CAPITOLO VENTISETTESIMO: PER AMORE DEGLI UOMINI.

Nestore dell’Orso, Comandante della Quarta Legione, e Giasone del Cavallo erano stati imprigionati da Iris, Messaggera della Regina dell’Olimpo, e rinchiusi nei sotterranei dell’Heraion di Samo in un’ampia stanza, dalla volta alta, simile ad un’immensa serra, progettata probabilmente per ospitare un rigoglioso giardino, curato dall’uomo che aveva tradito Ercole e che li aveva intrappolati semplicemente con un fiore: Partenope del Melograno. Da ore ormai i due Heroes giacevano agonizzanti, stritolati dai lunghi steli verdi del Melograno Assassino, impregnato del cosmo di Partenope, che aveva come scopo principale quello di logorare le loro difese, assorbendo goccia a goccia il loro sangue e il loro cosmo.

Nestore riaprì improvvisamente gli occhi, credendo di aver fatto un brutto sogno, ma la vista del sangue che colava lungo il suo corpo, zampillando sul terreno sotto di lui, lo riportò alla realtà. Si scosse, cercando di reagire, ma ogni singolo movimento che compiva non faceva altro che aumentare la morsa dei robusti fusti verdi su di lui, che si avvinghiavano come vampiri alla sua carne, desiderosi di succhiarne via tutto il sangue. Giasone del Cavallo era imprigionato vicino a lui, con il volto macchiato dal sangue che fuoriusciva da una ferita sulla fronte, privo di sensi, probabilmente indebolito dalla lunga agonia a cui erano stati sottoposti.

"Giasone! Giasone!" –Lo chiamò Nestore, con voce un po’ rauca. Ma il compagno parve non udirlo. Così Nestore dell’Orso decise di agire autonomamente, stufo di quella situazione di stallo, espandendo il proprio cosmo nel tentativo di liberarsi, ma immediatamente migliaia di steli e di fusti resistenti sorsero dal terreno, moltiplicandosi a dismisura, avvolgendosi intorno al suo corpo robusto. E più Nestore cercava di dimenarsi, più le piante parevano stringere la loro fatale morsa, prosciugando ulteriormente le risorse energetiche del Comandante di Ercole.

"Ne.. Nestore!" –Balbettò una fievole voce e, voltandosi, Nestore riuscì a scorgere il volto sporco di Giasone del Cavallo fissarlo a poca distanza. –"Non avrà dunque fine questo lungo martirio?!" –Si domandò Giasone, con un tono che non faceva niente per nascondere un’amara rassegnazione.

"Giasone! Hai ripreso i sensi, per fortuna!" –Cercò di incalzarlo Nestore. –"Dobbiamo liberarci da questa presa! Forse, coordinando le nostre azioni, riusciremo a strappar via quest’erbaccia!"

"Ormai è tardi, Nestore!" –Commentò a fatica Giasone. –"L’ora è giunta, e forse non me ne dispiace neanche troppo!"

"Ma che stai dicendo?!" –Domandò Nestore, continuando a dimenarsi nel mucchio di erbe affamate. –"Possiamo ancora farcela! Siamo Heroes di Ercole! Il nostro Signore ha bisogno di noi! Non possiamo cedere alla stanchezza!"

"Non è la stanchezza fisica che mi impedisce di agire, Nestore, ma la stanchezza del mio cuore, la pesantezza del mio animo, che grava come un macigno sul mio corpo stanco!" –Commentò pacatamente Giasone, sollevando lo sguardo, nascosto dai folti capelli rossastri.

È strano! Pensò Nestore. Come per tutti questi anni vissuti insieme non abbia mai avuto occasione di conversare con Giasone, di conoscerlo un po’! È sempre stato un tipo solitario, avvolto nel suo mantello di misantropia e poco disposto a rivolgere sguardi e sorrisi agli altri, sia nella vita privata che in battaglia!

"Giasone! Di cosa stai parlando? Non cedere allo sconforto, te ne prego! Dobbiamo essere uomini e resistere!" –Esclamò Nestore, ma l’amico parve non trovare conforto nelle sue parole.

"Essere uomini! Già!" –Commentò Giasone con un sospiro. –"E cosa significa davvero? Cosa ci rende uomini realmente?!" –Domandò, prima di scuotere il capo. –"Io non ho mai avuto fiducia in costoro, da quando mi abbandonarono anni addietro, con un bambino in fasce tra le braccia, senza darmi né aiuto né affetto! Perché io, adesso, dovrei essere come loro?!"

Quelle parole stupirono Nestore, che mai aveva conosciuto notizie riguardo al passato di Giasone, riguardo al periodo della sua vita antecedente al suo arrivo a Tirinto. Con voce decisa, ma educata, Nestore lo spinse a liberarsi di quel peso che tanto gravava sul suo cuore, sperando che potesse essergli di aiuto per reagire, e intanto lasciò scivolare la mente indietro, ricordando quel giorno di dieci anni prima in cui Giasone si era presentato a Tirinto. Lo ricordava bene, poiché quel giorno era di guardia assieme ad Agamennone del Leone, entrambi ritti sul Cancello Principale, rivestiti soltanto delle loro cotte di rame e di cuoio, tipiche dei momenti non di battaglia.

Lo avevano visto avvicinarsi e ad entrambi era sembrato un brigante, avvolto semplicemente in stracci logori e male rammendati. Reggeva in mano un fagotto, stringendolo a sé come un tesoro, e camminava piano, curvo su se stesso, come un vecchio di cent’anni. Cercava soltanto un riparo e un tetto dove pregare gli Dei, e Nestore lo aveva fatto entrare, facendolo accomodare nella corte di Tirinto, di fronte allo sguardo sospettoso di Agamennone, che temeva fosse un ladro o un nemico. Ma Nestore aveva pregato l’amico di calmarsi, poiché aveva percepito, grazie al cosmo, che quell’uomo non aveva affatto intenzioni malvagie. No, il suo cosmo, seppur debolmente percettibile, trasudava invece di dolore, di una grande sofferenza che portava sulle spalle come una croce.

Quella notte Giasone aveva dormito a Tirinto, in una stanza vicino alle stalle che Nestore aveva fatto assegnare a lui, da solo, stringendo a sé il suo fagotto, e ad un certo punto della notte si era alzato, portando un po’ di paglia con sé ed aveva camminato nell’oscurità fino a giungere nella corte posteriore della fortezza, nascosto agli sguardi dei dormienti. Là aveva acceso un piccolo fuoco di bivacco, di fronte al quale si era inginocchiato, pregando e mormorando parole confuse, alternandole a violenti singhiozzi. Quindi si era reciso i polsi con una pietra, lasciando che il sangue sgorgasse fuori dalle ferite, e con esso aveva bagnato la fiamma, accendendola di un inquietante rosso scarlatto. Sospirando, aveva stretto il fagotto a sé e fatto per muoversi, per entrare insieme ad esso nel falò, finché una voce non lo aveva fermato.

"Quale sofferenza grava sul tuo animo? Quale dolore può essere così grande da spingere un uomo di così giovane età a gettarsi vivo tra le fiamme, per porre fine alla sua vita, anziché continuare a viverla, come gli spetta di diritto?!" –Aveva esclamato una decisa voce maschile, mentre la robusta figura di un uomo, dai corti capelli neri e dal fisico muscoloso, usciva dalle tenebre, avvicinandosi al falò.

"Il desiderio di mettere fine alla sofferenza dovrebbe essere un motivo sufficiente! Non credete, Sommo Ercole?!" –Aveva risposto Giasone, voltandosi verso il Dio. Nonostante non l’avesse mai incontrato, Giasone non ebbe problemi a riconoscere la sua aura cosmica, poiché soltanto un Dio poteva possederne una di così vaste dimensioni, di così ampia portata. Si sorprese soltanto di riconoscere in essa sfumature che non avrebbe immaginato, che la rendevano ben diversa dall’aura cosmica degli Dei e molto più simile a quella degli uomini.

"Possono esserci altri modi per mettere fine al dolore! Per vincere l’agonia che ci attanaglia!" –Aveva commentato il Dio, avvicinandosi. –"Perché ricordati, la vita è fatta anche di sofferenza e di lacrime, non soltanto di gioie! Ma se per ogni sofferenza dovessimo toglierci la vita allora non vivremmo abbastanza per godere appieno di tutto il suo splendore!"

Giasone non aveva saputo rispondere, esitando per un momento di fronte al fuoco, su cui le gocce del suo sangue continuavano a cadere. Finché Ercole non gli aveva chiesto cosa portava con sé.

"Il frutto del mio dolore!" –Aveva esclamato Giasone, aprendo il velo del suo fagotto e rivelando, di fronte agli occhi atterriti di Ercole, il corpo senza vita di un bambino. –"Questo era mio figlio! Il figlio che non sono riuscito a salvare! Il figlio che gli uomini non mi hanno permesso di salvare!" –Aveva pianto Giasone, accasciandosi a terra, davanti al fuoco, prima che Ercole gli si avvicinasse, calmandolo con il suo caldo e confortante cosmo.

Anni addietro Giasone era stato un imbattibile atleta, veloce e scattante, e aveva partecipato a numerose gare in tutta la Grecia. In queste trasferte aveva incontrato Petra, una donna affascinante, con la quale aveva avuto uno splendido bambino. Ma una notte, di ritorno da una vacanza trascorsa assieme, nelle isole del Peloponneso, la barca su cui viaggiavano aveva fatto naufragio a una ventina di chilometri dalla costa e Giasone, Petra e il bambino erano caduti in mare, tra le grida disperate della comitiva. La donna era subito scomparsa, aspirata dagli agitati flussi, mentre Giasone, stringendo a sé il bambino, che in lacrime piangeva, aveva cercato di trovare un rifugio, facendosi ospitare da una scialuppa. Ma gli uomini sulla barchetta gli negarono di salire a bordo, poiché sostenevano che la scialuppa fosse già piena e ulteriore peso avrebbe potuto farla ribaltare. A niente servirono le suppliche e le lacrime di Giasone, che fu lasciato in balia dei flutti, costretto a rientrare a nuoto fino in Grecia. Maledisse gli uomini quella notte Giasone, e il destino che lo aveva aggredito, ma cercò di farsi forza e nuotare, stringendo a sé il bambino che non voleva abbandonare. Quando finalmente riuscì a toccare terra, alle luci dell’indomani, era pallido ed emaciato, il ricordo dello splendore che l’atleta era stato un tempo. E il figlio, che ancora stringeva tra le mani, era morto.

Qualcosa di irreparabile accadde in lui quel giorno, qualcosa che lo portò alla pazzia, a stringere visceralmente a sé il figlio che non era stato in grado di salvare, quasi come volesse punirsi per la sua morte e per la scomparsa della moglie. Visse in solitudine per molti mesi, cibandosi di bacche e di radici nei boschi, rifiutando qualsiasi contatto umano e continuando a parlare con il bambino che teneva avvolto in un logoro mantello, come se volesse proteggerlo dai mali del mondo, come se potessi dargli ora quel calore che gli era mancato in mare.

"Ti stai uccidendo da solo!" –Gli aveva detto Ercole quella notte, davanti al fuoco di bivacco. –"E non meriti questa punizione! No, non la meriti affatto! Hai già sofferto troppo, Giasone, e scontato pene infernali per colpe che non ti appartengono! Liberati di questo peso, liberati di questo rimorso, o ti legherà ad esso per l’eternità, impedendoti di trovare pace!"

Giasone aveva pianto, sciogliendosi in lacrime come un bambino, e a fatica aveva accettato le parole di Ercole, pur sapendole vere. Aiutato dal caldo cosmo del Dio, aveva accettato la sua offerta, il suo tentativo di rendergli un po’ di fiducia nei confronti della vita, che bastarda era stata con lui, e degli uomini, che lo avevano ucciso, in tutti i modi possibili. Aveva cremato il figlio, spargendo le ceneri dalla torre più alta di Tirinto, sperando che il vento le portasse lontano, in un campo di fiori dove un giorno lo avrebbe ritrovato, e da allora aveva vissuto a Tirinto, cercando di rifarsi una vita, aiutato anche dagli altri Heroes che, pur non conoscendo il suo passato, lo accettarono fin dall’inizio come uno di loro. Del resto, le Legioni erano piene di contadini, di allevatori, di orfani, di giovani sfortunati ma ricchi di talento e di belle speranze, ed Ercole sperava che, vivendo nella città, Giasone avrebbe potuto dimenticare l’orrore del passato, nella prospettiva di farsi un futuro. In realtà, negli anni a seguire, Giasone rimase sempre distaccato, preferendo non farsi coinvolgere troppo dai sentimenti umani, rinchiudendosi in un suo mondo perfetto dal quale difficilmente emergeva, per quanto tentativi di socializzazione venissero portati avanti da Nestore, Agamennone e Penelope.

"Mi dispiace!" –Commentò Nestore dell’Orso, ascoltando la triste storia di Giasone. –"Mi dispiace per il male che gli uomini ti hanno recato, e per non essere stato in grado di aiutarti in questi anni difficili, non capendo mai cosa gravasse sul tuo cuore! Sono stato uno sciocco! Come Comandante non valgo poi molto!"

"Non dire così, sei il Comandante.." –Balbettò Giasone, preso alla sprovvista da quella spontanea confessione di Nestore, che lo interruppe bruscamente.

"Ho fallito in tutto, Giasone! Il Kouros non è stato abbattuto e forse gli abitanti di Micene sono stati massacrati! Ercole sta lottando contro Era ed io non sono al suo fianco, e gli Heroes da me comandati sono stati uccisi e giacciono dispersi in attesa dell’ordine di un Comandante che non merita questo titolo!" –Esclamò Nestore. –"Ma se Era crede che tutto questo sia sufficiente per abbattere Nestore dell’Orso, allora ha sbagliato i suoi conti!" –Ruggì il possente Hero, espandendo al massimo il proprio cosmo. –"Non avevo mai compreso cosa albergasse nel tuo cuore, Giasone, ma adesso che mi hai reso partecipe del tuo dolore, io combatterò anche per te! Per dimostrarti che gli uomini non sono tutti malvagi ed egoisti, ma che al mondo esiste ancora bontà, anche se nella misura di un palmo!"

L’ardente cosmo di Nestore, dallo scintillante color azzurro, invase la stanza sotterranea, mentre i muscoli dell’uomo strappavano via con forza gli steli e le nodose radici della pianta che li aveva fino a quel momento tenuti prigionieri. Giasone rimase interdetto di fronte a così tanta esplosiva energia, che gli sembrò quasi di vedere un orso ruggire, liberandosi con foga dagli sterili lacci che la opprimevano. Per un momento si sentì infiammare, sentendosi un vigliacco, sentendosi un vinto, un uomo che aveva rinunciato a tutto, accettando candidamente la morte, per levar via le sue sofferenze. Poi ripensò a Petra, all’amore che l’aveva infiammato, alle vittorie nelle gare atletiche, al figlio che aveva amato, ai momenti belli che avevano costellato la sua vita e che erano giunti malamente a termine. E si chiese se forse, con i propri gesti, non avrebbe potuto farli rivivere. Se forse non avrebbe potuto ritrovare quelle stesse emozioni perdute.

Lasciandosi dominare da tali sentimenti, Giasone espanse a sua volta il cosmo, caricandolo delle fiamme del rancore covato fino a quel giorno, che fece cenere di tutti gli steli, le radici e i fiori di melograno che tentavano di opprimerlo. Nestore, al suo fianco, osservò il compagno sotto una luce diversa rispetto a come lo aveva guardato prima, notando nei suoi occhi una fiamma che pareva essersi risvegliata dopo aver dormito per anni. La fiamma in cui era impressa una ragione per vivere.

La loro conversazione fu interrotta da un pesante rumore di passi, che discendevano gli scalini della gradinata che conduceva alla parte superiore dell’Heraion, che anticiparono l’arrivo di una figura rivestita da una lucente corazza. Era una donna, anche se dalle forme poco aggraziate, bensì piuttosto bassa e tozza, con un viso poco curato, ricoperta da un’Armatura che rappresentava uno dei simboli cari ad Era: la Grande Vacca, da cui si riteneva fosse derivata l’etimologia del suo nome.

"Siete ancora vivi?!" –Esclamò stupita Boopis, la Grande Vacca. Ma poi, pensandoci bene, si corresse. –"Perché mi sorprendo? I vostri compagni hanno già dato prova di miracolose imprese e non c’è motivo per credere che voi siate a loro inferiori!" –Commentò, ricordando la sconfitta subita da Kyros e indirettamente anche da lei sui monti dello Jamir, poche ore prima.

Dopo aver generato una valanga, con l’ausilio del suo cosmo, Boopis aveva ingaggiato battaglia con Alcione della Piovra, il Comandante della Terza Legione, una donna che non provava remore alcuna nel lanciarsi decisa in combattimento. Agile, snella, molto intelligente, Alcione aveva saputo spingere Boopis contro un fianco della montagna e prima che l’Emissario di Era avesse potuto comprendere il disegno dell’Hero, le aveva lanciato contro i propri sinuosi tentacoli, immobilizzandola, mentre con altri aveva scosso la montagna, facendo crollare un mucchio di neve e pietra su di loro. A fatica, Boopis era riuscita a salvarsi, sentendosi soffocare da quel mucchio indistinto di terra e ghiaccio, su cui aveva iniziato ad esercitare i suoi poteri. Liberatasi, era uscita fuori da quell’improvvisata trappola, solo per constatare di essere rimasta sola. Alcione se ne era già andata.

"Se il Melograno di Partenope non ha adempiuto al suo dovere, penserò io a ristabilire le sorti della battaglia, dando il colpo di grazia ai vostri deboli corpi!" –Esclamò infine Boopis, scendendo gli ultimi gradini e atterrando sul suolo della serra.

"Deboli corpi?!" –Ruggì Nestore dell’Orso, che si sentiva più determinato che mai, lanciandosi all’assalto con il cosmo ardente attorno al suo corpo. Ma il suo procedere venne fermato da nuovi filamenti e da nuovi lunghi rami nodosi che sorsero dal suolo, moltiplicandosi ad ogni passo dell’Hero, che il pacato cosmo di Boopis pareva evocare, semplicemente con un gesto della mano.

"Ripeto, deboli corpi!" –Precisò la donna, osservando Giasone e Nestore dibattersi all’interno di quella selva di liane, steli e rami che aveva creato. –"Partenope in battaglia fa ampio uso dei suoi adorati Melograni, ma io, che di Era ho saputo imitare la sua intima connessione con la natura, al punto da diventare un unicum con essa, posso sfruttare qualsiasi fenomeno naturale e farlo mio! Come la Grande Dea Madre tutto crea e tutto distrugge!"

"Adesso mi sono stufato!" –Ringhiò Nestore dell’Orsa, dibattendosi selvaggiamente in mezzo a quel groviglio di sterpi. Espanse il proprio cosmo ed evocò il potere sopito dentro di sé, l’Ursus arctos middendorffi, con il quale aumentò di colpo la propria massa corporea, diventando un immenso Orso Kodiak, che strappò via come erbacce tutti i rami e gli steli, ringhiando furiosamente, mentre Giasone, dal canto suo, lo aiutava con il suo cosmo incendiario.

In quello stesso momento, ai piani superiori dell’Heraion, la Regina dell’Olimpo, assisa sul trono di Samo, chiamò Argo a sé, chiedendo la ragione di quel frastuono improvviso e fuori luogo. Il Sacerdote rispose che il Comandante della Legione di Ercole aveva risvegliato lo spirito sopito dell’Orso Kodiak, ma che Boopis era già intervenuta per estinguere nel giro di pochi minuti quella puerile minaccia.

"Me lo auguro sinceramente!" –Esclamò Era, indispettita. –"Ho già avuto modo di restare delusa da lei e dal tuo allievo quest’oggi! E non sono affatto disposta a tollerare una seconda sconfitta!"

A quelle parole, Argo chinò il capo in segno di ossequioso silenzio, non trovando sul momento le parole adatte per giustificare il fallimento di Kyros del Pavone, che aveva considerato improbabile quanto quello di non recuperare la Lama degli Spiriti. Che invece è finita nelle mani degli Heroes! E che questi bastardi stanno già usando contro i nostri Kouroi! Rifletté il Sacerdote, mordendosi il labbro inferiore dalla rabbia repressa, prima di sollevare lo sguardo verso il grande arazzo appeso al muro, su cui erano stati intessuti i novanta simboli degli Heroes di Ercole. Sorrise maliziosamente, osservando che ben quarantasei erano stati disfatti. La metà dell’esercito di Ercole era già stato annientato. E le Moire continuavano a filare.

Nella sala sotterranea la devastante furia dell’Orso Kodiak dilagava, disintegrando gli steli e i rami che Boopis faceva sorgere dal terreno, prima di lanciarsi con rabbia contro di lei, sorretto dalle incandescenti fiamme emanate da Giasone. L’Emissario di Era, per difendersi, aprì le mani avanti a sé, utilizzando le molecole dell’aria per creare una barriera invisibile contro la quale si schiantò l’assalto congiunto dei due Heroes, rimandandolo indietro e potenziandolo, prima di muovere le dita nell’aria, disegnando un mulinello di cerchi concentrici, che subito assunse la forma di un forte gorgo energetico, che sfrecciò contro i due Heroes travolgendoli e scaraventandoli indietro, fino a farli schiantare contro la vetrata retrostante. Questa andò bruscamente in frantumi, sbattendo Nestore dell’Orso, ritornato alle sue sembianze umane, e Giasone del Cavallo, nel giardino al di fuori della serra.

I due Heroes si guardarono velocemente intorno, realizzando di trovarsi su un versante interno della collina ove sorgeva l’Heraion di Samo, che poterono ammirare qualche decina di metri sopra di loro, stagliarsi contro il sole del pomeriggio, in un vasto prato pieno di fiori profumati e qualche albero sparso. Boopis apparve poco dopo dal pertugio della vetrata crollata, fissando i due uomini con commiserazione, ritenendo che qualunque difesa avessero adottata sarebbe stata vana e qualunque attacco avessero messo in atto non sarebbero mai riusciti a sconfiggerla.

"Voi non avete l’imperturbabile calma di Alcione della Piovra, né la sua saggezza!" –Commentò la donna infine. –"Siete due uomini, e come tali siete barbari e un po’ zotici, poco attenti alla natura, poco inclini a coglierne il senso profondo!"

"Siamo uomini atti a combattere, Sacerdotessa di Era!" –Esclamò Nestore, senza dar troppo peso ai suoi discorsi. E concentrò il cosmo sul pugno destro, pronto per scagliarsi nuovamente contro Boopis, ma Giasone lo fermò, afferrandogli un braccio e pregandolo di contenere la propria furia.

"Osservala! Questa donna dispone di qualche potere che forse non siamo in grado di comprendere appieno! La sua voce calma e pacata mi fa sospettare!" –Gli disse, prima che la voce di Boopis sovrastasse la propria.

"Esatto! I poteri di cui dispongo sono quelli della Grande Vacca, Madre e Origine di tutte le cose, e attingono alle forze presenti liberamente in natura, il cui respiro avverto caldo dentro di me, uniti in un cerchio indistruttibile! In un legame mistico che nessuna forza esterna potrà mai spezzare!" –Esclamò Boopis, chinandosi per prendere in mano una manciata di terra, prima di scagliarla contro i due Heroes. –"Posso usare della semplice terra di campo per schiacciarvi al suolo!" –Spiegò la donna, mentre la terra che aveva lanciato aumentava la propria massa, diventando una rozza valanga di terriccio che franò sui due Heroes, sbattendoli a terra. –"Posso muovere il suolo, aprendo ampie fenditure nel terreno ad ogni vostro passo!" –Aggiunse, mentre una faglia si apriva sotto i corpi di Giasone e Nestore, ancora intenti a liberarsi dal terriccio franato. I due Heroes caddero nella fenditura del terreno, da cui spiravano torride correnti dal basso, riuscendo ad aggrapparsi a sporgenze laterali e faticando per risalire l’irto pendio, prima che una violenta tempesta di aria calda li sollevasse con forza, scaraventandoli nel campo di fiori, mentre la faglia si richiudeva accanto a loro.

"O posso ordinare le molecole dell’aria, per creare tempeste e vortici offensivi o per farne muri invalicabili che neppure la potenza di una fiera devastatrice potrebbe superare!" –Spiegò ancora Boopis, avvicinandosi ai due uomini, piuttosto malconci, che cercavano di rimettersi in piedi. –"Perciò, se avete capito, non opponete alcuna resistenza, poiché sarebbe vana! Cosa potrebbero mai fare degli uomini di fronte alla furia scatenata della natura? Come potrebbero dei semplici mortali arginare l’avanzare indomito delle potenze naturali, loro progenitrici?!"

"Con la forza di volontà!" –Esclamò Giasone, rialzandosi e fissandola con determinazione, prima di espandere il suo cosmo dai bagliori infuocati. –"Ho notato, Boopis, che vi è un elemento che non controlli! Come mai? Non rientra nei tuoi poteri o hai semplicemente paura di scottarti con qualcosa che non conosci?" –Ironizzò, evocando luminose e iridescenti fiamme, che avvolsero il suo corpo, scivolando su esso, prima di brillare nei palmi delle sue mani. –"Correte libere, Cavalle di Fuoco!" –Gridò l’Hero, scagliando contro la donna un attacco infuocato sotto forma di maestose cavalle sprizzanti fiamme, che parevano danzare al suono della sua voce.

Boopis, sorpresa dal repentino attacco, ebbe comunque la prontezza di erigere una barriera di aria di fronte a sé, sulla quale si schiantarono le Cavalle di Fuoco di Giasone, incendiando il terreno antistante, ma non riuscì a prevedere che Nestore avrebbe richiamato immediatamente l’Ursus arctos middendorffi, divenendo un immenso Orso Kodiak e scagliando un potente pugno energetico contro la sua barriera protettiva, distruggendola e scaraventando l’Emissario di Era indietro. Boopis sbatté la faccia a terra, perdendo l’elmo cornuto, ma subito si rialzò, con il volto per niente irato, espandendo il proprio cosmo, lasciandolo scivolare lungo i versanti della collina, quasi come volesse abbracciarla nella sua interezza e fondersi con essa.

"Vi ho sottovalutato, Heroes di Ercole! Siete coraggiosi e degni del nome che portate! Ma ciò, in ogni caso, sarà ininfluente!" –Aggiunse, disegnando nell’aria un vortice che immediatamente aumentò di grandezza e di intensità, sfrecciando contro i due Heroes e travolgendoli. –"Rimarrete così, a girare su voi stessi per l’eternità, ad osservare i giorni che lenti vi scorreranno davanti senza che possiate fare niente per afferrarli e per prendervi parte! Il vostro ruolo nella storia termina qua! Addio, Eroi! Quando i vortici smetteranno di girare sarete morti!" –Commentò Boopis, volgendo le spalle ai due guerrieri e lasciandoli lì, avvolti in un mulinello di energia che sfrecciava a velocità altissima, roteando continuamente i corpi inermi dei due Heroes.

Giasone e Nestore bruciarono i loro cosmi, nel tentativo di liberarsi, ma ogni movimento, seppur piccolo esso fosse, era reso impossibile dal continuo roteare del loro corpo, stritolato da una pressione altissima, che faceva scricchiolare sinistramente le loro corazze, già in parte danneggiate dai precedenti scontri. Il Comandante era anche il meno adatto ad uscire da una situazione del genere, essendo di stazza robusta e meno agile, rispetto alla scattante velocità dell’Hero del Cavallo, che veniva osannato come capace persino di superare la velocità della luce. Giasone sorrise al ricordo dei complimenti ricevuti quando gli altri Heroes e le Sacerdotesse di Tirinto avevano scoperto che un tempo era stato un corridore e aveva vinto numerosi premi in tutta la Grecia. Si scosse per un momento, incendiando il proprio cosmo, infiammando l’orgoglio sopito di ciò che era stato un tempo. Del campione che aveva dimenticato.

"Credo sia il momento di verificare davvero quanto valgo!" –Esclamò Giasone, mentre il suo cosmo ardeva come accecante fiamma. –"Se davvero sono in grado di superare la velocità della luce, non credo avrò altra occasione per dimostrarlo!" –Si disse, cercando di muoversi, con tutta la forza che aveva dentro, per quanto il vorticare impetuoso e continuo paralizzasse ogni suo movimento. Non si arrese e tentò di nuovo, spinto anche dal desiderio di salvare il suo Comandante, ed iniziò a muoversi all’interno del vortice, prima lentamente poi, sostenuto dal suo cosmo ardente, in maniera sempre più veloce, sfrecciando nella direzione opposta rispetto al movimento d’aria.

Boopis si fermò, attratta dall’improvvisa espansione del cosmo del guerriero, e voltandosi vide un turbinio di fiamme avvolgere il vortice che lei stessa aveva generato, il vortice che Giasone stava estinguendo, correndo velocemente nella direzione opposta ad esso, fino a spegnerlo. Barcollando, e un po’ stordito, l’Hero del Cavallo cercò di mantenersi in piedi, prima di lanciarsi con tutto il suo infuocato cosmo verso la Grande Vacca, che quella volta non fece in tempo a ricreare la sua barriera protettiva, venendo atterrata dall’impeto delle Cavalle di Fuoco di Giasone, schiantandosi a terra, avvolta da un turbinare sinuoso di fiamme ardenti.

"Nestore! Corri, amico mio!" –Esclamò Giasone, rivolgendosi al compagno che era appena caduto a terra, liberatosi dal vorticare continuo di Boopis. –"Approfitta di questo momento per tornare da Ercole! Non riuscirò a trattenerla per molto!"

"Cosa stai dicendo?! Non ho intenzione di lasciarti da solo a combattere! La affronteremo insieme.." –Ma Giasone non lo fece terminare, incitandolo ad andarsene, con gli occhi carichi di lacrime.

"Non farmi ripetere! Sprecherei energie di cui ho bisogno! Vattene ora, finché sei in tempo, tu che mi hai ricordato che gli uomini non sono tutti malvagi ma una fonte inesauribile di amore, come anch’io lo credevo un tempo, quando il mio cuore batteva per Petra!" –Esclamò Giasone, prima di scagliare un nuovo assalto infuocato contro Boopis, che quella volta lo evitò, circondando il suo corpo da una violenta corrente d’aria, che poi diresse contro le fiamme, disperdendole nel giardino ormai devastato, e infine piombò contro Giasone sotto forma di una possente tromba d’aria. L’Hero del Cavallo venne spinto a terra, mentre il mulinello di energia gli frantumava il pettorale della corazza, trapanando il suo corpo stanco, per distruggerlo. A tale vista, Nestore reagì d’istinto, maledicendosi per il dubbio e l’incertezza che lo aveva dominato per una manciata di minuti. Concentrò il proprio possente cosmo nelle braccia e poi scagliò il più devastante dei suoi attacchi.

"Ruggito dell’Orso Bruno!" –Ruggì il Comandante, mentre alle sue spalle appariva la splendida immagine di un imponente orso, la cui zampata devastante generò un attacco di energia che travolse Boopis in pieno, scaraventandola contro il fianco della collina di Samo, schiacciandola in essa e danneggiando parte della sua corazza. Quindi, Nestore corse immediatamente da Giasone, per aiutarlo a rimettersi in piedi. –"Non crederai davvero che ti lasci qua, a combattere da solo! Adesso che ho trovato un amico, non ho affatto intenzione di abbandonarlo!" –Gli disse, allungandogli la mano destra. Giasone lo fissò per un momento, con gli occhi lucidi, e poi la afferrò, aiutandosi con essa e rimettendosi in piedi.

"Quante nobili parole! Peccato che le vostre azioni tradiscano tale vuota retorica! A parole vi proclamate santi ed eroi, ma siete soltanto dei distruttori! Uomini che non hanno fede nella natura, che rifiutano il caldo abbraccio della Grande Dea Madre, preferendo grufolare tra le bestie!" –Esclamò Boopis, per la prima volta con un tono irato. –"Essa può portare la vita, così come la morte! Può far fiorire campi e renderli sterili, ed io, adesso, isterilirò il vostro cosmo! Spiriti della Grande Madre!!!" –Gridò, mentre evanescenti figure, quasi fossero composte di aria, scivolavano attorno al suo corpo, prima di sollevarsi verso il cielo e dirigersi contro i due Heroes.

Nestore e Giasone, per quanto impressionati da tali ancestrali figure, che sembravano evocare sensazioni di nascita e di morte, cercarono di reagire, bruciando al massimo il loro cosmo, mentre gli Spiriti della Grande Madre piombavano su di loro, trapassando i loro corpi e distruggendo le corazze degli Eroi. I due amici sentirono persino di perdere qualcos’altro, assieme alle loro Armature. Qualcosa di intangibile, qualcosa di interiore, forse la vita stessa, che sembrò loro di sentir scivolare via.

"È il tributo da pagare per la vostra ribellione ad Era, la Grande Dea Madre! Questo tributo è l’essenza stessa della vostra forza vitale, ciò che muove i vostri passi!" –Esclamò Boopis, prima di dirigere un nuovo assalto verso i due Heroes. –"Addio!!!"

"I nostri passi sono mossi dall’amore per Ercole!" –Tuonò Giasone, espandendo il suo corpo oltre ogni limite possibile. –"E dal ricordo di ciò che siamo stati un tempo, della felicità di cui il nostro animo è stato imbevuto e dalla speranza che quei sentimenti possano un giorno ritornare! Sfrecciate nel vento, Cavalle di Fuoco!!!" –Esclamò l’Hero, liberando l’assalto al massimo della potenza, mettendo tutto se stesso, tutti i suoi ricordi, tutta la sua vita in un unico cosmo, dalla potenza così esplosiva, che riuscì a bruciare persino gli Spiriti della Grande Madre e trapassare il corpo di Boopis, riducendolo in polvere. Ma uno Spirito rimase libero nell’aria e in esso Giasone riconobbe il volto della morte. Chiuse gli occhi, soddisfatto per aver saputo reagire al proprio dolore, per aver saputo credere in un futuro di felicità, per sé e per i propri compagni, e si lasciò trafiggere, spirando poco dopo, con un sorriso sincero sul volto.