CAPITOLO SESTO: OMBRE DAL PASSATO.
Prima ancora di voltarsi, Andromeda sapeva chi gli si sarebbe parato davanti. Non ebbe neanche bisogno di ricorrere alla chiaroveggenza, gli bastò tendere l’orecchio e ricordare. Aveva riconosciuto la melodia di flauto del più pericoloso Generale degli Abissi, ma anche del più onesto e nobile, l’unico che aveva capito e li aveva aiutati a mettere fine a quella folle guerra.
"Syria!" –Mormorò, voltandosi e osservando la demoniaca figura di fronte a lui.
I suoi begli occhi viola, un tempo brillanti di fede e di pace, erano adesso neri, come l’armatura che indossava e il flauto che stringeva tra le mani, su cui le dita correvano frenetiche. Caos poteva pure aver annullato il suo spirito, ma non la sua maestria.
Quella, purtroppo, è rimasta immutata! Commentò Andromeda, notando come il musico si facesse largo tra i soldati di Atena, costretti a portarsi le mani ai timpani, crollando in ginocchio urlanti e deliranti, vittime di una malia che l’oscurità aveva reso ancora più temibile. Fu mentre Syria sollevava il braccio destro, per calarlo sul collo di Asher, ansimante ai suoi piedi, che la catena di Andromeda saettò nell’aria, avvolgendosi attorno al polso del Generale degli Abissi.
"Allontanati da lui!" – Gridò il Cavaliere, mentre Kama trascinava via l’Unicorno, lasciando i due antichi avversari uno di fronte all’altro.
Gli bastò scuotere il braccio, a Syria, per far oscillare la catena, liberandosi e portando di nuovo il flauto alle labbra. Ma la determinazione di Andromeda quella volta non vacillò. Ormai, giunti a quel punto, aveva imparato la lezione e fu certo che anche il vero musicista dalla dolce melodia avrebbe compreso.
"Catena…" –Fece per liberare di nuovo l’arma quando si sentì afferrare da dietro da due braccia ossute, che gli bloccarono gli arti. Voltò a malapena lo sguardo per riconoscere i tratti albini di Lemuri, deformati, adesso, dal sottile strato di tenebra spalmato sul corpo di tutti i guerrieri.
Il morso di qualcosa lo raggiunse al collo, facendogli spruzzar fuori sangue, mentre la sagoma di Kira di Scilla, con l’indice destro intriso di energia, entrava nel suo campo visivo, assieme a un Generale degli Abissi che non aveva incontrato. Si stava ancora chiedendo chi fosse quando venne sollevato da terra e scaraventato molti metri in aria, da quelli che gli parvero poderosi flussi d’acqua nera. Una melma che travolse e sballottolò anche Lemuri, precipitandolo di sotto, addosso ad altri spiriti erranti.
Andromeda cercò di stabilizzarsi, in quella precaria situazione, quando sentì le onde di energia acquatica scomparire, lasciarlo sospeso in aria per una frazione di secondo e poi cadere verso terra. In quel breve istante ebbe una fugace visione di un guerriero alto e robusto, dalla carnagione scura, che sorpassava Kira e il suo compagno, lanciandosi su di lui, con una lunga lancia dalla lama affilata su cui il Cavaliere si sarebbe impalato a breve.
"Eh no!" –Esclamò, bruciando il cosmo e dandosi una spinta con le ali dell’armatura, quel tanto che gli bastò per evitare l’affondo dell’arma tagliente, afferrarla e usandola per balzare alle spalle dell’avversario, atterrando proprio sopra di lui. Srotolò la catena e gliela passò attorno al collo, torcendolo all’indietro, travolto da scariche di energia che presto fecero vibrare l’intera corazza. –"Se ci sei ancora, sotto questo strato di tenebra che ti lorda l’anima, ti chiedo perdono, Generale degli Abissi. Un tempo eri fedele al tuo Dio. Per rispettare il tuo credo, devo combatterti!" – Sospirò, mentre assieme all’uomo precipitava verso terra, in una nube di folgori energetiche.
Fu lesto a balzar via prima di toccar terra, a evitare una nuova bestia che Kira gli aveva diretto contro e il fendente energetico di Syria, che scavò un solco nel terreno, abbattendosi sul già ferito Generale alle sue spalle. Ma non poté evitare, al nemico che lo aveva sollevato poc’anzi, e che per esclusione intuì essere Cavallo del Mare, di liberare di nuovo i poderosi flussi che lo avevano spinto in alto.
Quella volta, però, si lasciò trascinare, senza opporre resistenza, sfruttando l’onda di pressione per darsi la spinta, liberare le catene e avvolgerla in una spirale che, per un momento, rischiarò il cielo con il suo bagliore adamantino. Quindi, mentre balzava a terra, strattonò l’arma e trascinò la corrente con sé, abbattendola sugli sbalorditi avversari. I flutti abissali travolsero Kira, Cavallo del Mare e altri guerrieri attorno a loro, di ambo gli schieramenti, e persino Andromeda venne spinto indietro.
Cristal, poco distante, sollevò lesto un muro di ghiaccio per frenarne l’avanzata e dirigerli verso l’esercito avversario, guadagnando un sorriso da parte dell’amico, che si era intanto rimesso in piedi, per trovarsi di fronte l’unico nemico che in quel pantano sembrava a suo agio.
Come le rocce su cui sedevano le sirene, stagliandosi perigliose sulle rotte delle navi, allo stesso modo Syria aveva resistito alla corrente, avvolgendosi in un globo di energia oscura che lo aveva mantenuto asciutto. E adesso, senza neppure staccare le labbra dal flauto, si limitò a incrociare lo sguardo di Andromeda con gli occhi indemoniati e ad aumentare l’intensità della sonata.
Subito, dalla melma attorno a lui, il Cavaliere vide sorgere migliaia di figure deformi, le vide nascere, formarsi, quasi stessero uscendo da un bozzolo, e poi spalancare le ali, mostrare i denti sottili e aguzzi e scattare verso di lui. In un refolo, la Catena di Andromeda si dispose a difesa del suo padrone, lasciando fuori quella torma di sirene oscure, che continuavano a protendere le mani artigliate su di lui, venendo falciate e spinte indietro, ma costrette ad andare avanti da una melodia implacabile. La dolce melodia di flauto divenuta un requiem di morte.
Inspirando e radunando energia e forza di volontà, Andromeda socchiuse gli occhi, cercando di non ascoltarla, di estraniarsi da quel mondo di guerra in cui la sua vita era immersa. Avrebbe dovuto imparare, ormai, eppure continuava a dispiacersi. Ogni volta. Era parte di sé, in fondo, quella reticenza a ferire, una parte che lo aveva reso quello che era. Un Cavaliere della Speranza.
Doveva solo ricordarlo.
"Catena di Andromeda!" –Gridò, avvolto in un arcobaleno di luci. –"Vai!" – E aumentò il vorticare dell’arma, che si espanse a raggiera, travolgendo le immonde sirene, moltiplicandosi in un numero di copie impossibili da contare a occhio umano.
Persino Syria sembrò sbalordito, staccando per un momento le labbra dal flauto. Forse, una parte della sua coscienza si era appena ricordata di aver già visto quel cosmo scintillante portato al parossismo? A quella possibilità Andromeda si aggrappò mentre dirigeva la schiera di catene contro di lui, trapassandolo e disperdendone lo spirito oscuro al vento del Gobi.
Si appoggiò sulle gambe, rifiatando per lo sforzo e scosse la testa, quasi volesse liberare i timpani dall’oscuro influsso della melodia. Fu per quello, forse, che non s’avvide di un movimento alle sue spalle. Sentì solo il dolore quando la lancia di Crisaore lo trafisse alla coscia destra, strappandogli un grido allucinante.
La catena schizzò subito ad afferrare l’arma, schiantandola tra le sue spire, prima di stritolare anche il corpo del Generale indiano. Una volta, Phoenix gli aveva detto che in battaglia gli sembrava sempre di combattere contro un altro se stesso. In quel momento Andromeda convenne che fosse la verità, ma non era da solo, vi erano tanti, molti altri se stesso in quella piana.
***
Il ghiaccio della Siberia si abbatté su una decina di Spectre, rivestendo le loro scure corazze di un azzurro limpido, quasi irreale per quel giorno. Durarono un attimo, quelle rozze statue in pose innaturali, prima che altri, dalle retrovie, le sfondassero, passandoci sopra o in mezzo, agitando le armi alla volta del Cavaliere del Cigno.
Una frusta nera scivolò nell’aria, passandogli a una fiatata di distanza. Cristal fu in grado di vedere persino l’alone lasciato dal suo respiro sull’arma, prima che si riavvolgesse, e lui la afferrasse. Volse la testa in direzione dello Spectre, ricambiandone il gelido sguardo, mentre il suo cosmo congelava la verga e, un istante più tardi, colui che la impugnava.
"Attento, Cristal!" –Gridò Euro, dall’alto, intento a fronteggiare quella che, al Cigno, era parsa un’oscura riproduzione di sé. Forse uno dei fratelli caduti durante l’attacco di Eos al Grande Tempio? Riuscì comunque a destreggiarsi e a liberare una corrente d’aria che spinse indietro il vigliacco che, approfittando della distrazione del Cavaliere di Atena, si era portato alle sue spalle, mulinando un lungo remo nero, per calarlo sull’indaffarato combattente.
"Grazie!" –Esclamò il ragazzo, scattando avanti e strappando l’asta di mano allo Spectre, usandola per percuoterlo a un fianco, poi a un altro, facendolo ballare come una marionetta, prima che un colpo più potente non lo schiantasse indietro, con la corazza in frantumi. In tempo per essere calpestato da tre ben più robusti guerrieri.
Cristal non li aveva mai visti, ma l’aura oscura che li sovrastava non aveva niente da invidiare a temibili avversari affrontati nel tempo. Non rimase ad attendere gli eventi ma cercò di anticiparli, roteando il remo e piantandolo poi nel terreno, usandolo per infondervi il suo cosmo congelante, con cui rivestì il suolo di ghiaccio, sperando di imprigionarvi anche i tre Spectre.
Con uno ci riuscì ma il secondo fu lesto a spalancare le ali dell’armatura e a balzare in alto, quasi fosse un rapace infernale. Il terzo si limitò ad aprire le braccia di lato, infuse di cosmo, e a Cristal parve di vedere un gigantesco fiore nero sbocciare e tenere a distanza i ghiacci siberiani.
Non ebbe modo di notare altro che dovette fronteggiare l’assalto del primo avversario, che stava piombando su di lui, sospinto da una fetida corrente d’aria. Con il braccio destro, il Cavaliere sollevò un muro di ghiaccio, lasciando che il vento vi si abbattesse, concentrando il cosmo sull’indice dell’altra mano e liberando gli Anelli del Cigno, che bloccarono lo Spectre a mezz’aria, congelando le sue ali e precipitandolo a terra.
Prima ancora di rifiatare, Cristal venne distratto dal rumore di passi in corsa e, un attimo dopo, vide il proprio muro andare in frantumi e la figura di un guerriero oscuro piombare su di lui, colpirlo con una spallata e spingerlo indietro, proprio tra le braccia di un quarto Spectre che, fino a quel momento, non aveva notato.
Ce ne erano troppi. E se anche singolarmente non lo impensierivano, messi tutti assieme, in una schiera che poteva riprodursi ogni volta che i suoi membri venivano sconfitti e dispersi, lo stavano stancando. Aveva visto Andromeda venire trafitto dalla lancia di un guerriero poco prima e Euro costretto a ripiegare, incalzato dai venti avversi scatenati contro di lui da ben tre nemici. Tutti eventi che, in uno scontro individuale, avrebbero potuto gestire. Ma non così.
Ancora vittima di quel pensiero, quasi non s’avvide che lo Spectre lo aveva liberato dalla sua stretta, unendo le braccia sopra la testa e scaraventandolo in aria, in un turbinio di energia oscura che lo fece roteare, disorientandolo per qualche secondo, dando il tempo agli altri guerrieri di Ade di lanciarsi su di lui. Una rozza spada e una ghigliottina gocciolante sangue oscuro piovvero su di lui, che riuscì a evitarle sbattendo le ali dell’armatura e deviando gli assalti, prima di allontanarsi dal mulinello energetico e avvolgersi nel suo cosmo bianco.
Per primo travolse il robusto guerriero che aveva creduto di aver imprigionato nel ghiaccio, poi il suo compagno, le forme della cui armatura gli fecero quasi credere che fosse una donna, sebbene non avesse mai avuto notizia di donne nelle legioni del Signore degli Inferi. Per ultimo si lasciò lo Spectre che lo aveva scagliato in cielo, la cui aria tronfia gli fece quasi sospettare che non tutti fossero così dispiaciuti di dover servire Caos e affrontare di nuovo i Cavalieri di Atena, sobillati forse da un mai sopito desiderio di vendetta per tutte le sconfitte subite nelle Guerre Sacre.
Uno spostamento d’aria alle sue spalle lo avvisò di un pericolo incombente, permettendogli di spostarsi giusto in tempo per vedere un’agile sagoma guizzare di lato, con gli artigli sguainati e pronti ad affondare nel suo collo. Lo riconobbe non appena si voltò, ricordando come avesse atterrato sia lui che Sirio alla Quarta Prigione.
"Licaone!" –Mormorò, mentre lo Spectre si univa all’altro ed entrambi liberavano i loro colpi segreti. –"Non stavolta. Polvere di Diamanti!" –Tuonò, scatenando la furia delle nevi eterne, che travolsero l’energia oscura dei due guerrieri, abbattendosi poi su di loro e divorandoli nella sua morsa letale.
Qualcuno, da qualche parte nella mischia, applaudì e Cristal si voltò di scatto, il pugno destro già sfrigolante gelida energia, ma non trovò nessuno. Quantomeno nessuno che, in quel momento, fosse interessato a lui. Fece per avviarsi in aiuto dei Cavalieri di Bronzo e Argento quando avvertì un fruscio alle sue spalle, il tocco leggero di un filo che si avvolse a un suo dito, tirandolo indietro. Un filo leggero, quasi impalpabile, ma resistente.
"Minosse!" –Strinse i denti e si girò, congelando al qual tempo l’oscuro filamento.
A pochi passi da lui, il Giudice del Grifone sogghignava divertito, affiancato da altri due robusti Spectre. Uno, Cristal lo conosceva, avendo combattuto contro di lui al castello di Ade in Germania e venendo sconfitto in malo modo. L’altro non l’aveva mai visto, ma non dubitava che fosse il terzo caporione dell’Inferno.
"Minosse, Eaco e Radamante!" –Esclamò, spalancando le braccia e lasciando che la gelida corrente della Siberia lo rivestisse. I tre Giudici Infernali espansero i loro cosmi e si gettarono su di lui.
***
Alla vista del Giudice della Viverna, Ioria avrebbe voluto correre in aiuto di Cristal, per affrontarlo per la terza volta, ma i Giganti di Crono gli sbarravano il passo. Ne aveva già abbattuti un paio, di cui neppure ricordava il nome, ma gli immani guerrieri parevano spuntare da ogni lato, muovendosi con un’agilità sorprendente.
Erano così lesti di gambe e pronti a colpire anche quando il Signore dei Titani li aveva risvegliati, anni addietro? O era l’ancestrale volontà di Caos ad animarli, dando loro una vigoria maggiore? Se lo stava ancora chiedendo quando un gigante lo afferrò, chiudendo le dita su di lui, per poi sbatterlo al suolo. Ma prima che potesse calare di nuovo il pugno una fiamma dorata gli incendiò la mano, costringendolo ad aprirla e a ritrarsi di scatto, con la corazza fumante e traforata da migliaia di buchi.
"Per il Sacro Leo!" –Gridò il Custode della Quinta Casa, balzando in alto, sulla stessa mano incidentata e servendosene per portarsi di fronte agli occhi del gigante. –"Lava Rossa!" –Lo riconobbe infine, mentre le fauci del leone dorato gli trapassavano un occhio, defluendo poi nel resto del corpo e facendolo divampare.
Con ginnica grazia, Ioria atterrò alle sue spalle, toccando terra proprio mentre il Gigante di Crono esplodeva. Neppure si voltò, focalizzandosi sul nuovo avversario.
Alto, robusto e rivestito da una corazza nera che impediva persino di vederne il volto, impugnava una grossa mazza ferrata, che mulinò verso il basso, costringendo Ioria a scartare di lato per non essere schiacciato. L’impatto dell’arma contro il suolo fu devastante e sollevò una nube di polvere che annebbiò la visibilità del Cavaliere d’Oro per una manciata di secondi, costringendolo alla difensiva. Attorno a lui, in quei brevi attimi, l’aria si riempì di grida disperate e quando la nuvola si diradò Ioria ne comprese il motivo, rammentando chi fosse il suo nemico.
"Ferro Cremisi!"
Se lo era trovato davanti una volta, alle porte del Labirinto di Crono, ma Fish era giunto in suo aiuto, neutralizzandolo in fretta. I fusti delle sue rose, in quel momento, si erano rivelati arma efficace per impedire che l’enorme mazza toccasse il suolo. Perché, quando ciò accadeva, le vibrazioni potevano fare a pezzi gli esseri umani.
Come era appena accaduto.
Con un rapido colpo d’occhio, Ioria abbracciò i morti che lo attorniavano, troppi per essere racchiusi in un unico sguardo. Vide anche Virgo, non molto distante, alle prese con tre guerrieri inquietanti e maestosi, gli ultimi Giganti di Crono. Imprecò, preoccupato per il compagno, prima che l’avanzare rumoroso di Ferro Cremisi lo costringesse a riportare l’attenzione su di lui.
Di nuovo il gigantesco nemico mulinò la mazza ferrata, per schiacciare quel fastidioso insetto dorato, ma Ioria, quella volta, non si mosse, concentrando il cosmo sulle braccia e sollevandole, afferrando la sfera chiodata nell’istante in cui calò su di lui. Stringendo i denti per lo sforzo, il Cavaliere resistette, deciso a impedire che toccasse terra, mentre un gruppo di soldati, vicino a lui, iniziò a lanciare lance e frecce contro il gigante, senza impensierirlo minimamente.
Fu la loro presenza, e il loro genuino coraggio, a infiammare il suo cosmo, assieme alle ali di suo fratello, che in tante battaglie lo avevano sostenuto.
Micene, ti prego, assistimi un’ultima volta! Mormorò, spingendo sempre più verso l’alto, fino a ritrovarsi a qualche metro da terra, sollevato dalle rassicuranti ali del Sagittario. Con un ultimo strattone, tolse la mazza dalle mani di Ferro Cremisi, scaraventandola quanto più vicino poté alla Porta delle Tenebre, prima di piombare sul gigante avvolto in una sfera di fuoco dorato.
Lo trafisse al costato proprio mentre la Mazza di Rubino si schiantava in mezzo al fiume di ombre, schiacciandone una decina. Atterrato alle spalle del servitore di Crono, lo sentì barcollare, prima di esplodere, dilaniato dai fulmini d’oro. Si rialzò, barcollando per lo sforzo, avviandosi verso Virgo, ormai nel pieno dello scontro, ma una figura in armatura nera planò di fronte a lui.
Sollevando lo sguardo, Ioria inorridì nel riconoscere l’oscura nebulosa su cui l’avversario stava camminando. Un tappeto di tetre stelle che pareva ribollire della sua energia.
"Siderius…" –Commentò, alla vista del suo unico allievo.
Dietro di lui apparve Micene.
***
Virgo era in difficoltà.
Gli era successo poche volte in passato e non era la paura di morire a preoccuparlo. Con quella aveva imparato a convivere da tempo, forte degli insegnamenti del Buddha. Era l’impotenza che lo infastidiva, un sentimento già provato di fronte al Muro del Pianto quando, pur con tutto il cosmo che aveva lasciato fluire, non era riuscito a causargli nemmeno una crepa. Un sentimento tornato adesso a farsi sentire, di fronte ai tre Giganti di Crono.
Li conosceva e sapeva che erano ben più pericolosi degli altri sei fratelli, al punto che il Signore dei Titani li aveva scelti come guardia personale. E adesso, sostenuti dall’ancestrale cosmo di Caos, il loro lato animalesco pareva essere emerso del tutto.
Belva d’Ambra era un enorme leone nero, composto di tenebra e di un materiale sconosciuto, sufficiente per proteggerlo dagli attacchi energetici che gli aveva rivolto contro. Saltellava attorno a lui, sparando raggi e sfere incandescenti, che all’inizio Virgo aveva evitato spostandosi alla velocità della luce, ma poi, quando anche Armatura di Giada aveva affiancato il fratello, raddoppiando gli assalti, aveva dovuto cambiare tattica e trincerarsi dietro il Kaan.
L’onda d’urto scatenata dal secondo gigante era stata devastante e, per un momento, Virgo aveva temuto che il globo dorato si schiantasse, esponendolo alla mercè dei suoi avversari, proprio come era accaduto ai soldati che lo circondavano. Avrebbe voluto salvarli, proteggerli da quella devastazione, ma nel farlo avrebbe dovuto esporsi al nemico e, così facendo, perdere l’opportunità di vincerlo e mettere tutti quanti, non solo i più arditi che lo affiancavano, in salvo.
Una scelta difficile, ma una scelta che andava fatta.
Adesso, mentre Armatura di Giada si risollevava, dopo aver piantato i suoi robusti pugni metallici nel terreno, e mentre Belva d’Ambra, balzellon balzelloni, tornava ad affiancare il fratello, Virgo agì. Concentrò il cosmo tra le mani, prima di aprire gli occhi e liberare un ventaglio di energia che rischiarò il cielo caliginoso del deserto, per poi abbattersi sui tre Giganti.
O, per meglio dire, sulla barriera che li aveva improvvisamente rivestiti.
Inarcando un sopracciglio, il Cavaliere notò il rapido guizzare di una lunga coda nera alle spalle di Armatura di Giada, prima che il terzo membro della guardia scelta si facesse avanti, infilando il lungo muso serpentiforme tra i corpi dei fratelli e torreggiando su tutti loro.
L’ultimo, e il più temibile, dei tre. Rifletté Virgo, ricordando lo scontro tra lui e Scorpio e Acquarius. Drago di Perla, custode di arcana sapienza.
Pur rimanendo in silenzio, il Custode della Porta Eterna lo vide sogghignare, fiero di quel risultato, riparato da un velo sottile che pareva composto di tante minuscole gocce di acqua oscura. Una barriera di magia nera.
La stava ancora osservando, quando Drago di Perla si chinò in avanti, eruttando un soffio di energia acquatica dalla bocca, che costrinse Virgo a balzare indietro, lasciando che il raggio devastasse ulteriormente il suolo attorno a lui, ormai uno scoordinato ammasso di buche e avvallamenti ove giacevano i resti dei soldati di Atena. Fu mentre saltava all’indietro che Belva d’Ambra scattò su di lui, sparando nuove bombe energetiche, e Armatura di Giada, affacciandosi da un lato del compagno, mulinò un’enorme ascia di cosmo.
Virgo la schivò, ma la grazia dei primi movimenti aveva ceduto il passo a una stanchezza improvvisa, dovuta non soltanto alla debolezza degli ultimi giorni, seguita alla possessione da parte di Anhar, ma a qualcosa che l’aveva fiaccato fin da quando si era trovato di fronte i tre guardiani supremi. La detonazione di una bomba di fuoco, a pochi passi da lui, lo distrasse, spingendolo indietro e mandandolo schiena a terra, proprio mentre Armatura di Giada avanzava soddisfatto, calando l’ascia su di lui.
"Kaan!" –Gridò Virgo, generando una mezza cupola di cosmo dorato a sua difesa, su cui l’arma si conficcò, in un’esplosione di luce e ombre. Il Cavaliere sollevò le braccia, infondendo alla barriera tutta la sua energia, con il gigante che, dal canto suo, pareva deciso a sfondarla, presto affiancato da Belva d’Ambra, che liberò una nube di fuoco, e da Drago di Perla, che gli scagliò contro una tempesta di aculei che si conficcarono nel Kaan, costringendo Virgo alla massima concentrazione.
Un paio riuscirono persino a sorpassare la difesa luminosa, piantandosi nel corpo del Cavaliere, ma questo non lo fece cedere, dandogli bensì l’impulso per reagire. Fu una riflessione veloce, la sua. Del suo ristretto parco di colpi segreti, ve ne era solo uno, in fondo, che poteva essere efficace in quel momento. Un attacco diretto.
E tale fu.
Abbassando le braccia al petto, e chiudendo gli occhi, in un gesto che i Giganti interpretarono come debolezza, Virgo radunò tutta la sua energia. E quando già i tre pregustavano la vittoria, ecco che un’esplosione di luce li abbagliò, spingendoli indietro, con le armature in frantumi.
"Abbandono dell’Oriente!" –Esclamò il Cavaliere della Sesta Casa, aprendo gli occhi solo per una frazione di secondo, a causa dall’innaturale debolezza che l’aveva invaso, per vedere Belva d’Ambra e Drago di Perla disintegrarsi in un’esplosione di luce.
Sorrise, prima che un dubbio lo invadesse, forzandolo a rimettersi in piedi e ad avanzare nella nube di polvere che sormontava il suolo devastato, cercando con sensi attenti l’ultimo nemico. Lo sentì, prima ancora di vederlo, avanzare a passo strascicato verso di lui. Udì lo spostamento d’aria, mentre sollevava l’ascia di cosmo oscuro, e, se i Giganti avessero parlato, ne avrebbe udito persino la sghignazzata.
Ma lui era il Custode della Porta Eterna, e se anche non poteva scaraventarlo in alcuno dei sei mondi, certo che Caos lo avrebbe riportato subito qua, poteva ridurlo a essere quello che era. Minutaglia senza importanza di fronte alla celeste pienezza di un Cavaliere di Atena.
"Ohm!" –Mormorò, sollevando un braccio al cielo, sul cui palmo riluceva vivida una sfera di energia dorata. La stessa che Armatura di Giada colpì poco dopo con la punta della lama, la stessa che esplose in una spirale di luce dilaniando l’arma stessa e riducendola in pulviscoli, prima di intaccare il corpo dell’ultimo guardiano di Crono e sbriciolarlo.
Affaticato e ansimante, Virgo mosse qualche passo, ma la gamba destra lo tradì, piegandolo di lato. Sarebbe caduto a terra, se qualcuno non lo avesse afferrato.
Il Cavaliere della Vergine mosse le labbra per ringraziare il suo soccorritore, quasi credendo che si trattasse di Ioria, quando vide i colori violacei dell’armatura, il volto maschile e sporco, la barba incolta e i capelli arruffati, che spuntavano dall’elmo danneggiato. Non ne ricordava il nome, ma era uno degli Heroes.
"Riesci a stare in piedi?" –Gli disse l’uomo, cui Virgo rispose con un veloce cenno d’assenso, prima di puntellarsi sulle gambe e recuperare salda postura. –"Bene, perché ho altri nemici da affrontare. Hai gestito bene la situazione con quei tre. Ti ho visto in difficoltà e sarei voluto intervenire, stavo per farlo, in effetti. Avrei afferrato quel serpente per la coda e poi gli avrei mozzato la testa, come Eracle fece con l’idra, ma non sarebbe stato onorevole. No, un compagno non deve interferire con gli scontri di un altro. Io ne proverei vergogna!" –Aggiunse, muovendosi per allontanarsi.
"Adesso ti riconosco, e ti ringrazio, Iro di Orione!" –Commentò Virgo, abbassando per un momento il capo.
"Non ringraziarmi, togliti quella sozzura di dosso, piuttosto!" – Quindi, vedendo che il Cavaliere non aveva compreso, gli indicò il viso, su cui uno strato di polvere scura si era depositata. –"Residui di qualche sostanza che quella fiera ha sputacchiato in giro. Credo fosse tossica. Ho visto alcuni soldati morire soffocati o grattarsi il volto fino a scavarselo. Forse quello ti ha indebolito! Fortuna che li hai eliminati o saremmo stati…" –Ma Iro non terminò la frase che un clangore metallico distrasse entrambi, costringendoli a riportare lo sguardo sulla marea oscura che li circondava.
In mezzo a quel fiume nero, tre alti guerrieri sorsero a torreggiare sugli altri. Iro e Virgo si guardarono attoniti e, se il Cavaliere d’Oro mugghiò infastidito, il fedele di Eracle sbatté un pugno nel palmo dell’altra mano.
"A quanto pare, stavolta tocca a me!" –Esclamò, osservando Belva d’Ambra, Armatura di Giada e Drago di Perla ricompattarsi di fronte ai loro occhi.