CAPITOLO TRENTESIMO: L’ULTIMO CANTO
Adone dell’Uccello del Paradiso
, il Comandante della Prima Legione, era nato sull’isola di Cipro venticinque anni prima ed era giunto a Tirinto molto giovane, pochi mesi dopo che Ercole, Marcantonio e Nestore avevano iniziato i lavori di costruzione della città. Non aveva mai avuto una particolare vocazione per la battaglia, preferendo la pura contemplazione della natura, la morbida immersione in un mondo di quiete e di sereno splendore, di cui era un acceso ammiratore, poiché la natura, come gli Dei l’avevano creata, per Adone era lo specchio della sua bellezza. Sua madre lo aveva chiamato come il mitologico fanciullo nato dal rapporto incestuoso tra Ciniro, re di Cipro, e sua figlia Mirra. Dotato di una bellezza superiore a quella di qualsiasi altro mortale, Adone era stato amato da Afrodite, Dea della Bellezza, e da Persefone, al punto da divenire motivo di contenzioso tra le due Divinità. Ucciso da un cinghiale durante una caccia, dal sangue del giovane erano nati gli anemoni, i Fiori del Vento, tanto cari alla Dea Afrodite.E Adone, come il suo mitologico corrispettivo, era indubbiamente tra i più belli di tutti i mortali, principe incontrastato della bellezza a Tirinto, osannato e guardato da tutte le Sacerdotesse di Ercole, persino dalla seria e timida Penelope del Serpente. Della sua bellezza andava fiero, del suo splendore era orgoglioso, dell’aroma che lasciava passando tutti sembravano beneficiarne, e sorriderne un po’. E indubbiamente provava un certo malizioso piacere nel notare le premurose attenzioni di cui le fanciulle e le Sacerdotesse di Tirinto lo facevano oggetto e gli sguardi un po’ gelosi degli altri Heroes di Ercole, che spesso gli ricordavano di essere un guerriero, e non un cicisbeo, per quanto in fondo gli volessero bene, incantati anch’essi dall’ambiguo fascino del giovane Cretese.
Per tutti gli anni della sua permanenza a Tirinto, Adone era stato corteggiato da molte fanciulle, e ne aveva accolte parecchie tra le sue braccia, giacendo assieme a loro ad un caldo fuoco di bivacco. Ma ve ne era stata soltanto una che non era riuscito a possedere, non completamente, non come avrebbe voluto possederla lui: per l’eternità. Quella donna era Deianira del Lofoforo, unica Sacerdotessa della Legione Alata, amata e rispettata da tutti i suoi compagni, che vedevano in lei una sorella maggiore, sicura e protettiva, ma anche molto dolce, capace di dare loro conforto dagli affanni del mondo. Per molti, inoltre, Deianira era la naturale compagna di Adone, nonostante i due, in ottemperanza alle leggi che regolavano la vita degli Heroes di Ercole, così come dei Cavalieri di Atena, non si facessero mai vedere assieme pubblicamente, obbligati a nascondere il loro amore alla luce del sole, aspettando con ansia il tramonto per scivolare l’uno nelle braccia dell’altra. Era successo più volte negli ultimi mesi, senza però che il loro rapporto fosse in grado di concretizzarsi in qualcosa di più profondo, in qualcosa di più duraturo. Adone dava la colpa alle regole di condotta degli Heroes, che impedivano alle Sacerdotesse di mostrare la loro femminilità e che facevano cenere delle storie d’amore. Ma la verità, nascosta dietro una maschera di orgoglio, era che Adone temeva di affezionarsi troppo a Deianira, al punto da risultarne dipendente. Ed egli, principe della bellezza, corteggiato oltre ogni limite, non avrebbe mai potuto permetterlo.
"Sei soltanto impaurito da te stesso e dai tuoi sentimenti!" –Gli aveva detto una notte Deianira, allontanandosi da lui, dopo aver giaciuto insieme in una radura fuori dalle mura di Tirinto.
Adone non aveva risposto, colpito al cuore dalla freccia di dura realtà, dovendo ammettere che in fondo a quella donna era davvero legato, che in fondo quella donna era colei che aveva sempre cercato. Bella e sensuale, cortese e raffinata, premurosa ma non invadente, la compagna perfetta per esaltare e al tempo stesso frenare il suo innato senso di bellezza. Una bellezza che aveva sempre cercato di difendere, anche in battaglia, lanciandosi a capofitto in tutte le imprese e le missioni che gli furono assegnate. Adone amava la bellezza e la pulizia del corpo, espressione perfetta dell’armonia della natura, ma non sarebbe mai indietreggiato di un passo solo per paura di sporcarsi, di fronte ad un ordine di Ercole, che considerava il massimo garante dell’equilibrio della natura.
E adesso era lì, sul versante meridionale della collina di Samo, intento a intonare con la sua melodiosa voce un canto assieme alla dolce Deianira del Lofoforo, per fermare i movimenti di Borea, il Vento del Nord, e intrappolarlo all’interno di un cerchio di piume, mettendo in pratica l’antico rito dell’Eterna Danza di Piume. Ma il rito, per essere efficace completamente, avrebbe dovuto essere messo in atto dall’intera Legione Alata, unendo tutti i quindici cosmi dei suoi componenti. Questo Adone lo sapeva perfettamente, e lo sapeva anche Deianira quando aveva accettato di unirsi a lui, ma aveva deciso di tentare comunque, poiché il loro avversario era un Dio, e qualsiasi strategia volta a neutralizzare anche solo in parte i suoi poteri avrebbe dovuto essere messa in atto. Qualunque fosse il costo.
"Una gran sonnolenza si sta impadronendo di me!" –Mormorò Borea, sentendo le gambe cedergli, desiderose di quiete e riposo. –"Un desiderio che pervade tutta la mia anima, spingendomi ad abbandonare ogni rancore, ogni volontà bellica, per accettare la serena pace della natura, la dolce armonia di una primavera di fiori!" –Cercò di rimanere in piedi, mentre Adone e Deianira continuavano a girare attorno a lui, su un morbido tappeto di piume, cantando con le loro melodiose voci e unendo i cosmi, al punto da creare un cerchio di energia spirituale tutto attorno al Vento del Nord.
"Abbandona i tuoi propositi di guerra, Vento del Nord, e accogli dentro di te la quieta armonia della natura!" –Mormorò Adone, con voce suadente. –"Lascia che il canto della nostra voce ti culli, e permetta alla tua mente di scivolare via! Tornerai a Lipari, nell’Isola del Mar Tirreno, ove per lunghi secoli hai vissuto assieme ai tuoi fratelli e al tuo padre adottivo, il Sommo Eolo, Signore dei Venti! Tutti e cinque insieme sarete ancora liberi di volare via, nell’azzurro del cielo, librandovi con le vostre ali colorate e rincorrendovi tra le nuvole, fino ad abbracciare il mondo con un solo sguardo! Lascia che tali ricordi diventino forza determinante dentro di te, Borea! Lascia che il sapore della libertà guidi nuovamente le tue azioni, spingendoti a volare via, lontano, fuori da questa guerra che non ti appartiene!"
"Urgh!" –Borea barcollò un momento, mentre i suoi occhi sembravano chiudersi, ma riuscì comunque a rimanere in piedi, scuotendo la testa con forza e schiaffeggiandosi per rimanere sveglio. Ma comprese che la malia di quell’incantesimo andava al di là delle sue difese fisiche, attaccando direttamente l’anima al cuore, risvegliando sopiti ricordi di pace e di libertà su cui Adone sperava di fare presa per spingerlo a ritirarsi o a dormire per sempre. –"L’eternità è un periodo troppo lungo, persino per me!" –Esclamò infine il Dio, recuperando una posizione solidamente eretta ed espandendo il suo cosmo. –"Il vostro cerchio di piume non basterà per addormentare l’irrefrenabile desiderio di vita che ribolle nel mio sangue, Heroes! Come una tempesta, la vera natura del Vento del Nord adesso vi travolgerà, spazzando via piume e canti soavi e lasciandovi nudi di fronte al gelo! Soffia, impetuoso Vento del Nord!!!" –Gridò infine Borea, sollevando il braccio destro verso il cielo e liberando una possente tempesta di fredda energia, che congelò all’istante le migliaia di piume sparse attorno a lui, prima di abbattersi su Adone e Deianira, spezzando la loro unione cosmica e scaraventandoli molti metri indietro, ricoperti da un consistente strato di gelo.
"Comandante!" –Gridò Antioco del Quetzal a tale vista. Ed espanse il suo cosmo, circondandosi di guizzanti fiamme, che subito diresse verso il Dio. –"Fuoco del Serpente Piumato!" –Ma Borea respinse il suo assalto, congelando le fiamme e distruggendole poco dopo, mentre una fredda corrente continuava a spirare da dietro di lui, abbattendosi su Antioco e schiacciandolo a terra. L’Hero del Quetzal cercò di rimettersi in piedi, faticando non poco, mentre il turbine di gelo lo pressava sempre di più sul terreno, ricoprendo il suo corpo e congelando la sua corazza, schiantandola in più punti.
"Misera cosa le tue protezioni! Valide quanto un’Armatura d’Argento!" –Commentò Borea, con aria di superiorità. –"Un niente per un Dio che ieri ha superato i suoi stessi limiti!" –Aggiunse, aumentando l’intensità della tempesta di gelo. Improvvisamente un corpo estraneo si interpose al suo attacco, lanciandosi con furia verso il Dio e frenando l’impetuoso abbattersi della tempesta di ghiaccio su Antioco.
"Occhi della Mosca, puntate sul bersaglio e colpite nel segno!" –Gridò Eumene della Mosca, dirigendo le due comete energetiche contro Borea.
"Hai firmato la tua condanna a morte, ragazzo!" –Sibilò il Dio, per nulla intimorito, congelando l’attacco di Eumene e frantumandolo poco dopo, prima di sollevare il ragazzo con un violento turbine di gelo e scaraventarlo molti metri addietro, fin quasi sulla riva del mare.
"Eumene!!!" –Gridò Antioco, nel vedere l’amico schiantarsi malamente a terra, con l’armatura danneggiata in più punti. E questo gli diede la forza per espandere ulteriormente il proprio cosmo, accendendolo di guizzanti fiamme capaci di sciogliere il ghiaccio del Dio del Vento del Nord.
Stringendo i denti per lo sforzo, Antioco ripensò agli insegnamenti avuti dal suo antico maestro, il sacerdote azteco Axayacatl, che si era occupato della sua formazione fin dalla giovane età. Essendo infatti orfano, Antioco era cresciuto con il fratello di suo padre, un tlatimine, un insegnante di scuola, che si occupava anche di teologia, astronomia, medicina e altre discipline teoriche e intellettuali. Lui lo aveva formato e gli aveva fornito i rudimenti basilari per approfondire la conoscenza del potere che celava dentro di sé, che Axayacatl aveva percepito in lui fin dall’infanzia. Un potere che il Sacerdote sosteneva derivasse proprio dal Dio Quetzalcoatl, leggendario re tolteco che aveva introdotto numerose innovazioni nella società Azteca, secoli addietro. Secondo la leggenda Quetzalcoatl sarebbe infine migrato dall’America Centrale a bordo di una nave con la promessa di ritornare a guidare i popoli dopo un certo periodo di tempo. Per questo motivo, poiché Axayacatl era sicuro di vedere nel nipote lo stesso sguardo studioso e innovatore del Dio Quetzalcoatl, un giorno lo aveva caricato su un bastimento in partenza per l’Europa, per mandarlo a crescere e a fare esperienze, sicuro che in futuro sarebbe tornato e avrebbe guidato il suo popolo verso il riscatto e verso la felicità.
"Tornerò!" –Aveva semplicemente detto Antioco, quel giorno di otto anni prima, lasciando il suo paese natio. E per tutti gli anni successivi, in cui aveva subito un duro allenamento, addestrando sia il fisico che la mente, alla corte di Ercole a Tirinto, non aveva mai dimenticato la promessa fatta al suo mentore, desiderando che si avverasse con tutto se stesso.
Fin da subito Antioco aveva trovato un valido amico in Eumene, futuro Hero della Mosca, un orfanello dai capelli rossicci giunto a Tirinto in quel periodo, attratto dalla possibilità di diventare un guerriero di Ercole, di cui aveva tanto sentito parlare nelle leggende, per combattere un giorno al suo fianco e a quello degli Heroes, le cui gesta cortesi erano cantata in tutta la Grecia. Per bambini come Eumene e Antioco o come Argo del Cane e Gleno di Regula, guerrieri adulti e con più esperienza come Agamennone del Leone o Nestore dell’Orso o l’inarrivabile Marcantonio dello Specchio rappresentavano il mito a cui aspirare, la fine del loro percorso di studi e di duro allenamento, il sogno di un’intera generazione.
"E non permetterò che tutti quei sogni vadano in fumo!" –Si disse Antioco, bruciando il suo caldo cosmo e rialzandosi a fatica. –"Per me, e per tutti gli orfani e i bambini che hanno creduto in Ercole e nella prospettiva di una vita migliore! Vola, Serpente Piumato!" –Gridò, rialzandosi, mentre l’infuocata sagoma di un Serpente con le piume scivolava addosso al suo corpo, liberandolo dalla stretta morsa del ghiaccio di Borea, prima di dirigersi verso il Dio ad una velocità quasi pari a quella della luce.
Il figlio di Eos fu abile ad incrociare le braccia di fronte a sé, parando l’attacco con una barriera di energia fredda, che spense progressivamente le fiamme di Antioco, impedendogli di raggiungere l’obiettivo. Ma quando Borea sollevò il braccio destro, per generare una nuova impetuosa corrente di gelo, notò che tutto attorno ad esso stavano svolazzando degli anemoni bianchi, candidi come la neve. Svolazzavano attorno al suo braccio, chiudendosi sempre di più in una stretta morsa, prima di esplodere con forza, danneggiando l’Armatura di Borea e spingendolo indietro, in un grido furibondo di dolore.
"Chi osa? Dannato!!!" –Ringhiò il Dio, toccandosi il braccio dolorante, mentre la sagoma di Adone dell’Uccello del Paradiso si avvicinava a lui, con il volto un po’ sporco e crepe sulla corazza, e con un anemone bianco in mano.
"Fiore del Vento!!!" –Esclamò il Comandante della Prima Legione, lanciando una nuova manciata di anemoni, carichi della sua potente energia cosmica, contro il Dio del Vento del Nord, il quale, irato come non mai, balzò in alto, spalancando le ali della sua Veste Divina e generando con esse una fredda corrente di energia fredda, che congelò tutti i fiori, facendoli cadere al suolo e distruggendoli.
"Puoi sorprendermi una volta, Adone! Ma non più di una!" –Affermò Borea, dirigendo una tempesta di aria fredda contro il Comandante della Prima Legione, che tentò di lanciare nuovamente i suoi anemoni da battaglia, osservandoli con orrore ricoprirsi di gelo e andare in frantumi. –"La tua strategia è fallimentare!" –Sentenziò Borea, aumentando l’intensità della corrente di energia fredda.
"Ne convengo!" –Mormorò Adone, espandendo il proprio cosmo, dall’acceso color rosato, che si manifestò sotto forma di calde onde di luce, che frenarono l’impeto congelante del Vento del Nord. –"Per questo userò il mio colpo massimo! Volo dell’Uccello del Paradiso!!!" –Gridò il Comandante, scatenando la luminosa sagoma di un uccello di energia dalle variopinte ali, che fendette l’aria, vincendo la resistenza della corrente fredda di Borea, il quale fu obbligato a difendersi incrociando le braccia avanti a sé. Ma la potenza del colpo danneggiò notevolmente i bracciali della Veste Divina del Vento del Nord, facendo zampillare gocce di sangue dalla carne ferita, spingendo Borea ad atterrare, poggiando un ginocchio sul terreno. Dolorante, e furioso per essere stato ferito, il figlio di Eos evocò il suo massimo potere congelante, generando una potente tempesta di energia fredda che diresse verso la vallata sottostante.
"Inverno di desolazione!!!" –Gridò Borea, spingendo l’impetuosa tempesta di ghiaccio contro gli Heroes di Ercole. –"Giunge infine per voi l’inverno, la fine dell’anno, la notte più fredda! Si oscura il cielo stellato e rimane soltanto un forte vento che spira con forza, che soffia con veemenza, facendo strage di fuochi e di calore! Nessun cuore palpiterà più in mezzo a tale tormenta! Nessun ideale sarà abbastanza forte da sopravvivere alla gelida tormenta invernale! Tutto sarà ghiaccio, tutto sarà rovina, tutto sarà silenziooo!!!" –Urlò Borea, scatenando l’immane violenza del suo massimo colpo segreto.
Adone cercò di resistere, coprendosi il volto con il braccio destro, mentre le raffiche di gelo si abbattevano su di lui, spingendolo indietro, stridendo sulla sua pelle, ghiacciando la sua corazza, al punto da appesantire ogni singolo movimento, persino un gesto del capo. Deianira, dietro di lui, tentò con tutta se stessa di seguire il suo Comandante, ma venne spinta via, travolta dalla brutale bufera, che investì in pieno anche i giovani Antioco e Eumene, sradicandoli come piante dal terreno. A tale vista, il cuore di Adone si infiammò e il suo orgoglio di Comandante prevalse sulla prudenza, spingendolo a lanciarsi a testa alta nella tormenta, per puntare verso il cuore di quell’inverno senza luce.
"Volo dell’Uccello del Paradiso!!!" –Gridò il Comandante della Prima Legione, scagliando il suo colpo segreto, che cozzò in pieno con l’assalto di Borea, provocando una violenta esplosione, che scaraventò entrambi i contendenti indietro, rilasciando tutta l’energia generata dai due.
Adone venne spinto indietro, rotolando sul pendio per parecchie decine di metri, avvolto in una morsa di gelo che distrusse parte della sua corazza, strusciando con forza sulla sua pelle curata, quasi volesse romperla e penetrare al suo interno, per portarvi la morte. Sbatté la testa contro un masso sporgente, frantumando l’elmo della sua corazza e perdendo sangue, ma prima che potesse muoversi sentì due calde mani sollevarlo delicatamente, le stesse che lo avevano accarezzato nelle loro notti insieme. Deianira gli spostò i capelli dalla fronte, pulendola dalle macchie di sangue, con il cuore che le batteva all’impazzata, per quanto facesse di tutto per controllare le sue emozioni, impaurita come mai era stata prima.
Borea, dal canto suo, era stato raggiunto all’addome dal Volo dell’Uccello del Paradiso, che aveva sfondato le sue difese, danneggiando ulteriormente la Veste Divina. Adesso stava cercando di rimettersi in piedi, tenendosi lo stomaco con il braccio destro, da cui sangue sgorgava copioso. Stringendo i denti, il figlio di Eos si alzò nuovamente, sfruttando il suo potere raffreddante per fermare l’emorragia delle ferite, congelandole e richiudendole. Quindi tirò lo sguardo verso il basso, dove vide Adone giacere ai piedi della Sacerdotessa, che gli carezzava il volto, come per lenirlo dai lunghi affanni. Si sorprese nel vederli così intimi, avvolti da un tepore che pareva vincere persino il freddo gelo del suo cosmo, uniti in un rapporto stretto che, Borea comprese, andava al di là dell’amicizia o del cameratismo che univa i guerrieri. Sospirò per un momento, mentre le ultime parole di Euro gli tornarono in mente.
"Non credi che vi sia qualcosa di giusto e di meritevole, nelle azioni degli uomini?!" –Gli aveva chiesto Euro. Ma Borea non aveva mai ritenuto possibile che qualcosa di giusto albergasse in esseri così palesemente inferiori, esseri destinati a durare ancora meno di un soffio di vento, agli occhi di una Divinità. Eppure, in quelle carezze, in quel confortevole tepore che pareva avvolgere Adone e Deianira, Borea parve scorgere qualcosa di buono, qualcosa che meritava, al pari del coraggio e dell’abnegazione di Agamennone del Leone, la sua attenzione e forse il suo rispetto. Mosse un piede per avanzare verso di loro, con il chiaro intento di chiudere quella partita, quando una snella figura si pose di fronte a lui, aprendo le braccia lateralmente, con un chiaro messaggio.
"Non raggiungerai il Comandante Adone!" –Esclamò Antioco del Quetzal, ansimando per lo sforzo.
"Non seccarmi ragazzino!" –Disse Borea, fermandosi di fronte a lui e lanciandogli un freddo sguardo pungente.
Antioco sentì un brivido corrergli lungo tutto il corpo, alla vista di quello sguardo, di quegli occhi blu che parevano penetrarlo in profondità. I muscoli si irrigidirono, impedendogli ogni movimento, mentre la corazza colorata che lo ricopriva iniziò a scricchiolare, ricoperta da un gelo intenso, prima di iniziare ad andare in frantumi.
"Osserva la tua corazza, ragazzo! Presto del tuo corpo, come di essa, resteranno soltanto frammenti!" –Esclamò Borea, ricominciando a muoversi per superarlo. Ma Antioco, con enorme sforzo, tentò comunque di ostacolargli il passaggio, mentre l’Armatura del Quetzal andava sempre più in frantumi e un gelo mortale gli entrava nelle ossa, ghiacciandolo nel profondo. –"Insisti? Allora ucciderò prima tu e poi il Comandante che tanto ami!" –E sollevò il braccio destro in alto, avvolgendolo in fulmini blu. –"Fulmini di Ghiaccio! Cibatevi del corpo stanco di quest’uomo e fatene frammenti che il Vento del Nord spazzerà via!!!" –E abbassò il braccio, lanciando contro Antioco il suo assalto mortale.
Ma l’Hero del Quetzal non venne raggiunto dai laceranti fulmini blu di Borea, che squarciarono il corpo di Eumene della Mosca, alzatosi di scatto e corso davanti all’amico, per proteggerlo dall’attacco mortale del Vento del Nord. Il giovane corpo dell’Hero della Mosca venne penetrato con forza dai Fulmini di Ghiaccio, che lacerarono la sua corazza e la sua pelle, ghiacciando il sangue dentro di lui e bloccando la sua circolazione, fino a distruggere tutto il suo corpo. Con le ultime forze, prima che il flusso sanguigno si arrestasse, Eumene diede l’ultimo saluto al suo amico più caro, il compagno di molte avventure nei cieli di Grecia.
"Sa.. salvati amico, e vola via!" –Quindi il suo corpo venne disintegrato, sbriciolandosi di fronte agli occhi di Antioco, carichi di lacrime e di dolore. Il ragazzo, come reazione istintiva, bruciò al massimo il proprio cosmo, generando fiamme guizzanti che percorsero tutto il suo corpo, liberandolo dalla pungente prigionia del gelo di Borea. Quindi si lanciò avanti, scagliando il suo colpo massimo da distanza ravvicinata.
"Fuoco del Serpente Piumato!!!" –Gridò Antioco, dirigendo le fiamme contro il cuore di Borea, che fu svelto a balzare in alto, piroettando su se stesso e atterrando con le braccia dietro di sé, prima di spalancare le ali della Veste Divina e librarsi in volo, travolgendo l’Hero del Quetzal con una potente corrente fredda, che lo scaraventò indietro, facendolo ruzzolare lungo il pendio della collina, fino alla riva del mare.
Antioco rimase sul terreno pietroso vicino alla spiaggia per qualche minuto, o forse per ore intere, stordito e confuso, triste per la morte dell’amico e con il corpo percorso da forti brividi. Il gelo di Borea era penetrato dentro di lui, congelando le sue ossa e i suoi muscoli, al punto che ogni singolo movimento, seppur minimo, gli strappava un grido di dolore. Ma Antioco tentò di avanzare comunque, trascinandosi sul terreno, cercando di raccogliere le ultime tracce del suo cosmo, gli ultimi bagliori di fuoco e di luce, che potessero scaldarlo e accendere nuovamente in lui la fiamma della vita. Lentamente perse conoscenza, lasciando vagare la mente indietro, ai giorni spensierati dell’addestramento, quando era ancora un adolescente alle prime armi, affascinato da Ercole e da Tirinto e dalle storie che sentiva raccontare da Agamennone nelle lunghe notti attorno al fuoco. Eumene era al suo fianco, come lo era stato fin dall’inizio, da quando si erano conosciuti nel polveroso piazzale di Tirinto, quando Marcantonio li aveva presentati, affidandoli entrambi alle cure di Pandaro del Corvo e dello stratega della Legione Alata, Ecuba di Antlia, il quale li avrebbe istruiti sui rudimenti basilari del volo e su alcune tattiche particolari di guerra e di accerchiamento. Ecuba era il teorico e Pandaro dava loro dimostrazioni pratiche, e ai ragazzi piaceva molto volare con lui, poiché era buffo e spiritoso, con un curioso accento che lo rendeva uno degli Heroes più divertenti, per quanto la sua forza fisica non fosse affatto grande, né le sue imprese cantate dagli aedi.
Ma Antioco ed Eumene amavano viaggiare con Pandaro, che spesso li conduceva in volo nelle piane e nei boschi sopra Tirinto, assieme a Icaro della Colomba, a Ascalafo della Civetta e a Briseide del Cardinale, i più giovani Heroes della Prima Legione, insegnando loro a volteggiare e a scendere in picchiata, a frenare bruscamente e a mantenersi in equilibrio, cosa tutt’altro che semplice. Erano giorni spensierati quelli, così li ricordava Antioco, prima che i problemi dell’età adulta iniziassero a farsi sentire, ombreggiando l’allegria dell’adolescenza. Voci giunsero a Tirinto di una guerra tra Atena e Ade, e della morte di quasi tutti i Cavalieri di Bronzo, d’Argento e d’Oro. Voci che rattristarono Ercole, incupendo il sole sempre radioso sulla fortezza. E infine era giunto il messaggio di Era, portato personalmente da Iris, sua fidata messaggera, in cui la Regina dell’Olimpo invitava Ercole alla sua reggia. Da lì tutto era cambiato, il sole aveva smesso di brillare e al suo posto una fitta cappa di nubi aveva ricoperto il cielo, segnando la fine delle fresche speranze di pace e giustizia e obbligando Antioco, Eumene e i loro compagni a dire addio all’adolescenza. Adesso, quella mattina, sulla riva del mare, Antioco aveva dovuto dire addio anche al suo più caro amico, il migliore che aveva trovato da quando aveva lasciato il Vicereame della Nuova Spagna. Cercando di farsi forza, l’Hero del Quetzal sollevò il capo, volgendo lo sguardo verso l’alto. Vide il suo Comandante lanciarsi contro il figlio di Eos e poi crollò a terra, privo di forze.
Adone dell’Uccello del Paradiso si era infatti rimesso in piedi, rabbioso per la sorte a cui Borea aveva condannato Eumene e Antioco. Aveva scansato Deianira, pregandola di rimanere indietro, determinato ad affrontare lui il Vento del Nord. Ma la Sacerdotessa gli aveva afferrato una mano, stringendola nella propria, infondendogli con poche parole tutto l’amore che le era stato negato provare.
"Sono con te!" –Esclamò Deianira. Ma Adone scosse la testa, pregandola di restare fuori da quel sanguinoso conflitto. –"Chi un esercito di cavalieri, chi una schiera di fanti, chi una flotta di navi dirà che sia la cosa più bella, sopra la terra nera! Io dico ciò che uno ama!" –Sussurrò Deianira, citando una poesia di Saffo, che la donna amava spesso declamare. –"Se non mi è concesso di lottare e morire per l’uomo che amo, che mi sia concessa la morte allora!" –Aggiunse, togliendosi la maschera e gettandola a terra, mostrando il suo volto ad Adone. Un volto che l’uomo conosceva bene, avendo giaciuto al suo fianco nelle notti piene di passione.
"Questo amore ci ucciderà!" –Commentò il Comandante, fissandola con decisione.
"Lo ha già fatto!" –Aggiunse Deianira, voltandosi e dirigendo lo sguardo verso Borea, rimasto un po’ interdetto dall’uscita della Sacerdotessa.
"E sia allora! Preparati, Vento del Nord, perché questo sarà l’ultimo atto! L’ultimo canto di Adone!" –Gridò l’Hero, espandendo al massimo il suo cosmo, mentre la variopinta sagoma di un Uccello del Paradiso compariva dietro di lui. Deianira fece altrettanto, rivelando la graziosa figura di un Lofoforo, dal piumaggio bianco e argenteo, come il colore dei suoi occhi. –"Volo dell’Uccello del Paradiso!!!"
"Canto del Lofoforo!!!" –Gridò Deianira, unendo il proprio cosmo a quello del suo Comandante ed osservando l’imponente assalto dirigersi con forza contro Borea, il quale generò una violenta corrente di aria fredda, usandola come muro per difendersi.
Ma il calore dell’amore dei due Heroes rese l’assalto così incandescente da permettergli di fondere il muro difensivo, spingendo Borea indietro, travolgendolo con un furore mai sperimentato prima. Schizzi di energia stridettero sulla Veste Divina del Vento del Nord, schiantandola in più punti e lacerando la carne al di sotto di essa, mentre Borea stringeva i denti dal dolore, invaso da un calore che non aveva mai sentito prima. Un calore che ai suoi occhi sembrava un fuoco così ardente come potevano essere i raggi del sole. Un calore che era semplicemente umano, come quello che Euro aveva tanto ammirato. Terribilmente umano.
"Inverno di desolazione!!!" –Gridò Borea, comprendendo finalmente la verità insita nelle parole del fratello e ammettendo che gli uomini, con tutti i loro turbamenti e tutte le loro emozioni, meritavano stima e rispetto. Poiché quelle stesse emozioni, di gioia o di dolore, di orgogliosa difesa dei loro ideali, di amicizia e di sacrificio, di amore, li rendevano grandi e in grado di spingersi sempre oltre, fino a compiere miracoli. –"Forse lo avevo sempre saputo, e per questo li avevo sempre disprezzati! Invidioso per le possibilità di cui gli uomini hanno sempre potuto fruire, liberi da vincoli, liberi da ruoli precostituiti, liberi di costruire il loro incerto futuro giorno dopo giorno, sbagliando e cadendo, e trovando sempre la forza di rimettersi in piedi! Agamennone con la sua determinazione, Niobe con il suo silenzioso sacrificio, Eumene e Antioco con la loro amicizia, Adone e Deianira con il loro malcelato amore! Questi uomini hanno riscaldato il mio cuore, liberandolo dallo strato di ghiaccio e di insofferenza che finora avevo dimostrato e dandogli la possibilità di godere del tepore di un’umanità che non ho mai conosciuto! Di un’umanità di cui forse avrei voluto far parte!" –Mormorò il Dio, mentre l’assalto congiunto dei due Heroes sfondava il suo petto, distruggendo la Veste Divina e spezzando il corpo del Vento del Nord.
La tempesta di gelo generata da Borea travolse Adone e Deianira, congelando le loro corazze e dilaniando la loro pelle nel profondo, fino ad avvolgerli in un mortale e silenzioso abbraccio di ghiaccio. Caddero a terra, i due mai confessati amanti, e non più si rialzarono, vittime di un gelo che fece strage del loro amore e che al tempo stesso li liberò di tutti i loro obblighi, di tutti i loro rimorsi, donandogli la possibilità di stare finalmente insieme per l’eternità. Prima di spirare, Adone dell’Uccello del Paradiso afferrò la mano di Deianira, stringendola nella propria, mentre un sorriso illuminava il suo volto, perdendosi negli argentei occhi del suo unico amore.
La scomparsa dei cosmi degli Heroes della Prima Legione venne avvertita su tutta l’Isola di Samo, sia da Marcantonio, Alcione e Chirone, che stavano affrontando i soldati semplici di Era, assieme agli Heroes delle loro Legioni, sul medio versante della collina, sia da Nesso del Pesce Soldato, che aveva scelto una strada laterale, per aggirare l’ostacolo e giungere direttamente alla Reggia di Era. Avanzava a fatica, un passo dopo l’altro, con la vista che pareva annebbiarsi ad ogni movimento che compiva, ma Nesso aveva ben chiaro cosa avrebbe dovuto fare, per quanto fosse certo che né Alcione né Ercole avrebbero approvato. Trascinandosi sul terreno, sollevò lo sguardo verso l’Heraion, chiedendosi dove fosse Era, dove fosse nascosta la donna che aveva causato tutto quel massacro. La donna dentro la quale l’Hero voleva affondare per l’ultima volta la Lama degli Spiriti, consumandosi con lei.
Prima che riuscisse a fare un altro passo avanti, Nesso vide un fiore di melograno, dal colore bianco neve, fluttuare nell’aria, ma stanco com’era non riuscì a collegarlo ad un nemico finché esso non si conficcò nel terreno ai suoi piedi, generando una grande pianta dai lunghi filamenti verdi, che si attorcigliarono tutto attorno al suo corpo, immobilizzandolo e stritolandolo con forza. Nesso tentò di liberarsi, di divincolarsi da quella stretta prigionia, mentre le liane e i fili verdastri strusciavano sulla sua pelle, aprendo tagli e ferite e cibandosi del sangue che succosamente fuoriusciva.
"Quale sorpresa! Il portatore della Lama degli Spiriti in persona!" –Esclamò una voce maschile, obbligando Nesso a sollevare lo sguardo sopra di lui. –"Quale occasione migliore di recuperarla, dimostrando ad Era e a quel pagliaccio di Argo quanto poco valessero i loro due scagnozzi e quanto meritevole son invece io, il più grande tra gli Emissari, l’unico degno di prendere il posto dell’Oracolo a fianco della Dea Madre!"
Nesso lo aveva visto una sola volta, il giorno prima, nella radura nel bosco a sud di Tirinto, ed era scappato da lui grazie all’aiuto di Chirone del Centauro e della Sesta Legione. Quell’uomo dallo sguardo perverso era il traditore di Tirinto, l’uomo che aveva venduto gli Heroes e lo stesso Ercole, condannandoli ad un tramonto di sangue: Partenope del Melograno.
"Quanto sangue!" –Esclamò Partenope, leccandosi il labbro inferiore alla vista del sangue che sgorgava copioso dalle ferite di Nesso, provocate dal continuo strusciare dei fusti e dei filamenti verdi della pianta di melograno che lo stava stritolando. –"Non preoccuparti, non andrà sprecato! La mia creatura adora il sangue degli uomini, soprattutto il fresco nettare dei giovani, così pieno di vita! Così pieno di cosmo! Ah ah ah!" –Sghignazzò Partenope, stringendo la morsa su Nesso e strappandogli un grido di dolore. –"Nutriti della linfa vitale di questo fanciullo, mio adorato melograno, e cresci! Cresci ancora! Fino a sovrastare il cielo con la tua bellezza! Fino ad oscurare il sole con il rossore acceso del tuo colore!!!"
"Sei.. pazzo!" –Mormorò Nesso, stringendo i denti per il dolore, mentre cercava di raccogliere le forze ed espandere il suo cosmo.
"Forse!" –Sibilò Partenope. –"Ma tu, ragazzino agonizzante, non sei in condizioni di accusare nessuno!" –E sogghignò, mentre un secco colpo dei filamenti del melograno falciava via un dito della mano sinistra di Nesso. –"Cosa ti lamenti? È soltanto il mignolo! Ne hai ancora nove! Ah ah ah!"
"Spiacente di deluderti!" –Esclamò Nesso, bruciando il proprio cosmo. –"Ma non rimarrò ad aspettare di essere seviziato da quest’orrida pianta, per soddisfare i tuoi perversi giochetti! No, sono un Hero e ho una missione da compiere!" –Ed espanse il suo cosmo, fresco e profondo come l’oceano, iniziando a tirare con forza i filamenti che lo intrappolavano, strappandoli uno dopo l’altro, con un enorme sforzo. Liberatosi un poco, Nesso iniziò a roteare su se stesso, come fosse una trottola, aprendo le braccia verso l’esterno e tirando fuori i denti arpionati dai suoi bracciali, usandoli per falciare i fusti e i filamenti della pianta, fino a liberarsi completamente, di fronte agli occhi sorpresi e irati di Partenope, che evocò centinaia di fiori di melograno, dall’acceso color rosso sangue, dirigendoli contro il ragazzo in una fitta pioggia. Ma Nesso liberò il suo colpo segreto, distruggendo tutti i fiori assassini.
"Frecce del Mare!!!" –Esclamò, dirigendo i suoi dardi di energia acquatica contro i fiori, annientandoli uno ad uno e cercando di evitare i pochi che non era riuscito a colpire. Terminata la pioggia di fiori di melograno, Nesso barcollò per un momento, prima di crollare improvvisamente sulle ginocchia, sentendosi terribilmente debole, terribilmente stanco, quasi fosse stato svuotato di ogni forza. Partenope approfittò di quel momento, per colpirlo con un’impetuosa onda di energia, falciando le gambe di Nesso e distruggendo la sua corazza protettiva, spingendolo indietro, fino a farlo ruzzolare sul pendio.
"Dammi adesso la Lama degli Spiriti!" –Esclamò infine, avanzando verso Nesso, che rantolava sul terreno, cercando di afferrarsi alle pietre sporgenti e rimettersi in piedi. –"Cedimi ciò che mi spetta, ciò che mi permetterà di elevarmi al di sopra di questa marmaglia di uomini mortali e conquistare il rispetto di una Dea che ha sempre visto a noi esseri umani come semplice feccia! Cedimi ciò che mi consentirà di farle cambiare opinione, perlomeno su di me!"
"Mai!!! Non mi arrenderò al volere di una divinità dispotica, nemmeno se il mio corpo fosse fatto a pezzi o cadessi vivo nei gironi di Ade! Il mio cosmo continuerà a bruciare! Per Ercole!!!" –Ringhiò Nesso, rialzandosi di colpo e trovando la forza per lanciarsi avanti, caricando nuovamente le Frecce del Mare. Ma un nuovo assalto di Partenope lo travolse, distruggendo la cintura protettiva della corazza del Pesce Soldato e facendogli sputare sangue, prima di crollare a terra. Partenope fu subito su di lui, calpestando la mano mutilata con il tacco della sua armatura e sputando sul volto stanco e ferito del giovane custode della Lama degli Spiriti.
"Ricordi le parole di Omero? I doni degli Dei nessuno può sceglierseli!" –Esclamò Partenope, prima di sogghignare sinistramente. –"E a te faranno dono della morte!" –E calò il tacco nuovamente su di lui, per sfregiargli il viso. Ma prima che potesse colpirlo, Partenope venne raggiunto da un attacco energetico di discreta potenza, che fu sufficiente per spingerlo indietro di qualche metro. –"Chi osa opporsi al volere degli Dei?!" –Ringhiò, sollevando lo sguardo verso il cielo e osservando una mongolfiera, con ben sei Heroes di Ercole, scendere su di lui. La legione di Fede era arrivata.