Capitolo 54: L’Essere più forte
"Sigillare il mio cosmo?", ripeté, con un tono fra lo sconcertato ed il dubbioso, Tifone, l’Essere Mitologico, colui che ora aveva dinanzi a se tre divinità pellerossa ormai sconfitte, ma che, all’ultimo, parevano aver preso la loro rivalsa sull’inarrestabile nemico.
"Sì, Bestia Immonda, nel mio ultimo attacco non ho tentato di abbatterti, poiché già m’era palese come la forza del cosmo che da te prorompe fosse superiore alla mia, ma, ho deciso di lasciare a quest’uomo, prode cavaliere di Atena, ed ai suoi compagni, il diritto dell’ultima battaglia. Il mondo è degli uomini ed agli uomini spetta difenderlo, noi divinità possiamo solo indicargli la via." , spiegò con la voce affannata Waboose, il Bisonte Bianco, sovrano delle divinità Hayoka.
L’iniziale sconcerto ben presto abbandonò il viso di Tifone, che, sentite quelle parole, scoppiò in una grassa risata divertita, "Cosa trovi di ironico nelle sue parole, Mostro?", tuonò allora Golia del Toro, Sommo Sacerdote di Atene, unico umano in quella gigantesca sala di pietra.
"Vedi, piccolo uomo, trovo divertente come questa divinità abbia voluto indorarti la pillola, quando, semplicemente, come ogni divinità, il suo fine era quello di starsene in disparte, lasciando ad altri il più della fatica e l’ardua impresa. Non lui mi sfida, anzi, con questa sua ultima azione ha voluto palesare la propria inferiorità, però, lascia a te, che sei un mortale, il compito di vincermi. Quale che sia la parte del mondo da cui provengono, ai miei occhi la natura delle divinità è tanto vile quanto ironica, non posso fare a meno di ridere della loro falsa bontà." , osservò, con un tono che cambiava costantemente, dal divertito al disgustato, l’Essere Mitologico.
"La tua idea delle divinità è dettata dal tuo odio per le stesse, ma sappi che le azioni del divino Waboose erano mirate a dare a questi uomini, capaci di abbattere i Quattro Cavalieri, la possibilità di affrontarti alla pari; fin dall’inizio il fine di noi, divinità Hayoka, era solo quello di ridurre ad un decimo il cosmo con cui li avresti affrontato. ", spiegò allora Shandowse, il Coyote d’Argento, senza riuscire però a risollevarsi in piedi.
"Dunque, finora, avete solo saggiato le mie capacità al fine di ridurle? Ebbene, se ciò che dite è vero, sappiate che non avevo a voi mostrato nemmeno un decimo della mia vera potenza, ma, giacché ora tutto il mio potere sarà ridotto alla decima parte del massimo di cui sarei capace, ebbene, non limiterò più il mio pugno e questo misero uomo, portato dalla sua vana fede a sfidarmi, avrà modo di perdersi contro Tifone!", tuonò l’Essere Mitologico, mentre il cosmo che sprigionava pareva avvolgere l’intero Etna, producendo sismi e sussulti di puro terrore nella roccia stessa.
"Quale potenza!", poté appena commentare Golia del Toro, prima che, in uno scatto oltre il credibile, il suo nemico gli fosse addosso, colpendolo con un violento diretto allo stomaco.
Il Sommo Sacerdote di Atene fu scagliato indietro di diversi metri, ma, la cosa che più lo sconvolse fu la leggera crepa che segnò l’armatura d’oro del Toro.
"Ora, omuncolo, le possibilità sono due: o quelle divinità sono ben più incompetenti di quanto m’aspetto da chi si fa venerare dagli uomini, oppure tu sei ben più scarso di quanto potessi mai immaginare, se una carezza come quella è riuscita a danneggiare persino quelle vestigia dorate." , osservò il Mostro Mitologico, che nuovamente camminava con passo calmo verso il proprio avversario, mentre un’altra volta la sua voce sembrava divertita nel rivolgersi a Golia.
"Davvero hai contribuito alla sconfitta dei Cavalieri della Fine, generati dal Caos, oppure è solo una vanagloria che ben s’unisce al tuo titolo di Sommo Sacerdote?", aggiunse, trovandosi ormai a meno di due passi dal nemico, che ancora faticava a rialzarsi.
"Altri miei compagni hanno sacrificato le loro vite in quella battaglia, ma io quest’oggi non sarò da meno!", tuonò allora il Cavaliere del Toro, mentre il cosmo dorato esplodeva in un’ondata d’energia, che trovò impreparato Tifone, costringendolo ad un balzo all’indietro, al fine di non essere investito dalla veemenza di quell’attacco.
"Su questo, mortale, siamo d’accordo: tu oggi morirai, fra atroci sofferenze, seconde solo a quelle che infliggerò all’assassino della mia sposa; ma, al contrario di lui, tu morirai per ultimo, cadrai dopo aver visto tutti coloro che hai mandato ad uccidere la mia progenie massacrati, per mia stessa mano, cadrai con la consapevolezza che dopo di te, saranno gli dei il mio bersaglio e dopo l’intero mondo degli uomini, che renderò il pasto prelibato per me e gli esseri che richiamerò a questo piano dell’esistenza." , esclamò con tono serio il Mostro Mitologico.
"Il caos è ciò che vuoi, quindi?", domandò ancora il Santo d’Oro, ora in piedi, "Non il Caos, non ho interesse alcuno nella distruzione fine a se stessa. No, la Vendetta, che si concluderà non appena avrò pasteggiato con le carni di Zeus, lo sterminio del debole genere umano e, infine, la nascita di una nuova era, un mondo guidato dalle creature Ancestrali e più potenti, le Creature della mia Stirpe!", esclamò con occhi carichi di soddisfazione l’Essere Mitico.
"Trovo ironico che, dopo tante parole sprecate a disprezzare le divinità, tu, mostro, voglia alla fine diventare come loro." , osservò allora il Cavaliere di Atena, che già espandeva il proprio cosmo, pronto alla lotta, "Non una divinità, questo mai, mi disgusta la sola idea. No, io sarò un patriarca, il Capo del Branco, per così dire, finché qualcun altro più forte di me non riuscirà a spodestarmi!", replicò Tifone, con un tono tanto calmo e ragionevole, da sembrare inverosimile.
"Basi il tuo metro di giudizio sulla forza?", incalzò Golia, "Il mondo si basa su tale metro di giudizio, come lo definisci tu, omuncolo. Proprio a causa di tale misura, oggi, si sancirà la morte delle schiere che ti sono fedeli, oltre che la tua." , tagliò corto il nemico.
"Mai ti lascerò uccidere i miei compagni d’arme!", tuonò allora il Custode della seconda Casa, mentre si scagliava contro il suo nemico.
"Bull’s run!", tuonò il santo d’oro, mentre scatenava la carica dorata di cui era da tempo immemore fautore, assaltando frontalmente il suo nemico, ma Tifone non dovette fare molto di più che sollevare le braccia, lasciando che il suo cosmo s’espandesse ed il terreno parve quasi rispondere a quel gesto di comando.
"Sollevati o terra, reagisci alle parole di chi ti smuove con un batter delle sue cento code, ascolta gli ordini del mio cosmo! Ascolta la voce di chi ti è figlio ed insieme dominatore, schiantati con furia contro i miei nemici, sibila nell’aere, Sibila Terra!", ordinò ancora una volta la Creatura ed ancora una volta il terreno si smosse, liberando quel geyser d’energia cosmica che subito si frappose fra il cavaliere d’Atena ed il suo nemico.
Già un sorriso beffardo si dipingeva sul viso del Mostro Mitologico, mentre l’energia eclissava alla sua vista l’immagine del nemico, ma, mentre rapidi gli occhi cercavano l’avversario catapultato indietro, questi oltrepassò, non privo di ferite, l’ondata prorompente dal suolo e si scagliò con incredibile violenza contro il corpo ricoperto da nere vestigia.
Fu stavolta Tifone a volar via, schiantandosi contro una parete che crollò al suolo, sotto la violenza di quell’impatto, ma non ci volle molto alla Bestia Ancestrale per rimettersi in piedi.
Colui che persino Zeus aveva faticato a sconfiggere, si toccò un labbro di quelle sue vesti mortali, e lo trovò macchiato del suo stesso sangue, che iniziò a rimirare, mentre lo stupore nei suoi occhi, lentamente, mutava in divertimento.
"Finalmente mi mostri una forza degna d’essere rispettata, piccolo uomo, ma ancora troppo poco e, soprattutto, ancora troppo legata al potere delle stelle… qualcosa che voi avete appreso come controllare, ma che, dal mio punto di vista, non vi appartiene, è sempre un dono delle vostre divinità." , esordì Tifone, lasciando sfiorire il rispetto verso Golia fino alla nota di disprezzo verso gli dei.
"Vedrò, allora, mostro, di darti un’altra forma di forza da affrontare, una più fisica." , sentenziò allora il Santo d’Oro, galvanizzato dal suo primo colpo andato a segno, malgrado le ferite riportate.
"Fatti avanti, non aspetto di più che un confronto, per sancire chi è l’Essere più Forte!", tuonò allora l’avversario ancestrale, incitandolo alla carica, un’incitazione che non tardò ad essere assecondata.
Un rapido gancio destro fu portato, lesto, contro il fianco dell’Essere Mitologico, che, con altrettanta solerzia, ruotò il suo busto, bloccando il pugno con il proprio avambraccio sinistro, ma, prima ancora che Tifone potesse apostrofare in qualsiasi modo il suo avversario, Golia portò in avanti il peso del proprio corpo, compiendo una rotazione nel senso inverso al precedente, cercando così un impatto con il pugno sinistro.
Ben più rapida fu però la risposta dell’Ancestrale creatura che, inarcando le gambe, strinse il braccio sinistro nemico con la propria mano destra, poco prima dell’impatto, e, sorridendo divertito, compì un movimento, tanto veloce, quanto violento, per proiettare all’indietro il proprio busto e l’intero corpo del nemico, con una violenza tale da far schiantare il capo del santo d’Oro al suolo e produrvi una ferita che, per quanto leggerà, segno con il sangue la fronte del Sommo Sacerdote.
Golia, però, malgrado la ferita, non si diede per vinto e, dalla posizione in cui si trovava, sferrò un violento calcio verso l’addome del nemico, il cui sorriso si mutò in una smorfia di disappunto, mentre abbandonava la presa sul Sommo Sacerdote, il quale, si rialzò prontamente, voltandosi verso il nemico e scattando ancora una volta all’attacco.
Fu con una spallata che, stavolta, il Cavaliere di Atena ingaggiò battaglia, colpendo in pieno petto un Tifone sorpreso da tanto ardore; quel primo attacco fece indietreggiare l’Ancestrale nemico, ma l’offensiva non era conclusa: prima un secco pugno al fianco sinistro, subito seguito da uno al destro, costrinsero l’avversario a troncare per alcuni attimi il suo sorriso, mentre, in un ruggito di furia, i pugni congiunti della Bestia Mitologica calavano, come un maglio d’ineluttabile potenza, contro la schiena di Golia, gettandolo al suolo.
Tifone, però, non fu così misericordioso da lasciar cadere a terra il suo nemico, bensì lo investì con un potente calcio al petto, scagliandolo indietro di diversi passi e costringendolo a sputare fiotti di sangue dalla bocca.
La carica del Mostro Mitologico, però, non ebbe tregua: con una rapidità incredibile per il suo massiccio corpo, Tifone cinse la gola del nemico con la propria mano sinistra, quindi, con una forza impareggiabile, sollevò il massiccio corpo di Golia di più di mezzo metro da terra, per poi gettarlo contro il muro alle sue spalle con violenza tale da schiantare la parete stessa.
Proprio quando pareva che il bene dei sensi stesse per abbandonare il santo d’oro, però, l’assalto avversario continuò: il Cavaliere del Toro, ormai, non sentiva più nemmeno i colpi, probabilmente dei feroci ganci al suo sterno, non capiva se ciò che stava bagnandosi del suo sangue fossero le vestigia, o se l’armatura lo avesse abbandonato da tempo, sotto la furia di quell’avversario, né da quanto stesse combattendo; tutta la certezza iniziale aveva ormai lasciato il posto al dolore del suo corpo, ma, proprio quando sembrava che quella furia non avesse controllo e stesse per spezzare via la vita dal Santo d’Oro, la mano sinistra di Tifone si cinse a bloccare la bocca di Golia.
Il palmo spingeva sul mento, mentre le dita graffiavano la pelle e costringevano le palpebre ad aprirsi sotto la forza di quella presa, "Ti avevo promesso sofferenza, insulso uomo, e non sia mai che non mantenga la parola data. Mi hai fatto divertire per alcuni minuti, ma ora il tempo dei giochi deve giungere a termine, così come la tua percezione della profondità." , concluse, con un sorriso tanto innocente da sembrare terrificante, la Bestia, mentre il pollice destro andava ad affondare nell’occhio sinistro del Sommo Sacerdote.
Nessun urlo proruppe dalla voce del Cavaliere d’Oro, forse per forza di volontà, forse per la perdita dei sensi subito successiva, ma, un’altra voce partì in un’esclamazione nello stesso momento, una voce di donna, quella di Botan di Cancer.
"Sommo Sacerdote!", fu quella parola a far distrattamente girare Tifone, che, lasciato andare il suo nemico, si succhiò il pollice sporco di sangue, con un sorriso terrorizzante, per quanta soddisfazione lasciava trasparire, prima di accennare un unico commento: "Ecco chi merita la morte prima."
Incurante di quanti fossero i suoi nemici, quell’individuo non parve niente di più di un mostro agli occhi dei nuovi giunti, un mostro folle che aprì con noncuranza la mano destra, rivolgendola verso i nemici, "Fulmini, servi di Zeus mio nemico, vi invoco al sodalizio che vi unisce alla Tempesta mia serva, vi richiamo a seguirmi in battaglia, scatenatevi, come ruggiti delle mie cento bocche di serpente! Ruggite Saette!", esclamò quell’essere e, come in mezzo ad una terribile tempesta, centinaia di scariche elettriche si liberarono contro il gruppo di cavalieri.
"Attenti!", ebbe appena il tempo di urlare Shiqo della Lontra, mentre già le scariche si liberavano, investendoli tutti quanti.
Le divinità pellerossa osservavano, stremate e sconfitte, l’evolversi di quella che sembrava una battaglia a senso unico, ma, proprio quando si attendevano un nuovo commento sprezzante da parte del nemico, questo non giunse, anzi, Tifone alzò il capo verso la cupola di pietra: "Mi sarei preoccupato, se quel semplice attacco fosse stato sufficiente a vincermi; sarebbe stata un’ignominia per i miei figli." , concluse, mentre già alle sue spalle due emanazioni cosmiche si palesavano: Botan di Cancer ed Ash del Corvo.
Entrambi i guerrieri avevano evitato l’attacco fulminante di Tifone sfruttando il loro relativo legame con il Varco per l’Ade; grazie a tali abilità, i due si ritrovarono al di sopra del nemico, pronti a sferrare un attacco coordinato contro questi: "Dark Feathers!", esclamò l’Hayoka, "Cancer’s Light!", gli fece eco la Sacerdotessa d’oro.
Il cosmo del mitologico nemico, però, proprio in quel momento esplose, producendo una violenta corrente d’aria ascensionale, che scagliò, in due diverse direzioni, la coppia di guerrieri, mentre anche le nere piume del Corvo andavano perdendosi sotto la potenza di quell’emanazione cosmica.
Ben più triste sorte toccò al colpo della Sacerdotessa di Cancer, che fu spento da un’ondata di fiero vento emanata dal pugno destro di Tifone, il quale, però, non rimase fermo, anzi, si gettò lesto proprio contro Botan, che, incapace di muoversi in balia del vento, subì in pieno addome un violento gancio sinistro; "Sei stata abile nel vincere la Sfinge, ma ciò non ti salverà, poiché non ho la tua stessa misericordia per voi ammassi di carne." , avvisò semplicemente la Bestia, mentre la corrente d’aria scagliava la guerriera contro la parete rocciosa alle sue spalle, frantumando la zona addominale dell’armatura d’oro.
L’Essere Mitologico, però, non si fermò: anzi, fu subito sopra Ash del Corvo, che era già caduto al suolo, schiacciando con il piede la sua mano destra, poi, con altrettanta solerzia, lo sollevò per i capelli, poggiando il palmo sinistro contro le sue vestigia; "Sei Immortale, da ciò che dicevi a Nemeo, mentre lo deridevi, ma mi chiedo quanto la tua mente regga il dolore delle fiamme dell’Oscuro Tartaro!", ringhiò sorridendo la Bestia, mentre quel suo cosmo s’espandeva ancora una volta ed una vampata di fuoco oscuro distruggeva le vestigia dell’Hayoka, iniziando ad arderne le carni, mentre già alte si sollevavano le urla di colui che non poteva essere ucciso per un altro centinaio d’anni.
"Aurora execution!", urlò allora una voce dal fianco destro di Tifone, ma il Mostro non parve preoccuparsene, anzi, con noncuranza, gettò proprio il corpo in fiamme di Ash contro quell’ondata d’energia, che subito si quietò dinanzi alle Sacre Acque Divine, il cui scorrere fu però fermato proprio dall’intromissione dell’Hayoka lungo la loro traiettoria.
Fu solo dopo l’interrompersi dell’attacco, che Tifone si voltò verso il fautore dello stesso, sorridendo, e vide dinanzi a se il santo d’Oro di Libra che con lo scudo dell’armatura sacra aveva difeso se stesso ed il compagno dell’Acquario.
"Siccome voi non avete ucciso nessuno dei miei figli, vi concedo d’attaccarmi ancora una volta, mostratemi qualcosa d’interessante però." , li ammonì con tono calmo il mostro Ancestrale, invitandoli con noncuranza ad eseguire un nuovo assalto nei suoi confronti.
Per alcuni attimi i due si guardarono con disappunto e sorpresa, "Non possiamo fare altro che usare i nostri colpi migliori, amico mio." , sussurrò con tono calmo Ryo di Libra, che ben conosceva le condizioni di entrambi dopo i rispettivi scontri, "Sì, insieme ancora una volta, in nome della Giustizia, come i nostri padri prima di noi." , concordò anche Camus di Acquarius, mentre entrambi prendevano la posizione per i loro colpi più potenti.
"Aurora Extinction!", tuonò Camus, "Rozan Hyakuryuha!", aggiunse Ryo, mentre i due attacchi energetici si fondevano, per colpire all’unisono il nemico.
L’iniziale sicurezza sul viso di Tifone mutò in stupore e soddisfazione, mentre, sollevando ambo le mani per trattenere il colpo combinato, scoprì le proprie braccia intorpidirsi per il gelo di quell’attacco, mentre l’armatura si danneggiava per la sua potenza.
"Sembra dunque che la furia di Cento Draghi e l’Estinguersi dell’Aurora siano due tecniche che ben si uniscono per sfidarmi!", esclamò la Bestia, "Vi faccio i complimenti, omuncoli, come il vostro comandante prima di voi, avete dimostrato una forza degna di essere ricordata e sconfitta!", tuonò soddisfatto, mentre già i lunghi capelli neri s’agitavano, guidati dall’energia del suo cosmo.
"Vento, fonte del respiro, ascolta la voce di chi ti parla come un Padrone, ascolta le parole che ti richiamano a prendere nuova forma, a farti udire nel gridare a tutti il nome del tuo Padrone, urla Vento!", ordinò secco Tifone, mentre una vorticante corrente, in tutto simile al nome che la Bestia aveva, si liberò dai suoi palmi, disperdendo quanto restava dell’attacco nemico e scagliandosi con altrettanta furia contro i due cavalieri d’oro, che, stanchi per le passate battaglie, non ebbero il tempo di sollevare le loro difese e furono schiantati in direzioni diverse contro le pareti di pietra della stanza, ormai campo di un’impari battaglia.
Un urlo, in quel momento, però, segnò un nuovo assalto contro il comune nemico, un assalto portato da Shiqo della Lontra.
Un violento diretto investì in pieno sterno la Bestia, il potente pugno dell’Hayoka raggiunse senza problemi l’avversario, ma Tifone non fu affatto smosso da tale attacco, anzi, parve sorridere al pellerossa, mentre lo guardava, dall’alto della sua maestosa stazza, con noncuranza.
"Hai eliminato Steno, anche con un simpatico contrappasso verso il suo modo di combattere, per questo non ti porto particolare rancore, quindi, piccolo uomo, ti concedo un altro attacco, ma qualcosa di ben più potente." , avvisò la Mitologica Creatura, senza muoversi d’un passo.
Il Comandante degli Hayoka fu inizialmente sconcertato da tanta sicurezza: il suo attacco aveva appena creato una crepa sulle vestigia nemiche, ma questi sembrava comunque illeso e certo di vittoria, tanto da dare al nemico la possibilità di attaccare di nuovo.
"Se non vuoi attaccare per primo, poco male!", tuonò la Bestia, che con un rapido movimento del tronco scatenò un secco gancio allo stomaco del pellerossa, il quale sgranò gli occhi dinanzi alla soffocante sensazione di dolore, mentre, in un colpo di tosse, un fiotto di sangue volò dalla sua bocca e le vestigia della Lontra, gloria degli Hayoka, si frantumavano, lì dove la potenza avversa s’era scatenata.
Shiqo si schiantò quindi contro il muro alle sue spalle. Tifone s’avventò subito contro il nemico, pronto a finirlo con un secondo pugno: "Trovo che il tuo modo d’agire contro la Gorgone, sia stato abbastanza soddisfacente da concederti una morte veloce." , avvisò il Mostro Mitologico, mentre sollevava il proprio pugno verso il nemico inerme.
"Drop Color!", furono queste le uniche parole che, prima che il colpo calasse sull’inerme Shiqo, si poterono sentire, parole che introdussero una barriera a difesa del comandante della Lontra, difesa che, comunque, Tifone nemmeno sfiorò, poiché già la sua attenzione s’era richiamata sul fautore di quella tecnica: Bow dello Storione.
Accanto all’Hayoka dell’Estate s’ergeva il suo parigrado che aveva combattuto in Giappone, Hornwer del Cervo, entrambi in guardia e, poco dietro di loro, riposava lo stremato Daidaros, fiancheggiato e difeso, da Lorgash del Capricorno.
"Tu!", fu l’unica parola che urlò Tifone e tutta l’ira della Bestia era diretta verso un’unica persona: il cavaliere d’oro fautore della morte di Echidna.
In un ruggito di furia, che poco aveva di quanto fino a quel momento mostrato, la progenie di Gea si gettò alla carica, concentrato solo sul Custode della Decima Casa, incurante dei due Hayoka che gli sbarravano la strada.
Bow dello Storione, però, non si fece da parte, anzi, impugnato il proprio arpione, l’Hayoka caricò all’assalto del nemico da destra, mentre già Hornwer espandeva il proprio cosmo sulla sinistra. Nella sua furia, comunque, Tifone parve accorgersi di tutto ciò e lesto reagì gettandosi proprio contro l’arma del primo nemico: nemmeno Bow quasi poté crederci nel vedere la propria arma conficcarsi nell’avambraccio sinistro dell’Essere Ancestrale, ma, non ebbe il tempo di gioirne, poiché, con incredibile determinazione e violenza, la Bestia si voltò, scatenando un violento gancio destro che distrusse, con la sola pressione del cosmo, il pettorale dello Storione, o ciò che ne restava, per poi investire in pieno il viso nemico che, dilaniato dalla potenza di quell’attacco, dovette abbandonare la presa sulla propria arma, volando contro il tetto della sala di pietra, per ricadere infine al suolo, senza forze.
"Danza dei Fiori!", tuonò allora una seconda voce, ma Tifone fu sordo a quella voce come al suo attacco: bastò una semplice fiammata di quel cosmo affinché delle alte e nere vampe incenerissero i bianchi petali, poi, il fuoco si calmò, ma non la potenza della Bestia, che lasciò prorompere dalle proprie spalle un’ondata d’aria ricolma d’energia, un’energia tale da sollevare dal suolo Hornwer stesso e schiantarlo contro un’altra parete; fu allora che il figlio di Gea si voltò e, ancora una volta, la roccia parve rispondere al suo potere, crollando inaspettatamente sul corpo dell’Hayoka.
L’attenzione di Tifone tornò su Lorgash quando questi s’era già mosso, cosciente che non avrebbe in alcun modo potuto evitare che la furia nemica investisse anche Daidaros, se egli gli fosse stato vicino; ma, altresì, il cavaliere d’oro ben sapeva che le sue uniche armi erano nelle gambe, così, tentò una combinazione di fendenti, compiendo un salto con capriola verso il nemico, effettuando prima un colpo trasversale all’altezza del braccio destro, l’unico illeso, per poi raggiungerlo con un fendente discendente verso il centro del capo.
Tutta la strategia del Santo di Capricorn, però, andò presto in fumo, mentre già il primo colpo si perdeva al suolo ed il secondo calcio affondava nella spalla destra del nemico che, spostatosi, aveva ora bloccato chi desiderava più degli altri, in una più che scomoda posizione, proprio di fianco a lui.
Un ruggito fu tutto ciò che il cavaliere di Atena riuscì a focalizzare, mentre un primo pugno lo schiantava contro una parete di pietra, poi, solo un acuto dolore; chi, però, osservava l’evolversi dello scontro avrebbe potuto vedere gli occhi di Lorgash aprirsi per la sofferenza ed una fiammata nera disperdersi alle sue spalle, causata dal cosmo di Tifone, che, perforato lo stomaco, e le vestigia, del nemico con due dita, vi aveva lasciato passare attraverso l’oscura fiamma di cui era fautore.
"La mia sposa ti avrebbe concesso la salvezza, ma tu sei stato sordo alle sue parole; ora avvertirai su di te la privazione che mi è arsa dentro: brucerò ogni organo del tuo corpo, prima lo stomaco, poi i reni ed i polmoni, quindi il pancreas, dopo la milza, l’intestino, di seguito il fegato, ma prima di passare al cuore, ti strapperò tutta la cute, la pelle. Supplicherai per avere una morte che tarderà a raggiungerti." , ringhiò infuriata la Bestia mitologica, mentre già la mano libera iniziava a perforare il fianco sinistro, lì dove si trovava il rene.
"Fermo, mostro!", urlò allora una voce ben nota a Tifone, mentre un’ondata d’energia cosmica dorata lo investiva di sorpresa, scagliandolo di alcuni passi lontano dalla sua preda; la creatura Mitologica, però, non ci mise molto a fermare il proprio spostamento, voltandosi verso chi aveva generato quell’attacco: Golia del Toro.
Il Sommo Sacerdote era ancora in piedi, con un’orbita grondante sangue, ma pronto a continuare la lotta, per quanto affannato.
Sul viso di colui che era chiamato la Bestia tornò il sorriso, "Sei ancora vivo, omuncolo, alla fine sembra che ti abbiano valutato bene: sei degno di tanta fiducia da parte delle insulse divinità che fin qui ti hanno condotto, ma, niente di più, purtroppo per te; non sarà una fatica abbatterti." , lo ammonì Tifone, estraendo e gettando via l’arpione dello Storione.
"Quand’anche cadessi mille volte, finché l’alito della vita e la fede nella Giustizia risiederanno in questo corpo, non avrai mai ragione di me, né dei miei compagni, mostro. Sappi questo, poiché è tempo di concludere la nostra battaglia!", tuonò Golia, espandendo ancora una volta il proprio cosmo.
Il tempo dell’ultimo scontro era infine giunto.