CAPITOLO VENTESIMO: QUEL CHE RIMANE.
La velocità con cui Iro si era scagliato su di lui aveva dell’incredibile. E Mida rimase davvero stupefatto di quello che, ai suoi occhi, era un piccolo prodigio.
Aveva paralizzato Druso, Nesso, Antioco e Archia, e scaraventato quel gigante di Nestore contro le mura della fortezza, soltanto volgendo loro contro il palmo della mano, com’era nei suoi poteri. Ma questo nuovo guerriero, appena giunto sul campo di battaglia, pareva inarrestabile, fresco di forze e con una tempra indomabile. E, la cosa che maggiormente lo sorprendeva, riusciva a resistere al suo potere mentale. Riusciva a contrastare il Tocco di Mida.
"Non può essere!" –Sibilò l’Elegante, spingendo indietro il Comandante della Legione Maledetta e osservandolo atterrare con maestria, prima che ricominciasse ad avanzare verso di lui. Sia pure a fatica.
"Per cosa ti sorprendi, servitore di Dioniso, che io sappia muovere le gambe? Non hai visto la mia armatura? Non ti ho dichiarato poc’anzi chi sono? Iro di Orione, il Cacciatore Celeste! E può un cacciatore farsi frenare da un così ridicolo potere?" –Esclamò orgoglioso il condottiero. –"I veri uomini, dediti a questo mestiere, non li piega né il vento né la neve, né la bruma né la tempesta! Stoici, continuano ad andare avanti, inseguendo la loro preda, fino a stremarla, come Ercole stancò la Cerva di Cerinea, prima di domarla! E tu, ai miei occhi, non sei altro che un bel coniglietto!"
"Non credere però che salti con tanta facilità dentro al fuoco!" –Affermò l’Adorno, caricando le dita della mano del suo cosmo lucente. –"Tocco di Mida!"
Iro accusò il colpo, come aveva fatto in precedenza, fin da quando, accortosi dell’armatura che Mida indossava, e intuendo si trattasse di un Praticante al pari di Sileno, si era lanciato su di lui. Venne frenato, venne rallentato, indubbiamente un passo gli costò il doppio, ma mai si fermò. Mai gli concesse il piacere di farsi vedere stanco e in difficoltà. Perché sapeva che la prima cosa che una preda fiutava era la pericolosità o meno di chi gli dava la caccia.
"Il tocco di Mida…" –Mormorò, quasi tra sé. –"Ne ho sentito parlare! Ma non era un po’ diverso? Non avresti dovuto tramutare in oro tutto quel che toccavi?!"
"Uuuh, non ricordarmelo!" –Esclamò Mida, turbato da quel ricordo. –"Che periodo triste fu quello! Proprio un periodaccio! Ero così contento all’inizio di aver ottenuto quel dono da parte di Dioniso, per aver aiutato il buon Sileno, ma appena mi accorsi che proprio tutto quel che toccavo diveniva oro quasi svenni! Non tanto per il cibo, sai, avevo fior di schiavetti che potevano imboccarmi, ma per la mancanza di piacere! Quel tipo di piacere che definirei… fisico… ecco sì, sì, fisico è la parola adatta! Certo, tu ancora non mi conosci, ma vedi, sono una di quelle persone particolarmente attratte dal bello! Una persona di gusto, raffinata, che frequenta teatri e si diletta leggendo i grandi poemi della Grecia classica, quando c’era, e gli Dei volessero tornasse, una vera e propria cultura del bello! Ordunque, mi stai seguendo? Ti vedo in difficoltà nel muovere quelle gambe! Arranca ancora se vuoi, ma stammi a sentire, detesto quando non mi si presta ascolto! Ma cosa stavo dicendo?!"
"Ti stavi descrivendo come una persona… attratta dal bello…" –Ironizzò Iro, prima di far esplodere il suo cosmo. C’erano ormai solo una decina di metri tra lui e l’Adorno e, se fosse riuscito a ridurre ulteriormente la distanza, avrebbe potuto tentare un attacco diretto. Sebbene, al riguardo, si stesse interrogando su una cosa.
"Esatto, sì! Son proprio io! Oh, che bravo, vedi che anche tu mi stai iniziando a conoscere?! Arianna e Sileno dicono che sono un gran chiacchierone, ma cosa vuoi aspettarti da quei due? Una che si è data via così, al primo che passava, per un gomitolo di filo, e un altro che trascorre le giornate a meditare! Non sanno cos’è il piacere! Mentre io sì!" –Tuonò, accentando l’ultima parola, prima di fissare Iro negli occhi e sollevare il palmo della mano, avvolto nel suo cosmo argentato.
"Tuono del Cacciatore! Esplodi!" –Gridò allora l’Hero di Orione, portando avanti il braccio destro e scatenando la foga della sua tempesta.
E allora accadde quel che aveva previsto, quel che, ragionando sulla strana tecnica di Mida, aveva ritenuto possibile accadesse. L’Adorno usò il suo tocco speciale per rallentare l’attacco avversario, disperdendolo, e riducendo il tuono a niente più che un pallido rimbombo. Fortunatamente, avendo messo in conto quell’opzione, Iro non aveva sprecato troppe energie e poteva permettersi di avanzare ancora.
"Sei proprio un insolente!" –Sbuffò Mida, mettendo il broncio. –"Disturbarmi così, in questo modo rozzo, mentre ti sto raccontando la mia vita! Chissà, forse un giorno qualcuno la troverà interessante e narrerà un poema su di me! Le res gestae di Mida! Ma non facciamoci troppe illusioni, la vita può rivelarsi breve anche per chi, come me, ha ricevuto in dono l’immortalità! Sai, all’inizio credevo che mi sarei annoiato? Chi vuole, in fondo, vivere per sempre, svegliarsi ogni giorno e affrontare il mondo, con tutti i suoi problemi e i suoi peccati, senza trovare mai riposo?!"
"Posso capirti meglio di chiunque altro…" –Ironizzò Iro, mentre Mida con un cenno della mano gli faceva cenno di aver compreso, ma di tacere comunque, che necessitava una platea silenziosa di fronte alle sue declamazioni.
"Ma poi ho realizzato che vivendo per sempre avrei avuto eterno piacere! Avrei potuto ammirare le bellezze del mondo in continua evoluzione, unico spettatore ad aver avuto simile piacere! Statue, dipinti, affreschi, costruzioni erette in onore e memoria degli Dei! Quante ne ho viste nascere, e quante ne ho viste cadere! Molte più di quelle che riesco a ricordare! Temo però che, se gli uomini continueranno così, a combattere una guerra di tutti contro tutti, un giorno arriveranno loro stessi a distruggere quel che con così tanta fatica i loro avi han creato! E, quel giorno, vi saranno perdite immensurabili in termini artistici e culturali!" –Sospirò, sinceramente rattristato da un simile evento. –"Ma, sia come sia, posso comunque vantarmi di aver apprezzato molto più di quanto altri appassionati in materia possano aver fatto! Ben pochi hanno assistito infatti alla costruzione del Partenone e hanno ammirato, appena costruita da Fidia, la statua dedicata a Zeus a Olimpia! E, intendiamoci, hanno cercato di rifarne tante, ispirandosi all’originale scomparsa durante un incendio, ma nessuna è mai valsa quanto la prima! L’opera di Fidia aveva quel tocco di perfezione cosmica impossibile da ricreare! E ti assicuro che io, di tocchi, me ne intendo!"
Non disse altro e sfrecciò contro Iro, con un’inaspettata velocità, ponendogli la mano destra, sfrigolante di cosmo, sul pettorale dell’armatura, e fissandolo con un sorriso perverso.
"Due sono le varianti del Tocco di Mida!" –Sussurrò, mentre Orione veniva avvolto dal suo cosmo argenteo. –"Una paralizza, l’altra… ti distrugge! Ah ah ah!" –E lo scaraventò indietro, facendo vibrare tutto il suo cosmo, deciso a schiantarlo contro le mura come aveva fatto con Nestore una mezz’ora prima.
Il glorioso condottiero cercò di vincere la morsa mentale di Mida, di liberarsi da quella pressione lancinante, superiore persino alla stretta con cui Sileno aveva tentato di fermarli, e in parte ci riuscì, frenando la sua corsa all’indietro e scavando con i piedi due immensi canali nel terreno.
"Grrr!!!" –Bofonchiò Mida, mentre Iro, incurante della stanchezza montante e delle crepe sul pettorale della corazza, ricominciava ad avanzare. E nuovamente l’Adorno tentò di respingerlo, incontrando medesima sorte del precedente tentativo. E del successivo, e di quello dopo ancora.
Entrambi compresero che si trovavano in una situazione di stallo, data la similarità dei loro poteri. La determinazione e la potenza cosmica di Iro erano tali da impedirgli di subire a pieno il Tocco di Mida, ma al tempo stesso il suo attacco diretto veniva frenato dal Praticante, in un circolo vizioso in cui entrambi si sarebbero stancati progressivamente, esaurendosi alla fine.
Ma proprio quando Mida, ansimante per il continuo sforzo di rallentare il suo avversario, stava per volgergli nuovamente il palmo contro, accadde qualcosa di imprevisto. Una spirale di oro lucente lo avvolse, stringendolo in una morsa così rigida da impedirgli persino di muovere le dita. Soprattutto quelle.
"Adesso, Iro! Così immobilizzato non potrà usare il suo tocco! Approfittane adesso per eliminarlo!" –Esclamò Marcantonio dello Specchio, avvicinandosi al Comandante. Dopo essersi ripreso dal colpo subito da Pan, aveva lasciato Alcione ad affiancare gli Heroes della Legione Maledetta contro il Dio delle Selve e dei Boschi, preferendo correre in aiuto di Orione, convinto che, da solo contro un Praticante, ne avesse più bisogno.
Ho già lasciato un compagno di fronte ad uno di costoro! E ancora non lo vedo ergersi qua al mio fianco! Sospirò, senza smettere di sentirsi in colpa per Pasifae, tenendo con forza la Spirale dell’Onore con cui aveva appena intrappolato Mida.
Iro si avvicinò di qualche passo al servitore di Dioniso, fissandolo con i suoi occhi blu, occhi che, al pari dei suoi, avevano visto secoli avvicendarsi uno dietro l’altro, uomini nascere e morire, palazzi e costruzioni venire edificati e imperi crollare. Non c’era niente, in quel che Mida gli aveva detto poco prima, nelle sue deliranti confessioni, che anche Iro non avesse provato. Che anch’egli non potesse comprendere.
"Lascialo!" –Esclamò dopo qualche secondo, senza smettere di fissare il Praticante, sul cui volto la paura di morire lasciò il posto ad un’espressione incredula.
"Iro?! Ma come?! È pericoloso!" –Balbettò Marcantonio, non capendo la richiesta del Comandante della Legione Maledetta.
"Ti ho detto di liberarlo, Marcantonio! E non sono abituato a ripetere gli ordini una seconda volta!" –Incalzò Orione, sempre senza voltarsi verso l’Hero dello Specchio, il quale, per quanto stupito e in parte offeso dal tono dell’uomo, che considerava un compagno ma non certo il suo Comandante, obbedì, ritirando la Spirale dell’Onore e liberando il Praticante.
"Grrr… azie! Molto gentile da parte tua, molto gentile!" –Sibilò questi, toccandosi il polso indolenzito e muovendolo per sciogliere i muscoli. –"Permettimi di esprimerti tutta la mia riconoscenza! Permettimi… di toccarti!" –Aggiunse, balzando avanti, avvolto nel suo cosmo argenteo.
"Nooo!!!" –Gridò Marcantonio, che ben subodorava una sua possibile reazione. Ma Iro rimase immobile, ad osservare Mida atterrargli di fronte e portare la mano al suo petto, vivendo l’intera scena come fosse rallentata. Come se l’avesse già vista nella sua mente poc’anzi. Non fece nulla, limitandosi a volgere lo sguardo e a bruciare il suo cosmo, generando una vampata di energia violacea che si avviluppò attorno alla mano di Mida, incendiandogliela.
"Aaargh!!!" –Urlò terrorizzato il Praticante, cercando di togliere la mano, di ritirarla, di portarla via da quella fiamma che pareva non lasciargli scampo. Ma Iro la trattenne ancora, senza curarsi dei suoi lamenti e dei suoi occhi infuocati che strillavano lacrime, e gli disse solo poche parole.
"Sono un cacciatore e affronto onestamente le mie prede, da solo, senza ricorrere a trappole di alcun genere! Ti ho lasciato libero di scegliere se vivere o morire! E tu lo hai fatto! Non biasimare me per una tua decisione! Non biasimare me se scomparirai come la statua di Zeus Olimpo!" –Non aggiunse altro e fece esplodere il suo cosmo, mentre tre stelle bianche brillavano all’altezza del suo ventre, scaraventando Mida indietro, con gravi danni alla corazza e la mano destra completamente ustionata, quasi rinsecchita dall’immensa fornace con cui era venuta a contatto.
"Quelle tre stelle…"
"Alnitak, che dà il nome all’asterismo, Alnilam, per gli arabi "fila di perle", e Mintaka! La cintura di Orione!" –Commentò il Comandante della Legione Maledetta. –"Una difesa che mi cinge come un manto sottile, come uno strato di cielo che sempre si porrà tra me e un qualsiasi attacco, lasciandomi quel margine, foss’anche sottile, per potermi proteggere, e per reagire!"
"Ecco perché il mio tocco non aveva effetto…" –Rantolò Mida, cercando di rialzarsi, e cercando di non guardare la propria mano carbonizzata, che di bello e di raffinato aveva ormai ben poco. –"Perché non riuscivo completamente a raggiungerti… riparato da quel velo che ti consentiva quel minimo movimento che agli altri era precluso!"
"Se adesso hai capito, Mida, volgi i tacchi e vattene! Tornatene sull’Olimpo o trovati una bella città d’arte, magari nel sud della penisola italica, e restaci! È l’unico modo che ti resta per godere dei piaceri di cui tanto sei amatore!"
"Mi tratti come un bambino?" –Ringhiò il Praticante, adirato da una simile proposta.
"No, ti tratto come un avversario da onorare!" –Si limitò a rispondere Iro, prima di far esplodere il suo cosmo, che turbinò attorno a sé mentre l’imponente immagine di un cacciatore, con una clava in mano e una spada legata alla vita, appariva dietro di lui, incutendo timore persino a Mida, che fece un passo indietro ammutolito. –"Ma se la mia proposta non ti si confà, spero che questa sia di tuo maggior gradimento!"
"Farneticar di ciance! Tocco di Midaaa!!!" –Gridò l’Adorno, volgendogli contro il palmo della mano sinistra e liberando tutto il suo cosmo rimasto.
"Tuono del Cacciatore! Rimbomba imperioso!" –Esclamò Iro, scatenando la furia devastante della sua tempesta energetica, che venne inizialmente rallentata dal potere del Praticante, ma poi, tanto perentoria era l’aria di sfida che la sorreggeva, che vinse ogni resistenza, abbattendosi su Mida e travolgendolo in pieno.
"Dionisooo, mio signore, aiutami!!!" –Gridò l’Adorno.
Ma nessuna risposta lo raggiunse, né alcuna mano divina lo salvò.
Era infatti, in quel momento, Dioniso impegnato in un duro confronto con Ercole e suo figlio Alessiare nel terreno che un tempo ospitava il Vigneto Sacro e che a nient’altro era ridotto se non ad un campo isterilito.
"La tua presenza mi rasserena, Alessiare, e mi dà forza!" –Commentò il Dio, con gli occhi lucidi, prima di spostare lo sguardo sulla figlia, che, alla vista del corpo spento della madre, si era gettata in lacrime su di lei, abbracciandola e stringendola a sé.
Dioniso avrebbe voluto approfittare di quel momento per balzarle addosso e massacrarla di fronte ad Ercole ma Era, che si ergeva al suo fianco, annaspando inquieta tra passato e presente, fece qualcosa che per la prima volta stupì entrambi i figli di Zeus. Gli afferrò il braccio, torcendoglielo all’indietro e lo intimò di stare al suo posto, sbattendolo a terra con un’onda di energia.
Quindi, con i suoi poteri mentali, sollevò il corpo inerme di Ebe, spostandolo di lato, fino a metterlo al sicuro, fuori dal campo di battaglia. Senza sapere neppure lei perché. Forse per il desiderio inconscio di rimediare alle morti di Iris e di Eos? Si chiese, appoggiando delicatamente la figlia a terra, mentre Alessiroe si inginocchiava a fianco a lei. Ma no, che sciocchezze vado pensando?! Sono la Regina degli Dei, Signora del Monte Sacro, e come tale fonte di autorità, e loro erano una mia servitrice, morta per la causa, e una rinnegata che aveva da tempo abiurato la sua fede divina! Non ho motivi per sentirmi in colpa! Non sono responsabile dei destini degli altri! Ma quell’ultima frase la turbò, poiché era quel che aveva sempre rinfacciato ad Ercole, ciò per cui gli aveva sempre puntato il dito contro.
Scacciò subito quei pensieri per tornare a concentrarsi sul suo nemico, che si ergeva di fronte a lei, con la clava in mano e uno sguardo di leggera sorpresa sul volto.
"Dunque anche tu possiedi un cuore?!" –Ironizzò Ercole, venendo subito zittito dalla Dea Madre.
"Non dire idiozie! Semplicemente non voglio che il corpo di mia figlia sia sfigurato! Ha già sofferto tanto a causa tua, che trovo mostruoso causarle dolore anche dopo la morte!"
"Mia madre non ha sofferto quando era sposata con mio padre! Lei lo amava, ed era felice con lui!" –Affermò Alessiare, con tono pacato ma fermo, sostenendo lo sguardo della Regina degli Dei, che subito lo fulminò per quel suo intervento.
"Lascialo parlare, quel bel damerino! Gli strapperò la lingua a morsi e la pianterò nel mio orticello! Chissà che non crescano tralicci più resistenti!" –Commentò Dioniso, prima di espandere il suo cosmo e dirigere una corrente di cosmo violaceo, simile ad un fiume di vino, contro il figlio di Ercole.
"Attento, Alessiare!" –Gridò il campione di Tirinto, facendo per muoversi in suo aiuto, ma un fulmine scagliatogli contro da Era lo inchiodò sul posto, obbligandolo a difendersi dai suoi assalti.
"Non preoccuparti per me, padre!" –Esclamò allora Alessiare, utilizzando il grande scudo ricevuto in dono proprio da Ercole per ripararsi dalla corrente di Dioniso e riversarla contro il Dio. –"Eracleus Aspìs!"
Suo Padre sorrise, come non faceva da tempo. Forse i motivi per abbandonarsi ad un sorriso erano pochi, con quella guerra infinita ancora in corso, con la sua città prossima a essere rasa al suolo e gli Heroes sterminati, con un figlio e la sua sposa divina caduti e il suo rango di Divinità ancora in bilico. Ma, nel sentire Alessiare urlare con così profonda convinzione il suo nome, gli parve di tornare indietro nel tempo. Al giorno in cui aveva ceduto loro le tre armi che aveva usato nel mito. Un’arma per ogni figlio, in base alle loro personalità.
Ne rimasero stupefatti quel giorno, abbagliati dallo splendore dei presenti ricevuti, e avrebbero voluto utilizzarli all’istante, vederli in azione, sentirsi come il Padre di cui avevano tanto sentito cantare nelle leggende. In cuor suo, Ercole aveva sperato che quel momento non giungesse mai, ma in fondo non ne era stato troppo sicuro neppure lui.
L’onda di rimando dello scudo di Ercole scaraventò Dioniso indietro, indebolendolo ulteriormente e distruggendo gli ultimi residui della sua Veste Divina. Ormai il suo potere era scemato, persino Era se ne era resa conto, e adesso sembrava soltanto un vecchio ubriaco che stentava a rimanere in piedi. A fatica si rialzò, prima di gettarsi contro Alessiare, quasi fosse una pantera in caccia, ma non riuscì a raggiungerlo, venendo dilaniato dagli artigli delle fiere che Ercole gli rivolse contro. Una zampata gli strappò il cuore e una seconda lo scaraventò a terra, schiacciandolo nel terriccio su cui si era rotolato per secoli, con i satiri e con le Menadi, ridacchiando ebbro di vita e di passioni.
La sua dipartita lasciò Era totalmente indifferente, suscitando invece repulsione ad Alessiare e ad Alessiroe, che mai avevano assistito ad un massacro prima di allora, che mai erano scesi realmente in guerra, sempre rinchiusi nel loro mondo felice ove Ebe aveva cercato di proteggerli, destinandoli ad un’eterna giovinezza.
"Non dispiacerti per lui!" –Commentò Ercole, intuendo i pensieri del figlio. –"Era la fine che meritava e che aveva prospettato per tutti noi!"
"La fine che ti aspetta!" –Puntualizzò Era, espandendo il suo cosmo e dirigendogli contro una raffica di folgori incandescenti.
Alessiare si posizionò subito accanto al padre, sollevando l’immenso scudo di cosmo per riparare entrambi da quella pioggia incessante. Gli costava, in termini di consumo energetico, mantenere quella difesa, ma non voleva che all’unico genitore che gli era rimasto succedesse alcunché.
Ercole apprezzò l’impegno del figlio, soprattutto ben conoscendo la sua riluttanza al combattimento, e reagì con impeto, scatenando un assalto di grande potenza, a cui Era oppose altrettanta foga, e i due attacchi generarono, con schianto assordante, una massa di energia cosmica che pareva divenire sempre più grande, nutrendosi delle loro stesse esistenze. Pugno contro pugno, cosmo contro cosmo, entrambi concentrati sull’avversario, nessuno disposto a retrocedere di un solo passo, finché morte non li avrebbe sfiniti.
"Questo colpo…" –Commentò Alessiare, con una certa malinconia nella voce, osservando Ercole imprimervi tutto se stesso. –"È la summa del vostro odio, delle vostre incomprensioni, della vostra guerra senza fine! Questa massa di energia racchiude tutto quel che siete sempre stati l’uno per l’altra, concorrenti e complementari! Simili, a modo vostro!"
"Alessiare…" –Mormorò il figlio di Zeus e Alcmena.
"Sai, Padre, e anche voi, Regina Madre, mi sono chiesto spesso, in questi giorni ove ho sentito venti di guerra spirare su Tirinto, cosa spingesse gli uomini e gli Dei a lottare tra loro, cosa impedisse loro di vivere in pace, i primi adorando i secondi e i secondi aiutando i primi in caso di necessità! Poi ho capito, ed è stato leggendo un vecchio tomo nella Biblioteca di Asclepio, così ricca di libri e pergamene che spesso vi trascorrevo ore! Era uno scritto di Erodoto!"
"Sono le case più sontuose e gli alberi più alti che gli Dei abbattono con tuoni e fulmini: perché gli Dei amano distruggere tutto ciò che esce dalla mediocrità. Non tollerano l'orgoglio in nessuno, tranne che in loro stessi!" –Esclamò allora Alessiroe, che ben conosceva lo storico greco, sebbene preferisse la lettura di liriche. E annuì, sorridendo al fratello e comprendendo la sua tesi.
"E voi siete così, Regina Madre! Orgogliosa di quel che mio Padre ha faticosamente raggiunto in questi secoli, avete tentato di distruggerlo e di abbatterlo solo per soddisfare un vostro capriccio personale! Per questo avete schierato eserciti in guerra, obbligando Divinità e guerrieri a combattere per qualcosa che neppure sentivano! In quanti sono caduti? Eolo, Eos, i figli della Dea dell’Aurora, il Dio del Vino, e adesso mia madre, vostra figlia! Vi è mai importato qualcosa di lei? Eh?! No, io non credo o non l’avreste lasciata morire in questo modo!" –Esclamò Alessiare, espandendo il proprio cosmo, fresco e ardente, e generando un turbine di energia che diresse lesto contro Era, sommandolo al cosmo del Padre. –"Impeto della Gioventù!"
L’attacco del ragazzo destabilizzò la massa energetica, spingendola verso Era, che cercò di resistere fintantoché poté, e investendola, prima di schiantarla al suolo, distruggendo l’elmo della sua Veste Divina e danneggiandole i coprispalla, il gonnellino e i bracciali. Respirando affannosamente, la Dea si rialzò, fulminando Ercole ed il figlio con uno sguardo pieno di ira e colpendo quindi Alessiare con una violenta onda di energia, che superò le difese dello scudo, scaraventandolo indietro.
"Era!!!" –Tuonò Ercole, intervenendo subito in aiuto del figlio. –"Non osare di più! O pagherai per ogni tuo gesto! Incenerirò il tuo corpo e la tua anima!"
"Quale audacia! Mi sorprende siffatta determinazione, Ercole! Deve morire un altro figlio affinché emerga l’uomo che è in te?!" –Ironizzò la Dea, mentre il cosmo del campione di Tirinto cresceva ancora, caricandosi di scariche energetiche celesti, che fino a quel momento non lo avevano ornato. –"Co… cosa stai facendo?!"
"Te l’ho detto… Un altro passo, un’altra mossa, e ti incenerirò!" –Affermò Ercole, con calma impressionante, mentre il cosmo che lo circondava si ergeva maestoso, salendo verso il cielo, come un’immensa fontana ove zampillavano lampi celesti. –"Prendimi in parola, Era! E temimi, adesso!"
"In… parola?! Ercole… non avrai?! Non vorrai…?!" –Balbettò Era, invasa da un improvviso timore. Una sensazione nota, che non riusciva a spiegarsi completamente, ritenendo impossibile che il suo sposo, che il Signore dell’Olimpo, avesse…
"Il potere di Zeus è in me!" –Commentò Ercole a bassa voce, gelando Era, mentre Alessiroe aiutava Alessiare a rimettersi in piedi, entrambi con lo sguardo fisso sul padre. –"Il potere che egli carpì ai Titani e gli permise di vincere il leggendario scontro! Lo ricordi, vero, Regina degli Dei? Ricordi quando Crono, tuo Padre, e i suoi fratelli marciarono contro l’Olimpo, devastandolo con una guerra che pareva non avere fine? Una guerra che coinvolse tutte le Divinità e le loro armate?!"
Era non rispose, raggelando al solo ricordo di quei giorni. Persi nel tempo della memoria, lontani persino per un essere immortale.
"Quella guerra era la Titanomachia! E Zeus e voi tutti Olimpi foste sul punto di perderla, se il caso non vi avesse aiutato! Un destino che si presentò sotto forma di un tradimento nelle file dei Titani e che vi permise di ottenere l’arma ultima, il potere distruttivo creato da uno di loro, Ceo del Lampo Nero, e che, per beffarda ironia, fu causa della loro sconfitta!"
"Ercole… tu non puoi possedere quel potere!!! È prerogativa del Sommo, del Signore dell’Olimpo, disporre della forza deicida! L’unica forza in grado di uccidere persino gli Dei!"
"Il Keraunos!" –Affermò infine Ercole, mentre ovunque, attorno a lui, piovevano fulmini celesti, danzando ad ogni singolo movimento del suo cosmo. –"Lo ricevetti in dono proprio da mio Padre, quando, considerandomi degno di salire sull’Olimpo, mi considerò suo figlio divino a tutti gli effetti! Con tutti i diritti e tutti i doveri che tale status comporta! Per questo mi fece promettere di non usare mai questo potere, a meno di non esservi costretto, perché questo è un potere distruttivo, e nessuno, neppure gli Dei, dovrebbe disporne! Costruttivi dovremmo essere, non il contrario!"
"Il Keraunos…" –Mormorò Alessiare affascinato. –"La mitica folgore di Zeus in grado di sbaragliare all’istante centinaia di nemici… risiede nel palmo della mano di nostro Padre… Che uomo intriso di leggenda! Se un giorno morirà, credo che con lui scompariranno tutti i miti!"
"Pare che anche un Cavaliere di Atena padroneggi lo stesso potere, un Cavaliere che diede grande prova di sé durante la Titanomachia, difendendo magnificamente l’Olimpo e la sua Dea!"
"Non oserai impiegarlo contro di me, sorella e sposa di colui che ti fece il grande dono?!" –Tuonò Era, cercando di nascondere dietro la collera l’immensa paura che stava iniziando a provare.
"Perché dovrei esitare? Perché dovrei risparmiare chi così tanta morte ha portato ovunque?" –Si limitò a commentare Ercole, lasciandosi avvolgere da decine e decine di fulmini, lasciandoli pulsare e caricandosi della loro energia. –"La fine dei Titani meriteresti, madre degenere! Giù, nel Tartaro profondo meriti di finire! E ti ci caccerò io stesso, rendendo giustizia a coloro che a causa tua sono caduti!" –Non disse altro e portò avanti il braccio destro, liberando folgori celesti che si abbatterono sulla Regina degli Dei, schiantando parte della sua Veste Divina e facendola urlare dal dolore.
Era tentò di fermarli, di frenare quella pioggia che la martoriava, come aveva fatto in precedenza con gli altri attacchi del Dio dell’Onestà, ma quella volta non vi riusciva. A quel potere, ereditato direttamente da Zeus, non poteva opporsi.
Gridò, mentre le forze la abbandonavano, prima di chiedersi perché, se Ercole disponeva del Keraunos, non l’avesse adoperato fin dall’inizio, fin dal loro primo scontro su Samo. Avrebbe facilmente avuto ragione di lei, senza sacrificare centinaia di Heroes. Perché aveva esitato così tanto prima di condannarla a morte?
E allora, mentre un sospiro le rimaneva mozzato nel cuore, le vennero in mente alcune parole di Ebe, che la figlia le aveva rivolto secoli addietro, durante il periodo felice del suo matrimonio con Ercole.
"Non ti sei mai sforzata di capirlo, Madre, e di riconoscerlo come figlio di Zeus! E anche adesso, che pure viviamo entrambi sotto il tuo stesso cielo, preferisci evitarlo che incrociare il suo sguardo, a cui non sapresti rispondere se non con indifferenza! Nel migliore dei casi! Eppure lui vorrebbe che le cose fossero diverse, che tu potessi amarlo come tuo figlio e che lui potesse considerarti davvero la Grande Dea Madre!"
Singhiozzò, Era, prima di crollare esanime al suolo, martoriata dallo stesso fulmine che aveva sempre ammirato in gloria nelle mani forti del suo sposo adorato.
Lo stesso che apparve pochi istanti dopo in mezzo a loro, sorprendendo tutti i presenti e spazzando via il Keraunos di Ercole con un solo movimento del braccio.
"Padre!!!" –Gridò il Dio dell’Onestà, spinto leggermente indietro. –"Avrei voluto venire a parlarvi quanto prima, ma non ho avuto il tempo, impegnato, come son stato, a porre fine a questo nuovo inganno ordito dalla tua sposa, che non ha esitato a scagliarmi contro Dioniso e i suoi scagnozzi!"
"Vedo che non hai capito niente…" –Commentò Zeus, Signore dell’Olimpo, con aria accigliata. –"La lezione che ti ho impartito a niente è bastata? Avresti dovuto imparare a comportarti come un Dio, e non come un ragazzino in cerca di gloria, che a nient’altro anela se non a guerra e vendetta!"
"Io la guerra non l’ho cercata, Padre, mi ha investito!" –Cercò di replicare Ercole, ma uno sguardo del Sommo lo piegò a terra, sbattendolo in ginocchio.
In quel momento apparvero due sagome a fianco di Zeus, entrambe rivestite da Vesti Divine. Un uomo basso e robusto, che Ercole non vedeva da secoli, gli si avvicinò, reggendo una catena scura, che pareva adatta a intrappolare Cerbero all’Inferno.
Efesto non disse niente, limitandosi ad eseguire gli ordini di suo Padre e a incatenare Ercole, che, schiacciato a terra dallo strapotere di Zeus, non aveva modo alcuno di reagire. Ermes, dall’altro lato, si chinò sul corpo ferito della Regina degli Dei, cercando di sollevarla senza recarle nuovo dolore. Afferrò un suo braccio e se lo mise dietro alle spalle, tenendola per farla rimanere in piedi, quindi si incamminò verso Ercole ed Efesto, sotto l’attento sguardo del Signore del Fulmine.
"Banditi! Ad una vita lontana dall’Olimpo vi condanno, stufo, anzi disgustato, dal vostro infantile guerreggiare!"
"Ma… Padre… aspetta! Dobbiamo parlare, io devo parlare con te! Molte cose ho da dirti!" –Esclamò Ercole, cercando di liberarsi dalla catena che lo stringeva, una catena forgiata da Efesto che limitava il suo cosmo.
"Io, invece, non ne ho più!" –Si limitò a commentare Zeus, prima di scomparire. –"Hai fallito Ercole, e hai perso tutto! Te stesso, Ebe, Tirinto e gli Heroes! Di voi non resterà niente, neppure il ricordo!"