CAPITOLO XI

Nelle sale del Grande Tempio

Sorse un nuovo giorno sulle coste dell'Attica meridionale, grigio e uggioso a causa del vento spirato per tutta la notte che aveva trascinato sul Grande Tempio una spessa coltre di nuvole grigiastre. Il piccolo porto iniziava ad animarsi, i pescatori tornati dalla battuta di pesca erano pronti a vendere il carico sulla banchina, mentre i pastori si stavano dirigendo con le loro greggi verso ovest.

Saga di Gemini, dopo aver indossato l'Armatura d'Oro, lasciò la terza Casa per dirigersi verso l'Accademia, portando con sé ordini del Grande Sacerdote, ricevuti per bocca del capo dei lancieri, giunto al suo palazzo di buon mattino. Nonostante le disposizioni da trasferire, il Cavaliere giunse ai piedi del monte concedendosi una tranquilla discesa, fatta di passi lenti, sguardi all'orizzonte e pensieri leggeri. In prossimità delle prime case di Rodorio si sentì chiamare da una voce squillante proveniente da un cortile recintato:

"Cavaliere d'Oro, Cavaliere d'Oro!" Era la voce di un bambino dagli occhi vispi che cercava, senza successo, di arrampicarsi sulla staccionata in legno per raggiungere il famoso paladino del Tempio.

"Ti farai del male così, giovanotto" disse il Cavaliere sorridendo e avvicinandosi.

"Sei un Cavaliere d'Oro, non è vero?" chiese il bambino, desistendo dal suo intento una volta attirata l'attenzione del guerriero di Atena.

"Sì, lo sono. Come ti chiami, ragazzino?"

"Ciril..." rispose il bambino con un sorriso sincero, allungando le braccia oltre il recinto per sfiorare le mani di Saga e toccare le sue manopole dorate, prima di aggiungere: "...Questa è la tua Armatura?"

"Sì, Ciril, questa è l'Armatura dei Gemelli. Non mi avevi mai visto a Rodorio prima d'ora?"

"No, mai..." rispose, prima di chiedere ingenuamente "...Posso venire con te?"

"No, non puoi seguirmi, mi dispiace". Ciril, deluso, abbassò lo sguardo, ragion per cui il Cavaliere poggiò una mano sul suo capo, consolandolo:

"Sei un giovanotto in gamba Ciril, ma sei troppo piccolo per certe cose. Ora torna in casa, sembra che il tempo stia peggiorando. Magari un giorno ci rivedremo" e non aggiunse altro, allontanandosi.

"Arrivederci, Cavaliere! Ci rivedremo ancora, ne sono sicuro" rispose il bambino, agitando la mano. Saga, già di spalle, alzò un braccio e, senza voltarsi, proseguì il suo cammino, sorridendo.

Giunto all'Accademia e trovato il grande portone aperto, entrò senza bussare, si tolse l'elmo e si diresse lentamente verso il cortile centrale, sperando di incontrare qualcuno. Camminando sotto il colonnato, udì chiaramente delle voci provenire da alcune sale interne quando, d'un tratto, si accorse della presenza di una Sacerdotessa seduta di spalle sul bordo della fontana centrale: le si avvicinò lentamente e, giunto a breve distanza, esordì con tono gentile, schiarendo la voce:

"Salve nobile..." ma non riuscì a concludere il saluto perché la donna, accortasi dell'ospite, si voltò istintivamente, per poi girarsi di nuovo di spalle: Saga non poté non notare il suo giovane volto, privo della maschera tradizionale. La Sacerdotessa la raccolse subito e la indossò, dirigendosi verso una delle uscite del cortile, scioccata per l'ingenua mancanza.

"Fermatevi, vi prego" fece Saga, leggermente a disagio, allungando il braccio. La donna, fermandosi, abbassò il capo e rispose:

"Cavaliere, cosa ne sarà di me ora? Col mio imperdonabile errore non..."

"Calmatevi..." la interruppe Saga avvicinandosi, percependo nella voce della donna dolore e preoccupazione "...non avete nulla da temere gentile Kassandra, quello che è successo non è motivo di preoccupazione per me e non deve diventarlo per voi".

"Dunque mi avete riconosciuto?" disse con un filo di voce la ragazza.

"Di certo non dal volto..." rispose Saga lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso "...ma d'altro canto so riconoscere facilmente le vostre vesti. Non preoccupatevi..." continuò piegandosi leggermente in avanti per mettere a suo agio la Sacerdotessa che, nei suoi confronti, appariva davvero minuta "...non avete fatto nulla di male, posso capirvi in fondo, deve essere fastidioso portare la maschera per lungo tempo. E poi..." aggiunse con tono rassicurante, guardandosi intorno "...pare che nessuno ci abbia visto". La voce gentile del Cavaliere tranquillizzò Kassandra che, con tono più rilassato, cercò di giustificare il proprio gesto:

"Non mi ero accorta del vostro arrivo probabilmente a causa del rumore dell'acqua. Volevo soltanto prendere qualche boccata d'aria fresca, lo faccio spesso, ma questa volta avrei dovuto essere più attenta".

"Beh, grazie a questo inconveniente ora conosco il vostro volto" fece il Cavaliere. La Sacerdotessa si strinse nelle spalle, imbarazzata.

"Ora basta, dimenticate che sia successo gentile Kassandra..." continuò Saga, senza indugiare oltre "...Ero giunto all'Accademia per avvisare le giovani reclute di un cambio di programma: per volere del Sacerdote questa mattina saranno ospiti nelle sale del Tempio".

"Trasferirò immediatamente l'ordine a Vera, suppongo che ormai siano tutti pronti per seguirvi" rispose dopo un attimo di esitazione la Sacerdotessa, con tono più disteso.

"No, non saliranno al Tempio con me: io devo raggiungere le sale del Sacerdote prima del loro arrivo e temo di essere già in ritardo. Vi saluto gentile Kassandra, Atena sia con voi". Saga portandosi una mano al petto, fece una riverenza, indossò l'elmo e tornò a cuor leggero sui suoi passi, stupito per l'inaspettato quanto piacevole incontro.

"E con voi Cavaliere" lo salutò Kassandra, osservandolo, mani al petto, con un sorriso, nonostante l'impassibile maschera, ormai ben salda sul suo volto, non lasciasse intravedere alcun lineamento.

Micene, intanto, era già giunto nelle sale del Santuario, dove stava discutendo col Grande Sion:

"Eccellenza, credo che abbiate preso la decisione giusta quest'oggi: quei ragazzi sono molto giovani, è vero, ma sono certo che avrete le risposte che cercate, indagando sulle loro attitudini".

"Tu l'hai fatto, Micene?" chiese Sion dal suo trono.

"Ci ho provato".

"Cosa devo aspettarmi dall'incontro odierno, dunque?"

"Di avere al vostro cospetto dei profili molto diversi l'uno dall'altro, ognuno dei quali ha una storia interessante da raccontare. Proprio ieri sono stato spettatore diretto di una scena che mi ha molto scosso: il giovane candidato all'Armatura del Capricorno che, quasi con timore, ha afferrato il mio braccio e mi ha rivolto parole davvero toccanti. Dovrebbe essere il più grande del gruppo e, a quanto pare, è colui che più degli altri sembra aver dato il giusto peso a questa nuova vita. Non dimenticherò mai il suo sguardo, fiero e malinconico al tempo stesso. Sono davvero onorato di averlo come allievo personale".

"E di tuo fratello cosa puoi dirmi?"

"Probabilmente finora ho giudicato Ioria con occhio un po' troppo esigente, ma devo ammettere che sta crescendo: pur riconoscendo ancora in lui il bambino vivace che amava divertirsi in riva al mare, sono felice del suo attaccamento alla causa. Si sta comportando bene durante gli allenamenti".

"E Mur?"

"Sono certo che sarete fiero di lui, Grande Sion: un ragazzino mite e gentile, ma non troppo estroverso, dotato già ora di un buon cosmo".

"Micene, il mio elmo..." fece il Sacerdote, interrompendo il suo Cavaliere "...Non posso mostrarmi agli allievi senza copricapo. E' nella sala delle pergamene".

"Provvedo immediatamente, Eccellenza" rispose Micene, dirigendosi verso le camere private del Santuario, nascoste dai tendaggi della sala del trono, che impedivano di intravedere gli ambienti retrostanti. Sion attese che Micene superasse i grossi teli che abbellivano la stanza e si alzò dal suo scranno, poggiando la mano destra sullo schienale in marmo. Le sincere parole di apprezzamento di Micene nei confronti del giovane candidato all'Armatura d'Ariete furono motivo di grande orgoglio per il Gran Sacerdote che, approfittando della momentanea solitudine, si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. Riflettendo sulla futura successione e sulla possibilità, un giorno, di insignire il giovane Mur come suo successore alla prima Casa, Sion si rivide per un attimo giovane e vigoroso Ariete, con indosso le vesti sacre ricevute più di due secoli prima dal precedente reggente del Tempio. Poggiato al suo trono, avvolto ora in vesti scure con fasce ricamate color oro e porpora che univano le spalle e con un monile decorato da eleganti fregi intagliati nel metallo, indossato a mo' di elegante collare, rivisse con un pizzico di malinconia altri momenti della sua vita: ritornarono alla mente i giorni del suo addestramento per diventare Cavaliere, la fatica, il sangue, le ferite e poi la soddisfazione per il traguardo raggiunto, la sensazione indescrivibile del primo contatto col metallo dell'Armatura sulla pelle. L'Armatura dell'Ariete, appartenuta ad illustri predecessori, con la quale era certo di aver sempre compiuto il proprio dovere di Cavaliere, lo aveva accompagnato anche nei tristi giorni dell'ultima Guerra Sacra, salvandogli la vita molte volte. Ripensò poi ai compagni caduti, alle lacrime versate ed infine a Dohko ed al triste abbraccio tra i due, stremati, ma vivi, a battaglia conclusa. Rivissero poi, nella sua mente, le immagini dell'Armatura dell'Ariete riposta mestamente nello scrigno per l'ultima volta, le candide vesti di Sacerdote indossate meno agevolmente di quelle di Cavaliere, la fiducia ritrovata e le generazioni che si susseguirono, fino a ritornare alla realtà e a Micene che, con passi lenti, stava rientrando nella sala del trono, percorrendo il corridoio posto oltre i tendaggi.

"Il vostro elmo, Grande Sion" fece Micene, porgendo il copricapo a capo chino.

In quel momento la porta si aprì e il Cavaliere dei Gemelli entrò con passo deciso, percorrendo il lungo tappeto porpora fino ai tre scalini che lo separavano dal trono; si inginocchiò, salutando il Sacerdote e sbattendo leggermente il pugno sul petto, in segno di rispetto.

"Grande Sion, come ordinato, gli allievi saranno qui a breve".

"Molto bene Saga, ti ringrazio".

Il Cavaliere si alzò, togliendosi l'elmo, e si rivolse al compagno con un sorriso:

"Amico..."

Nel frattempo i giovani allievi, accompagnati da Vera, Sibrando e Leno, stavano scalando per la prima volta le Dodici Case, i solitari ed imponenti palazzi che un giorno avrebbero custodito in qualità di Cavalieri d'Oro. Li avevano sempre ammirati in lontananza, dall'arena o da Rodorio, ma solo in quei momenti, percorrendo l'interminabile scalinata scavata nella roccia del monte del Tempio, compresero la grandezza di un'opera simile che incuteva fascino e soggezione al tempo stesso: le Case, disposte a distanze uguali l'una dall'altra, costruite in modo tale da essere visibili da ogni punto del versante meridionale del monte per permettere ai difensori di ogni palazzo di scrutare con maggiore facilità il tortuoso sentiero che le univa, apparivano maestose e senza particolari decori architettonici, a meno di alcuni bassorilievi sulle facciate principali o di qualche statua. All'interno si presentavano spoglie e buie, illuminate in parte soltanto dalla luce proveniente dalle entrate, con una lunga navata centrale in cui l'eco dei passi risuonava per tutto l'ambiente ipostilo. Nel cuore di ogni palazzo si avvertiva costantemente un alito di aria fredda sulla pelle, a causa dell'assenza di luce solare; alcuni piccoli candelabri a muro spenti da lungo tempo, facevano intendere che l'unico modo per avere un po' di luce in quei punti, fosse accendere dei piccoli lumi.

Sui volti impressionati degli allievi si leggeva un certo stupore, cosa che spinse Vera a chiedere cautamente:

"Cosa sono quelle facce? Cosa vi ha fatto ammutolire di colpo?" Non ottenendo risposta, fu Leno che prese la parola:

"Siete stupiti? Vi aspettavate altro?" Le parole colsero nel segno, Shura disse timidamente:

"Questi palazzi sono davvero molto..."

"Inquietanti?..." rise Leno "...Sì, incutono un certo timore, allievi, questo è vero, ma cosa vi aspettavate? Decori, mosaici, statue?..." si fece più serio "...No, giovani guerrieri, le Case per quanto maestose e solenni non devono trarvi in inganno: erano e restano presidi militari. Avrete a disposizione delle stanze personali, ogni Casa ne possiede almeno due, ma la restante parte di ogni edificio è da considerarsi territorio sacro ad Atena, da difendere a tutti i costi, anche a costo della vita. In cima a questo monte sacro, si trovano il Grande Tempio della dea Atena e la dimora del Sacerdote, raggiungibili soltanto percorrendo questa interminabile scalinata e attraversando uno ad uno questi dodici palazzi". I giovani ascoltarono con attenzione gli insegnamenti che maestro Leno, con voce coinvolgente, impartì lungo la scalata, ottenendo risposta a tutte le domande che, con sempre maggiore curiosità, gli porsero Casa dopo Casa.

"Grande Sion, avete scrutato le stelle in queste sere? Avete colto altre stranezze?" chiese Saga, dopo che i discorsi tra i tre si erano fatti più seri.

"Sì, sono stato all'Altura per molte ore..." sospirò Sion avvicinandosi ad una piccola vetrata posta lateralmente alla navata principale "...ma suppongo che questa notte il cielo non voglia sguardi indiscreti. Non credo tuttavia, che d'ora in avanti ci saranno molti cambiamenti, l'arroganza di Ade è ampia quanto il tempo che ci separa dalla sua manifestazione terrena, fortunatamente oserei dire". Nonostante il forte autocontrollo, le sue parole lasciavano trasparire una leggera preoccupazione ogni qual volta veniva nominato il Signore degli Inferi.

"Eccellenza, avete supposto che il corpo ospitante ha Andromeda come costellazione celeste, è possibile che costui possa un giorno diventare..." chiedeva Micene, ma Sion lo interruppe avvicinandosi:

"Sì, è una delle possibilità, per quanto bizzarra e improbabile. Sarebbe davvero curioso che il nemico si reincarnasse nel corpo di un Cavaliere di Atena, ma a volte il Fato sa essere subdolo e implacabile. Vigilerò, è il mio compito dopotutto".

"Credete sia giusto che uno di noi due parta in missione per tentare di scovare eventuali tracce di cosmo oscuro sparse nel mondo?"

"Non ancora, Saga, ora sarebbe inutile, ma in futuro potrebbe essere una buona idea. Ricordate, inoltre, che in Oriente abbiamo un fidato alleato, pronto a sostenere la nostra ricerca, in attesa di un altro segno divino: la reincarnazione della nostra dea, Atena". Sion sperava di trasmettere un po' di tranquillità ai suoi paladini per cercare di alleggerire il loro fardello fatto di pensieri e molte preoccupazioni. Li scrutava con attenzione, riuscendo a scavare con relativa facilità nei cuori dei due, grazie alla sua secolare esperienza che lo aveva reso uomo accorto e acuto: li aveva sempre ammirati per la loro fedeltà e nobiltà d'animo ma, nonostante questo, voleva preservarli da faccende che, in fondo, sapeva bene sarebbero dovute rimanere segrete ancora per qualche tempo. Il suo tono si fece più basso:

"Devo confessarvi che mi rammarico per avervi coinvolto così presto in questa vicenda: era mio dovere tacere, ma è vostro diritto, in qualità di unici Cavalieri d'Oro presenti al Tempio, di miei successori e di miei fratelli in armi, venire a conoscenza della verità prima di qualsiasi altro". Micene, all'udire quelle parole così toccanti, fece un gesto che agli occhi di molti sarebbe apparso come blasfemo: allungando un braccio, fermò il Sacerdote, che intanto si era diretto verso il trono, appoggiando la mano sulla sua spalla; Sion si volse in un silenzio d'attesa, osservando prima la mano del suo Cavaliere e poi, per qualche istante, anche il deciso ed intenso sguardo di Micene.

"Grande Sion, perdonatemi se oso toccare la vostra venerabile persona, ma mi sento in dovere di dirvi, in tutta sincerità, che non esiste motivo alcuno per cui dobbiate tormentatevi con questi pensieri: a nome mio e di Saga, benedico la magnanimità con cui ci definite vostri successori e vostri compagni, ma è proprio per questo motivo che, così come abbiamo condiviso spesso momenti fausti insieme, insieme condivideremo anche quelli più delicati, per il bene nostro e del Grande Tempio". Detto questo, Micene lasciò la presa, indietreggiando in segno di rispetto.

"Micene..."

"Micene ha ragione, Grande Sacerdote..." aggiunse sicuro Saga, avanzando di qualche passo, dopo aver osservato la scena in silenzio.

Il Sacerdote osservò entrambi i suoi paladini, affiancati, in silenzio. Si voltò per fare ritorno sul suo trono e, dando le spalle ai due, si rivolse freddamente al Cavaliere della nona Casa:

"Micene del Sagittario, dovrei punirti severamente per quello che hai fatto".

"Ne sono consapevole, Grande Sion" rispose prostrato il Cavaliere.

"Entrare in queste stanze è un privilegio riservato a pochi, avere facoltà di parlare al cospetto del Sacerdote di Atene è un onore che a molti non è stato mai concesso..." si sedette sul trono "...Tu hai da sempre beneficiato del mio favore, ma credo che questa volta abbia travalicato la soglia che ti era stata concessa".

"Ma, Eccellenza, non vorrete davvero..." intervenne Saga, con una certa titubanza, in difesa del suo compagno.

"No Saga, il Grande Sion ha ragione" lo interruppe Micene, tenendolo per un braccio.

"Tuttavia..." continuò il vicario di Atena "...il cuore di questo anziano Sacerdote sa apprezzare la sincerità, la nobiltà d'animo e la statura morale di uomini come te. Sei perdonato per questa volta, Micene".

"Vi ringrazio Grande Sion, vi assicurò che le mie azioni non saranno mai più motivo di oltraggio alla vostra persona" rispose Micene, inginocchiandosi con profondo rispetto ai piedi del trono.

"Ora alzati" fece Sion con un cenno della mano. Tre tocchi alla porta attirarono l'attenzione dei tre.

"Eccellenza, gli allievi accompagnati dai Cavalieri d'Argento sono qui" fece dall'esterno della sala uno dei lancieri.

"Ci penso io" fece Saga che, a passo svelto, si diresse verso il grande portone in legno decorato. Sion indossò l'elmo e assunse una solenne posa d'attesa, mentre Micene rimase in piedi alla sua destra.

Il Cavaliere di Gemini aprì la porta e gli sguardi dei giovani allievi, distratti dalle mille meraviglie del palazzo, si posarono su di lui.

"Entrate pure" fece Saga, rivolgendosi a Vera.

I nuovi arrivati, scortati dal Cavaliere d'Oro verso il trono, percorsero in silenzio il grande tappeto porpora, producendo un suono ovattato di passi. La figura severa del Grande Sion assiso in trono, incusse una leggero timore nei cuori dei giovani che, per la prima volta, si trovavano a pochi passi dal vicario di Atena in terra. Saga si pose a sinistra del trono, mentre sia i Cavalieri d'Argento che gli allievi porsero i loro omaggi al Sacerdote, che li accolse in silenzio, scambiando soltanto un cenno d'intesa con i tre maestri.

"Benvenuti nella sala del trono del Grande Tempio di Atena, giovani aspiranti Cavalieri. Sono certo che vi starete chiedendo il perché di questa visita..." iniziò Sion, rompendo il ghiaccio "...ma prima permettete che sia io a porvi una domanda: come prosegue la vostra permanenza a Rodorio?". Il Sacerdote, in attesa di una risposta, osservò ad uno ad uno le giovani reclute, leggendo nei loro sguardi timori e speranze, propri di ragazzi della loro età.

Fu Ioria, forse rincuorato dalla presenza di Micene, a prendere la parola:

"Sommo Sacerdote, sono molto soddisfatto dell'addestramento finora sostenuto, spero che presto possiate essere orgoglioso di noi". Detto questo volse lo sguardo verso il fratello, cercando approvazione. Nessun altro sembrò farsi avanti, ragion per cui fu ancora una volta il Sacerdote a stimolare i giovani con una domanda sibillina:

"E perché dovrei essere orgoglioso di far addestrare duramente dei bambini, dopo averli strappati al loro mondo in così tenera età?" Alcuni di loro si guardarono stupiti, ma fu Milo questa volta ad alzare il capo con sicurezza e rispondere con un pizzico d'orgoglio:

"Perché noi non siamo comuni bambini".

"Sembri molto sicuro di quello che dici, giovane Milo".

"Lo sono, Grande Sacerdote! Non lo siamo perché noi siamo stati scelti dalle stelle, non è forse così?"

"Scelti per cosa?..." chiese ancora Sion, palesando ai Cavalieri presenti la sua volontà di testare le capacità intellettive degli allievi "...Scorgo ferite e lividi sulle vostre braccia, bende, graffi. Perché tutto questo dovrebbe essere giusto?" Le domande incalzanti fecero pian piano breccia nel cuore degli allievi. Fu Shura, questa volta, a rispondere con fierezza:

"Cosa c'è di più grande dell'essere Cavalieri di Atena e protettori della giustizia? Siamo stati benedetti dal cosmo, le ferite non faranno altro che renderci più forti".

"E cos'è il cosmo?"

"L'universo dentro di noi, l'ho percepito assistendo allo scontro tra le energie che i qui presenti Cavalieri d'Oro scatenarono ad Archè. E' questo che non ci rende comuni esseri umani". Il Sacerdote, attento alle risposte degli allievi, non si lasciò sfuggire, tuttavia, lo sguardo disinteressato di DeathMask, fino ad allora rimasto in silenzio dietro tutti gli altri, più interessato a guardarsi intorno che alla discussione. Soltanto una domanda destò l'interesse del giovane pretendente all'Armatura del Cancro: fu una domanda che Aphrodite ebbe l'ardire di porre al Grande Sion, dopo che il discorso prese una piega a lui molto più congeniale.

"Grande Sacerdote, esiste dunque la guerra per giusti scopi?"

"Anche se gli ideali spesso non lo sono, la guerra è sempre violenta. E' un atto di forza, niente di più. D'altro canto i Cavalieri sono pur sempre dei soldati, pronti a dar battaglia a coloro che minacciano la pace e la giustizia, anche se costoro fossero delle divinità..."

"Grande Sion, posso esprimere la mia opinione?" Interrompendo il Sacerdote, e non provando alcun imbarazzo per il gesto compiuto, DeathMask si fece avanti, attirando lo sguardo di tutti su di sé. Il Sacerdote lasciò fare desideroso di ascoltare cosa avesse da dire l'indisciplinato ragazzo, più che rimproverarlo per i suoi modi poco protocollari:

"Parla giovane DeathMask, ti ascolto".

"Nonostante la guerra sia un atto di forza, ritengo che quando essa venga adoperata per ristabilire la giustizia sulla Terra, diventi giusta a sua volta. Non trovo necessario filosofeggiare troppo sulle cause o le conseguenze di una guerra quando viene messa in pericolo la vita di molti. A quanto pare molti dei nemici con cui il Grande Tempio ha dovuto battersi sono stati divinità o umani che hanno calpestato le buone leggi degli uomini, vendendosi a quegli dei corrotti e malvagi che desiderano soltanto opprimere la razza umana. Credere che l'ambizione di questi esseri possa cedere davanti alle belle parole è come costruire sulla sabbia".

"E' ammirazione verso la forza quella che sento?" chiese il Sacerdote.

"Può darsi, Sommo Sacerdote..." rispose con un sorriso il giovane, prima di aggiungere, abbandonando la spavalderia dei suoi modi in luogo di una sincera ammirazione"...Ma è grazie a persone come la qui presente Vera che sto comprendendo che non è quel tipo di forza, il potere che sostiene i Cavalieri". Il Sacerdote non si lasciò impressionare e chiese prontamente:

"Cos'era, dunque, per te la forza?"

"Lo strumento per raggiungere dei risultati, la capacità di affermare la propria volontà. Ho per troppe volte saggiato la sofferenza di chi la forza l'ha subita durante la propria esistenza terrena. Ero certo che l'unico modo per far sì che ciò non si ripetesse, fosse liberare il mondo da coloro che della forza avevano fatto abuso, anche facendo ricorso alla stessa forza che avevano con leggerezza adoperato nei confronti di altri".

"Era una questione di vendetta, dunque?"

"Di giustizia, Grande Sacerdote! Ma poi, grazie agli insegnamenti di Vera, ho scoperto che esiste anche un'altra forma della forza, quella che non è mossa dai sentimenti più bassi del genere umano, ma dal cosmo, che si accresce sempre più soltanto se si seguono dei buoni ideali e che fatalmente diminuisce se si è nel torto. Non potrei mai indossare un'Armatura d'Oro e difendere l'umanità se mi facessi guidare solo da vendetta e rancore".

"Fai tesoro di ciò che hai appreso, giovane DeathMask, ed affina sempre più la capacità di discernere ciò che è giusto da ciò che non lo è". Rispose Sion, riflettendo però a lungo, in cuor suo, sulle parole audaci del giovane.

Il Sacerdote porse altre domande ai giovani allievi, per analizzare attentamente umori e reazioni di ognuno di essi, prima di informarli dell'inizio del nuovo programma d'allenamento, che sarebbe stato molto più intenso e mirato a sviluppare le peculiarità proprie di ogni ragazzo, in sintonia con le caratteristiche del proprio segno. Micene e Saga, osservarono l'intera conversazione in silenzio, ascoltando attentamente le risposte date da ognuno dei giovani, riuscendo a loro volta a comprendere facilmente le differenze caratteriali di ogni allievo. Il Sacerdote, infine, congedò i giovani ordinando a tre lancieri di ricondurli all'Accademia, dove avrebbero trascorso qualche ora, prima di un allenamento pomeridiano all'arena dei tornei. I giovani lo omaggiarono e lo stesso fecero con gli altri Cavalieri. La grande porta si chiuse e dal suo trono Sion si rivolse con tono interlocutorio ai suoi soldati d'Argento:

"Miei Cavalieri, d'ora in avanti verrete divisi e vi occuperete personalmente di un numero limitato di allievi: vi chiedo, di ottenere la fiducia dei vostri apprendisti, di allevarli e di educarli secondo i precetti dettati da Atena. Avete la mia fiducia, non deludetemi".

"Sissignore" risposero tutti, con rispetto.

"Grande Sion".

"Sì, Micene".

"Cosa ne pensate dei giovani? Quale impressione vi hanno dato?" Il Sacerdote fece un profondo respiro, prima di rispondere:

"La verità è che ognuno di loro ha un'indole diversa, che lo porta ad interpretare questo stile di vita in modo differente: tuo fratello Ioria sembra entusiasta, ma temo che il suo entusiasmo verso la causa derivi in gran parte dalla tua presenza qui al Grande Tempio, gli servirà del tempo per maturare ancora; Shura sembra aver compreso più degli altri la vera essenza dell'essere Cavalieri, ma è un tipo insolito per la sua età, forse molto esigente con se stesso, è una sensazione che ho avuto fin dal primo momento. Si alleneranno insieme ed avranno te come maestro, sono due animi che si compenseranno l'un l'altro, tu devi essere per loro come l'ago di una bilancia".

"Come desiderate, Grande Sion" rispose Micene.

"Ma badate, tutti voi..." continuò Sion, guardando fisso negli occhi i suoi Cavalieri d'Argento "...anche gli altri giovani hanno bisogno del vostro sostegno: Vera, a te ho affidato il giovane dell'Aquario, è un ragazzo glaciale come il segno che lo guida, cerca di scalfire la sua riservatezza o non riuscirà mai a fidarsi di te. Sibrando a te, forse, il compito più arduo: gestire il cosmo inquieto del giovane di Cancer e quello già straordinariamente maturo del giovane di Virgo".

"Fidatevi di me, Grande Sion, ho studiato a lungo le attitudini dei due giovani in questi giorni: nonostante la sfrontatezza del primo e la maturità del secondo, so già cosa fare".

"Vera..." aggiunse Sion rivolgendosi alla Sacerdotessa "...la tua innata predisposizione all'educazione ci può essere molto utile per tenere a bada gli istinti e l'indole impulsiva del giovane DeathMask. Sembri aver guadagnato la sua fiducia, suggerisco di assisterlo anche al fuori degli orari di addestramento. Le abilità proprie di Sibrando lo rendono il miglior maestro per l'aspirante custode della quarta Casa, ma credo che tu possa diventare per lui come una sorella maggiore".

"Farò come ordinato, Eccellenza" rispose Vera.

"Molto bene, vi ringrazio Cavalieri. Saga..." aggiunse poi il Sacerdote, stupendo tutti "...a te, invece, è assegnato il ruolo temporaneo di Primo Ministro, fino al ritorno di Arles". Il Cavaliere, sorpreso da tale nomina, non seppe cosa rispondere se non:

"Cosa? Eccellenza, ne siete sicuro?"

"Certo, oltre al ruolo già precedentemente stabilito di supervisore degli addestramenti, sarai al mio fianco in questo periodo nel quale sarà necessario gestire molte faccende importanti. Il tuo aiuto mi sarà molto utile".

"Vi ringrazio Eccellenza per l'onore che mi concedete" rispose Saga con una riverenza, profondamente stupito e al tempo stesso felice e inorgoglito.

"Complimenti amico mio. Credo, però, che farò fatica ad abituarmi alla vista di te in abiti da consigliere" fece Micene in tono scherzoso, avvicinandosi con un sorriso sincero al compagno e poggiandogli una mano sulla spalla.

"Micene...". Saga fu felice della sincera ammirazione dell'amico; avrebbe voluto spendere qualche altra parola di ringraziamento, ma la presenza dei guerrieri d'Argento glielo impedì a causa del velo di riservatezza che era solito adottare nei confronti degli altri Cavalieri.

"Andate pure, miei Cavalieri, riposatevi per qualche ora e preparatevi per l'allenamento pomeridiano" fece Sion con voce calma. I suoi paladini lo omaggiarono e lasciarono la sala.

Ancora assiso sul trono, il Sacerdote osservò il grande portone chiudersi e rimase a fissarlo per un po', facendosi circondare pian piano dal silenzio e dalla solitudine che da ormai molto tempo era abituato a saggiare in quelle sale. Si alzò in piedi, si tolse l'elmo, poggiandolo sul trono, ripensò ancora un attimo all'incontro da poco conclusosi e si diresse nelle sue stanze private accompagnato dalla eco delle vesti e dei passi che si generava a contatto col grande tappeto porpora.