CAPITOLO TRENTQUATTRESIMO: CALA LA NOTTE.
(by Lithiumsaint)
Pegasus non capiva.
Le parole di Isabel erano enigmatiche. In quale modo, quel ragazzino dai tratti così simili ai suoi, che da alcuni giorni gli appariva in visione, poteva essere il primo Cavaliere di Pegasus? Il primo che aveva vestito la storica corazza della costellazione dalle tredici stelle. E poi, se davvero lo era, perché aveva iniziato a tormentarlo con quelle apparizioni improvvise?
Le risposte fu difficile averle, perché Isabel pareva reticente a parlare di quella storia. A parlare di sé. E Pegasus capì che non si riferiva alla donna in cui si era reincarnata anni addietro, bensì alla vera sé. Alla Dea.
"Quello che sto per dirti potrebbe cambiare tutto. Tra noi intendo, Pegasus. Sei davvero sicuro di volerlo udire?"
"Certo che voglio sapere! E lascia che sia io a giudicare!" –Le rispose il ragazzo, osservando quanta compostezza conservasse ancora il delicato viso della Dea che amava. Anche dopo lo scontro con Ares, la stanchezza e le ferite. Non soltanto quelle fisiche.
"È una complessa storia che risale al Mondo Antico, tempi forse più miti ma non per questo più felici. Anche all'epoca, d'altronde, uomini e Dei combattevano. Tra di loro e contro di loro. E io avevo appena sconfitto Nettuno nella prima Guerra Sacra, quella che si concluse con l'inabissamento di Atlantide."
"Quando vennero create le armature... dei Cavalieri di Atena..." –Mormorò Pegasus, ricevendo un cenno d'assenso con il capo.
"Precisamente! Un gesto resosi necessario dalle capacità offensive dei Generali degli Abissi che, se non li avessimo fermati, avrebbero invaso l'Attica, annettendola al Regno dei Mari. Pare bizzarro pensarlo, ma a quel tempo Nettuno sognava di possedere la Terra, e non di affogarla in un nuovo diluvio universale!" –Sospirò la Dea, prima di riprendere. –"Tra i tanti Cavalieri vi era un giovane di nome Bellerofonte, resosi grande in tutta la penisola greca per le sue mirabili imprese, in particolare l'uccisione della terribile Chimera, un mostro di origini divine che imperversava nell'odierna Turchia. Fu il primo a vestire la corazza di Pegasus, ma fu anche colui che la ispirò, colui che mi influenzò nella scelta del simbolo. Il bianco cavallo alato in grado di non arrendersi mai, in grado di spingersi sempre più in alto con il solo sbattere delle sue ali, con le sue sole forze. Uno spirito libero, un uomo faber fortunae suae che ha lasciato alla corazza, e a coloro che l'hanno indossata in seguito, una parte di sé."
"Una parte... in me?!" –Sgranò gli occhi Pegasus, guardandosi attorno, a cercar tracce di quel Cavaliere. Ma non vide nessuno, soltanto la desolazione del Settimo Cerchio dove gli ultimi roghi di Ares stavano ormai estinguendosi.
"Proprio così. E non mi sto riferendo soltanto al carattere, alla determinazione che ti contraddistingue, ma a qualcosa di più intimo. Qualcosa di più personale." –Arrossì Atena, distogliendo per la prima volta lo sguardo. –"Bellerofonte, proprio come te, amava la sua Dea!"
"Io... Isabel..." –Pegasus fece per avvicinarsi ma Atena lo fermò, sollevando una mano e pregandolo di farle terminare quella scomoda confessione.
"Lo avevo dimenticato, persino rimosso dalla mia coscienza divina, forse perché per molto tempo mi sono vergognata dei miei pensieri, dei pensieri di una Divinità destinata ad essere vergine, per non concedersi a nessun uomo, in modo da poter essere la Dea di tutti i Cavalieri, nessuno escluso. Una madre quasi, di certo non una ragazzina innamorata. L'amore l'ho lasciato ad altri; ad Afrodite, che nonostante l'affetto di Efesto riuscì comunque ad unirsi ad Ares, per generare i figli che poi l'han massacrata. Ad Era, che in silenzio ha sofferto per secoli di fronte alle scappatelle del suo fratello e sposo. Ad Eos e a Selene, che in un uomo mortale hanno trovato la felicità, l'altra parte della mela, in grado di completare la loro esistenza. A volte le ho invidiate, è sciocco, lo so, la mia vita non è certo in virtù di un appagamento carnale o sentimentale, bensì destinata a qualcosa di molto più elevato. La salvezza del genere umano. Eppure, a volte, di fronte all'altrui felicità, ho avuto modo di chiedermi... se anch'io... in un'altra vita... non avessi potuto essere diversa."
"E in quell'altra vita... eri sola?"
"No, Pegasus. Ero con l'unico uomo per cui il mio cuore abbia mai battuto, l'unico per cui abbia provato emozioni, che non siano il rispetto e l'autorità impostami dal mio rango." –Confessò infine Atena, concedendosi un sorriso genuino. –"In quella vita Pegasus ero con te! Tu sei Bellerofonte, l'eroe che uccise la Chimera cavalcando il destriero alato! Lui rivive in te, come in tutti i Cavalieri di Pegasus che ti hanno preceduto! Lo avevo dimenticato e solo il tocco di Avalon me lo ha fatto tornare in mente, riportando in vita sepolte emozioni. Non so di cosa si tratti, Pegasus, di quale maleficio, ma entrambi ne siamo coinvolti."
"Non definirlo in questo modo, Isabel. La nostra unione non è una maledizione, soltanto amore." –La rassicurò Pegasus, afferrandole una mano. –"Perché di questo si tratta, non è vero? Amasti Bellerofonte ai tempi del mito, nello stesso modo in cui lui amò te."
Atena annuì, inghiottendo quell'amaro boccone di realtà che non avrebbe mai creduto di dover assaporare nuovamente. Non dopo tutto quel tempo, non dopo secoli di silenzio, secoli passati a chiedersi se non avrebbe potuto fare qualcosa per salvarlo. Da se stesso e dal loro amore.
"Bellerofonte comprese i miei tormenti, il dissidio che mi lacerava l'anima, combattuta tra ciò che dovevo fare, in quanto Dea Vergine, Dea della Guerra, Dea della Giustizia e degli Uomini tutti, e ciò che in fondo al cuore avrei voluto. Comprese e se ne andò, condannandosi a una vita di privazioni, vittima di una maledizione che aveva il nome di amore, la stessa che grava adesso su di te, Pegasus! E anche questo dolore, come altri che ti ho inflitto, è a causa mia!"
"Stai scherzando, vero?" –Le disse prontamente il Cavaliere dello Zodiaco. –"Se davvero in un tempo lontano siamo stati amanti, come può un sentimento simile, così forte da trascendere persino il tempo e scivolare fino a noi, agli albori di un nuovo millennio, essere una maledizione? È un'opportunità, Isabel. La nostra opportunità."
"Io... non sono più Isabel, Pegasus!" –Cercò di divincolarsi la figlia di Zeus, ma il ragazzo la tenne stretta per il braccio, tirandola a sé. Faccia contro faccia.
"Lo so. Sei la Dea. La mia Dea." –E la baciò.
***
L'ondata scatenata da Avatea allagò l'intero Cerchio di Marte, suscitando un lieve disappunto nel suo custode, percepibile solo dal corrugarsi della sua fronte.
"Mi dispiace invadere il tuo terreno di caccia, Sin, ma si è rivelato un gesto necessario per mondare il reame beato da coloro che hanno tentato di invaderlo." –Commentò placida l’anziana protettrice del Terzo Cerchio.
"Lo capisco." –Si limitò a risponderle Sin, osservando dall'alto del muro di confine la fiumana d'acqua sommergere i corpi carbonizzati dei Phonoi e delle Androctasie che avevano avuto l'ardire di affrontarlo. Poco distante anche il cadavere di Alala, in fondo a un avvallamento nel terreno, venne inghiottito dalle acque, che di certo trovarono facile strada verso il Cerchio di Giove, defluendovi poco dopo.
A un cenno della Divinità oceanica, le limpide correnti si ritrassero, riportando alla luce i domini di Sin degli Accadi, privi adesso di qualsiasi cadavere, risucchiato nella profonda serenità degli abissi su cui Avatea imperava.
"Lo apprezzo." –Esclamò il Selenite di Marte, strappando un sorrisetto alla parigrado, prima di muoversi per scendere dal muro.
La guerra era finita, ed era stata un'esperienza meno traumatica di quanto Selene avesse creduto all'inizio. Di nove Seleniti, solo quattro erano morti, e sull'ulteriore longevità di tre di essi nessuno avrebbe scommesso. Di Thot invece a Sin dispiaceva. Per quanto fosse più uno studioso che un guerriero, aveva notevole discernimento ed era stato in grado di organizzare al meglio la difesa del suo cerchio, sacrificandosi per la causa. Doti che il Selenite di Marte ben apprezzava in un combattente.
I cerchi esterni erano stati distrutti e le mura che li delimitavano avrebbero dovuto essere ricostruite, un compito di cui Selene avrebbe potuto occuparsi tranquillamente in un momento di riposo. Né l'Occhio né il Palazzo Reale erano stati raggiunti, per cui la Dea della Luna poteva dirsi soddisfatta. Sebbene, e questo a Sin era chiaro più che a qualunque altro superstite, quest'ottimo risultato era stato raggiunto solo ed esclusivamente grazie all'intervento dei Cavalieri di Atena e di Avalon.
Loro, in prima persona, si erano sporcati le mani, feriti e macchiati di sangue, per affrontare Ares ed Eris, Alala e le altre Makhai. Se non fosse stato per il loro aiuto, Sin avrebbe dovuto fronteggiarli al Cerchio di Marte e non si sentì affatto certo che sarebbe riuscito a tenerli tutti a bada. Sospirando scocciato per quell'ipotetica ammissione di debolezza, volse lo sguardo in direzione della grande cupola di vetro che si stagliava al centro del regno, sicuro che Selene fosse ancora laggiù, a piangere tra le braccia dell'amato, come se fiumi di lacrime fossero in grado di arrestare la furia degli invasori. Almeno la fiumana di Avatea ben più devastanti effetti possiede! Ironizzò, augurandosi che da quell'esperienza la Dea della Luna potesse trarre utili insegnamenti in quanto a strategie difensive. Nessun regno è un'isola! Commentò il focoso Selenite, prima che una voce nota lo chiamasse.
"Sin!!!"
Era Andromeda, che lo raggiunse correndo assieme ad un altro Cavaliere di Atena, i cui capelli blu lo identificarono come l'immortale Fenice. Un personaggio al cui fianco Sin avrebbe volentieri combattuto e, perché no, gli avrebbe persino concesso l'onore di sfidarlo, per vedere quale fiamma avrebbe potuto ardere in più sempiterno rogo.
"Sono lieto di rivedervi sani e salvi, Cavalieri di Atena! E vi ringrazio per aver lottato con noi, e per noi, quest'oggi!"
"Grazie a te di avermi aiutato quand'ero in difficoltà!"
"Fai tesoro di ogni insegnamento, Andromeda, anche di quelli più noiosi da udire. Del resto un uomo si rivela grande proprio nel fare le cose che odia di più, non trovi?!"
Andromeda annuì, mentre il fratello gli metteva una mano nei capelli, arruffandoglieli, come usava fare fin da quando erano bambini, strappandogli ogni volta un gemito di protesta e una risata.
"Dov'é Pegasus? E Atena? Stanno bene, fratello?"
"Non ho dubbi al riguardo!" –Commentò Phoenix, prima di proporre ad Andromeda di accompagnarlo ai cerchi di Giove e Saturno, dove si trovavano i Cavalieri delle Stelle e gli ultimi difensori della Luna. Ma prima che potessero muoversi un urlo li distrasse, portandoli a voltarsi verso la cima del muro che separava il Cerchio di Marte da quello della Terra.
"Avatea!!!" –Esclamò Sin, osservando l'anziana donna crollare giù.
Senza pensarci due volte, il Selenite di Fuoco sfrecciò verso di lei, afferrandola appena in tempo prima che si schiantasse al suolo e muovendo la bocca per chiederle cosa fosse accaduto. È vecchia, d'accordo, ma la sua forza non è mai venuta meno. Possibile che generare quell'ondata purificatrice l'abbia fiaccata a tal punto da non reggersi neppure...? Ma non riuscì a formulare alcuna domanda che anch’egli dovette accasciarsi a terra, di fronte agli sguardi attoniti di Phoenix e Andromeda, che fecero per soccorrerlo salvo accorgersi di provare anche loro quel che sentivano i Seleniti.
Un'enorme, terribile oscurità gravava all'improvviso sui loro cuori, così profonda, così nera, come mai l'avevano percepita. Una tenebra in grado di spegnere ogni forma di luce. La sentirono tutti, sull'intero territorio lunare, accasciandosi uno dopo l'altro, tra grida di terrore e smorfie di rabbia per quel silenzioso attacco.
Nell'Occhio le figlie di Selene strillarono all'impazzata, correndo di stanza in stanza, quasi potessero in quel modo fuggirne, fino a crollare esauste sui pavimenti di marmo bianco. La Dea della Luna trasalì, gettandosi sul corpo svenuto dell'amato Endimione, offrendosi come scudo a un suo eventuale carnefice.
"Che succede? Che succede ancora?!" –Schiamazzò, inascoltata.
Avalon guardò Asterios negli occhi, ed entrambi capirono, rabbrividendo all'istante.
"Non è possibile!!!" –Gridò il Principino della Luna, sollevando lo sguardo verso il cielo, e notando soltanto adesso che non vi erano più stelle.
"Lei è qui!" –Commentò Avalon.
"L'origine di tutti i mali. La madre della tenebra più nera, da lei stessa procreata! Colei che stavamo aspettando!"
"Dunque ci siamo! La sua discesa in campo segna l’ultima tappa del nostro cammino! È tempo che i Quattro si riuniscano!" –Chiarì il Signore dell’Isola Sacra.
In quel momento l'Occhio andò in frantumi e mentre una pioggia di vetri cadeva su di loro, Avalon vide enormi serpi d'oscurità violare quel recinto che finora aveva resistito. Non seppe definirle diversamente, non avendo forma precisa, essendo solo sagome di tenebra, come quelle che Flegias aveva evocato mesi addietro sull'isola del Mediterraneo, ma in forma molto più vasta e temibile. E soprattutto molto più oscura.
"Stella di Avalon!!!" –Tuonò, sollevando un braccio al cielo e aprendo il palmo, laddove un astro di luce scintillò fulgido, frenando per un istante l'avanzata di quella marea d'ombra.
Asterios afferrò Selene e Endimione, portandoli ai piedi del Signore dell'Isola Sacra, lui ancora addormentato, lei troppo sconvolta per fare alcunché. Quindi si alzò, affiancando il compagno, ed espandendo il proprio cosmo color verde acqua.
Una seconda stella comparve sul suo palmo aperto, combattendo assieme all'altra contro quell'improvvisa discesa delle tenebre. Non sapevano dove guardare, non sapevano cosa guardare, non essendovi alcun corpo nemico, solo un'unica immensa presenza capace di invadere ogni spazio, arrivando persino ai recessi del cuore.
Con una sonora sghignazzata, che martellò le loro menti spossate, la marea d'ombra si ritirò, abbandonando l'Occhio distrutto e muovendosi a spirale lungo l'intero regno, avvolgendolo nella sua tetra morsa.
I primi a cadere furono i Custodi dei Cerchi Interni, sopraffatti da quell'imponente oscurità, simile adesso a immense ali in grado di abbracciare tutta la Luna.
"Guarda là, fratello! Cos'è?" –Esclamò Andromeda, mentre deformi sagome nere piombavano su di loro, per spegnerne la luce.
"Non lo so, ma non mi piace! Ardi fuoco della Fenice!!!" –Ringhiò il Cavaliere, subito imitato dal fratello e persino da Sin, che, ai suoi piedi, teneva una mano sul petto di Avatea, per controllarne il respiro, e aveva appena sollevato l'altra, lasciando avvampare la sua fiamma fatale.
"Dobbiamo... resistere!!!" –Mormorò il Selenite di Marte, portando il cosmo al culmine.
"È come se... queste tenebre... volessero succhiarci la luce, la nostra luce!!! Vogliono fagocitare la nostra energia!!!" –Gridò Andromeda.
"Non cedere, fratello!!!" –Lo incitò Phoenix, per quanto anch'egli si sentisse svuotare.
Uguale sentimento provavano i Cavalieri delle Stelle, riunitisi tra loro al Cerchio di Giove dopo la rivelazione di Elanor come settimo membro del loro gruppo. E proprio la ragazza, che avrebbe voluto onorare Thot per averla salvata, fu la prima ad accasciarsi, travolta da quell'improvvisa oscurità.
"Cosa... cos'è?!" –Chiese allora Matthew, mettendosi una mano sul cuore, percependo qualcosa che gli veniva strappato via.
"Che sia dunque...?!" –Mormorò Jonathan, fendendo la volta celeste con il suo sguardo acuto e inorridendo nel vedere che non vi erano più stelle ad osservarli, solo un'unica oscura cappa nera.
"Il nemico che Avalon attende da anni... è qua!!!" –Aggiunse Reis, bruciando il cosmo all'istante, mentre cupe ali di tenebra si chiudevano su di loro.
"Talismaniii!!!" –Gridarono in coro i quattro Cavalieri, generando una cupola difensiva di oro lucente su cui le oscure ali scivolarono, toccandola, palpandola, assaporandone la luminosità e sogghignando, provocando al qual tempo, ad ogni tocco, uno spasimo nell'animo dei Cavalieri delle Stelle.
Anche Mani, i suoi figli e il valoroso Shen Gado vennero raggiunti da quell'oscurità agghiacciante, senza riuscire a sfuggirle, neppure nel varco tra i cerchi in cui avevano tentato di ripararsi. Vennero afferrati, stritolati, strapazzati come cenci e infine rilasciati a terra, vuoti ormai di ogni energia.
Per ultima, infine, la notte scese su Pegasus e Atena, che avevano percepito, al pari dei compagni, il manifestarsi repentino di quel manto di tenebra, una coltre che pareva isolarli dall'universo, esponendoli alla mercé di quel nuovo misterioso nemico.
"Che sia...?" –Rifletté la Dea della Guerra, ripensando all'ultima conversazione con Ares. Aveva detto poco, lo scontroso Nume, ma Atena aveva compreso che stesse agendo per conto di qualcun'altro, qualcuno che lo aveva salvato mesi addietro, tenendolo nell'ombra e nutrendolo con la stessa. Qualcuno di cui lo stesso Ares aveva soggezione.
"Attenta!!!" –La scosse Pegasus, buttandosi su di lei e ruzzolando insieme a terra, mentre un paio di enormi artigli di tenebra piombavano su di loro. –"Che nuova diavoleria è mai questa?!" –Avvampò il ragazzo, rimettendosi in piedi, splendente nel suo cosmo azzurro.
Tirò uno sguardo verso l'alto e vide che gli artigli altro non erano che la parte inferiore di un uccello immenso, un uccello composto da pura tenebra, i cui occhi, sebbene Pegasus non potesse distinguerli, tanto scura era la tinta che lo rivestiva, erano puntati su di lui. Se li sentiva addosso, come pugnali di ghiaccio sul cuore, e si disse certo che, qualunque cosa avesse detto o fatto, quelle lame sarebbero affondate.
Di fronte a tale profonda oscurità, per la prima volta Pegasus pensò che sarebbe morto.
"Non... cedere!!!" –Esclamò allora Atena, affiancandolo all'improvviso, l'Egida rivolta verso l'esterno, lo scudo scintillante su cui l'ondata di tenebra si abbatté di colpo, spingendoli entrambi indietro, pur fermi nella loro postura. –"Nike, rifulgi!!!" –Aggiunse la Dea, portando avanti lo Scettro di Vittoria, avvolto nel suo caldo e lucente cosmo.
Fu un raggio di sole in un cielo di tenebra, che si perse dopo pochi istanti, inglobato da quell'entità suprema che li stava attorniando.
"In morti bizzarre sono incorso più volte! Sbranato vivo dal Mastino degli Inferi, soffocato dalle ragnatele di uno Spectre, ma che sia un pipistrello di tenebra a vincermi... questo no, non lo accettooo!!!" –Esclamò fiero il Cavaliere dello Zodiaco, bruciando al massimo il proprio cosmo. Lo scintillio delle sue stelle frenò per un momento l'avanzata dell'oscurità, che venne crivellata poco dopo da una moltitudine di pugni di luce. –"Fulmine di Pegasus!!! Iaiii!!!"
"Coraggioso e valente. Me ne compiaccio!" –Parlò allora una voce di donna all'improvviso, una voce che Pegasus non seppe dire da dove provenisse, sentendola direttamente nella mente.
Anche Atena dovette udirla, voltandosi verso il Cavaliere, prima di venire sballottata e schiacciata a terra dal rinfocolarsi repentino della marea d'ombra.
"Chi sei?" –Ringhiò Pegasus, adesso più arrabbiato che impaurito, dirigendo i suoi pugni attorno a sé, nell'oscurità in cui ormai erano immersi. Persino vedere Isabel era difficile, nonostante giacesse ai suoi piedi, solo il cozzare delle loro armature gli rivelava la sua posizione, questo e lo sfavillare dello Scettro di Nike, Dea che sempre aveva dato loro la vittoria. –"Non abbandonarci proprio adesso, amica mia!"
Un attimo dopo le tenebre si ritrassero, recuperando la forma che avevano avuto in precedenza, quella di un oscuro e gigantesco uccello che sbatteva le sue spaventose ali nell'aere attorno. Ali così enormi da avvolgere l'intero satellite in un solo tenebroso abbraccio.
"Pegasuuusss!!!"
La voce calda di Andromeda lo distrasse in quel momento, portandolo a voltarsi verso l'ingresso al Settimo Cerchio, da cui il ragazzo era appena comparso, seguito da Phoenix, Reis e Jonathan, ritrovatisi dopo che i due fratelli avevano deciso di correre attraverso i Nove Cerchi in aiuto dell'amico. Elanor aveva invece preferito tornare a palazzo, per sincerarsi delle condizioni di sua madre, e Reis aveva chiesto a Matt di andare con lei. Per farle da scorta, ufficialmente, ma anche per toglierlo da quella battaglia campale.
"Sapete cos'è quella strana creatura?!" –Domandò Pegasus ai Cavalieri delle Stelle, che non seppero sul momento come e cosa rispondere. Per quanto conoscessero la verità.
Fu una ben nota voce a togliere entrambi dall'imbarazzo, risuonando sulla piana del Cerchio di Urano con la pacatezza che la contraddistingueva.
"Il suo nome è Nyx, Pegasus, ed è uno dei più antichi demoni oscuri che siamo chiamati ad affrontare!"
I cinque Cavalieri e Atena si voltarono verso la cima del muro che separava il Sesto e il Settimo Cerchio e là trovarono Avalon, splendido, rivestito da un'aura di vivida luce adamantina, così intensa che dovettero distogliere per un momento lo sguardo, abituatosi all'oscura caligine in cui erano immersi.
"Potente Divinità primordiale, nata sotto forma di uccello nero, Nyx è la madre di molte creature diaboliche che avete affrontato o che presto sarete costretti a fronteggiare! Ella è la Prima Dea, il cui grembo ha partorito le tenebre che hanno avvolto la Terra, coprendo a volte (ahimè, troppe volte) la luce dall'animo degli uomini! Ella è la Notte!"
A quelle parole l'uccello di oscurità sogghignò, prima di spalancare le ali e planare su di loro.
***
In quello stesso momento, sul Monte Olimpo, le porte della Sala del Trono si aprirono all'improvviso. Zeus, che stava conversando con Era, Euro, Ermes e Demetra, si sollevò di scatto dal trono, imprecando contro le tre esili figure che avevano osato disturbare quel concilio ristretto. Ma dovette trattenersi dal redarguirle ulteriormente quando vide le loro condizioni.
Tutti le videro, e inorridirono.
Egle, Aretusa ed Esperia, le Ninfe del Tramonto, note agli uomini anche con il nome di Esperidi, arrivarono correndo, inciampando l'una sull'altra, gridando e piangendo, vittime di una sofferenza mai provata prima.
"È tornata!!! Lei è tornata!!!" –Singhiozzarono in coro.
"Chi? Cos'è accaduto? State tranquille!" –Cercò di calmarle Ermes, avviandosi incontro a loro.
"Nostra madre!!!"
"Vos..." –Il Dio dei Mercanti rimase di sasso a quella rivelazione, al pari di Euro e Era, voltandosi verso l'alto trono dove il volto di Zeus rimaneva imperscrutabile.
"La sua oscurità... la sentiamo..." –Aggiunsero le tre esili fanciulle, i volti un tempo delicati e sereni adesso deturpati dal terrore, scavati da rughe di oscurità così profonde da lasciar intravedere le ossa al di sotto. –"Lei... ci sta... Noi ci stiamo spegnendo..." –Mormorarono, accasciandosi una sull'altra, di fronte agli occhi frastornati e inorriditi delle Divinità olimpiche, che le videro contrarsi, farsi via via più piccole, raggomitolandosi come feti dalla pelle nera, sempre più scura, fino ad ardere in una repentina fiamma tenebrosa, che divorò quel che restava di loro, lasciando soltanto delle ceneri oscure.
"Quale orrore!!!" –Esclamò Era, affondando la testa nel petto del marito, che però, al suo fianco, fremeva per la collera.
"Quale affronto!!! Nyx!!!" –Tuonò Zeus, espandendo il proprio cosmo e sollevando una mano al cielo, attorno alla quale scintillanti fulmini celesti presero a guizzare. Un attimo dopo una poderosa scarica di energia trapassò il soffitto della reggia divina, dirigendosi nelle vastità siderali.
"La Notte... la primordiale divinità da cui nacquero le Astrazioni... è dunque rediviva!" –Mormorò sconcertato il figlio di Eos, prima di essere affiancato da Ermes, che gli poggiò bonariamente una mano sulla spalla.
"Così pare, giovane Euro! E, per certo che sia, ha già preso il suo primo tributo! Le sue figlie! A rimarcare, qualora qualcuno avesse dubbi, che non avrà pietà di nessuno!"