CAPITOLO VI

 

Respiro.

Aria fresca nei polmoni, umida e salata. Sono le ultime boccate di iodio che mi concedo. Ormai, il tempo è scaduto. Ti devo riportare a casa. Anche se non vorrei farlo. Perché ormai sei diventata una presenza sicura nella mia vita. Quasi indispensabile. Una presenza che non pensavo che avrei mai avuto accanto. Non dopo quello che è successo a lei. Anche se per poco, hai ricoperto quel posto che avrei voluto essere suo.

Ti devo tranquillizzare. Perché non hai nulla di cui colpevolizzarti. Non ne hai preso il posto. No. Non lo hai fatto. Anche se sei diventata importante. Per me. Un attracco sicuro, in questa mia vita errabonda.

Devo farlo. Per tutto quello che mi hai dato, in questi mesi. Per la tua semplicità e la tua pazienza. Per quello che sei, che mi hai mostrato. Ti sei fatta vedere davvero autentica. Per una volta. Finalmente. Senza apparenze. Senza menzogne. Ti sei mostrata per quello che sei.

Sei diventato una presenza costante, nella mia vita. Lo so. Me ne sono reso conto. Non subito; ci ho messo del tempo a capirlo, ad accettarlo. E per questo, grazie. Grazie…

Mi ero ripromesso che ti avrei aiutato a ritrovare la tranquillità. Che tu lo volessi o no. Ero pronto anche ad importelo, il mio aiuto, se fosse stato necessario. Pur di vederti di nuovo sorridere. Per avere quella seconda opportunità che avrei voluto poter avere con lei.

Alla fine…Alla fine sei stata tu ad aiutare me.

Ancora non riesco a spiegarmi bene come sia potuto accadere. Ma, in fondo, non mi importa capirlo. È successo. Punto.

E questa è l’unica cosa che abbia importanza per me.

Per caso… È avvenuto tutto per caso. Uno sguardo più intenso, un sorriso strappato, una complicità innata…Non saprei quando tutto è cominciato. Però so che a un certo punto ci siamo trovati legati più di quanto avremmo mai immaginato.

Legati, complici…Tu ed io…

Sembrava incredibile anche solo pensarlo. Se qualcuno un anno fa mi avesse detto che il nostro rapporto sarebbe cambiato così radicalmente, lo avrei preso per pazzo. Eresia pura, avrei pensato.

Mi viene da ridere. Perché, invece, è proprio quello che è successo. Anche se tutto sta per finire.

Lo sapevo. In fondo, era nei patti fin dall’inizio. Anche se poi sono cambiate molte cose.

Una sola condizione non è mai stata toccata: era solo un passaggio. Un lungo passaggio. Ma come tutti i passaggi, ad un certo punto si scende.

E ora quel momento è arrivato.

Lo sai tu, e lo so anch’io. L’ho sempre saputo, e ho voluto credere che mi sarebbe stato indifferente. Anche quando ormai sapevo che eri tu ad non essermi più indifferente. Quando sapevo che per me eri qualcosa di importante. Di nuovo.

Ignorare tutto questo…Volutamente. È sempre stato il mio vessillo. La mia scusa. Una scappatoia semplice. Inutile. E infantile. Maledettamente infantile. Volersi convincere che se non si pensa ad una cosa, quella non si avvererà mai. Che non può avverarsi. Volersi illudere. Cocciutamente. Per non veder sparire un miraggio.

Inutile. E sbagliato. Dannatamente sbagliato. Perché orami l’inganno è crollato. E io mi devo rassegnare. Anche perché so che è giusto così. Il tuo posto non è accanto a me. Accanto a me…Suona così strano… È il posto che ho sempre associato a lei, il posto che avrei voluto fosse suo

Scuoto la testa. Patetico. Sono veramente patetico. Ma non importa. Non posso cambiare quello che penso. E provo. Lei avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. Nella mia memoria. Perché le devo molto. Come lo devo a te. Anche tu sei importante. E io non ti dimenticherò mai.

Incrocio le mani dietro la nuca e mi sdraio sul pontile. Legno caldo sulla pelle. Una sensazione bellissima. Straniante.

Il calore del sole sulla pelle e il rumore monotono della risacca nelle orecchie.

Ero venuto per tirare in secca la barca, ma lo farò dopo. Si sta bene qui, distesi su queste vecchie assi corrose dal mare. Mi sembra di essere in una bolla fuori dal tempo.

Cinque minuti…

Mi bastano cinque minuti. Per sognare ancora un po’. Per assaporare il contorno del tuo viso che fluttua nel mio cervello. Per ripassare mentalmente la galleria di tutte le espressioni che ti ho visto dipinte sul viso in questi mesi: tristezza, angoscia, stupore, tranquillità, sicurezza, euforia, sconforto.

Sfumature cangianti in fondo ai tuoi occhi. Variazioni cromatiche sulle tue guance. Movimenti sulle tue labbra.

Fiducia…

C’era anche quella. Verso di me. Non hai mai voluto rinchiudermi, mi lasciavi libero di volare dove volessi. Senza timori. Anche quando prendevo la moto senza dirti una parola, senza offrirti una spiegazione convincente. Nulla. Solo silenzio.

Avviavo il motore e premevo sull’acceleratore. Mai un accenno. Mai un biglietto. Niente.

Ti ho lasciata qui da sola più di una volta.

Lo so: sono stato un deficiente.

Mi sono chiesto, alcune volte, che cosa ti passasse per la testa quando mi vedevi prendere il casco e uscire. Lo facevo qualunque ora fosse: mezzogiorno o notte fonda. In quei momenti, non pensavo a te. Avevo troppe cose in testa, o forse niente. Di certo, non pensavo a te. Non mi sono comportato molto bene nei tuoi confronti. Ho dato il meglio di me in quei casi: tutta il mio cinismo.

Me ne pento. Amaramente. Ma non me ne rendevo conto.

Erano fughe di poche ore, ma avevano il retrogusto amaro di un abbandono.

Un abbandono…Aggrotto istintivamente la fronte. Non ci avevo mai pensato seriamente. Dal tuo punto di vista. Ma adesso mi chiedo se hai mai avuto paura che me ne andassi per sempre. Che ti lasciassi.

Il tuo sguardo…Si delinea chiaro nella mia mente…No. Non hai mai pensato che ti avrei abbandonato. Ne sono sicuro. Cinico sì; irriverente; ma non spergiuro. Quello mai.

E fra noi c’era un patto. Lo sapevi bene. E lo sapevo anch’io. Per questo non avevi nessuna paura.

Sei stata sleale anche tu però. Perché conosci il potere del tuo sguardo. Te ne sei accorta. L’ascendente che esercita su di me. Lo sapevi. Come sapevi bene che quando mi guardavi senza chiedermi nulla mi legavi indissolubilmente a te.

I tuoi occhi…Una malìa che lega, stringe, ammalia…una malìa che vorrei potesse durare ancora…Anche per sempre…

Non è possibile.

Il tempo è scaduto. I patti vanno rispettati. Anche se fa male, farlo.

Ormai, sono giunto al capolinea.

Per me non c’è un dopo.

C’è solo un adesso.

E voglio godermelo fino in fondo.

 

 

La saracinesca del garage si alza cigolando.

Sembra un singhiozzo. Mi da fastidio. Tantissimo.

Dovrò ricordarmi di oliarla, la prossima volta. Ora non ne ho il tempo. Né la voglia.

Un sorriso m’increspa le labbra, mentre afferro i nostri caschi e porto fuori la moto. Dio, mi sembra ieri che ti sei presentata a casa mia. Lo ricordo bene. Pioveva; una pioggia che durava da giorni. E faceva freddo. Un freddo tremendo. E tu eri bagnata fradicia. E incantevole. Anzi, intrigante.

Scuoto la testa, brusco. Non è questo il momento di lasciarsi andare ai ricordi. Mi ci sono già abbandonato troppo, nell’ultimo periodo.

Sospendo la moto al cavalletto e con un sospiro guardo l’orologio. Siamo in ritardo. Sono in ritardo.

Colpa mia. Anche se non so spiegarmi come sia potuto accadere, mi sono addormentato. Sul pontile. Come un bambino. Splendida figura! Se tu non mi fossi venuta a cercare, probabilmente sarei ancora lì. Cullato dalla risacca.

Peccato. Stavo facendo un bel sogno. Come non mi accadeva da tempo. Molto tempo. Cosa stavo sognando, proprio non lo ricordo. Però sono sicuro che fosse un bel sogno. Uno di quelli che, quando ti svegli, anche se in testa hai il vuoto totale, ti lasciano sensazioni chiare, precise. Sensazioni bellissime.

Il rumore di una finestra che si chiude mi riporta alla realtà. Alzo lo sguardo verso la veranda. Quando tornerò, mi sembrerà strano non vederti più uscire sorridente da quella porta. Per salutarmi. Magari con quel buffo cappello di paglia in testa. Lo abbiamo trovato vicino al faro, abbandonato dal vento sulla battigia. Giallo, un po’ sfilacciato, con un lungo nastro blu ormai stinto e rovinato. Corroso dal vento e dal mare. Te ne sei innamorata subito. E sei riuscita a farlo indossare anche a me. A tradimento. Per una foto.

Non ne ho volute tue fotografie di questi mesi. Te le ho lasciate tutte. Anche se non sono molte. Pochi scatti rubati al tempo; per non dimenticare. Tu le hai chiuse in una piccola scatola di latta. Il tuo tesoro.

Sì. So che mi mancherai…

L’orologio continua a ticchettarmi ipnoticamente nella testa, con quel suo maledetto puntino che divide ore da minuti. Lampeggia veloce. Sempre più veloce. Come a volermi ripetere quella maledetta parola: ritardo. Ritardo. Ritardo.

Ritornello odioso.

Un miagolio attira la mia attenzione. Un gatto. Sul corrimano della veranda. E mi osserva con i suoi occhi gialli apatici. Una noia che è tuta sua, indifferenza pura.

Mi passo una mano fra i capelli, soffocando una risata. Devo essere proprio ridicolo. Molto ridicolo, anzi. Sto qui, a preoccuparmi del tempo, e in tanto si stanno esaurendo le ore che trascorrerò ancora con te.

Con un gesto improvviso, mi slaccio l’orologio da polso e lo getto in una delle tasche della moto. Al diavolo anche il tempo!C’è voluta l’indifferenza di un gatto per farmi uscire da questo vortice temporale. Slaccio un po’ il giubbotto e mi siedo sull’ultimo gradino della scala. Voglio gustarmi questi momenti fino all’ultimo istante.

Per il resto…Mi concentrerò, spingerò un po’ sull’acceleratore e tenterò di farcela. Tanto, ormai, mi conosci. E in più, non hai mai avuto paura a venire in moto con me. Con questo incosciente, che sono.

Incosciente…

Lo sfregio sulla fiancata della moto mi trapasso gli occhi. Gelo nelle vene. Un lampo di memoria, e di riflesso mi sfioro la tibia sinistra. L’osso ora è intatto, ma la cicatrice si intravede ancora. Un’ombra chiara sulla mia pelle abbronzata. Dovrò fare attenzione, invece. Più del solito. Perché tu sarai seduta dietro di me. Perché tu…

Lo scricchiolio del legno mi costringe ad alzarmi. È ora. L’ultimo atto. Prendo un respiro profondo. Dannazione. Non è affatto facile comportarsi normalmente, quando sai che sono le ultime emozioni che provi. Quando sai che tutto sta per finire. Mi volto piano verso di te.

Radiosa. Ecco come sei. E forse non è neanche la parola più adatta, ma è l’unica che la mia mente riesca a elaborare.

Non indossi la tuta che ti ho regalato. Troppo scomoda. Ti legherebbe i movimenti. Non è il caso. Però i guanti li indossi. Neri e rossi. Di pelle. E anche il mio maglione. Quello largo. Quello dell’altra sera. Quello di questi mesi.

Mi superi sorridendomi. Un sorriso irato. Malinconico. Sai che devi andare. E non cerchi di dissimulare un la tristezza che provi. La stessa che sto provando anch’io.

Non voglio lasciarti andare così. Non me lo perdonerei mai. Mi hai regalato qualcosa di unico. Qualcosa che credevo di aver perduto…

Ti richiamo e ti lancio un tintinnio d’argento. Un mazzo di chiavi. Le chiavi di questa casa. Non voglio perderti. Non del tutto.

Tu le afferri al volo, per poi guardarmi. Intensamente. Non abbiamo bisogno di parole. Ormai, sappiamo leggere i nostri sguardi. Sappiamo capirci. Abbiamo imparato a farlo.

Stringi forte la mano e ti avvicini a me. Sei commosso. Tento. Perché un tale gesto non è da me. Decisamente no. E dentro di me sorrido, perché sono riuscito a sorprenderti. Piacevolmente anche, spero. Perché quelle chiavi sono un intero discorso, che sappiamo entrambi che non pronuncerò mai. Sono un invito. Perché non sei stata un problema, un impaccio. Perché non lo devi mai pensare, questo. Non dovrai farlo mai. Perché sei stata la mia salvezza. Più di quanto avrei mai immaginato. Più di quanto tu stessa sappia. Possa intuire. Per questo ti ho dato quelle chiavi. Perché tu possa tornare.

Muovi piano le labbra, rincorrendo la voce che ti si è fermata in gola. Scuoto piano la testa. Non farlo. Non parlare. È inutile. So cosa vuoi dirmi. Non roviniamo questo momento. Non servono le parole. Non sono mai servite…

Mi avvicino piano , stringendoti delicatamente. Non voglio farti del male. Ti abbandoni contro al mio petto, abbracciandomi.

Le tue braccia attorno al mio collo; le tue mani fra i capelli; il tuo viso sul mio petto…Chiudo piano gli occhi. Lo senti? Questo suono continuo, opprimente, che rimbomba per tutta la mia cassa toracica? Lo senti? È il mio cuore. Il mio cuore che batte. E sei tu a farlo correre così. È quello che mia hai donato. Questo battito accelerato, così simile a quello che mi aveva donato lei.

Respiro piano il tuo profumo. Il tuo respiro.

Mi mancherai tanto.

 

 

Pioggia.

Un cielo grigio che piange e un vento gelido che urla.

Dolore. Perché orami il tempo è finito.

Ti sto lasciando.

Ti ho riportato qui. A casa tua. Vorrei fare di più, ma non posso. Tu non vuoi. Ne abbiamo parlato tante volte. E io sto cercando di convincermi che è giusto così. Anche se mi fa male l’idea di lasciarti. Ma non posso più restare.

Sto cercando disperatamente di convincermi che ti sarò più utile andandomene. Ne sono quasi certo. Anche se tu non sarai felice di capirne davvero il motivo.

Siamo uno davanti all’altra, di fronte alla porta di casa tua. Di questa grande casa opprimente nelle sue dimensioni. Questa grande casa vuota. Non l’ho mai potuta soffrire.

Sposto lo sguardo dalla porte di quercia a te. Sembri così fragile…

Hai gli occhi bassi e ti tormenti le mani. Stai cercando parole che non vorresti pronunciare. E che io non vorrei sentire. Non voglio, anzi. Ma non ho il coraggio di dirtelo.

Così, me ne resto qui in piedi, come un idiota. Ho il mio casco in mano. Il tuo è appeso al manubrio. Quando sei scesa, ho avvertito le tue mani sulle mie. Una supplica nei tuoi occhi tristi. Non avresti voluto che slacciassi il casco. Dicevi che preferivi ricordarti di me così, immaginandomi con un sorriso. Avevi paura a guardarmi di nuovo in faccia. Paura di non riuscire più ad andare.

Io l’ho capito. È difficile anche per me. Ma tu sei importante e io voglio salutarti come si deve. Con un sorriso. Quello che tu avresti voluto immaginare sulle mie labbra, nascosto dall’imbottitura del casco. Un sorriso…Triste, forse. Una smorfia in realtà. Ma pur sempre un sorriso. Uno di quelli che mi hai insegnato tu.

Pioggia.

Il cielo piange per me. Perché le lacrime non mi si addicono. Perché di lacrime non ne ho più. Le ho versate tutte per lei. E anche se so che potrei versarne ancora, non voglio. Ma anche se non piango, tu sai che per me sei diventata importante. E che salutarti mi fa male. Molto male.

"Vai, ora. Fa freddo e ti bagnerai".

Parole strascicate; un sussurro che mi esce dalle labbra. Voce roca, annodata nella gola. Vorrei che restassi con me. Anche se so che non è il tuo posto. Anche se lo sai tu. Un posto accanto a te…Non è per me. Non potrà mai esserlo.

Ti accompagno per qualche passo. Tu lo sai. Io ci sarò sempre. Anche se non ti sono accanto fisicamente. Ricordalo.

Ti volti verso di me e inclinando di lato la testa; i capelli ti coprono gli occhi. Mi sembra quasi che il tuo sguardo si sia fatto lucido, ma stanno cadendo gocce grosse e io voglio credere di aver confuso pioggia con lacrime.

Voglio crederlo. Cocciutamente. Da egoista.

Mi stringi un braccio, appoggiandoti a me. Hai la testa china, indecisa. Fa male, lo so. Ma devi andare.

Mi sorridi e ti stacchi da me allontanandoti. E io abbasso un po’ il viso. Arrivederci…

Un istante…

Le tue braccia attorno a me: mi tengono stretto. Mi lascio stringere. Devo fingere. Anche per te.

Il casco mi scivola di mano. Non resisto. Non posso. Sarebbe troppo ingiusto…ricambio il tuo abbraccio, nascondendo il viso fra i tuoi capelli soffici e umidi. Vorrei piangere. Perché è sbagliato. Lo so bene. Ma non ho la forza di allontanarti da me. Non ancora. Non subito…

Lo stridio di cardini che ruotano. Silenzio. Passi concitati. Il tempo di staccarmi da te e poi…un tuo urlo soffocato. E un dolore sordo, pulsante, alla mandibola.

Mi ritrovo a terra, fra acqua e polvere. Frastornato. Sbattutovi da un pugno. E il mio aggressore è in piedi davanti a me. Gli occhi sbarrati e increduli. Esterrefatto. Ansima. Mentre lascia ricadere lungo il fianco la mano ancora chiusa a pugno.

Ci siamo. Epilogo.

Mi alzo piano, massaggiandomi la mascella. Però! Devo ammettere che hai imparato a tirar pugni. Una volta non mi avresti mai atterrato.

Ma sono cambiate molte cose. Io sono cambiato. E tu sei mosso dalla rabbia. Rabbia. Rabbia. Te la leggo negli occhi castani. Nel volto tirato. Ti sei voltato verso di lei; e allo stupore si è sostituito l’odio. Verso di me.

Coraggio. Sfogati pure. Sono qui per questo. Perché ho deciso così. Dopo, non me la lascerai più avvicinare, ma almeno ho la certezza che le starai accanto. Almeno per un po’. Finché non arriveranno gli altri. E allora io sarò veramente tranquillo.

Insultami pure. Sono qui per questo. Prenditela pure con me. Non reagirò. Non lo farò. Picchiami, odiami, disprezzami. Non m’importa. Voglio solo che dopo tu ti occupi un po’ di lei. Per un po’, vai bene anche tu.

Salgo sulla moto e mi infilo piano i guanti. Sono calmo. Incredibilmente calmo. Come non avrei mai pensato di riuscire ad essere. E lascio che il tuo fiume di insulti mi sommerga senza batter ciglio. Non mi importa. Anzi, continua, perché è quello che voglio.

Metto il casco e avvio la moto, facendo rombare il motore. Stop. Fine dello sproloquio. Anche la mia pazienza ha un limite. E se finora me ne sono stato tranquillo, l'ho fatto solo per lei. Ma adesso tu ti sei sfogato a sufficienza. Se volevi maggior soddisfazione, dovevi prendermi a pugni. Io non te lo avrei impedito di certo. Forse sarebbe stata l’unica volta in cui avresti potuto battermi. Peccato. Hai perso un’occasione. L’unica della tua vita.

Mi volto verso di te. Sei rimasta in disparte per tutto il tempo. Attonita. Hai capito. Sai cosa ho fatto. E soprattutto perché l’ho fatto. E sai anche che l’ho fatto per te. Non rimproverarti nulla. Ho deciso io così. Per lasciarti stare tranquilla ancora per un po’. Diranno che sono stato un bastardo. Ma non m’importa. Lo dicano pure.

Indugio per un istante sulla farfalla che porti al collo. Ora sei pronta a volare. Di nuovo.

Uno sguardo. Non so cosa leggerai nei miei occhi, ma voglio dirti questo: ora puoi volare.

 

 

Danza di foglie morenti. Sotto un vento implacabile.

Danza d’autunno.

Ipnosi.

Ondeggiano, giocano, s’intrecciano, oscillano…Ultimi respiri prima della terra. Prima di accartocciarsi. Irrimediabilmente svuotate.

Colori. Giallo; rosso, verde, marrone. Un’esplosione. Una bellezza intensa e struggente.

Adoro l’autunno. Questa stagione detestata dai più. Questa stagione malinconica, che ammorbidisce il cuore. Anche il mio.

L’autunno. Qualcuno una volta i disse che è la tavolozza dell’anima.

Rami spogli: dolori vissuti. Chiome variopinte e cangianti. Intermezzi emotivi, tasselli di un puzzle che si chiama vita. E infine…infine spruzzi di sempreverdi: sogni e speranze.

Adoro l’autunno. Una stagione che pulsa di vita, d’eccitazione. Trepidazione pura.

Tolgo gli occhiali e li soppeso un attimo in mano, prima di infilarli in una tasca del giubbotto. Sono un tuo regalo…

Il mio sguardo si perde sulle vetrate che riflettono questo cielo, terso e accecante. Chissà dove sei…

Percorro piano i corridoi dell’ospedale, attento a non fare rumore. Guardingo. Non voglio essere notato. Attorno a me, silenzio o voci lontane e ovattate dalla distanza.

Non è orario di visita. Non dovrei essere qui. Ma ho preferito così. Anzi, a voler esser sinceri l’ho fatto apposta. Non voglio rischiare d’incontrare qualcuno. Dopo quello che è successo un mese fa, non mi accoglierebbero di certo a braccia aperte. E spiegare sarebbe troppo lungo.

Scrollo le spalle. Pazienza. Ho fatto io quella scelta. L’unica possibile. Non me ne pento. Ma adesso voglio vederti. E devo farlo come un ladro. Perché, altrimenti, non mi lascerebbero avvicinare a te.

Stanza tredici. La tua.

Faccio un respiro e busso piano. Non voglio svegliarti. Se stai dormendo, tornerò.

Invece, il tuo invito lo distinguo chiaro in questo silenzio assordante. Per un attimo, mi balena l’idea di andarmene. Di star sbagliando tutto. Tu crederesti di esserti sbagliata, e non sapresti mai che io sono stato qui. In piedi davanti a questa maledetta porta bianca.

No. Non posso andarmene, non voglio. Perché voglio, e sapere come stai. D’accordo. Ho deciso. Non è uno sbaglio…

Spingo paino la porta ed entro. La richiudo appoggiandomici contro e resto in piedi. Inebetito.

Vedo tutto muoversi e non riesco a cogliere niente. Bianco. Solo quello. Bianco. Bianco. Ovunque. Per secondi eterni. Lunghi come ore.

Poi…Sensazioni. Il tremore sommesso del mio corpo e le vertigini. Odore dolciastro di fiori. Respiri tranquilli. Luce soffusa.

I tuoi occhi. Li incrocio in quell’universo di percezioni confuse. Magnetici. Come sempre. Mi attirano a te. Mi stregano. Incanto.

I tuoi occhi. Il tuo sguardo. Lo riconosco. E tutto torna a posto. Mi rilasso.

Mi avvicino al tuo letti, godendomi la tua espressione piacevolmente stupita. Mi viene da sorridere. Sei una sciocca. È vero che nessuno mi ha avvertito, ma credevi forse che non lo avrei saputo? Che non sarei venuto? Sì, sei proprio una sciocca. Una adorabile sciocca. O forse non ti aspettavi che mi sarei fatto vivo così presto, e di persona.

"Per te".

Ti porgo un cartoccio di fiori. Margherite. Ho girato tutti i fiorai della città prima di trovarle. Ed alla fine ci sono riuscito. Tutti mi consigliavano rose, primule, tulipani. Una casistica immensa. Ma io ero irremovibile. Cocciuto. Come sai che solo io riesco ad essere. Margherite. Avevo deciso così. Per te, volevo questo fiore. Il fiore dell’innocenza.

Getto un’occhiata veloce intorno, alla ricerca di un vaso. E quando lo intravedo, sono colpito da tutti gli omaggi floreali che hai ricevuto. Gigli bianchi, tulipani, rose di tutte le tonalità, tronchetti della felicità. E orchidee. Bellissime, altere nel loro viola acceso, delicate nelle venature bianco-rosate. Orchidee. Un fiore degno di te.

Recupero un vasetto e ci metto le mie margherite. Bottoni d’oro sfrangiati di bianco. Piccole. Insignificanti. Scompaiono in questo tripudio cromatico. Provo una stretta al cuore, ma forse è meglio così. Nessuno ti chiederà di chi siano.

La tua voce mi ferma. Una richiesta. Un capriccio. E io riprendo il vasetto e lo posiziono aul comodino, accanto al tuo letto. Dove lo hai chiesto tu. Dove lo vuoi tu. Allunghi una mano e accarezzi i calici delicati.

Uno scintillio sommesso. Bianco e argento fusi insieme. Una farfalla traforata.

Sorrido. Non puoi portarla al collo, ma non vuoi separartene. Così, hai arrotolato al polso la catenina, come un bracciale.

Grazie.

"Mi sono sempre piaciute le margherite. Sono fiori simpatici". La tua voce. Seria e dolce. Ammaliatrice. Anche se parli di qualcosa di banale. "Sono innocenti".

Abbassi gli occhi al tuo petto e stringi le braccia. Un sorriso ti sfiora le labbra. Commozione.

Io seguo il tuo sguardo e incrocio un fagottino. L’ho ignorato fino ad adesso. Volutamente. Con difficoltà. Aspettavo il tuo permesso.

Nelle tue braccia, fra le pieghe di uno scialle, dorme una bambina

Una ranocchietta con le manine chiuse a pugno, la bocca piccola e rosa, una peluria leggera sulla testina. Deve essere molto morbida.

Un nodo mi chiude la gola mentre, senza accorgermene, mi siedo sul tuo letto. Accanto a te. Allungo una mano per sfiorarla. Pesca, velluto, cotone…non so esattamente come cosa, ma la sua pelle è morbidissima.

Le sfioro una mano. Un puntino rosa sulla mia pelle abbronzata.

Chissà se ha gli occhi di suo padre…

Un mugolio mi fa allontanare. In fretta. Forse un po’ troppo. Ma non voglio rischiare di svegliarla. Devo essere veramente goffo, perché il tuo sorriso si allarga divertito. Va bene. Non mi dispiace. Ti preferisco quando sorridi. Anche se il motivo sono io.

"Vuoi tenerla in braccio?". Nei tuoi occhi c’è qualcosa che non riesco a definire. Orgoglio, forse. O desiderio. Quello che io la stringa la petto. Come ho stretto te.

Scuoto piano la testa. Non è ancora il tempo. Tu chini il capo, delusa. Ti rialzo il mento con due dita, regalandoti una carezza. Non essere triste. Non è colpa tua. Sono io che non posso farlo. Non ancora. E poi, sinceramente, ho paura. Anche se non te lo confesserò mai. Paura di quello che potrei provare. Non sono ancora pronto. Non a questo.

Sfioro con la mano la testa della bambina; forse un giorno la stringerò al petto. Non adesso. Non ne sono capace.

Ti guardo negli occhi. Intensamente. Ti sto salutando. È ora che io vada. Non so quanto tempo passerà prima che ci rivedremo. Ore, giorni, forse anni…

Non odiarmi per questo. Non è un addio. Solo un arrivederci.

E tu lo sai. Sai che ti sono vicino, con la mente, con il cuore. E che se avrai bisogno, io sarò lì accanto a te. Anche senza che tu mi abbia chiamato. Io verrò. Come sono venuto oggi.

 

 

Respiro piano.

Devo cercare di calmare il mio cuore. Non vuole ancora smettere di battere all’impazzata. Mille sensazioni…Gioia,euforia, tristezza, dolore…Intense, soffocanti. Delirio emozionale. Tutto quello che mi è stato negato di vivere con lei.

Mi abbandono un attimo contro la porta alle mie spalle. Oltre quel muro di legno c’è una vita che non ho vissuto. Che non posso vivere. Neanche adesso.

Con un sospiro, infilo le mani in tasca e mi incammino per i corridoi. Non penso a niente. Solo, riassaporo mentalmente le emozioni provate.

Istinto. Un lampo nella mente. Nulla di concreto. Qualcosa di inafferrabile. L’ho avvertito, ma prima che riuscissi ad afferrarlo, è sparito. Istinto puro.

Mi sono fermato. E ho alzato la testa. Guardando fisso davanti a me. Camice bianco. Capelli neri. Occhi verdi. Su un volto maturo e riflessivo.

Sirio.

Ci guardiamo; ci studiamo. Non ti vedo da alcuni anni; non ho tue notizie da anni. Solo voci fugaci, accenni. Mai nulla di certo. Colpa mia. Non mi sono mai interessato. Ma fa parte di me. Del mio carattere. E poi, non siamo mai stati in perfetta sintonia. Troppo diversi. Ci siamo sempre limitati a convivere e collaborare pacificamente. Io il ribelle, tu il riflessivo.

Sospiro.

Non ho voglia di ascoltare le tue prediche. Di sentirmi dire che mi sto comportando da bastardo. Questo lo so da me. È il ruolo che mi sono ritagliato. L’unico che potevo rivestire e lo sa anche lei.

No; non ho voglia di ascoltare. Sono troppo stanco. Mentalmente esausto. Troppe emozioni. Chissà, forse sto invecchiando. Decisamente, tutto questo non è da me. In passato, forse non mi sarei spiegato comunque, ma avrei fatto valere le mie ragioni in un modo o nell’altro. Mi sarei difeso.

Ora non più. Non ne ho più voglia. E non m’importa più quello che potete pensare. Voglio solo esser lasciato in pace.

Ti supero, continuando a guardare fisso davanti a me. Come se tu fossi un fantasma che scompare appena lo ignori. Ne ho visti tanti, di fantasmi, nella mia vita. Ci convivo con i fantasmi. Con quelli più devastanti. Quelli del rimorso. O almeno, ci ho vissuto assieme molto a lungo.

Tu, però, non sei un fantasma. E io non posso ignorare la tua voce, che mi ferma dopo pochi passi.

"Perché non ci hai detto niente?".

"Perché non erano affari vostri". Non mi volto neanche. Non ne ho la forza. È come se parlassi alla mia mente. Se rispondessi ad una domanda che mi ronza in testa da quando è iniziato tutto. E che ho sempre voluto mettere a tacere. E la risposta è dura. Falsa.

"Lo credi davvero?".

No. Ma l’ha voluto lei. E io non ho trovato la forza per oppormi. Perché sarebbe stato sottoporla a qualcosa cui non era pronta. Avrebbe sofferto. E io non volevo che soffrisse. Non lo volevo.

No. Non credo che la cosa non i riguardi. Ma non posso dirtelo, anche se lo vorrei. E non sai quanto. Ma non posso. E così, ma ne resto qui, con i tuoi occhi pieni di rabbia e delusione. Puntati sulla schiena. Uno sguardo che mi ferisce. Perché è motivato. E io non ho neanche il coraggio di voltarmi. Anche perché ormai è inutile.

"Abbi cura di lei".

Parole che pronuncio piano, assordanti nel silenzio irreale di questo corridoio. Parole che mi costano tanto. Orgoglio.

Non aspetto risposta, torno a incamminarmi verso l’uscita e tu non cerchi nemmeno di fermarmi. Sai che sarebbe inutile. Spiegazioni non ne otterresti comunque. L’unica risultato sarebbe quello di opposto. Quello di allontanarmi di più.

Non ho atteso risposta. Non ne ho bisogno.

So già che esaudirai la mia richiesta.

Per questo me ne sono andato. Veramente tranquillo.

Perché lei non è sola.

Danza di foglie morenti. Pioggia d’autunno. Il singhiozzo del tempo che rifiata.

Infilo gli occhiali e mi avvio alla moto.

Ho anch’io bisogno di rifiatare. Prima di tornare a vivere.