CAPITOLO QUARANTESIMO: VERSO UN NUOVO MONDO.
Sirio non riuscì a credere ai suoi occhi. Aveva condiviso ogni fatica con Pegasus, fin dal primo scontro alla Guerra Galattica, avevano affrontato così tanti nemici, rischiando la vita più e più volte, mettendosi ogni volta in gioco come se non ci fosse un domani. E ora quel giorno era arrivato davvero.
"Pegasus… è morto!" –Mormorò, fissando sgomento il punto in cui l’amico e Atena avevano combattuto indomiti contro Caos fino a un momento prima. A ricordarli, adesso, rimanevano frammenti di armatura e altri resti su cui Sirio non volle porre lo sguardo. Lo puntò invece sull’Unico, a cento passi di distanza, riversandovi tutta la rabbia che non aveva mai provato in vita sua, neppure contro Cancer alla Quarta Casa. –"Pegasuuus!!!" –Gridò, espandendo il proprio cosmo, mentre centinaia di dragoni di energia acquatica sorgevano attorno a lui, in una magnifica cascata che dal suolo fluiva verso il cielo.
Una cascata che presto andò tingendosi di un colore biancastro, costellata da cristalli di neve che rivestirono le scaglie dei dragoni, indurendole, quando Cristal lo affiancò. Anche senza vederlo in faccia, Sirio fu certo che l’amico stesse piangendo come lui.
Scattarono avanti, il drago e il cigno, verso Caos che, pur avendo sgominato la minaccia del Cavaliere della Leggenda, non sembrava affatto soddisfatto, con la spada di Balmung ancora conficcata nel basso ventre, la spada che ancora brillava di luce propria. Spostò lo sguardo sui due Cavalieri solo un attimo prima che i Cento Draghi e l’Aurora del Nord lo investissero, proteggendosi con un muro d’ombra su cui l’assalto impattò. Ma Sirio e Cristal non cedettero, continuando a far ribollire il cosmo, decisi ad abbattere quel muro o a morire come Pegasus nel farlo.
Fu una fiammata improvvisa a rischiarare quella barriera tenebrosa, il cosmo di Phoenix che si unì ai due amici, tempestandola con il battito furioso delle Ali della Fenice, che scivolarono sulla muraglia, la scossero, la fecero tremare in profondità, in cerca di un varco, di un punto in cui sarebbero potute andare oltre, portando con sé le rabbiose fiamme che il Cavaliere stava generando.
Ultimo fu Andromeda ad avvicinarsi, Andromeda che non aveva smesso di fissare i resti di Pegasus e Atena, Andromeda che aveva visto quella scena decine di volte, in ogni occasione in cui aveva guardato al futuro.
"Il futuro non esiste!" – Gli aveva detto Avalon sotto l’Etna, quando aveva parlato con lui dei poteri che Biliku gli aveva trasmesso. –"Sono soltanto flussi, maree indomabili delle coscienze di ognuno. Puoi vederne uno ma cambierà sicuramente."
"E se non dovesse accadere?" –Aveva chiesto Andromeda, sconvolto dalla visione.
Avalon gli aveva sorriso, consolandolo con i suoi magnetici occhi argentei, prima di sospirare. Forse anch’egli aveva i suoi frammenti di futuro con cui fare i conti, quegli sprazzi che il Pozzo Sacro gli rivelava tramite la Vista.
"Lo accetteremo, come accetteremo la volontà di chi lotta per quel futuro!"
"E Pegasus ha lottato fino alla fine!" –Disse Andromeda, evocando i venti siderali della sua costellazione. –"Addio amico mio! Nebulosa di Andromeda!!!"
L’impeto del quadruplice assalto inclinò la barriera di Caos, facendola ondeggiare, mentre i Cavalieri dello Zodiaco bruciavano i loro cosmi al massimo, le loro vite, incuranti dei corpi che a fatica sopportavano tale immensa energia, delle vene che esplodevano, delle corazze che fremevano e si schiantavano, dell’ombra della fine di tutto che sarebbe calata su di loro. Insisterono, per Pegasus, per Atena, per tutti i Cavalieri che avevano permesso loro di arrivare fin lì.
"Le parti per il tutto!" –Rifletté Andromeda. Era così che avevano sempre agito. Combattere da soli per un obiettivo finale che apparteneva a tutti. –"E quest’obiettivo sarà la sconfitta di Caos e una seconda occasione per la Terra! Aaahhh!!!"
L’esplosione dei loro cosmi distrusse infine la muraglia d’ombra, scaraventando indietro il suo stesso creatore, contro le mura della ziggurat, che franarono su di lui, tra gli sguardi stupefatti degli Angeli e degli Dei superstiti. Fatto ciò, Sirio e gli altri si lasciarono cadere a terra, infiacchiti da quell’ultima prova, da quel Nono Senso che avevano dimostrato di saper padroneggiare.
Fu con un ruggito furioso, e una deflagrazione di energia, che Caos si rimise in piedi, indispettito oltre ogni dire per quell’oltraggio. Emerse dalla polvere delle macerie con la Prima Lama ancora in mano e il cosmo che turbinava attorno a lui, fremendo come mai, in maniera selvaggia, quasi fosse un’entità autonoma che avrebbe voluto essere libera di agire. Ma quel che maggiormente colpì le forze dell’Alleanza fu vedere Balmung ancora conficcata nel suo basso ventre, con Caos che la malediceva e faticava nel rimuoverla. Di certo non per la paura che la ferita sanguinasse, se mai un Dio Ancestrale come lui (il Dio, come amava definirsi) potesse sanguinare.
"E allora cos’è che lo frena?" –Si chiese Alexer, superando i Cavalieri dello Zodiaco e osservando i continui tentativi dell’Unico di estrarre la lama.
"La luce." –Rispose candidamente Avalon, avanzando a passo strascicato verso il fratello, che subito corse ad aiutarlo. –"La luce della coppa, fluita in Pegasus e in Balmung. La luce dei cuori ardenti che per millenni hanno combattuto per la giustizia, per la libertà e per l’umanità. Il segreto ultimo della Coppa di Luce."
"Le parti per il tutto." –Mormorò Andromeda, rialzandosi a fatica assieme al fratello. E Avalon annuì con un sorriso. –"E pluribus unum!"
"Non è forse per questo che siamo qua? Tutti assieme? Regni diversi, culti diversi, ma accomunati dall’unico enorme desiderio di vivere e vincere l’ombra?" –Disse il Signore dell’Isola Sacra, spostando lo sguardo sugli Dei superstiti. –"E allora facciamo che sia così! Zeus! Amon Ra! Vidharr! Un’ultima alleanza per la luce e per gli uomini!"
A quelle parole gli Dei e gli Angeli annuirono, proprio mentre Caos riusciva infine a estrarre Balmung e a gettarla via, avvolgendola in una spirale d’ombra che la corrose, la divorò e la cancellò dall’esistenza. Ma anche dopo la sua scomparsa la macchia di luce che aveva portato con sé rimase nel corpo di Caos, espandendosi lentamente ma irreversibilmente, allungandosi in ogni direzione, con i suoi rami di luce biancastra e pura. La stessa luce che proprio lui aveva contribuito a creare, all’Alba dei Tempi, prima di cedere all’ombra e da Generatore di Mondi divenire Distruttore.
"Cosa si prova, adesso?" –Gli si rivolse Avalon. –"A tornare indietro? Non è questo il senso dell’Archè? Una legge di eterno ritorno? Orbene tu, Signore dei Mondi, tornerai alla luce originaria da cui fosti generato, la luce del Big Bang da cui nacque la prima entità."
"Siete… folli!" –Ringhiò Caos, mulinando l’arma su di loro. –"Pensate davvero che rimarrò qua inerme ad aspettare che questa macchia di luce ricopra il mio corpo? Vi ucciderò prima e poi la estirperò. O, al massimo, genererò un nuovo corpo!"
"Non credo sia possibile…" –Commentò Avalon. –"La Prima Luce non ha intaccato soltanto il tuo corpo, bensì la tua aura. Non vedi come freme irrequieta? Teme il ticchettio delle lancette che segnano la tua fine, Caos!"
"Maledetti! Vi cancellerò dall’esistenza!"
"Non se noi cancelliamo prima te!" –Esclamò Sirio, avvampando nel proprio cosmo verde smeraldo. –"Cristal! Andromeda! Phoenix! Siete con me?"
"Come sempre e per sempre!" –Gli fecero eco i suoi amici, scattando avanti. Quattro comete di luce che circondarono Caos, sfrecciandogli attorno e tartassandolo da ogni direzione. –"Ruggisci drago della speranza!" –Gridò Sirio, liberando le zanne dei Cento Draghi di Cina. –"Danza, Cigno Bianco!" –Gli fece eco Cristal, generando un tifone di gelo sulla cui cima, ad ali spiegate, imperava un cigno dal piumaggio bianco. –"Incendia, fiamma della Fenice!" –Esclamò Phoenix, scatenando l’infuocato attacco, a cui andarono a sommarsi i venti del fratello. –"Soffia, Nebulosa di Andromeda!"
I quattro assalti investirono Caos da direzioni diverse, impegnandolo su più fronti, con la Prima Lama che colpiva, ne spazzava via uno, solo per roteare e fronteggiarne un altro, sempre più incalzante e preciso, mentre lui si muoveva sempre più lentamente. –"Tutto ciò è fuor di dubbio!" –Ringhiò, prima che la risatina sommessa di Avalon lo distrasse.
"È un morbo, quello di chi lotta per la speranza, che non può essere fermato!" –Disse, per poi voltarsi verso i fratelli e incitarli a un’ultima azione. –"Bruciate il vostro cosmo! Donate la vostra luce affinché sconfigga l’ombra!"
Andrei, Alexer e Asterios lo affiancarono, espandendo le loro aure cosmiche, che andarono a sommarsi a quelle dei Cavalieri dello Zodiaco, potenziando i loro attacchi e raggiungendo pian piano Caos, contribuendo a aumentare la macchia di luce sul suo corpo. Zeus, Ermes, Efesto, Demetra, Amon Ra, Horus e Vidharr si unirono agli Angeli, e anche i Cavalieri delle Stelle, quelli di Atena e di Zeus donarono fino all’ultima goccia di energia.
"Pegasus, amico mio! In nome tuo!" –Disse Asher, sostenuto da Tifisone, mentre anche Castalia, Nikolaos, Shen Gado e la moribonda Nemes si univano loro.
Ovunque, sulla Terra, tutti videro lampi di luce balenare in cielo, squarciando l’oscurità di una cappa che temevano li avrebbe oppressi per sempre. Li videro Flare e le figlie di Selene, riunite nel piazzale di Asgard, intonando un canto di pace, tramite cui raccolsero le preghiere degli uomini e le donarono ai Cavalieri dello Zodiaco. Li vede Bard, ancora a letto, e Bil e Hjúki, che bruciarono i loro cosmi.
Li videro Euribia, Kohu, Kiki, Yulij e gli altri fedeli di Atena sull’Isola del Riposo, mentre le sirene cantavano a gran voce e la Dama dei Mari affidava al vento il compito di portare il suo dono ai combattenti per la giustizia. Li videro Galan e Lythos, a Battery Park, e Julian Kevines, nel giardino della villa di San Vicente, e Lamia e i bambini, all’orfanotrofio Saint Charles. E ognuno cedette loro un po’ della propria luce, un cantico di eroi comuni uniti per sconfiggere l’ombra.
"Tanta superbia peccaminosa, io la chiamo hybris! Archè!" –Esclamò Caos, sollevando entrambe le mani e scatenando un devastante attacco circolare che spinse indietro i Cavalieri dello Zodiaco, distruggendo le loro corazze. Quando l’assalto scemò d’intensità, Caos si sorprese di stare respirando a fatica (poteva, lui, conoscere la fatica? La stanchezza? Potevano le sue forze esaurirsi? No, tutto ciò era inconcepibile! Eppure la ferita di luce gli doleva sempre più, e per quanto provasse non riusciva a arginare quella marea che stava corrodendo la sua ombra, la sua stessa essenza) e della sua sorpresa approfittarono gli Angeli.
Riportando lo sguardo sul campo di battaglia, Caos vide che i figli di Emera si erano disposti attorno a lui, ai vertici di una stella, con i cosmi accesi e pronti a dar battaglia. Fece per estirpare la loro fiamma quando si accorse di quel che Avalon stringeva in mano.
"La Coppa di Luce!"
No, non la stringeva in mano. Era semplicemente sospesa in aria di fronte a lui, con il bordo colmo di luce e in quella luce a Caos sembrò di vedere sette sagome definirsi, agitarsi e chiamarlo a gran voce, allungando braccia scintillanti verso di lui. Sagome che gli pareva di conoscere, di aver già affrontato un tempo.
Galen, Tegel, Antalya, Vasteras, Kloten, Elmas e Menara. Nomi che aveva dimenticato e che adesso tornarono a riempirgli la mente. Strappandogli un brivido.
"Maestro…" –Commentò Ascanio. –"Cosa dobbiamo fare?"
"Dovere? È una parola che ci ha legato troppo a lungo, allievo mio, che ha legato tutti noi!" –Sorrise Avalon. –"Sentiti libero di seguire il tuo cuore, adesso che hai adempiuto alla tua missione. Adesso che ci hai portato fin qui!"
Asterios, Alexer e Andrei annuirono, portando i cosmi al parossismo, lunghe vampe di energia verde, blu e rossa che salirono verso il cielo, e anche Avalon si unì loro. I trionfi energetici chiusero Caos in una prigione, prima di convergere verso il basso, verso la Coppa di Luce che stava fluttuando in aria, fino a portarsi di fronte a Caos, e iniziare ad attrarlo a sé.
"Cosa?!" –Balbettò incredulo.
"Ero certo che un sol colpo di spada non sarebbe bastato, che avresti resistito. Forse, se avessimo tempo, potremmo guardarti sfiorire, ma di certo troveresti un modo per arginare quella marea di luce. E non possiamo perderlo. Questa guerra deve finire, qui e ora! Questo ciclo deve interrompersi!" –Disse Avalon, mentre le sagome di luce degli epta sophoi si sbracciavano per chiamare Caos a sé, e più questi tentava di fuggire, più trovava la strada sbarrata dei cosmi degli Angeli, affaticato e debilitato dalla ferita luminosa che ormai gli aveva ricoperto l’addome e le gambe fino al ginocchio e stava salendo lungo la schiena. –"Grazie, Pegasus, per averlo colpito e averci dato un’opportunità! Adesso possiamo chiudere il cerchio, concludendo la nostra missione!"
"Avalon…" –Mormorò Zeus, che aveva intuito il funzionamento della Coppa di Luce.
"Non crucciarti, amico mio. Troppo tempo abbiamo passato a discutere e a disquisire su come fronteggiare questo momento. Ci siamo arrivati, e lo abbiamo superato, questo è l’importante!" –Gli sorrise, bruciando il cosmo sempre di più, al punto che la sua pelle iniziò a sfaldarsi, consumata dall’interno da un fuoco inestinguibile. –"Adesso, fratelli miei!"
Gli Arconti diedero fondo fino all’ultima stilla della loro essenza, mentre Caos, urlando e dimenandosi, veniva risucchiato all’interno della Coppa di Luce e la sua aura si sgretolava, divorata dalla luce primordiale e da quella degli uomini.
"Voi… non potete…. Io tornerò!"
"Non stavolta!" –Sentenziò Avalon, scambiando un ultimo sguardo con i suoi fratelli.
"Maestro! Che succede? Voi…?" –Balbettò Ascanio, che aveva infine compreso.
"Tutti i manufatti divini hanno un sigillo. Lo sanno bene Zeus e Atena. Anche la Coppa di Luce. Se vogliamo essere certi che Caos non ne esca, dobbiamo sigillarla per sempre. Con il nostro cosmo, con i nostri spiriti. Per questo siamo nati. Noi siamo l’Alfa e l’Omega, abbiamo assistito all’inizio di questo ciclo cosmico. Lascia che ne decretiamo la fine!"
Asterios fu il primo a evocare lo Spirito d’Acqua, che si sollevò, quasi fosse un cavalluccio marino, svuotando il corpo del suo tramite, che divenne polvere, prima di scivolare in aria e scomparire all’interno della Coppa di Luce.
Alexer lo seguì, fissando Cristal un’ultima volta e sorridendogli. Anche senza parlare, il Cigno credette di sentire le sue parole nella mente, calme e paterne, come gli si era sempre rivolto. –"Vivi felice con Flare! Questo ti auguro, Cristal, e so che anche tua madre lo vorrebbe per te!" –E scomparve, liberando lo Spirito d’Aria che turbinò attorno alla coppa per un ultimo istante, prima di esserne risucchiato.
Terzo fu Andrei a farsi avanti, le fiamme che ormai nascevano dal suo corpo, un corpo che stava bruciando, come la sua foga battagliera aveva bruciato per tutta la sua vita. Si fermò un istante, esitò, quasi volesse voltarsi un’ultima volta, poi divampò in un’unica fiammata che sciabordò dentro la Coppa di Luce, lasciandosi alle spalle un corpo segnato dal tempo e dal fato, che subito si deteriorò.
"Addio, padre!" –Commentò Jonathan, cui Reis poggiò una mano su una spalla.
"Tocca a me!" –Parlò allora Avalon. –"È strano. Ho pensato tanto a questo momento, ho avuto così tanto tempo per pensarci che adesso non so cosa dire. Forse non c’è niente da dire. Non essere triste, Ascanio, non piangere! Io non lo sarei per te, perché saprei che stai portando a compimento ciò per cui sei nato, la missione che ha dato un senso alla tua esistenza. Ti dico solo una cosa, torna a casa!" –Detto questo, l’aura di Avalon bruciò, sollevandosi in una vampa di luce argentea che abbagliò tutti i presenti. Fluttuò in aria, ma anziché entrare subito nella Coppa di Luce parve guardarsi attorno, individuare qualcosa che cercava di nascondersi tra le macerie del Primo Santuario e poi piombare su di lui e sollevarlo di peso.
"Lasciami andare!" –Piagnucolò Anhar.
"Vieni con me, fratello! Abbiamo bisogno anche di te! Per quale motivo credi che ti abbia concesso di vivere così a lungo?" –Sentenziò Avalon, trascinando l’Angelo della Terra con sé. Quando i cinque Arconti furono nella coppa, questa si richiuse e il coperchio venne sigillato dai loro spiriti, che lampeggiarono in un arcobaleno di colori. Allora la Coppa di Luce sfrecciò in cielo, salendo sempre più in alto, sfondando la già devastata cappa di nubi nere, finché non esplose, con un boato silenzioso che liberò un’ondata di luce che spazzò via l’oscurità.
"Eterna gloria a te, Signore dell’Isola Sacra!" –Mormorò Zeus, appoggiandosi al fido Ermes, mentre su di loro, e forse su tutto il pianeta, una pioggia di luce cadeva a mondar via le tenebre dei giorni passati. Quanti ne erano trascorsi? Difficile dirlo, per loro che credevano di aver vissuto un’unica intera giornata. Una giornata in cui avevano perso amici e compagni, in cui avevano assistito al sacrificio di valorosi eroi e al compiersi di mirabolanti e antiche profezie. Adesso, svuotati di ogni certezza e scopo, i Cavalieri e gli Dei superstiti crollarono a terra, mentre quel che restava della ziggurat nera si sfaldava, in un crollo che segnò la fine del tempo cosmico.
"Dunque è finita…" –Disse Sirio, sorreggendosi a vicenda con Cristal, mentre Phoenix faceva lo stesso con Andromeda. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, abbandonarsi a un commento epico, magari a una risata scanzonata ripensando a tutto quel che avevano sudato per portare a termine la missione, come avrebbe fatto Pegasus in un’altra occasione. Ma loro non erano Pegasus, e il loro amico non c’era più. –"No!" –Si scosse Dragone, sollevando la testa e lasciando che la pioggia di luce gli scivolasse sul volto. –"Pegasus è vivo! Come Atena e tutti i nostri compagni! Loro sono nella luce, in questa luce immensa che inonda la Terra e guiderà gli uomini verso un nuovo mondo!"
"Sér hon upp koma ǫðru sinni jǫrð ór ægi iðjagræna; falla forsar, flýgr ǫrn yfir, sás á fjalli fiska veiðir." –Disse allora Vidharr, e Cristal tradusse per loro.
"Affiorare lei vede ancora una volta la terra dal mare di nuovo verde. Cadono le cascate, vola alta l'aquila, lei che dai monti cattura i pesci. È la Profezia della Veggente."
"Munu ósánir akrar vaxa; bǫls mun alls batna. Vituð ér enn eða hvat?"
"Cresceranno non seminati i campi; ogni male guarirà. Volete saperne ancora?"
"Sì!" –Ripeté Vidharr. –"Ogni male guarirà."
Zeus gli diede ragione, aiutando Demetra a rimettersi in piedi, mentre Efesto, poco distante, trascinava la gamba rotta, e Amon Ra abbracciava Horus e Febo, lieto che si fossero salvati. Marins guardava sconsolato la protesi danneggiata, pensando che, in occasione del prossimo viaggio in America, avrebbe potuto far visita alla zia Susy, mentre Matt, in piedi accanto a Elanor, osservava la ragazza pregare e ringraziare le sue sorelle per aver creduto in lei, e in tutti loro.
"Molto abbiamo perduto." –Disse Jonathan a Reis. –"Amici e congiunti. Cosa ci è rimasto? Non abbiamo più i Talismani, non abbiamo più uno scopo. La nostra esistenza… cosa faremo adesso?"
"Non hai sentito le parole di Avalon? Faremo quello che vogliamo, ciò che meritiamo. Vivremo!" –Parlò Ascanio. –"Vivremo!"
"Comprendo il vostro dolore!" –Disse Zeus, avvicinandosi ai Cavalieri di Atena, che si erano riuniti per onorare la Dea e i caduti. –"Vorrei confortarvi ma non posso farlo, non ho parole per farlo, perché anche il mio cuore piange coloro che ho perduto. Pur tuttavia la tristezza non deve diventare disperazioni, non lo meritano gli eroi che abbiamo perduto! Non è questo che vorrebbero! E poi… le vie del cosmo sono infinite…"
"Che intendete dire, mio Signore?" –Domandò Cristal. –"Credevo che dall’intermundi non fosse possibile tornare."
"Probabilmente è così. Ma dopo ciò a cui ho assistito in questi ultimi gloriosi giorni, posso ammettere di non avere più certezza alcuna. E chissà che, in qualche vita futura, in qualche strano mondo, non ci ritroveremo assieme a coloro che amiamo. Forse, se l’anima davvero può rinascere, in un altro tempo, in un altro luogo, Pegasus e Atena sono vivi, magari sono due mercanti che navigano su acque perigliose per portare in salvo il carico, o due ragazzetti innamorati che vanno a scuola, o ancora due aquile in volo verso l’infinito. Oppure, più realisticamente, continueranno a lottare e soffrire come in questa vita, come abbiamo fatto tutti noi, ma mai, ne sono certo, rinunceranno a combattere per il loro futuro e per quello dei loro cari!"
Finalmente la nube di tenebra che aveva ricoperto il pianeta svanì del tutto e gli Dei e i Cavalieri superstiti, in piedi l’uno accanto all’altro, guardarono le stelle lontane, che mai come in quel momento parvero loro così vicine. Lo stesso panorama che, chi di giorno, chi di notte, chi in un rosso tramonto o chi in una fresca alba d’inverno, rimirarono tutti coloro che alzarono lo sguardo, in ogni angolo della Terra.
All’orfanotrofio Saint Charles era ormai sera e presto Lamia avrebbe dovuto aiutare la madre superiora a radunare i bambini e a portarli a letto, un lavoro che quel giorno avrebbe richiesto notevole sforzo, sovreccitati com’erano da tutti gli avvenimenti. Affacciandosi in giardino, Lamia li vide rincorrersi e giocare a calcio e per un momento credette di non vedere Smarty e Sancho, ma Pegasus e i suoi amici, che fin da bambini avevano amato quel luogo di svago. Li ringraziò, sfiorando la collanina che portava al collo, per aver donato a tutti loro un futuro.
Alla Darsena di Nuova Luxor, Olga, Elena ed Elisa camminavano sul lungomare, che adesso si era animato di persone, tutte uscite per rivedere le stelle, ritrovarsi e abbracciarsi. Qualcuno suonava la chitarra, qualcun altro mangiava e beveva seduto sul muretto del molo. Le tre amiche camminarono in mezzo a quell’umanità, felici di farne parte e di essere ancora insieme.
Ad Asgard, il tiepido sole d’inverno prese quasi di sorpresa il popolo riunito nel piazzale dietro la cittadella. Flare di Polaris, in cima sul palco dove per anni Ilda aveva pregato Odino, sorrise, con i figli di Mani stretti alla sua pelliccia e le sorelle di Elanor che strillavano di gioia, lodando le prodezze della primogenita. La Regina di Asgard guardò il ramo dell’Albero Cosmico che il Selenite di Saturno le aveva lasciato, stringendolo con forza, quasi potesse, con quel gesto, far apparire Cristal davanti a sé.
"Torna!" –Disse, sfiorandosi la pancia. –"Torna per noi! Abbiamo un albero da piantare e una vita intera da vivere assieme!"
Anche Bard volle vedere il sole, camminando a fatica fino alle vetrate della stanza e lasciando che i suoi raggi ristorassero le sue ferite. Un sole che avrebbe riscaldato non soltanto Asgard ma la Terra tutta.
Molto più a sud, nel Mediterraneo Orientale, Euribia e il popolo degli Oceanini si bagnavano felici nelle acque attorno all’Isola del Riposo, decisi a portare con sé, nelle profondità del loro regno, un po’ di luce solare. Seduti sugli scogli, con i piedi a mollo, Sam, Dean, Cliff O’Kents, il Professor Rigel e le ragazze godettero a fondo di quel momento, sorridendo all’ennesima vittoria dei Cavalieri dello Zodiaco. Soltanto Kiki sembrava triste, Kiki che si avvicinò a Patricia, prendendole le mani tra le sue, prima che lei annuisse e lo abbracciasse.
"Lo so!" –Si limitò a dirgli, carezzandogli i ricci fulvi. –"L’ho sentito!"
Fiore di Luna si strinse all’amica e la Dottoressa Hasegawa, ricordando le avventure della sua adolescenza, commentò.
"I demoni sono stati sconfitti per sempre. Leo, Rius e i loro amici ci hanno salvato!"
Anche Galan e Lythos lo pensarono, seduti sulla sponda meridionale di Manhattan. Il sole sarebbe sorto a breve e non volevano perderselo. Non quell’alba, che avrebbe segnato l’inizio di un mondo nuovo. Un mondo umano.
Pensieri simili investirono anche Julian Kevines, nel giardino della sua villa, all’estremità occidentale dell’Europa. Corse fino al promontorio a guardare al mare, respirando l’aria salmastra che la brezza gli portava in faccia. Voleva vederla, certo che un giorno l’avrebbe rivista spuntare tra le acque, schizzarlo con la sua coda, agitando la lunga chioma bionda in segno di saluto. Era il suo angelo custode, la sua sirena personale. Non la vide, ma non disperò. C’erano ancora tanti giorni a venire.
Proprio in quel momento il suo segretario arrivò correndo, pregandolo di rientrare. Un’altra giornata di incontri alla Kevines Corporation stava per iniziare e Julian aveva un calendario fitto di impegni.