CAPITOLO VENTESIMO: MIO FRATELLO.
Alastore aveva messo subito in chiaro il motivo per cui combatteva. Vendicare le Erinni, uccise da Osiride. Per questo aveva attaccato Horus, atterrandolo mentre era in volo e crivellandogli la schiena con una raffica di pugni. Nel travolgerlo con una bomba di energia incandescente, anche Febo era stato chiaro.
"Mio fratello non si tocca!" –E lo aveva colpito, e colpito ancora, fino a ucciderlo, e più combatteva più sentiva il suo cosmo crescere, la sua vera natura risvegliarsi e divenire quel che di fatto era. Il figlio di un Dio.
Sebbene non avesse mai dato troppa importanza a quell’aspetto, era innegabile che tale discendenza gli permetteva di resistere meglio dei suoi compagni. E lo portava sempre più spesso in prima linea, ad affiancare il Cavaliere di Phoenix, l’Arconte Rosso e la Dea Gatta nell’avanzata verso la Porta della Luce.
Emera era stata l’unica, tra i Progenitori, a non rispondere all’assalto congiunto della forze dell’Alleanza. Anzi, non fosse stato per il luccicoso velo che rivestiva la fortezza, Febo avrebbe persino potuto credere che lei non fosse presente.
Dei quattro Dei Ancestrali, era quella di cui sapevano meno. Poco incline a esporsi e a rivelare i suoi pensieri, la Dea del Giorno pareva semplicemente osservare e attendere, limitandosi a una difesa passiva. Difesa che, comunque, le aveva permesso, finora, di tenere l’esercito dell’Alleanza a distanza. Sarebbero riusciti, in qualche modo, a colmare quel divario o erano destinati a rimanere lì, ad annaspare in una polvere ben più sterile e tetra di quella che ricopriva il Sahara?
Una mano amica gli sfiorò la spalla, interrompendo i suoi pensieri e costringendolo a fermarsi. Infervorato, si era spinto ben oltre la posizione mantenuta dai compagni, al vertice più esterno di un quadrilatero rappresentato da Phoenix, Andrei e Bastet.
"Riposa, ogni tanto, figlio mio!" –Commentò Amon Ra, spuntando al suo fianco. –"Riposa quando puoi, perché non puoi sapere quando avrai modo di farlo di nuovo."
"Padre, io…"
"So cosa stai facendo!" –Chiarì il nume, voltandosi e tirando una rapida occhiata alla schiera di soldati che li seguiva. I Guerrieri del Sole d’Oro, gli ultimi Faraoni delle Sabbie, le poche Amazzoni superstiti, l’implacabile Pentesilea, e il caro Marins, che aveva appena neutralizzato la minaccia delle Strigi. –"Rischi tutto te stesso pur di non far combattere gli altri. Sei generoso e nobile, com’era tua madre, prodigo nell’aiutare i più deboli."
"Non è quello che dovrebbe fare un Dio? Essere il sole in grado di riscaldare i cuori di chi soffre il freddo del mondo?"
Sorridendo, Amon Ra annuì.
"Cerca di non morire troppo presto. I Sette sono destinati a riunirsi un’ultima volta."
"Lo so" –Disse Febo, prima che una ridda di grida catturasse la loro attenzione. Poco oltre, nella torma di ombre che Phoenix e Andrei stavano combattendo, delle rozze figure, più grosse degli uomini, si stavano facendo strada, travolgendo e divorando gli stessi Guerrieri del Caos. –"Cos’è questo nauseabondo odore?"
"Il fetore dei demoni e della morte che portano seco!" –Mormorò Amon Ra, individuando l’orda di creature mostruose che stava avanzando contro la prima linea dell’Alleanza, senza riuscire a trattenere un moto di disgusto.
C’erano bestie di cui aveva sentito parlare solo nei testi sacri conservati a Karnak, figli che soltanto Apopi avrebbe potuto partorire, tanto orridi e deformi si presentavano loro. C’era un grosso mostro alato dal corpo di leone ma con la testa d’aquila, che faticava a sollevarsi sulle sue stesse ali, agitando le zampe artigliate e squarciando chiunque gli sbarrasse la strada. E c’era un altro mostro che sembrava un leopardo, sebbene avesse la testa e il collo di un serpente, con gli occhi giallastri intrisi di veleno. E un animale simile a un’antilope, nel corpo, ma dalla testa di uccello e sopra di essa tre cobra che sibilavano e un paio di ali. E un’altra creatura che non seppe definire, tanto assurda sembrava in quel corpo per metà simile a un leone, per metà a un cavallo, con la testa di falco e la coda che terminava con un ciuffo di peli. E quelle mammelle (otto, Amon Ra ne contò) da cui sembrava colare un liquido putrido che intaccava il suolo, sciogliendolo, e un collare nero attorno al collo. Ah, guardando meglio, il Nume d’Egitto vide che tutte avevano quel collare, su cui erano stati incisi dei numeri.
Fu quello a fargli capire chi fossero quelle creature.
"Esperimenti di Anhar. Come i licantropi e il custode delle sabbie del Sahara."
"L’ombra di Anhar è sempre più lunga, anche quando il sole ha smesso di brillare." –Sospirò Febo, prima che Amon lo tranquillizzasse.
"Il sole non smetterà mai di brillare! Ricordalo, Febo! Può essere oscurato dalle tenebre ma mai si spegnerà!" –Nel farlo, il Pastore dell’Universo espanse il proprio cosmo, che raggiunse tutti coloro che lottavano di fronte alla Porta del Giorno. Li confortò, li sostenne, lenì un po’ delle loro ferite, prima di parlare e prepararli per quella nuova battaglia. –"Andrei! Phoenix! Occupatevi della marea d’ombra! Io vi porterò aiuto! Dobbiamo contenere la sua avanzata! Bastet! Tu, Horus e Febo terrete a bada la progenie di Apopi!" –E scattò avanti, in un lampo di luce amaranto.
Febo lo osservò piombare in mezzo ai Guerrieri del Caos, prima di liberare tutto il suo potere e fare piazza pulita di chiunque lo stesse circondando. Phoenix e Andrei, ai suoi lati, stavano facendo altrettanto.
"Giù!" –Esclamò un’agile figura, afferrandolo e ruzzolando a terra assieme, evitando l’artigliata di una bizzarra creatura. –"Maledetti figli di Neter!" –Ringhiò, rialzandosi all’istante e balzando sul dorso della bestia che sembrava un’antilope. Subito i tre cobra sulla sua testa guizzarono verso di lei, ma Bastet mosse il braccio di scatto e li mozzò, prima di piantare quegli stessi artigli felini nella schiena della creatura, liberando il suo cosmo divino. –"Questo è per la mia maestra, la leonessa d’Egitto!" –E la bestia esplose.
"Credo fosse un akhekh!" –Commentò Febo, mentre Bastet, con grazia e agilità, atterrava di nuovo accanto a lui.
"Un che? Ah già, la tua passione per la lettura." –Gli sorrise, non troppo convinta. –"Io non ho mai amato leggere. Stanca troppo la vista. Preferisco i passatempi più… d’azione. Vieni con me, ragazzo?"
"Dove?"
"A caccia!" –Ghignò Bastet, divertita, prima di scattare avanti, le braccia distese lungo i fianchi, gli artigli da gatta sfoderati. Un’altra delle creature del Caos le corse incontro ma lei scartò all’ultimo istante, evitandola e agguantandola per la coda, dandosi lo slancio per balzare sulla sua schiena, quasi stesse montando un cammello.
Febo l’avrebbe osservata per ore, invidiando la sua freschezza e la sua sempiterna agilità che le permettevano di cadere sempre in piedi. Un brusio lo distrasse, prima che l’ombra di un insetto gli passasse davanti al viso.
"Ancora strigi?" –Si chiese, prima di riconoscere la creatura volante che gli si era appena posata su una spalla e che stava cercando di insinuarsi tra le placche dell’armatura per raggiungere una ferita aperta. –"Cavallette? Disgustose!" –Aggiunse, schiacciandola tra le dita.
Solo allora, levando lo sguardo al cielo, notò che la nube di tenebra sembrava picchiettata di verde. Ma non il verde luminoso di cui, da piccolo, credeva fossero ricoperte le pianure dell’Europa, quel bei prati bagnati dal sole dove avrebbe voluto correre. Questo era un verde pallido, smorto, simile al corrosivo veleno che aveva visto zampillare dalle mammelle di quella bestia pochi minuti prima. Ed era un verde che, avvicinandosi, diventava sempre più grande.
"Per gli Dei!" –Esclamò Febo, rabbrividendo.
Anche Amon, Andrei e gli altri combattenti si fermarono un istante per osservare l’orrido sciame che planava su di loro. Sembravano insetti, sebbene fossero di taglia ben superiore alla media. Grosse come cavalli, erano cavallette bardate per la guerra, con placche di ferro a coprire i loro ventri, una corona d’oro nero sul capo e una lunga criniera pelosa simile ai capelli di una donna. I denti poi, giallastri, erano aguzzi e affamati e il rombo delle loro ali corazzate ricordò a Febo il rumore di tutti i carri che affollavano le strade di Karnak nei giorni di festa.
"Quale aberrante mostruosità è mai questa?"
"Non le riconosci, figlio di Amon?" –Parlò allora una voce femminile, che a Febo parve nota, sebbene sul momento non riuscisse ad abbinarla a una figura precisa. –"Eppure dovresti, sono le Locuste dell’Abisso, le portatrici dell’Apocalisse! Carine vero? Ti somigliano, in fondo. Anch’esse sono delle bastarde, nate per diletto dal Gran Maestro del Caos!"
"Adesso ti riconosco…" –Sospirò il Cavaliere del Sole, cercando la sua avversaria nella marea d’ombra contro cui Amon e gli altri stavano affrontando.
"Eh no, alza lo sguardo, bel biondino! Sei più carino quando mostri il mento!"
In quel momento lo sciame di locuste si abbatté sulle stanche forze dell’Alleanza, mentre Marins cercava di riunire i Guerrieri del Sole, impedendo che fuggissero in preda al panico, e Pentesilea strigliava le sue fedelissime. I fasci di luce rossastra delle Spade del Sole ne abbatterono a decine ma quelle cavallette erano veloci, e fastidiose da colpire. Oltre che letali nel loro saltare da un corpo all’altro, dopo averlo infilzato con la punta velenosa della coda.
Voltandosi, Febo vide che Marins ne aveva travolte una dozzina con un gorgo di energia acquatica, mentre le Amazzoni le stavano bombardando di frecce. Avrebbe voluto correre a combattere con l’amico ma l’ombra di una locusta, ben più grande di tutte le altre (grande forse come un coccodrillo del Nilo?), lo sovrastò, costringendolo a scattare indietro appena in tempo. Il pungiglione venefico saettò verso di lui ma Febo fu lesto ad afferrarlo prima che lo infilzasse alla gola, liberando il cosmo incandescente che divampò lungo la coda, aggredendo la bestia infame sul cui dorso una donna, in tenuta da battaglia, sghignazzava soddisfatta.
Alta, bella, con labbra carnose e mossi capelli rossicci simili ai tentacoli di una piovra, la Dea della Morte Violenta lo fissava divertita, battendo i tacchi sui fianchi della locusta e incitandola ad avanzare, incitandola a divorarlo.
"Keres…" –Strinse i denti Febo, ricordando il loro scontro alla Pozza di Iside, dove la Dea che le aveva fatto da madre (la Dea che lui aveva considerato come una madre per tutta la sua vita) era morta tra le sue braccia e lui quasi aveva rischiato di perdere il senno e ferire Marins, a causa del furore instillatogli da Lissa.
No, si disse, balzando indietro ed espandendo il cosmo. Non instillato. Soltanto risvegliato. Per quanto aspre fossero le parole che Lissa mi ha rivolto, non erano poi così errate. Io ho davvero portato il caos in Egitto. Con la mia nascita tutto è cambiato, per Amon, per i membri dell’Enneade, per il popolo stesso di Karnak.
Che fosse cambiato in meglio o in peggio, questo Febo non lo aveva ancora capito. O forse non voleva rispondersi, per non ricadere nei turbinosi drammi che già lo avevano piegato lungo le sponde del lago sacro.
"Raggi gamma!" –Tuonò, sollevando il braccio destro e dirigendo una raffica di fasci di luce rossastra contro la bestia, trafiggendola e precipitandola a terra, dove andò squagliandosi poco dopo in una nube di fetore. Keres, nel qual tempo, era stata svelta a lanciarsi indietro e, con un’agile capriola, ad atterrare a piedi uniti, le braccia già alzate in posizione da combattimento.
Da quel che ricordava del loro scontro, quel poco che i fumi di rabbia di Lissa non avevano coperto, la Dea della Morte Violenta era forte e letale e aveva impegnato parecchio Marins, che credeva di averla sconfitta facendole cadere mezzo tempio sulla testa.
"Sei sopravvissuta, a quanto pare…"
"Lo dici come se ti dispiacesse." –Ridacchiò Keres, gettandosi i capelli dietro le spalle con noncuranza. –"Ricordo che hai apprezzato, da buon maschio, la compagnia mia e di mia sorella. Ma dov’è il tuo amichetto? Forse è già morto?"
"Stai lontana da Marins!"
"Peccato. Lo avrei ammazzato volentieri. Pazienza, vorrà dire che prima ucciderò te e poi mi godrò la sua espressione sofferente alla vista della tua testa mozzata!" –Ghignò la Dea, mentre le dita delle sue mani si gonfiavano, divenendo rozzi artigli ornati di unghioni affilati. –"Cadi, bastardo d’Egitto! Che i demoni inferi ti sbranino! Furia dei Cerberi!" –Gridò, portando avanti il braccio destro e liberando la deforme sagoma energetica di un enorme cane con tre teste, che si replicò in infinite copie.
Febo tentò di frenarne l’avanzata con fasci di energia ardente, ma si ritrovò a sforacchiare l’aria, costretto a incrociare le braccia davanti al volto per difendersi. L’impatto lo spinse indietro, ustionando la corazza delle stelle, ma quando fece per abbassare gli arti, convinto di averlo parato, qualcosa guizzò davanti ai suoi occhi, colpendolo al fianco destro. Non fece in tempo a lamentarsi per il dolore che già un nuovo colpo lo raggiunse al collo, portandogli via un pezzo di carne.
"Ma cosa…?" –Balbettò, crollando a terra, una mano premuta sullo squarcio, mentre Keres avanzava verso di lui.
"Bastardo e ignorante se neppure conosci il guardiano degli inferi." –Disse la Dea, raggiungendolo e colpendolo con un calcio in faccia, che lo spinse indietro, facendolo ruzzolare nella polvere. –"Vuoi un altro assaggio? Ma sì, perché dovrei privartene! Furia dei Cerberi, travolgilo ancora!" –Gridò, liberando l’assalto energetico, che di nuovo investì Febo, veloce e preciso, colpendolo in tre diversi punti del corpo, prima di lasciarlo a terra ferito e sanguinante. –"Un vero peccato che tuo padre non sia qui a vederti morire. Non che starete separati a lungo. L’ombra di Caos è ormai troppo oscura che nessuna luce potrà più penetrarla."
"Ti sbagli."
"Non mi sbaglio!" –Chiarì lei, avvicinandosi e chinandosi sul Cavaliere di Avalon, afferrandogli il mente e costringendolo a guardarla negli occhi. –"Sono la Dea della Morte Violenta, bastardo, l’Astrazione che presiede al fato ineluttabile degli uomini. Non sono Moros, questo è vero, ma lui era solo un messaggero indolente, che sedeva e meditava, meditava e sparava idiozie sulla sorte degli esseri umani, senza esserne minimamente coinvolto. Io, al contrario, sono molto coinvolta. Io, della vostra morte, ne godo!" –E si sollevò, trascinando Febo con sé, ancora prigioniero della sua morsa.
"Perché? Che ti hanno fatto gli uomini?"
"Fatto? Oh niente. A parte avermi adorato e scelto come simbolo della loro esistenza. Perché vedi, bastardo, non esiste Dio al mondo più venerato di me. Io sono tutto quello che gli uomini cercano, il fulcro della loro esistenza."
"Menti! Gli uomini non potrebbero mai venerare una Divinità malvagia come te!"
"Davvero? Gli uomini non sono dunque malvagi? Non odiano? Non complottano? Non si uccidono a vicenda? Oh, Febo, mio bel biondino dal dolce sguardo, tuo padre ti ha tenuto troppo a lungo fuori dal tempo, e dal mondo. Avresti dovuto camminare per le strade di una qualunque città d’Africa per vedere come vivono davvero gli uomini, e come muoiono. Violentemente. Nessun’altra morte può attendere quelle bestie che anelano ad azzannarsi l’un l’altra, scatenando passioni e istinti primordiali che li portano a vivere una guerra di tutti contro tutti. E quegli istinti, quel cercare la morte, degli ideali, dei corpi e delle anime, è ciò che mi rende potente, è ciò che mi rende la più potente delle Astrazioni! L’ultima della mia stirpe! Colei che renderà grande il nome di Nyx, la Primogenita! Addio, bastardo! Sentiti onorato di cadere per mia mano!" –Esclamò Keres, scagliando Febo in alto e preparandosi per colpirlo con un nuovo attacco energetico.
Ma le fauci di Cerbero non lo raggiunsero, perdendosi nel cielo plumbeo, mentre una figura rivestita d’argento afferrava il Cavaliere del Sole e lo portava fuori dal raggio d’azione della Dea. Gli carezzò il volto, senza soffermarsi sulla ferita alla base del collo, e lo incitò a resistere, quei pochi minuti di cui, a sentir lui, aveva bisogno per vincere la figlia di Nyx.
"Horus, il Dio Falco. Riconosco le tue vestigia. Hai le ali danneggiate e il cuore a pezzi, eppure mostri ancora la forza per volare?"
"Ho la forza per fare molte cose, maledetta!" –Avvampò il Nume, espandendo il proprio cosmo. –"Vendicare mia madre, per esempio. O i miei figli."
"Oh, era tua madre, Iside, è vero? Si chiamava così quella donnetta timorata uccisa da un suo guerriero? Ho percepito la sua paura, il suo dolore, e me ne sono nutrita. Oh sì, di quella morte violenta ho davvero gioito."
"Non quanto gioirò io dopo averti strappato quel falso sorriso dalla faccia!" –Gridò Horus, scattando avanti, avvolto nel suo cosmo argenteo. –"Artigli del Falco, ghermite!" –I fendenti di energia sfrecciarono verso Keres, che, ridacchiando, balzò indietro, capovolgendosi e atterrando sulle mani, dandosi la spinta per balzare ancora più indietro, mentre un muro di locuste si accumulava tra loro.
Quasi in risposta a un silenzioso richiamo, le Locuste dell’Abisso scesero su Horus e Febo, accerchiandoli, mentre ovunque attorno a loro imperversava quell’orribile minaccia. Puntellandosi su un gomito, il figlio di Amon si sollevò quel tanto che gli bastò per vedere la fine dell’esercito del Sole. Distratti dalle cavallette di piccole dimensioni, che ronzavano loro intorno, insinuandosi nelle ferite aperte, negli orecchi, nel naso, persino nelle bocche aperte, i soldati vennero trafitti dai pungiglioni avvelenati, oppure azzannati, travolti e schiacciati. Anche Naveed, che aveva guidato Horus nella missione di salvataggio, venne divorato da una gigantesca Locusta dell’Abisso, spingendo Febo a bruciare il cosmo e a rialzarsi.
"Bestie infami, mai più nessuno morir dovrà a causa vostra!" –Esclamò, sollevando il braccio al cielo, proprio mentre le cavallette piombavano su di lui. Sul palmo della sua mano comparve una sfera di energia ardente, da cui subito sortirono migliaia di strali luminosi. –"Lancia del sole!!!" –Gridò, dilaniando le locuste.
"Febo…" –Mormorò Horus, avvicinandosi in tempo per afferrarlo, prima che le ferite e la stanchezza lo facessero crollare di nuovo. –"Sei debole. Hai fatto anche troppo. Riposa adesso, mi occuperò io di Keres."
"Horus, no! Voglio combattere con te!"
"Non ce n’è bisogno."
"Lei ha ucciso mia madre. Nostra madre!" –Gli disse, con gli occhi lucidi. –"Concedimi di lottare al tuo fianco per onorarla, fratello!"
A quelle parole, Horus sorrise, realizzando di non aver perso ancora tutto.
"Se avete finito con questi sciocchi sentimentalismi, ho una guerra da portare avanti e tante morti di cui godere!" –Intervenne Keres, costringendoli a voltarsi per fronteggiarla. Con un balzo, l’Astrazione fu su di loro, con entrambe le braccia avanti per ghermirli, ma Febo e Horus furono svelti a evitarle. Rapida, la Dea scagliava colpi in ogni direzione e, dovettero dargliene atto, era precisa e coordinata nei movimenti, quasi non sentisse neppure la fatica di dover contrastare due avversari nello stesso momento.
Con un’artigliata distrusse quel che restava delle ali di Horus, già lese nello scontro con Alastore, piegandolo a terra, ma prima che potesse spaccargli il cranio venne afferrata per un polso da Febo, le cui dita già sfrigolavano di ardente energia.
"Ahia!" –Bofonchiò la Dea, cercando di ritrarsi, ma il Cavaliere di Avalon non mollò la presa, nemmeno quando lei iniziò a tempestarlo di pugni. Sul ventre già ferito, sul petto, persino sul volto. Gli spaccò il naso con un ultimo colpo, prima di fermarsi e scoppiare in un grido di dolore. Guardando il polso, vide che l’armatura si era liquefatta, e stessa cosa stava accadendo alla pelle e alle ossa al di sotto.
"Hai infangato troppo a lungo il potere del sole." –Commentò Febo, liberando una fiammata di pura energia che travolse la Dea, spingendola indietro. Subito Keres strusciò il braccio destro sul terreno, per spegnere quel maledetto fuoco che sembrava divorarla, ma non ci riuscì e la mano bruciò, consumandosi e sbriciolandosi in una rivoltante poltiglia, strappandole un nuovo strillo. –"Prova un po’ della tua medicina, Dea della Morte Violenta!" –Disse il figlio di Amon, il volto pieno di lividi e macchie di sangue.
Vomitando rabbia, Keres si rimise in piedi, sventolando il moncherino davanti agli occhi, incredula che qualcuno (il bastardo figlio di un Dio che aveva preferito uscire dal tempo cosmico piuttosto che combattere!) avesse osato tanto, ferendo proprio lei, la più potente delle Astrazioni. Cos’erano in fondo gli altri? Dei falliti degni solo di disprezzo! Oizys, Apate, Momo, Geras, Momo, persino gli Oneiroi. Per non parlare di Philotes e delle Esperidi. L’unica che aveva dato qualche soddisfazione alla loro madre era stata Discordia, ma anch’ella era caduta. Restava soltanto lei a tenere alto il nome della progenie di Nyx. Poteva fallire?
No, avvampò, chiudendo a pugno le dita del braccio ancora intonso.
"La Morte Violenta non può essere sconfitta. È nella natura degli uomini desiderarla. Per loro e per la loro stirpe. E forte di questa certezza, io vi ucciderò! Furia dei Cerberi, travolgili!!!" –Gridò, scatenando il suo colpo segreto.
"Attento!" –Disse Febo, mentre i cani infernali sfrecciavano su di loro. –"È un attacco in tre parti. L’ho scoperto a mie spese. Prima morde una testa, poi un’altra."
"Ed è impossibile prevedere dove colpiranno!" –Ringhiò Keres.
Horus si mise davanti a Febo, liberando il falco d’argento, che disperse parte della carica dei Cerberi, prima di essere travolto e spinto indietro, azzannato in varie parti del corpo, di fronte allo sguardo stupito della Dea.
"Folle suicida, così tanto piangi la scomparsa dei tuoi genitori e dei tuoi figli da desiderare riunirti a loro?" –Mormorò, prima di accorgersi che la carica dei suoi cani infernali era stata frenata. Spostando lo sguardo su Febo, vide che aveva un braccio teso avanti a sé, in cima al quale splendeva una luce così intensa che Keres dovette pararsi gli occhi con l’arto ancora sano. –"Come hai potuto fermare i cerberi?"
"Mostrando loro quello che sono e facendoli inorridire." –Si limitò a rispondere il Cavaliere di Avalon, mentre il suo cosmo brillava sempre più intenso, pregno di sfumature palesemente divine. –"E per farlo vi era un solo modo. Grazie, Horus, per avermi dato il tempo di evocarlo."
Poco distante, pesto e sanguinante, il Dio Falco annuì.
"Siamo fratelli. Combattiamo assieme quest’ultima guerra."
"Talismani!" –Gridò allora Febo, mentre un ventaglio di energia rossastra si chiudeva davanti a sé, inglobando e distruggendo i mastini infernali e ferendo persino la figlia di Nyx, che infine riconobbe quel che il giovane stringeva in mano e spalancò gli occhi impaurita. –"Lo Specchio del Sole! Custodito per millenni nella Biblioteca di Alessandria, esposto al caldo sole d’Egitto, ha accresciuto la sua potenza, nutrendosi di quell’energia che così tanto hai disprezzato e che adesso ti vincerà! Addio, Keres!"
"Bastardo, non mi avrai!" –Ringhiò la Dea, scattando avanti. Ma già Febo le aveva rivolto contro il vetro dello specchio, chiudendo il ventaglio energetico su di lei e distruggendo la sua corazza e il suo corpo. Fu una morte violenta, è vero, e forse, considerando il soggetto in questione, non così inadatta.
Sospirando stanco, il figlio di Amon Ra cadde in ginocchio. Horus lo raggiunse in quell’istante, prendendogli le mani tra le proprie e guardandolo in faccia.
"Iside sarebbe fiera di te!"
"Di noi!" –Sorrise Febo.
***
"Siete due incompetenti!"
La voce cavernosa di Erebo riscosse i fratelli di luce, intenti a parlare tra loro nel cuore del Santuario delle Origini.
"Qualcosa ti inquieta, Primo Nato?"
"Mi inquieta e mi irrita la vostra incapacità nel portare a termine un obiettivo, nascondendovi dietro un bel faccino!" –Sibilò il Tenebroso, avvicinandosi a passo deciso e portandosi proprio di fronte a Etere, al punto da potersi fissare negli occhi. Se Erebo avesse avuto degli occhi, anziché due luci rossastre che parevano eruttare fiamme a ogni movimento.
"Misura le tue parole o potrei rendere la tua oscurità un po’ più chiara!" –Disse Etere.
"È una minaccia? Sarei felice di sentirtela dire, così forse, dietro quella maschera di supponenza, riveleresti qualcos’altro, magari i sentimenti umani che tanto aborri!"
"E tu, allora? Credi di esserne immune? Tra i Progenitori, sei quello che più di ogni altro è vittima dei turbamenti del proprio carattere irrequieto. Rabbia, violenza, perversione, a volte anche un perfido godimento. Tratti ben lontani dalla freddezza con cui dovremmo guardare la fine di questo mondo."
"E chi li ha mai negati? Io no di certo. Tutt’altro. Me ne servo e me ne glorio, perché provo piacere nel recare la distruzione agli uomini e agli Dei che hanno venerato. Dovresti ammettere anche tu questi sentimenti, ti renderebbero più forte."
"Ma imperfetto!" –Chiosò Etere, distogliendo lo sguardo.
"Esattamente cosa hai fatto di così perfetto, a parte fallire nel distruggere Atena e il Santuario a lei dedicato? Non era un’impresa difficile, considerando che eravate in due, oltre ad Atlante! Due Progenitori e il Titano che sorresse il Cielo! Avete contribuito a edificare il mondo, generando la luce del cielo e del giorno, e non siete stati in grado di uccidere quell’insulsa Divinità minore?! Emera! Cos’hai da dire a vostra discolpa?"
"Atena è tutt’altro che una Divinità minore. Io credo…" –La Dea del Giorno esitò per un istante, valutando le parole. –"Credo che sia molto più forte di quanto pensassimo, e di quanto lei stessa immagini. Da quello che ho potuto capire, ascoltandola e osservandola combattere, osservando quanto temesse per la vita dei suoi Cavalieri, la sua forza non deriva dal suo essere figlia di Zeus, quanto dalla fede indiscussa che il suo popolo prova per lei. È l’amore degli uomini che la rende potente, lei che ha vissuto e vivrà ancora, ogni vita che le sarà concessa, tra gli uomini."
"Umpf! Parli come se Atena abbia un futuro!" –Ringhiò Erebo. –"Voglio ricordarti che nessuno di loro lo avrà! È il Generatore di Mondi a desiderarlo. Non lo avrete dimenticato, spero?" –Nessuno rispose, così il Primo Nato continuò, afferrando Etere per il collo e sollevandolo di peso. –"Credo che vi siate fatti incantare dalle belle parole di Atena, sottovalutando il vostro nemico, un errore che un guerriero come me non avrebbe mai commesso. Dovrei lasciar correre, dato che non siete dei guerrieri, o punirvi io stesso per l’inadempienza alle vostre funzioni?"
"Silenzio!" –Esclamò una voce all’improvviso. Una voce che nessuno dei tre aveva mai udito. –"Tante chiacchiere e così poca azione mi infastidiscono."
Subito Erebo lasciò libero il Dio della Luce, voltandosi verso la porta che conduceva alle stanze private dell’Unico, dove un’alta e robusta sagoma era appena apparsa, rivestita da un’armatura violacea ornata di spuntoni aguzzi. Nella penombra era difficile individuarne i tratti del volto, ma nessuno ebbe dubbi sulla sua identità.
Del resto, Nyx stava combattendo alla Porta della Notte, Chimera coordinava le operazioni sul fronte settentrionale e nessun’altra Divinità o creatura avrebbe potuto avere la stessa aura di imperio, la stessa ancestrale energia che sentirono pulsare a pochi passi da loro.
"Mio…" –Balbettò Erebo, non sapendo cosa dire.
"Non è il momento di perdersi in quisquilie. Le forze dell’Alleanza stanno stringendo il cerchio sulla nostra dimora. Sembra che le ombre e le bestie infernali che ho richiamato non bastino a placare la loro fama di guerra, o la volontà di porre fine alla loro esistenza." –Parlò la figura, con tono perentorio. –"Pertanto è necessario che prendiate voi stessi la situazione in mano e insegnate loro quale posto occupano nel grandioso disegno delle cose che l’Unico Dio ha progettato. Emera! Etere! La passività con cui avete fronteggiato i nemici finora è mortificante per Divinità par vostro! Mi aspetto che rimediate quanto prima!"
"Sì, Sommo Creatore! Siamo ai vostri ordini!" –Esclamarono i fratelli di luce, inchinandosi e poi avviandosi ognuno verso la propria porta.
"E tu, Tenebroso, fai assaggiare a quei miseri mortali un po’ dell’oscurità di cui sei padrone! Se c’è qualcuno che può sterminarli, e compiacermi, sei tu." –Non aggiunse altro, ritirandosi nei suoi alloggi e lasciando Erebo al centro del salone, a fissare la sua sagoma che scompariva nell’ombra. La sagoma di un’entità talmente potente da potersi permettere di generare un proprio corpo, sufficientemente resistente e atto a ospitare la sua infinita essenza.
Quella considerazione fece vacillare per un momento lo spirito guerriero del Primo Nato, che mai avrebbe immaginato di trovarsi di fronte il Generatore di Mondi. Per un periodo così lungo che lo stesso Erebo faticava a ricordare per intero, Caos era stato un vuoto infinito, dove ogni idea poteva nascere e svanire, dove i concetti stessi di tempo e di spazio non avevano valore, dove i colori, i suoni, gli odori e qualunque concretezza corporea erano inesistenti. Caos era tutto e niente al tempo stesso. E adesso, da quel niente era nato un corpo. Il suo corpo.
Se Caos è riuscito in quest’impresa, se ha potuto creare un simulacro atto a contenere la sua infinita potenza, significa che la sua rinascita è completa. Egli ha imparato tutto ciò che doveva imparare, egli adesso può tutto. Per l’umanità, per la Terra, persino per il tempo stesso, non vi è altro destino. Rifletté, incamminandosi verso la Porta delle Tenebre, senza capire se gioire o esserne rattristato.