieme." Detto questo la sua voce si spense.

Callimaco strinse a sé l’amico piangendo sommessamente, mentre Pegasios teneva la mano del compagno di addestramento continuando a singhiozzare. Alla mente di Callimaco si affacciarono i ricordi di quel ragazzino che aveva incontrato anni prima al Santuario, i momenti di svago dopo gli allenamenti coi rispettivi maestri, il giorno in cui Archelao aveva disertato le lezioni per vederlo superare la prova finale. Non aveva avuto altri che gli fossero amici come lui, nemmeno Plistene, con il quale aveva sì condiviso la sua prima vera missione, ma non tutto il percorso, invero duro, che lo aveva fatto diventare quello che era. Pegasios pensava alla parole di stima che il compagno aveva sempre avuto per lui, a come lo aveva sostenuto anche dopo essere diventato un cavaliere d’Oro, elargendogli quella fiducia che raramente chi ha ottenuto alti traguardi riserva a chi sta ancora percorrendo faticosamente il proprio cammino verso mete all’apparenza più modeste.

Alcmene restò in piedi, in disparte, colmo di amarezza. Rivolse un pensiero a Pisandro, impegnato in quello stesso istante in una dura lotta. "Non commettere imprudenze, amico." pensò "Abbiamo già avuto troppi lutti oggi, non possiamo perdere pure te..."

***

Le grandi ali nere si aprirono ancora una volta. Un nuovo attacco era imminente. Le colonne e il frontone del terzo tempio, quello dei Gemelli, si illuminarono, e le ombre fugaci parvero dar vita alle figure che campeggiavano sulle metope. Pochi passi leggeri e l’uomo sembrò spiccare il volo.

"Ebbene, Pisandro del Leone, vile codardo, più non sfuggirai alla Fenice del Nilo! Sorge un sole nero su di te e inesorabile tramonta la sua vita! Corona Infuocata!"

Ratte le nere fiamme sprizzarono dalle braccia dello Spettro e si diressero verso Pisandro. Il paladino notò che la loro velocità stava via via crescendo ed evitarle si faceva sempre più complicato. Il loro raggio d’azione era inoltre molto ampio e infatti pure quella volta fu in parte investito. L’armatura del Leone faceva il suo dovere, certo, però il calore di quel colpo penetrava fin sulla pelle. Aveva fatto bene, meditava, ad allontanarsi dal primo tempio. Kanagos era un avversario insidioso, che poteva mettere in pericolo pure i suoi compagni mentre cercava di colpire lui, e questo era assolutamente da evitare per non dare troppo vantaggio agli avversari.

"Quanto speri di resistere ancora?"

"Faresti bene a stare in guardia" replicò Pisandro "che poi non sia tu quello costretto a fuggire."

"Quali sciocchezze vai dicendo, codardo! Sei tu quello che si è ritirato fin quassù mi pare. Sappi però che poco oltre ti potrai spingere poiché il cosmo del divino Ade pervaderà presto tutti i 12 Templi dello Zodiaco e allora entrarvi per voi sarà pressoché impossibile. Sareste subito individuati e il Sommo vi colpirebbe senza esitazione."

"E’ da vedere se sarà davvero così." disse risoluto "Sappi però che io non sono affatto fuggito da te, ti ho semplicemente allontanato da quella feccia che hai soccorso, per evitare che i tuoi colpi potessero nuocere ai miei compagni di battaglia."

Kanagos rise sguaiatamente: "Generoso e astuto sul campo di battaglia! Chissà però che coloro che tu chiami feccia non abbiano già abbattuto i tuoi compagni!"

"Bada, Kanagos!"

"A che cosa? I tuoi colpi, a quanto ho potuto provare, sono ben poca cosa." Tese i sensi per un attimo e aggiunse. "Ecco, non avverti pure tu un cosmo d’oro indebolirsi?"

Pisandro, messo sull’avviso, lo percepì. Archelao era in grave pericolo. "Bene, facciamola finita allora! Per il Sacro Leo!" Un reticolo di fulmini dorati si dipanò dal suo pugno e sembrò avvolgere l’avversario. Quasi con noncuranza questi li deviò con rapidi movimenti del braccio.

"Avrei pure potuto evitare di parare questi colpi. Sono di un fuoco che assolutamente non nuoce a chi, come me, padroneggia ben altri poteri, legati al sacro sole di Ra!

"Come osi?" disse rabbioso Pisandro.

"Oso perché è la verità! Chi ti ha insegnato a combattere dovrebbe averti spiegato che innumerevoli sono le tecniche legate al potere del fuoco. Certamente quelle che hai appreso sono ben poca cosa."

"Non ti permetto di mettere in dubbio le capacità del mio maestro e tantomeno dei suoi insegnamenti! Prova a fermare quest’attacco. Per il Sacro Leo."

Questa volta Kanagos evitò il colpo librandosi in volo e, dall’alto, così si rivolse al suo avversario. "Ora ti mostrerò cosa può fare il sacro fuoco di Ra, simile al calore del deserto che si sviluppa quando il sole, dopo essere sorto oltre l’orizzonte, comincia a scaldare sempre più la terra e a rendere l’aria stessa irrespirabile. Corona Infuocata!"

Pisandro non poté evitare il colpo, di gran lunga più veloce di quello precedente. Cercò di proteggersi facendosi scudo con le braccia ma avvertì su di sé il calore del fuoco e gli parve che gli arti bruciassero sotto l’armatura. Quando l’attacco fu terminato cadde sulle ginocchia in preda a spasmi di dolore e si avvide con orrore che le sue dita erano annerite, il suo volto era in fiamme e pure alcune ciocche dei suoi capelli erano bruciate. Se non avesse indossato l’elmo sarebbe sicuramente morto.

La voce di Kanagos si levò alta sopra il suo dolore: "Non lo vedi che è già finita? Voglio tuttavia essere magnanimo. Se non opporrai difese ti darò una morte rapida e indolore invece di arderti poco a poco."

Il cavaliere del Leone però si era già alzato, seppur barcollando, e lo guardava fiero. "Dici che il fuoco del mio cosmo non è abbastanza potente? Ebbene, ti ricrederai! Per il Sacro Leo!"

"Ancora ti ostini ad usare quel colpo inefficace? Questi fulmini non hanno effetto, te l’ho già detto." disse Kanagos cercando di pararli con un braccio, ma si rese subito conto che la loro velocità era aumentata. Cresce in potenza e velocità, come capita al mio colpo, pensò esterrefatto. Alcune saette elusero le sue difese e per la prima volta incassò alcuni colpi, indietreggiando leggermente.

Decise dunque di provocarlo, al fine di distrarlo: "Devo riconoscerlo, sei un codardo molto in gamba, forse più di quanto avessi pensato! Peccato che io abbia in serbo per te un’amara sorpresa. Sappi dunque che, nelle terre dei Faraoni, uno dei supplizi che viene inflitto a chi si macchia dei reati più gravi, come mancare di rispetto al sovrano o compiere atti che vadano contro la volontà di Ra, consiste nel subire il castigo del Sole. Il Sole, fonte di vita e calore, può dare al tempo stesso la morte. Vengono legati a terra privi degli abiti gli sventurati che hanno ardito opporsi al volere divino, con braccia e gambe ben distese, così che il Sole lì colpisca in ogni angolo del loro corpo impuro. Privi di protezione e senza la possibilità di bere scontano sulla loro pelle il giudizio di Ra finché non impazziscono e muoiono arsi dei divini raggi."

"Sei un pazzo, Kanagos! Cosa vai vaneggiando?"

"Taci, greco! Dovresti avere più rispetto per le divinità che dimorano sulle sonde del Nilo e per chi tra loro è cresciuto, come me, ad esempio, e il mio compagno Apofis, che dovresti conoscere bene."

A quel nome Pisandro sussultò.

"Ora basta con le parole, preparati al colpo che non concede scampo." Una croce di fiamme vermiglie rischiarò la notte di Atene splendendo alta sopra la testa di Kanagos. "Croce di Fuoco!" Ecco che, rapida com’era apparsa, la croce infuocata si proiettò in avanti e investì il paladino di Atena, avvolgendolo. Pisandro urlò, ma nessun suono si levò tra le fiamme crepitanti. Sentì la pelle scottare, poi avverti l’odore acre della carne e dei capelli che bruciavano mentre il respiro gli veniva meno col salire della temperatura. Pochi istanti ancora e sarebbe finita. Pochi momenti ancora e avrebbe rivisto il maestro, che lo aveva preceduto oltre le rive dell’Acheronte.

Kanagos ammirava soddisfatto quel rogo con un sorriso obliquo. Ora non gli restava che tornare a dar manforte a Minosse e finire il lavoro. Uno dei cavalieri d’Oro si stava già spegnendo e a momenti un altro lo avrebbe raggiunto. Si diresse verso la scalinata quando un’esplosione di luce lo costrinse a girarsi, incredulo. La croce di fuoco era stata spazzata via e dissolta da quel bagliore accecante. Quando poté di nuovo vedere Pisandro era là, in piedi, malfermo certo e con l’armatura fumante, ma vivo.

"No, è assurdo!" gridò rabbioso Kanagos.

Pisandro avanzò, stringendo i denti, gli occhi ardenti di vita in mezzo al volto, in gran parte arrossato dalle ustioni, e ai capelli bruciacchiati. "Kanagos, il mio fuoco forse non è pari al tuo, è vero. Forse il mio maestro non mi poteva insegnare a padroneggiare a fondo tecniche d’attacco ad esso legato, dal momento che egli era esperto nell’uso di ben altri elementi. Eppure, questa, che potrebbe sembrare la causa della mia rovina, si è rivelata invece la mia salvezza. Pelopida, Cavaliere dei Pesci, presciedeva alle tecniche legate all’acqua e, all’inizio del mio addestramento, me le ha insegnate. Capisci cosa vuol dire questo? Con il potere del Vortice dell’Egeo ho estinto la Croce Infuocata!"

"Che tu sia maledetto, tutto ciò è pazzesco!" disse aspro il nemico, ma subito riprese il controllo di sé. "D’accordo, hai evitato la morte questa volta, ma a poco ti servirà. Sei spossato e non puoi essere in grado di padroneggiare a pieno i colpi del tuo maestro." Sollevò le braccia di scatto. "Non resisterai ad una seconda Croce Infuocata!"

"Kanagos, è naturale che io non possa essere pari al nobile Pelopida quando uso le tecniche dell’acqua. Tuttavia, il suo insegnamento aveva come punto forte proprio la versatilità e la possibilità di miglioramento. Egli, che, per sua natura, non poteva eccellere nelle tecniche del fuoco, mi ha insegnato ad essere ricettivo alle esperienze e a non precludermi possibilità che fossero basate anche su elementi a prima vista estranei alla costellazione cui appartengo. Ha tracciato dinanzi a me la via, mostrandomi come progredire col tempo. E ora, grazie a lui, ho trovato il modo di sfruttare a fondo le mie potenzialità, adattandole anche a questa situazione estrema. Nella fatica dell’esercizio quotidiano, nella ricerca metodica, un guerriero trova la strada che lo condurrà al successo."

"Patetico. Ti reggi a stento in piedi." disse freddo Kanagos preparandosi all’attacco decisivo. "Croce Infuocata!"

Pisandro raccolse tutte le sue forze e caricò rapidamente un colpo, sferrando inaspettatamente un pugno a terra. "Tempesta di Fulmini!"

Subito dal terreno scaturirono centinaia di fulmini, che mulinarono attorno al servitore di Ade, avvolgendolo e colpendolo dal basso, mentre altri sfrigolavano attorno alla croce di fuoco, rallentandola quanto basta da permettere a Pisandro di evitarla. Kanagos provò a sfuggire all’attacco dispiegando le ali della sua armatura, ma questo lo espose ulteriormente alla furia dei fulmini, facendolo cadere rovinosamente a terra.

Pisandro non si illuse di aver già vinto e così parlò al suo avversario: "Ascolta, il prossimo assalto sarà quello decisivo! Non tirare indietro il tuo pugno e non esitare perché altrimenti non ci sarà scampo per te!"

Kanagos si rimise in piedi, barcollando. Guardò il suo avversario e si chiese se il dolore per le ustioni non lo avesse reso pazzo. "La ragione ti abbandona, Pisandro del Leone." replicò piccato. "Potresti anche vincere, lo riconosco, se non fosse che ho ancora un colpo in serbo per te, una tecnica che non lascia scampo a chi abbia la sventura di subirla."

"Mi pare tu dicessi lo stesso della Croce Infuocata…" fu la beffarda risposta.

Kanagos lo guardò di sbieco: "Cerchi di distrarmi provocandomi. Sappi che con me simili trucchi non hanno effetto. Preparati a subire il potere del Sole Nero, al cospetto del quale la Croce Infuocata non è che una fresca brezza di primavera!"

Pisandro si mise in posizione di difesa: "Dovrai lanciarlo alla massima potenza, ma dubito che sarai in grado di farlo. La Tempesta di Fulmini ha fiaccato anche te."

"Per sconfiggerti basterà comunque. Questa tecnica arde il corpo di chi la subisce dall’interno. Le tue carni saranno riarse e il sangue evaporerà in pochi istanti." In quella un astro oscuro apparve alle sue spalle. "Addio Pisandro! Sole Nero, ardi!!!"

La luce di tenebra balenò verso di lui e con essa il suo mortifero calore distruttivo. Pisandro, tuttavia, non aspettava altro. Caricò un destro colmo del proprio cosmo. Il Leone ruggì in lui e il suo colpo fu altrettanto devastante: "Zanne del Leone, colpite nel segno!"

Quello che Kanagos percepì fu un dolore rapido, come una stilettata. Guardò davanti a sé, dove Pisandro non c’era. Credette di aver vinto, poi avvertì di nuovo quel dolore. Due fori circolari apparvero sul pettorale della sua armatura e il sangue cominciò a sgorgare copioso. Incredulo si guardò attorno, con la folle speranza di aver annientato il nemico e di avere il tempo per riprendersi prima di un eventuale nuovo attacco. Poco dopo vacillò e cadde a terra, agonizzante. No, si disse, Pisandro non poteva essere sopravvissuto, il Sole Nero lo aveva annientato subito dopo esser riuscito a colpirlo, ultimo atto prima della fine.

E invece, barcollando, Pisandro si mostrò e gli si avvicinò. Lo guardò con mesta soddisfazione. "Sei stato un duro avversario. A stento sono riuscito a prevalere, infatti ora sono allo stremo delle forze."

Kanagos, aprì gli occhi e lo vide giganteggiare su di sé. Avrebbe voluto replicare con dure parole, maledirlo, ma a quel punto fu conscio che poco gli restava e si limitò a chiedere: "Come è accaduto?"

"Il tuo colpo mi avrebbe ucciso certamente, se solo mi avesse centrato. Ne ho avvertito il devastante potere. Purtroppo per te hai commesso un errore. Restando immobile per dar massima potenza al Sole Nero non hai potuto evitare le Zanne del Leone, un colpo che concentra l’energia del mio cosmo in soli due punti, e che non avevi ancora visto."

"Ma nemmeno tu avevi visto il mio colpo…"

"Ma avevo già visto gli altri, e più volte. La Corona Infuocata agiva ad ampio raggio e la sua efficacia era maggiore in quel senso. La Croce Infuocata, invece, concentrava la tua energia in uno spazio ristretto, ma era ben più potente della prima. Ho capito che la tua tecnica suprema doveva concentrare al massimo il calore del tuo cosmo, sacrificando probabilmente il raggio d’azione del colpo stesso." Kanagos era stupefatto nell’udire quelle parole. Pisandro continuò: "Tu stesso mi hai detto che i tuoi colpi sono simili al calore del deserto che si sviluppa quando il sole, dopo essere sorto oltre l’orizzonte, comincia a scaldare sempre più la Terra. Ebbene, per quanto il Sole possa scaldare e persino ardere la Terra, prima o poi dovrà declinare oltre l’orizzonte e, nel suo tramonto, la forza via via verrà meno, fino ad una nuova alba. Lieto di essere stato colui che ti ha condotto rapido al tramonto. Orgoglioso di aver evitato nel contempo il tuo attacco finale."

Kanagos chiuse gli occhi. Era stato vinto da un grande ed ardimentoso guerriero, pensò, e ciò attenuò in parte il suo risentimento. Peccato che a lui non fosse stata concessa, come ad altri, una seconda possibilità. Se solo fosse stato meno orgoglioso o forse solo meno ligio ai dettami del sommo Ade… No, non era più tempo di rimpianti. Aveva agito in modo leale, aveva onorato la fedeltà al suo signore. Poco prima di spirare volle, tuttavia, parlare un ultima volta a Pisandro.

"Tu, cavaliere del Leone, hai condotto me al tramonto… Ma il sommo Ade… il mio signore… negherà a voi tutti una nuova alba."