CAPITOLO DODICESIMO: LA MADRE DEI MALI.
A Phoenix, Discordia parve ancora più pazza di quando l’avevano affrontata l’anno prima, dopo aver preso possesso del corpo di una ragazza dell’orfanotrofio Saint Charles, servendosene per rapire Lady Isabel, della cui forza aveva tentato di cibarsi.
Un parassita. Rifletté il Cavaliere, evitando le scariche energetiche che la Dea gli stava scagliando contro tramite un elegante, quanto pericoloso, tridente. Aveva cercato più volte di avvicinarsi, di travolgerla con un attacco diretto, ma l’agilità della Signora della Contesa era tale da tenere a distanza persino un combattente esperto come lui, stupito dalla grazia che stava riversando in battaglia. Non sembrava neppure che stesse combattendo, tutta intenta a ridere sguaiatamente, mulinando la venefica arma verso Phoenix, quasi stesse danzando sulle note di una musica silente, una musica che solo la Dea pareva udire.
"Un requiem di morte!" –Commentò infine, rivolgendosi per la prima volta a lui. –"è questa la deliziosa melodia che mi solletica l’orecchio, portata dal vento lunare. Una ballata di sangue suonata dalle mie figlie, che ne dirigono il ritmo con le uccisioni. Ogni ferita è una nota, ogni cuore strappato è un fa diesis, ogni vittima lasciata alla spalle è una chiave di violino, che segna l’inizio e la fine di una nuova ballata!"
"Te lo hanno mai detto che sei fuori di testa?!" –Ironizzò Phoenix, bruciando il proprio cosmo fiammeggiante.
"Preoccupati della tua, di teste, Cavaliere! Perché tra poco potresti non averla più, al posto giusto!" –Sghignazzò Eris, portando avanti il tridente con un colpo secco e mirando al collo del ragazzo, che fu svelto a balzare indietro, ferito solo di striscio.
Alla vista del sangue ruscellare fresco sulla pelle del nemico, Discordia ebbe un sussulto, e a Phoenix parve di vedere nei suoi occhi un’eccitazione incredibile, una fame che così poche volte aveva rimirato negli sguardi dei suoi avversari.
"Dunque quel che il mito racconta è vero!" –Commentò, deciso a studiare la reazione della Dea, in cerca di un suo punto debole. –"Sei davvero più sanguinaria di Ares!"
"Quel caro ragazzo! Ah ah ah! È a me che deve tutto, potrebbe considerarmi la sua matrigna, colei che l’ha avvezzato all’arte della guerra!" –Declamò fiera. –"Sebbene diverso sia il nostro approccio! A lui piace giocare, muovere i soldatini, far marciare gli eserciti fino a sentire lo scontro tra gli scudi e le spade, il clangore della lotta furiosa, l’estasi della lancia tesa! Io, invece, a meno crudi pensieri dirigo la mia mente! Non all’atto in sé, ma alla volontà che sta dietro una dichiarazione di guerra! All’ostilità che domina l’animo dei contendenti, al preciso e bramato desiderio di uno scontro armato, che segna la fine di ogni trattativa e l’abbassarsi di uomini e Dei ad un unico livello! La guerra è come la morte, la grande pacificatrice! La contesa finale che dirime ogni angoscia dell’animo!"
"Contesa che tu hai voluto, che tu hai provocato! Quante guerre hai fomentato? Quanti uomini hai corrotto, spingendoli a lasciarsi dominare dall’ira, rovinando le loro vite?!"
"Tutt’altro. Ho dato loro un motivo per cui vivere, uno scopo che riempisse il vuoto languore della loro esistenza, lasciando emergere sentimenti che già covavano dentro i loro animi! Ricordi le rose di rabbia? Che Ares più volte sfruttò nel corso dei secoli? Io ne fui la creatrice, la giardiniera oscura che praticò segreti innesti! Un’arte, quella del giardinaggio, che da millenni coltivo, da quando creai una squisita mela da destinare alla Dea più bella!"
"Sei malata!!!" –Tuonò Phoenix, scattando avanti, con il pugno teso e avvolto dalle fiamme. Ma bastò che la Dea lo fissasse per inchiodarlo sul posto, i muscoli in tensione, l’energia cosmica pronta a deflagrare.
"E tu sei morta, araba fenice!" –Sibilò Discordia, prima di travolgere il ragazzo con un’onda di energia e scagliarlo molti metri addietro. Non gli diede neppure tempo di rifiatare, balzando su di lui, con la lama del tridente mirante alla sua gola, obbligando Phoenix a rotolare sul suolo lunare per evitare l’affondo. Si rimise in piedi in fretta e furia, scagliando alcune piume metalliche contro la Dea, che le distrusse mulinando l’arma avanti a sé, lo sguardo accecato dalla frenesia, la lingua che percorreva le labbra, avida di sangue e morte. –"Trofeo della mia superiorità guerriera presto sarai! Che Ares si tenga il cavallino rampante, io preferisco te, Ikki di Phoenix!"
"Uh?!" –Balbettò il Cavaliere nell’udire il nome scelto dai suoi genitori, nome che ben poco usava, ricordandogli un’infanzia che presto era divenuta età adulta.
"Abbiamo molte cose in comune, caro mio, non soltanto l’inquieto spirito che ci pervade e ci porta ad essere sempre in lotta con tutti! Ma anche il simbolo da cui traiamo forza è simile! Per te è la fenice, l’uccello immortale in grado di risorgere dalle sue ceneri; per me la mela d’oro, ove Zeus racchiuse la mia anima secoli addietro, seccato dal mio ennesimo dispetto! Quello sciocco! Umpf! Non capiva che volevo soltanto animare la festa! Ah ah ah!"
"Noi non siamo simili, Eris! Io sono un Cavaliere che combatte affinché il mondo non conosca più guerre, affinché non vi siano più orfani come me e mio fratello!"
"Già! Parliamo dei tuoi genitori! Personaggi interessanti, da quel che ricordo! Tu sai perché sono morti?"
"Che… cosa?!" –Esclamò Phoenix, preso alla sprovvista da quella domanda.
"Non lo sai, lo immaginavo. Forse ti avranno raccontato che sono morti per una malattia, o in un incidente, una di quelle tragedie che ahimè segnano la vita di molti! Ma la verità, la cruda verità, ti è sempre stata celata, anche dal patrigno della parte umana della tua Dea, tale Duca Alman, che di certo sapeva! Permettimi allora di aggiornarti al riguardo! I tuoi genitori sono morti in nome mio, vittime dello spirito di discordia che da millenni spargo nel mondo! Oooh, sì, ricordo il martellare inquieto del cuore di tuo padre, quel giorno in cui rientrò a casa, dicendo alla moglie di aver perso il lavoro! Proprio allora che era nato tuo fratello, un’altra bocca da sfamare! E, si sa, in questi casi, quando la disperazione invade l’animo umano, sono sempre i figli a rimetterci! Tuo padre voleva liberarsi di Andromeda, portarlo ad una parrocchia vicina, sperando che i preti si sarebbero presi cura di lui… ma tua madre no, lei era una donna dai sani principi, una sciocca versione umana di Atena! Disse al marito che non avrebbe abbandonato i suoi figli, che avrebbe preferito morire piuttosto che commettere una simile infamia! Per ironia, il marito esaudì il suo desiderio poco dopo… Nacque un litigio, un violento litigio, in cui tuo padre, in preda all’ira, colpì la donna che ti generò, uccidendola. Sconvolto dall’omicidio, si gettò dalla finestra, morendo a sua volta. Una bella storia, vero, Phoenix? E non guardarmi così, non me la sto mica inventando! Non incolpare me della debolezza di tuo padre o dell’idealismo di tua madre, motivi per cui entrambi sono morti!"
"Io… non ti incolpo per questo… Discordia!" –Commentò Phoenix, inspirando lentamente, per trattenere una rabbia che gli stava macerando il cuore, e che doveva riuscire a controllare. –"Io ti incolpo per la tua stessa esistenza, votata al male, a nient’altro! Tu hai generato i mali del mondo che Prometeo rinchiuse nel vaso! Se tu fossi stata Dea di pace, come Atena, ben diversa sarebbe stata la storia dell’umanità! Per tutti i torti di cui ti sei macchiata, io ti sconfiggerò, Eris!!! Prendi, il battito d’ali capace di infrangere le stelle! Ali della Fenice!!!"
L’infuocata tempesta di energia dilaniò il suolo lunare, venendo udita persino da Pegasus e Ares, dall’altro lato dell’anello di Urano, convergendo sulla Signora del Dolore, che non sembrava affatto preoccupata. Tra le fiamme e la polvere sollevata, Phoenix la vide muovere le labbra, mormorando parole che non riuscì a comprendere. Poté solo vedere un lampo di luce rifulgere di fronte a sé, sopra la testa della Dea, un lampo così potente da frenare la sua tempesta di fuoco e disperderla. Anzi no, non disperderla, bensì… attirarla a sé. Mormorò attonito, riconoscendo l’icona diabolica apparsa tra i due contendenti.
Una mela d’oro.
Discordia sorrise, mentre tutta l’energia prodotta dal Cavaliere della Fenice veniva risucchiata all’interno della mela, per poi essere liberata in un secondo momento dall’altro lato della stessa, quasi fosse un effluvio di cui la Dea si nutrì.
"Yum! Delizioso! In questo pugno c’era tutto il tuo rancore, Phoenix! Tutto l’odio che ti ha divorato il cuore per anni, dalla morte dei tuoi genitori! Il dolore per la loro prematura scomparsa, l’incombenza di un fratello minore, il timore che mali peggiori si abbattessero su di voi, la solitudine dell’addestramento, l’inferno della Regina Nera, la morte di Esmeralda, la caduta delle illusioni, l’uccisione del tuo maestro, il tradimento degli ideali di amicizia e poi, anche in seguito, il tuo carattere rissoso che ti ha portato più volte a contrastare apertamente la leadership di Pegasus. Su tutto questo aleggia lo spirito della contesa! Il tuo animo è così incline allo scontro da rappresentare per me il concime migliore per far prosperare il Pomo della Discordia!"
"Taci, maledetta! Ho abbandonato da tempo la via dell’odio!" –Incalzò Phoenix, tentando un secondo assalto. –"Ali della Fenice!!!" –Ma anche quella volta la bufera di fiamme ed energia cosmica venne risucchiata all’interno della mela, per poi essere espulsa in faccia alla Dea, sogghignante e trionfante.
"Non hai capito, Phoenix! Non sono le azioni a definire un individuo, quelle possono essere falsate! Ma è lo spirito, l’inquietudine esistenziale ove alberga il germe della contesa! E tu, ragazzo mio, ne sei infetto! Ah ah ah! Prova ne è la tua incapacità a superare quest’ostacolo! Tuo fratello, invece, avrebbe annientato il pomo d’oro in pochi secondi! Sono fortunata che tu abbia deciso anche oggi di fargli da balia! Così potrò ucciderti e portargli la tua testa in dono! A tale vista, alla vista degli sfregi di cui riempirò il tuo volto, anche il suo animo quieto collasserà, lasciando emergere una furia distruttiva e guerrafondaia che tutti gli uomini celano dentro sé! Di quello spirito volto alla contesa io sono la madre! E tu, figlio, non puoi opporti! Pomo della Discordia!!!" –Avvampò la Dea, dirigendo la mela verso il cuore di Phoenix, che cercò di tenerla indietro, di spingerla via, senza riuscire a muoverla di un millimetro. Quasi fosse pesante come una montagna.
Il pomo d’oro si depositò sull’armatura della Fenice, entrando al suo interno e avvinghiandosi al cuore del ragazzo, che crollò a terra, prostrato da spasimi indicibili. Phoenix urlò, sbraitò, tentò di strappar via quel frutto maledetto, ma non poté far altro che osservarlo scomparire dentro di sé. Travolto da una smania improvvisa, il Cavaliere si tolse il pettorale dell’armatura, graffiandosi poi la pelle nel disperato tentativo di trovare una via verso il suo cuore. E, se non avesse recuperato un’ultima stilla di consapevolezza, se lo sarebbe davvero strappato dal petto, offrendolo a Discordia in cambio di pace.
"Dimenati pure quanto vuoi, Cavaliere! Il Pomo della Discordia si nutrirà del tuo rancore, della tua natura litigiosa, consumandoti fino a ridurti a larva. E di questa sconfitta, mio bellicoso amico, potrai incolpare solo te stesso, e il tuo carattere!"
Phoenix non rispose alcunché, troppo stravolto persino per parlare. Gli pareva che artigli di fuoco gli stessero dilaniando il cuore, e che quello stesso fuoco poi percorresse le sue vene, espandendosi ovunque dentro di sé, anche nella sua mente. Cercò di rimanere lucido, di non cedere a fatali allarmismi, ma anche il solo pensare lo prostrava a terra, il pensare alle parole di Eris, alla loro attendibilità.
Il pensare ai suoi genitori.
Mamma… Papà… A differenza di Andromeda, nato qualche anno dopo di lui, Phoenix li ricordava ancora. Forse non il volto, opacizzato dal tempo e dal dolore, ma gli abbracci, il calore domestico di un’esistenza ancora non sfigurata dai fumi della guerra. Ricordava sua madre, e l’aroma di erbe in cucina, e suo padre, che doveva essere un fumatore incallito, a ripensare all’odore di fumo che pervadeva le stanze di casa. E poi ricordò quel giorno, quando li portarono via.
"C’è stato un incidente." –Qualcuno disse. E quel ricordo adesso gli mozzò il fiato, quelle parole a cui non aveva più pensato.
Così si era ritrovato all’orfanotrofio, a insegnare a suo fratello a guardare il cielo, ad osservare le stelle, sperando di distrarlo, con quei piccoli gesti, dalle bruttezze del presente. E da lì a Villa Thule e poi alla Regina Nera il passo era stato veloce.
"Noi siamo simili, Phoenix! Animi inquieti, divorati dal tormento e inclini al litigio."
Le parole di Discordia lo fecero infuriare, persino più del ritrovarsi inerme, su un suolo straniero, con il viso e il corpo affondati nella sabbia lunare, a pochi passi da una lama in grado di recidere la sua vita per sempre. Lo fecero infuriare perché erano vere, perché quella bastarda genitrice di sventure aveva ragione. Lui era collerico, di pugno facile e incline a picchiare più che a parlare. E ora aveva scoperto perché, che cosa lo rendeva così irascibile.
Perché era come suo padre.
E infatti, al pari suo, aveva causato la morte di tutte le donne che gli erano state vicino, di tutte le donne che aveva amato o avvicinato. Esmeralda, Pandora, Ippolita.
Una nuova fitta lo prostrò a terra, di fronte al divertito sguardo della Signora della Contesa, che troppo adorava quei momenti, quegli attimi di vita che le saturavano il cuore. Lei, che a differenza di Ares più dedito alla pugna, amava passeggiare tra le vittime di una battaglia, anche dopo che gli altri Dei si erano ritirati, sfiorando i cadaveri massacrati, riempiendo le narici del fetore della morte. Lei, che dagli uomini era stata allietata, ma solo finché fossero stati un diversivo, un modo per ingannare il tempo in attesa della prossima battaglia. Lei, che dal corpo di Phoenix agonizzante, dal volto devastato dal dolore, dovette ammettere di essere attratta, portandola a chinarsi vicino a lui e a sfiorargli il petto, per percepirne i singulti.
"Se tu non fossi stato così scontroso, avremmo potuto divertirci un po’, mio bel lupo solitario! Ah ah ah!" –Sghignazzò, gettandosi dietro la schiena i vaporosi capelli blu.
"Stai attenta… a quello che chiedi!" –Ringhiò Phoenix, allungando all’improvviso il braccio verso la Dea e afferrandole il collo, torcendola fino ad allineare i loro occhi. Trasudanti di determinazione, quelli di lui, e di sorpresa, quelli di lei. –"Ali della Fenice!" –Sibilò, sollevando Eris con un turbine violento di energia infuocata e osservandola compiaciuto mentre veniva sballottata lontano, fino a schiantarsi a terra, con numerose crepe sulla Veste Divina.
"Co… come hai fatto?! Come?!" –Strillò, risollevandosi, il volto paonazzo per quell’oltraggio. –"Eri in mio potere! Ancora un istante e di te niente sarebbe rimasto! Come puoi aver avuto ragione del Pomo della Discordia?"
"Sei stata tu a darmi la chiave per la vittoria! Tu, smuovendo i miei ricordi e riportando la figura di mio padre davanti ai miei occhi! Quel che hai detto è verità, io sono come lui, e Andromeda è caritatevole come mia madre! Pur tuttavia… la forza di mio fratello, la bontà del suo cuore, è stata così intensa da opporsi alla Volontà Divina di Ade. Forte di questo esempio, e dell’amore che mi ha sempre offerto, come avrei potuto lasciarmi sconfiggere? Come avrei potuto permettere al rancore e allo spirito di contesa di dominare il mio cuore, toccato dalla purezza di Andromeda? Lui ha estirpato il male dal mio animo, lui mi ha indicato il percorso ed io, in questi anni, mi sono solo limitato a seguirlo! E questo mi ha dato pace!"
"Non… è possibile!!! Non può essere! Il tuo animo… è infetto!!!" –Gridò Eris, ricreando la mela d’oro di fronte a sé. –"Pomo della Discordia!!!"
Nuovamente il frutto luminoso apparve in cielo, fluttuando fino a portarsi davanti a Phoenix, ma questa volta, anziché opporsi, anziché infiammare il proprio cosmo rabbioso, il ragazzo si limitò a sospirare, socchiudendo gli occhi e ricercando quell’armonia che solo pensando al fratello poteva trovare. Quella purezza per cui valeva la pena vivere, cacciando via ogni male, ogni desiderio di contesa.
E la mela si fermò.
Oscillò incerta sul petto del Cavaliere, senza trovare alcuna via, alcun accesso al suo cuore irato. Così Phoenix la afferrò, stringendola tra le mani e stritolandola poco dopo, di fronte agli occhi attoniti della Dea della Discordia.
"Mai nessuno era riuscito ad aver ragione del pomo d’oro! Mai nessuno aveva posseduto animo così puro da potersi definire al di sopra di ogni contesa! Persino Zeus evitò la sfida, preferendo rifilare a Paride l’onere della scelta! E tu, miserabile mortale, la cui vita è tinta dal sangue e dall’odio, mi hai fatto un simile torto?!"
"Le delusioni sono una brutta bestia, Eris, ma capitano a tutti! Non prendertela a male!" –Ironizzò Phoenix, strusciandosi il naso con un dito, prima di espandere il proprio cosmo e rivestirsi interamente dell’Armatura Divina.
"Prenderò la tua testa, invece, malnato!"
"Lo ripeti da un’ora eppure la sento ancora sulle mie spalle!"
"Insolente!!!" –Tuonò la Dea, mulinando il tridente e liberando guizzanti scariche di energia che squarciarono il terreno, obbligando Phoenix a balzare di lato in lato per evitarle. –"Anche senza il Pomo della Discordia, sono ancora la Madre dei Mali, nel pieno possesso dei miei poteri! Sono una Dea, Phoenix, ricordalo!" –E lo abbatté con una folgore energetica, che incenerì anche le lunghe code della corazza della Fenice.
"Vi è una sola Dea la cui autorità riconosco, e non sei tu, Eris!" –Esclamò il Cavaliere, rialzandosi. –"Tu sei sola, come Ares, senza nessuno che combatta per te! E non dirmi di guardare oltre, di ascoltare la marcia indefessa del tuo esercito verso il cuore del reame, perché sai bene che quel legame di paura che vincola i soldati al loro Dio non vale quanto il genuino affetto che unisce noi Cavalieri ad Atena!"
"Ti sbagli, Fenice! Non solo paura muove le gambe dei Phonoi e delle Androctasie, non solo la volontà di rendere una madre fiera dei propri figli, bensì la condivisione degli stessi obiettivi! Il sentire comune, il provare la stessa sete di guerra! Non dimenticare chi sono costoro! Figli miei, nati per partenogenesi dalla Madre della Contesa e, come tali, semi dello stesso frutto, semi che ho coscientemente sparso per il mondo nel corso di una cattività durata millenni! Non dimenticare, mio caro, la prigionia cui Zeus mi confinò!"
"La cometa Lepar…" –Mormorò Phoenix, ricordando ciò che Avalon aveva spiegato loro nell’Occhio.
"La culla ove la mia progenie è germinata! La culla da cui, ogni volta in cui il suo moto la avvicinava alla Terra, ho sparso i miei semi sul pianeta! Dodici volte, nel corso dei millenni, dodici semi per altrettante generazioni di figli!"
"Do… dici?!" –Esclamò il Cavaliere, intuendo le potenzialità di quel numero.
"Cifra certo non casuale, in quanto dodici sono gli Dei dell’Olimpo. O almeno lo erano, ai tempi in cui il mondo era giovane e Zeus mi esiliò. Nessuno di loro mosse un dito, nessuno parlò a mia difesa, tutti troppo impauriti dalla folgore di Zeus. Persino chi, come Era o Dioniso, a volte si era avvalso dei miei servigi! Così nidificò in me il desiderio di vendetta, il proposito di gettare l’Olimpo nel caos, ben più di quanto avessi fatto con la razza umana fino a quel giorno! Per questo generai i miei figli, per questo li nutrii con il mio cosmo, infondendo loro la stessa propensione alla contesa che scorre nel mio Ichor! Per cacciar giù gli Dei dal Monte Sacro e sostituirli con un nuovo Dodekatheon, di cui io sarei stata madre putativa! E sotto di me avrebbero prosperato Limos e Lethe, Ate e Disnomia, Horkos e Algea, le Mahkai, i Phonoi e le Androctasie, i Neikea, gli Pseudologi e le Amphilogie!"
"Una bella famiglia felice…" –Ironizzò Phoenix, pur turbato da quella rivelazione. Se oltre a Eris e ai figli presenti sulla Luna, avessero dovuto affrontare anche il resto della progenie della Madre dei Mali la guerra sarebbe stata ben lungi dal concludersi. E se non sono qui… Rifletté, ricordando una strategia bellica di Ares. Dividi e impera. Li ha lasciati sulla Terra! Giacciono nel silenzio dell’ombra, attendendo il grido di guerra che li scuota e li guidi verso nuove mete di conquista! Maledizione!
"Qualcosa turba i tuoi pensieri, giovane guerriero? Quel solco sulla fronte parla più di quanto la tua natura solitaria non riveli!" –Commentò la Dea, puntando il tridente verso Phoenix ed espandendo il battagliero cosmo. Una scarica di energia riempì l’aria, obbligando il Cavaliere a scattare di lato, prima che una tempesta di fulmini si abbattesse su di lui, alternata al ridacchiare imperterrito di Eris. –"Come vedi, mi sono allenata a prendere il posto di Zeus! Sono persino in grado di controllare la forza del keraunos, proprio come lui, unica nel mio genere! Del resto, dopo millenni trascorsi ad osservare in silenzio i tuoi nemici, impari a conoscerne anche le armi, e a farle tue! E adesso che sono stata liberata, adesso che posso finalmente esistere, sono in grado di scatenare il mio vero potere! Muori, Phoenix! Melas keraunos!!!"
La danza di fulmini neri atterrò Phoenix con una velocità e un’intensità sconcertanti, facendo comprendere al ragazzo che la Dea dalla folle risata, che ricordava gloriarsi del suo prossimo trionfo al calar del sole, era solo un’ombra del vero potenziale della Signora della Contesa. Libera, rinata, ringiovanita, era davvero un’entità pericolosa, oscura come Ade, potente come Thanatos, sanguigna come Deimos. E forse anche di più. Discordia esprimeva davvero il potere del male.
Una nuova scarica energetica lo raggiunse mentre, aiutandosi con le ali della corazza, cercava di portarsi a distanza di sicurezza, schiacciandolo al suolo e facendogli perdere l’elmo. Non fosse stato per il mithril e per la sapienza di Efesto, persino l’armatura rinata col sangue di Atena sarebbe andata in frantumi, dilaniata da quei poderosi fulmini oscuri.
"Melas keraunos!!!" –Ripeté Discordia, trapassando il corpo del Cavaliere con una fitta pioggia di aghi neri e gettandolo contro il muro che separava il Cerchio di Urano da quello ormai superato di Nettuno. Una nuova raffica di folgori lo demolì, seppellendo Phoenix sotto le macerie, di fronte al pago sguardo di Eris.
"Quale potenza!" –Rantolò il Cavaliere, respirando a fatica sotto i detriti franati. Cercò di radunare le forze, di riflettere sulla tattica da adottare, ben consapevole che, di fronte ad una mente perversa come quella di Discordia, in grado di disorientare l’avversario, poche strategie potessero funzionare. Pur tuttavia doveva tentare. Per sé, per Pegasus, che stava affrontando Ares, per suo fratello, appena sceso sul campo di battaglia, e persino per Atena, il cui cosmo pareva essersi acceso all’improvviso.
Incuriosito, e anche preoccupato, dall’intervento di Andromeda e della Dea, Phoenix fece esplodere il proprio cosmo, distruggendo i resti del muro franato e rialzandosi, di fronte allo sguardo attento di Discordia, che lo stava chiaramente aspettando.
"Le scocciature peggiori sono lunghe da eliminare!" –Commentò la Dea, con una fragorosa risata, prima di mulinare il tridente, pronta per liberare una nuova pioggia di fulmini. Ma Phoenix la anticipò, muovendo rapido un braccio e generando un sottile raggio di energia che trapassò l’elmo della Veste Divina, spezzandolo in due e lasciando colare un rivolo di sangue sul volto sbigottito di Discordia. –"Cosa… è stato?!"
"Il Fantasma Diabolico. Il pugno dell’illusione della Fenice." –Chiarì il Cavaliere, ormai completamente in piedi. –"Come tu hai tentato di piegare il mio spirito, con le tue parole mendaci, ugualmente proverò a fare io!"
"Ah ah ah! Divertente, ragazzo! È una dote richiesta per divenire Cavalieri di Atena o solo un ultimo sfizio che ti sei voluto togliere prima di lasciare questo mondo? Quale che sia la risposta, non mi interessa! Il tempo a nostra disposizione per questo scontro volge al termine! L’avanzata delle Makhai è stata rallentata al Cerchio di Giove ed è d’uopo che vada a far cadere qualche testa! Perciò, Phoenix, addio! È stato un piacere! Melas keraunos!!!" –Avvampò la Dea, scatenando la furia delle folgori nere, che piovvero su Phoenix da ogni direzione.
Il ragazzo tentò di evitarle, scattando alla velocità della luce, ma venne comunque raggiunto in più punti, l’armatura graffiata, in parte scheggiata, il volto ustionato da quelle scariche violente. E, su tutto, il fastidio maggiore per Phoenix fu continuare a udire la risata di Discordia, che pareva davvero compiacersi di ogni attimo del loro duello.
D’un tratto, però, la Dea smise di ridere, distratta da un suono improvviso che le parve provenire dalla sua destra. Mosse lo sguardo, pur continuando a massacrare Phoenix di fulmini neri, ma non vide alcunché, non essendo rimasto niente nel Cerchio di Urano, soltanto l’accendersi impetuoso dei cosmi di Pegasus e Ares nell’altra metà dell’anello. Accigliata, riportò l’attenzione su Phoenix, salvo accorgersi che il ragazzo era protetto da uno scudo rossiccio, che le sue scariche di energia non riuscivano a scalfire, per quanto insistesse e aumentasse l’intensità del suo attacco.
Imbestialita, avanzò a grandi falcate verso Phoenix, per capire da dove fosse sbucato quello scudo, proprio mentre l’arma scompariva, rivelando quel che dietro era celato. Il corpo del Cavaliere di Atena stava roteando su se stesso, in una sequenza infinita di capriole, sprigionando un’energia così abbagliante da costringere la Dea a coprirsi gli occhi con un braccio. Fu allora che Phoenix sfrecciò verso di lei, come l’incandescente nucleo di una cometa, accompagnato da una fitta pioggia di dardi neri che obbligò la Dea a sollevare un muro di energia cosmica davanti a sé, ove gli strani assalti si esaurirono. Un pizzicare di cetra la distrasse ancora, prima che alle orecchie giungesse nitida una triste melodia, la stessa che credeva di aver sentito poc’anzi, per quanto nessun’altro fosse attorno a loro. Riportò lo sguardo sul Cavaliere della Fenice, accorgendosi con orrore che era scomparso e che sul suo muro difensivo era apparsa un’enorme crepa a forma di croce ghiacciata, che si stava espandendo al punto da invadere l’intera barriera, mandandola in frantumi.
Discordia gridò, venendo spinta indietro, mentre di nuovo una cometa energetica e dardi corvini piovevano su di lui, obbligandola a muovere il tridente avanti a sé, per spezzarne l’avanzata.
Fu allora che Phoenix si rimise in piedi, dopo essere stato trafitto dalla devastante tempesta di fulmini neri. Era durata ben poco, per sua fortuna, ma alcuni di essi avevano trapassato l’armatura divina raggiungendo le carni al di sotto e causandogli pene indescrivibili. Adesso il Cavaliere osservava Discordia di fronte a sé, priva ormai di ogni interesse per il loro scontro, intenta a roteare l’arma in ogni direzione, pretendendo di colpire o trafiggere invisibili avversari. Non capì cosa le fosse accaduto, cosa avesse invaso la sua delirante mente al punto da renderla ancora più folle. A meno che… Rifletté, consapevole che l’azione del suo colpo segreto era diversificata in base al soggetto.
Non ebbe il tempo di chiedersi altro che una mano si appoggiò alla sua spalla destra, obbligandolo a voltarsi. E a fare un passo indietro, sconvolto alla vista dell’uomo che gli si parava di fronte, un uomo che doveva essere morto. Solo allora, udendo le lamentele di Discordia, comprese quel che la Dea stesse osservando.
"Sono felice di rivederti, Cavaliere di Phoenix, stavolta come alleati! Ascoltami bene, perché abbiamo poco tempo, quello che il Fantasma Diabolico ci consentirà, ma io ti dirò come sconfiggere la Signora della Contesa!" –Esordì così uno dei più valenti Cavalieri della storia. Serian di Orione.