CAPITOLO QUATTORDICESIMO: FRATELLI LONTANI.
Dopo aver dato in fretta gli ordini per l’emergenza che aveva colpito la sua città, Ilda di Polaris aveva deciso di prendersi un momento per se stessa. Così aveva raggiunto la terrazza sul retro della reggia, perdendosi nella devastazione di quel giorno. Una distruzione che, per quanto carica di dolore e morte, era solo una parte, un assaggio di quel che sarebbe davvero accaduto.
L’ampio piazzale dove la Celebrante di Odino era solita pregare assieme agli abitanti di Midgard, per invocare la protezione del loro Dio, era ricoperto da una massa indistinta di neve, ghiaccio e rocce, squassato in più punti dalla frana che aveva raggiunto persino i muri esterni del palazzo. Alcuni erano crollati, trascinando nella rovina anche i servitori e le guardie che vicino ad essi si trovavano in quel momento.
La statua di Odino era stata abbattuta, schiantandosi su parte della reggia e venendo parzialmente sommersa dalla frana provocata dai seguaci di Loki. Quel che restava della montagna sacra, limite del mondo su cui aveva autorità, sembrava fissare la Celebrante con una derisione nuda e cruda, a ricordarle il suo fallimento.
Sospirando, Ilda ripensò al giorno in cui suo padre le aveva mostrato per la prima volta la statua maestosa, spiegandole il suo significato. Non poteva ricordare tutto nitidamente, avendo avuto soltanto quattro anni, ma alcune frasi le erano rimaste nella mente e nel cuore, fondamento del regno su cui avrebbe governato in seguito.
Erano tempi oscuri, tempi di privazioni. Ricordò la Celebrante di Odino.
La guerra contro Iisung aveva stremato la popolazione e la carestia che era seguita l’aveva indebolita ulteriormente, al punto che molte famiglie non potevano permettersi di mantenere più di un figlio, obbligate ad abbandonarne eventuali altri. Lei e Flare erano state fortunate a non incappare in quell’amaro destino di separazione, essendo membri della dinastia regnante, la cui progenie sarebbe stata di vitale importanza per i ruoli che avrebbe assunto in futuro.
"La nutrice ti ha raccontato la storia della costruzione della statua, vero Ilda?" –Le aveva detto suo padre, carezzandole i morbidi capelli. –"Fu innalzata dagli abitanti di Midgard per ringraziare Odino per averli salvati dagli intrighi orditi da qualcuno di loro, e per invocare la sua continua protezione sulla nostra terra! Il clima è rigido, è vero, ma ci sono valori che possono sempre scaldarti il cuore! L’onore, prima di tutto, e il rispetto, per noi stessi e per gli altri. Valori sacri che permeano queste terre! Narra infatti un’antica leggenda che questa statua non crollerà mai, fintantoché l’onore di Midgard sarà salvaguardato e il regno di Odino non avrà fine!"
"Perché potrebbe finire, padre?"
"Imparerai sulla tua pelle, piccola mia, che tutto ha una fine, anche la vita degli Dei! Ma per molte cose essa è solo un puntino lontano nel tempo e mi auguro che così resti durante tutto l’arco delle nostre vite!" –Aveva aggiunto con un sorriso.
Che sia la punizione che gli Dei hanno scelto per me? Si chiese Ilda sospirando. Per aver macchiato l’onore dei Celebranti di Odino con atti incresciosi, conducendo alla morte i miei Cavalieri, schiava della volontà bellica di un Dio invasore?
Sì, Ilda non aveva dubbi al riguardo. Era per quel motivo che la statua di Odino era crollata. E anche perché, con il nume impegnato in una sanguinosa guerra per la sua stessa sopravvivenza, non avrebbe più potuto continuare a garantire la sua protezione al Recinto di Mezzo, abbandonato ormai a se stesso.
Tutto sta giungendo alla fine, tutto sta andando incontro al suo destino.
Pur tuttavia, in quel clima di disperazione crescente, Ilda non aveva intenzione di cedere, determinata a portare a termine il suo compito. Per questo negli ultimi mesi aveva trascorso molto tempo nella biblioteca della torre di Midgard, a studiare i testi che sua madre le aveva lasciato, a conoscere le rune e i significati dietro ciascuna di essa. Soprattutto la runa bianca, quella che avrebbe potuto salvare il mondo. O condannarlo per sempre.
La domanda che Pegasus le aveva posto, prima di entrare in uno dei portali, risuonava ancora nella sua mente.
"Come possiamo fermare il Ragnarök?"
"Non possiamo! Nessuno può!" –Aveva risposto al ragazzo. –"È una marea che non può essere arrestata!"
In realtà non era un’affermazione completamente esatta. Ragnarök non può essere fermato, questo è vero, ma, proprio in virtù di ciò che rappresenta, può essere mutato.
Era immersa in quelle riflessioni quando percepì una presenza avvicinarsi. Si girò verso la porta che dalla terrazza conduceva all’interno e osservò l’elegante sagoma di un uomo robusto, rivestito dalla sua splendida armatura azzurra, varcarne la soglia.
L’elmo sotto braccio, i corti capelli scuri spazzati dal vento del nord, gli occhi color ghiaccio, il Principe Alexer sembrava non avere età.
"Perdonatemi, Celebrante di Odino, se interrompo la vostra meditazione! So, dal vostro consigliere, che avevate dato ordine di non essere disturbata!" –Esordì, scuotendo il mantello bianco e grigio e accennando un inchino.
"Una vostra visita, Principe, non è mai un disturbo! Soprattutto in quest’ora di guerra! Avete saputo dell’attacco portato alla fortezza?"
"Saputo e sentito!" –Precisò Alexer, risollevando il capo. –"Da giorni i miei informatori erano inquieti! Vi era un viavai insolito di uomini, in tutta la Scandinavia settentrionale, e ululati di bestie raccapriccianti fremevano nel vento! Così avevo preventivamente armato i miei soldati, dislocandoli agli accessi principali alla Valle di Cristallo, ed è stata una fortuna che mi sia mosso in tempo, perché neppure noi siamo rimasti esenti dall’assalto di Loki!"
"Anche la Valle di Cristallo è stata attaccata?" –Esclamò Ilda, sconcertata.
"È questo il motivo che mi ha impedito di correre in vostro aiuto!" –Commentò Alexer, senza trattenere una smorfia di disappunto per lo stallo in cui si era trovato nelle ultime ore. –"Una guarnigione piccola ma compatta di vecchie donne dotate di cosmo, fiere feroci e soldati armati di spade in grado di emettere raggi congelanti ha massacrato senza ritegno le sentinelle e tenuto impegnate le mie legioni fino ad ora, obbligandomi ad affrontare molti di loro personalmente! Credo fossero le streghe che le dicerie volevano dimorassero nella Foresta di Ferro, sebbene di umano, e di femminile in particolare, avessero più ben poco! Consumate dall’ombra e dalla sete di potere, sembravano scheletri avvizziti avvolti in folgori incandescenti! È stato uno scontro intenso, di cui porto ancora i segni!" –Aggiunse, rivelando alcuni graffi sui guanti protettivi della sua corazza e aloni di fumo che, sui bracciali e sui coprispalla, ne appannavano l’angelico splendore.
"Spero non siate ferito, Principe, o farò chiamare subito i curatori di corte!"
"Non preoccupatevi per queste misere ferite, Regina di Polaris, e lasciate che i medici si prendano cura di chi davvero ne ha bisogno! Ho visto i resti dei vostri soldati e temo che molti di loro non vedranno un’altra alba! Solo una notte immensa!"
Ilda non rispose, abbassando gli occhi rattristata.
Enji, una mezz’ora prima, le aveva presentato un elenco sommario dei danni subiti dal castello e del numero di soldati e servitori morti. Centinaia di lacrime che aveva dovuto reprimere, ma che non le avevano impedito di chiedere che tutti i cadaveri fossero rimossi e preparati per i riti funebri, a cui ogni fedele avrebbe avuto diritto. Anche la carcassa di Skoll era stata bruciata, per impedire che il suo sangue immondo avvelenasse ulteriormente il suolo di Midgard. E stessa sorte sarebbe toccata ai Soldati di Brina caduti all’interno della città.
Kiki si era offerto per aiutare i curatori, facendo tesoro degli insegnamenti di Mur e dei loro antenati, esperti nell’uso di erbe che alleviassero il dolore, e si era fatto accompagnare dal consigliere nell’area del castello adibita a ospedale, mentre Bard aveva riunito i suoi compagni e aveva iniziato a riorganizzare i soldati a difesa della cittadella, in vista della ricostruzione di parte della stessa.
Per quanto ritenesse improbabile un secondo attacco, in un lasso di tempo così vicino, era comunque necessario garantire la sicurezza di Midgard e dare un segnale alle truppe, per non lasciarle nello sconforto della perdita.
Di Fiador, Ilda aveva perso le tracce, ma immaginava che avesse seguito Kiki e Enji nell’infermeria, per prestare aiuto in quella situazione di emergenza.
"C’è una domanda che mi rimbalza in mente da qualche ora e non riesco a darvi una risposta!" –Esclamò la donna. –"Per quale motivo Loki ha attaccato Midgard, lasciandola poi al suo destino? Dubito fosse solo per utilizzarla come accampamento prima della guerra! Pegasus mi ha raccontato che non più di duecento Soldati di Brina erano rimasti all’interno, ben pochi, in effetti, rispetto alle orde che l’hanno invasa! Aveva così tanta fiducia nel suo lupo da guardia?"
"Forse. Del resto se non fosse stato per l’intervento dei Cavalieri di Atena, nessuno dei vostri soldati, né l’eroico Bard e i suoi amici, avrebbero potuto opporsi alle sue fauci!" –Commentò Alexer, prima di aggiungere a bassa voce. –"O forse non ha bisogno di essere troppo esplicito, contentandosi del modo indiretto in cui può controllare la fortezza di Midgard!"
"Cosa intendete, Principe?!" –Esclamò Ilda, inorridendo a tale prospettiva. –"Che vi sia… qualcuno che lo informi?!"
"Perché no? L’astuzia del Burlone supera quella di chiunque altra Divinità. Loki mira ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, preferendo aggirare un ostacolo anziché affrontarlo di peso. È un vigliacco, non un condottiero eroico, e si sporca le mani solo quando non può obbligare altri a farlo al posto suo!"
"Questo è vero… ma… una spia di Loki?! Qui a palazzo?!"
"Comprendo che accettarlo sia un duro colpo per voi, mia Regina, ma pensateci bene! Quale motivo avrebbe avuto il Dio dell’Inganno nell’attaccare la mia fortezza, una roccaforte isolata e priva di ricchezze, se non tenermi impegnato, per impedirmi di correre in vostro soccorso, come sapeva che avrei fatto se avessi potuto! Come qualcuno, che conosceva il nostro recente riavvicinamento, aveva potuto suggerirli!"
"Per Odino!" –Mormorò Ilda, finora neppure sfiorata da una simile eventualità.
"Inoltre, perdonatemi se insisto, ma sappiamo entrambi del misfatto che è stato perpetuato all’interno di questa fortezza!" –Aggiunse il Principe Alexer.
"Sapete anche questo…"
"Uno dei miei soldati ha notato un’aquila dalle strane forme sorvolare la cittadella e, se tanto mi dà tanto, sappiamo entrambi come ciò sia possibile!"
"Hræsvelgr, l’Aquila dei Venti! Una delle cinque corazze indossate dai primi traditori della storia di Midgard, assieme a quelle del guerriero, del gigante, del lupo della luna e all’ultima, le cui fattezze somigliavano alla versione umana con cui Loki amava presentarsi!" –Sospirò la Celebrante. –"Mi raccontò mio padre che il Dio avesse fatto da modello per la fabbricazione dell’armatura, quasi come desiderasse, con questo gesto, rimarcare l’inganno da lui perpetrato, ricordandolo a tutti coloro che sarebbero venuti in seguito e che avessero indossato tali vestigia, intrise del suo cosmo divino!"
"Come poteva Loki sapere che erano ancora qua, nelle prigioni di Midgard, e che non erano state invece distrutte o portate ad Asgard?" –Domandò Alexer, senza che Ilda potesse dargli alcuna risposta. Tranne la più ovvia. –"Qualcuno, che ne era a conoscenza, deve averlo informato! È così che l’Ingannatore opera! Prima tasta il terreno, stringe amicizia con coloro che possono essergli utili, li abbindola con promesse di ricchezza o di gloria, ottenendo sempre quello che vuole! Non mi stupirei se scoprissimo che c’era lui persino dietro la rivolta di Iisung!"
"Ma chi?! Queste notizie sono così riservate che ben pochi ne erano a conoscenza! Dubito persino che Flare sapesse delle cinque corazze maledette!"
"Pensateci bene! Pensate alle persone che sapevano del nostro precedente incontro, poche settimane or sono, e avessero accesso ai documenti più segreti del vostro casato! Chi meglio del fedele consigliere, che per anni ha ascoltato tattiche e trame di corte, potrebbe aver informato il Signore dell’Inganno?!"
"Enji?! No!!! Lo escludo categoricamente! È sempre stato al mio servizio, e prima ancora al servizio di mio padre! Non riesco a immaginare che abbia potuto…" –Mormorò Ilda, le parole strozzate al solo pensiero di una simile pugnalata.
"Chi altri allora?! Forse il ragazzino che correva nudo nelle foreste, di recente nominato Guardia della Cittadella?" –Suggerì allora Alexer. –"Per un segugio come lui non dev’essere stato difficile seguire le mie mosse o quelle dei nostri esploratori nelle foreste di confine e gli Dei soltanto sanno cosa ha potuto scoprire, muovendosi silenziosamente, da quando è entrato a palazzo!"
"Vi prego, smettetela, Principe! Non costringetemi a mettere in discussione la fedeltà dei miei servitori! Bard è un ragazzo, è avventato, ma possiede il senso dell’onore e lui… è l’allievo di Orion!"
"Lo so!" –Disse Alexer con voce vellutata, avvicinandosi e prendendo le mani di Ilda tra le proprie, costringendola a fissarlo negli occhi. –"E so anche quanto tenevate a lui, e a tutti gli altri Cavalieri del Nord! Perderli deve essere stato atroce per voi, ma avete avuto la forza di andare avanti, sopravvivendo ai rimorsi annidati come serpi nel vostro cuore! Vi ammiro, Regina di Midgard!"
Ilda non riuscì a dire niente, incantata dalle melodiose parole dell’uomo che la teneva stretta a sé. Bello e virile, come pochi altri aveva visto nel corso della vita, e capace di darle quel senso di sicurezza di cui aveva bisogno in quel momento, per sé e per la sua gente. Un uomo che non poteva non ricordarle Orion.
"Non volevo inquietarvi, sono soltanto preoccupato per voi! Spesso le cose non sono come sembrano! Pensate a voi! Chi avrebbe immaginato che un anno fa la nobile e pacifica Ilda di Polaris avrebbe dichiarato guerra a Atene per conquistare le assolate terre del sud? O che la sempiterna calma di Mime celasse un cuore pieno di rabbia? O che Mizar fosse seguito da suo fratello, che segretamente lo amava e lo odiava? No, Regina di Midgard, non fermatevi alle apparenze poiché sono ingannevoli e spesso nelle persone c’è molto più di quel che l’occhio non veda!"
"Questo vale anche per voi, Principe Alexer?"
"Vale per tutti!" –Rispose lui, senza distogliere lo sguardo dagli occhi della donna.
In quel momento entrambi sentirono una possente energia cosmica raggiungere Midgard. Un’energia ardente che portò una raffica di calore sul gelo che avvolgeva la cittadella, sia all’esterno che all’interno. Pochi attimi dopo, la sagoma di un uomo rivestito da un’elegante armatura, dagli sgargianti riflessi arancioni e rossi, apparve sulla terrazza dietro di loro.
"Spero di non essere arrivato troppo tardi!" –Commentò una ruvida voce. –"O troppo presto!" –Aggiunse malizioso, strusciandosi il naso divertito.
***
"Ti ringrazio per essere venuto subito!" –Esclamò Zeus, facendosi incontro al Signore dell’Isola Sacra. –"Non avresti dovuto scomodarti di persona, potevi affidare l’incarico a qualcun altro!"
"Non è mia abitudine delegare ad altri quel che è opportuno che faccia io stesso!" –Rispose placido Avalon, in piedi, al centro del ventilato atrio della Reggia di Zeus. –"Inoltre volevo parlare con te, personalmente!"
"E di cosa?"
"Di questa tua decisione!" –Affermò Avalon con serietà, posando il Vaso di Atena, ove lo spirito di Nettuno era sigillato, di fronte a lui, proprio in mezzo alle due potenti entità. –"Credi davvero che sia opportuno disturbare il riposo di una Divinità dormiente? Una Divinità che ha già avuto la sua possibilità di scegliere, dimostrando di preferire la sovversione dell’equilibrio all’ordine?"
"Suvvia non essere drastico! Sappiamo entrambi che l’ostilità di Nettuno verso Atena è di lunga data e non influenzata da alcun evento corrente! La stessa ciclicità delle Guerre Sacre rientra in quest’ottica, nel dare periodicamente a entrambi i contendenti la possibilità di cambiare, qualora lo vogliano, il proprio destino! Di riscattarsi!"
"Ripetere cose che già conosco, meglio di te, non modificherà la mia opinione, Signore del Fulmine! Pur tuttavia questo oggetto non mi appartiene, né ne farò un uso inappropriato! Per quanto avrei potuto farlo!" –Gli rammentò Avalon. –"Avrei potuto nasconderlo in qualche anfratto dell’Isola Sacra, celato dietro strati di nebbie così fitte che neppure i tuoi occhi avrebbero potuto scovarlo! O avrei potuto usarlo in questi mesi, dopo che Febo e Marins lo hanno tratto in salvo dal Tempio Sottomarino! Ma non l’ho fatto, per un motivo così ovvio che non perderò tempo a parlartene!" –Non aggiunse altro e diede le spalle a Zeus, lasciando frusciare il lungo mantello bianco intarsiato di argentei ricami.
"Aspetta! Non vuoi fermarti un po’? Ho approntato un banchetto in tuo onore, nel Salone delle Feste! Sono certo che anche Atena e gli altri Olimpi gradirebbero incontrarti!" –Lo richiamò il Signore degli Dei di Grecia.
"Un banchetto?! In tempi come questi? Asgard è sotto assedio, l’avvento della grande ombra è prossimo e tu mi proponi di lasciar perdere tutto e sederci a tavola a riempirci di ambrosia?!" –Si infervorò Avalon, alzando per la prima volta il tono della voce. –"Zeus, l’impressione che ebbi quindici anni fa, del tuo regno dissoluto, temo non sia cambiata!"
"Neppure la mia opinione di te!" –Ribatté Zeus. –"Non te l’ho mai detto, Signore dell’Isola Sacra, ma lo farò adesso, perché sono stanco dei tuoi modi, bruschi e saccenti! Qua non siamo ad Avalon e non hai alcuna autorità sul colle dove regno sovrano!"
"Mi chiedo per quanto ancora…"
"Finiscila!" –Tuonò il Signore dell’Olimpo, avvampando nel suo cosmo celeste. –"Il tuo pessimismo è fuori luogo! Se sei davvero così preoccupato perché non vai a combattere direttamente ad Asgard? Forse le sorti della città del nord meno ti interessano di quelle dell’Isola Sacra? Ben più combattivo ti ricordavo, quando le orde demoniache marciavano su Glastonbury, quindici secoli or sono!"
"Andrei, se potessi!" –Sospirò il Signore dell’Isola Sacra. –"Ma ho altre cose di cui occuparmi, un ragazzo da addestrare in primis, un tempio da localizzare, prima che l’oscuro potere si riversi sulla Terra, in secundis! Mi chiedo come tu creda di sopravvivere? Pensi che l’Olimpo non sarà annientato dall’ultima ombra? Guardati intorno, stolto d’un re, lo ha già fatto! I Cavalieri Celesti sono tutti morti, persino quelli che avevi nascosto a Glastonbury! Le Divinità che ti erano fedeli sono sprofondate nel Tartaro e cosa ti resta? Una manciata di ragazzini che rischiano la vita tra le nuvole, mentre tu pensi all’allegra rimpatriata che farai con tuo fratello!"
"Il risveglio di Nettuno è necessario… lui ci aiuterà… contro la grande ombra!" –Mormorò Zeus, avvilito dalle parole di Avalon, che ben sapeva essere vere.
"Può darsi. Ma neppure lui potrà ritardare l’inevitabile! Inoltre, non essendo la sua reincarnazione prevista in quest’epoca, temo che potremo avere più noie che gioie! Un’alterazione dell’equilibrio, Zeus! Hai pensato a questo? Forse tu no, ma io, che ne sono garante, dubito che sia una mossa efficace!"
"Perché non tenti di fermarmi, allora?" –Esclamò sprezzante il Dio del Fulmine.
"Dovrei! Ma uno scontro tra di noi sarebbe uno spreco di forze che nessuno dei due può permettersi adesso! Perciò mi limito ad auspicare che la rinascita dell’Imperatore dei Mari possa giovare realmente alla nostra causa! In caso contrario, tu, e solo tu, ne sarai responsabile!"
"Sai, Signore dell’Isola Sacra, a volte mi chiedo invece tu da che parte stai!" –Mormorò Zeus, catturando l’attenzione dell’altro. –"Che ruolo giochi negli eventi in corso? Che tela stai tessendo dall’alto colle nebbioso?"
"Io non sto da nessuna parte, mi limito a garantire che la storia faccia il suo corso! Questo è il mio compito e quello dei miei fratelli! Permettere la ciclicità della vita e l’alternarsi di luce e ombra, mantenendo l’equilibrio tra i mondi, un equilibrio che si basa sulla coesistenza di ordine e caos! Poiché tutte le parti formano il tutto!"
"E se una dovesse sopraffare l’altra?"
Avalon non rispose, accennando un sorriso timido al Signore degli Dei di Grecia, che si chinò sul Vaso di Nettuno, il coperchio ancora fermato dal sigillo di Atena, e lo afferrò, incamminandosi poi verso la Sala del Trono.
"Che tu voglia accettarlo o meno, Zeus Tonante, quel momento è più vicino di quanto abbiamo mai immaginato!" –Commentò Avalon, prima di svanire.
***
Dall’alto balcone di Fensalir, Balder osservava Asgard sprofondare nella guerra.
Suo padre lo voleva al sicuro, così gli aveva chiesto di restare con Frigg, Idunn, Freya e le altre Asinne, rinchiuse nella splendida dimora della Signora del Cielo, protetti non solo dalla distanza fisica della stessa rispetto ai fronti in cui si combatteva, ma anche dal cosmo delle divinità riunite.
Pochi infatti erano stati i tentativi di assalto fatti nella loro direzione e quei pochi erano stati respinti. Le frecce e i raggi energetici scagliati contro la residenza di Frigg erano stati annientati dal campo di forza che la circondava, facendone un baluardo al momento impenetrabile.
Ma tale certezza non riusciva comunque a mitigare il tormentato animo del figlio di Odino, il cui cuore era straziato per il destino cui la sua terra era incorsa. Il destino che aveva temuto, che aveva tormentato i suoi sogni negli ultimi mesi, spingendolo persino all’estremo gesto di scendere in Hel, adesso pareva concretizzarsi di fronte ai suoi occhi impotenti.
Ovunque girasse lo sguardo vi era infatti guerra, sangue, morte, distruzione.
A Himinbjörg, Heimdall e le Valchirie erano stati raggiunti dai rinforzi, guidati personalmente da Vidharr, il figlio di Odino, in attesa dell’arrivo del padre che si era attardato per le strade della città di Asgard, desideroso di vedere con il proprio occhio la devastazione portata dai Soldati di Brina. Al suo fianco una nutrita compagine di Jötnar, che non avevano esitato a scagliarsi contro i figli di Muspell, incuranti delle fiamme di cui i loro corpi erano composti, e di Ulfhednir, i devoti uomini-lupo, decisi a vendicare con il sangue, e con i denti, ogni compagno trafitto dai fasci di luce azzurra o sbranato dalle bestie di Járnviðr.
Nel giardino sul retro del Valhalla, l’Albero dell’Universo tremava, agitato dalle correnti di gelo che gli Hrimthursar soffiavano a pieni polmoni su tutti loro, determinati a distruggere il simbolo stesso della prosperità della loro civiltà. Il crollo di Yggdrasill, Balder e Odino lo sapevano, avrebbe scosso la fiducia di tutti gli esseri viventi, ammettendo che se persino la forma più maestosa e sublime di vita era morta per loro non sarebbe esistita speranza di vittoria.
Per ritardare questo evento, e dare tempo a Orion e agli altri Einherjar di recuperare i Cavalieri di Atena, che Odino era certo sarebbero accorsi in aiuto di Asgard, come già l’avevano salvata l’anno precedente, il Principe Freyr in persona aveva guidato le legioni dei Vani nel settentrione del mondo, assieme a suo padre, il Dio dei Venti. Là, nelle profondità del Niflheimr, dove la radice inferiore del frassino giungeva, il Signore dell’Abbondanza stava lottando, spada in pugno, contro i Giganti di Brina e per lui, da ore ormai, Freya sospirava.
L’aveva sentita più volte stringersi nelle sue vesti e singhiozzare, incurante delle parole di conforto dell’elegante Idunn e della sempre placida Eir, parole che, per quanto avessero voluto esserlo, non potevano essere poi così sincere, né speranzose. Freya aveva ringraziato entrambe, espandendo nuovamente il cosmo per raggiungere suo fratello e suo padre e portare loro conforto e un raggio di sole.
Frigg, dal canto suo, non aveva più aperto da bocca da quando era rientrata a Fensalir, dando disposizioni ai servitori di prendersi cura delle Divinità ospiti e alle guardie di difendere ogni lato del palazzo.
Balder sospirò, immaginando quanto difficile dovesse essere per la Signora del Cielo sopportare quel momento, quella nuova prova cui era costretta. Sebbene in passato Odino non fosse stato restio a scendere in guerra, la sua sposa aveva sempre avuto la certezza che ne sarebbe uscito vittorioso, sia perché lo aveva visto, grazie ai suoi poteri di preveggenza, sia perché lo aveva sentito, nel tono del compagno, nella sua determinazione, nella facilità dell’impresa.
Ma non stavolta! Si disse l’immacolato Signore della Luce, spostando lo sguardo sul regno in fiamme e dirigendolo verso il limitare estremo, ove un terzo fronte era stato aperto e ove gli Einherjar si erano diretti, guidati da Tyr il monco e da Ullr, il Dio Cacciatore.
Nella piana di Vígridhr infatti Loki aveva riunito i propri eserciti, chiamando a sé i suoi figli, i Sigtívar, le legioni infernali e i demoni guidati da Hel. Balder non aveva mai visto certe creature, nemmeno nelle illustrazioni degli antichi testi della Biblioteca di Bragi, incapace di immaginare che forme così orribili potessero esistere e convivere con l’odio di cui il loro animo si era nutrito. E quelle belve gigantesche, che aveva sempre temuto somigliassero a certi uomini o Dei nei loro comportamenti selvaggi e brutali, erano persino più terribili di quanto ricordasse. Fenrir, il lupo le cui fauci parevano azzannare il cielo, Hati, dalle zanne intrise di sangue ancora fresco, e Garmr, il cui guaito aveva terrorizzato il sonno dei defunti per millenni.
E su tutti il mostruoso Jormungandr, la bestia più grande e orribile che avesse mai respirato l’aria del Regno degli Asi. Partorito dalla Gigantessa Angrbodhra, quel demone cosmicamente potente era stato scagliato nelle profondità marine da Odino stesso e là sotto era perdurato, nutrendosi dei rancori dei mondi e diventando ancora più lungo di quanto fosse stato in precedenza.
Adesso era là, ad agitare le acque del Thund, i cui flutti si infrangevano impetuosi sulle rocce attorno alla fortezza del Valhalla, ultimo confine prima di raggiungere la Porta Principale. Molti Einherjar lo avevano affrontato, ma tutti erano caduti, avvelenati dal venefico alitare della bestia o stritolati e schiacciati dal suo orribile corpo squamato.
Il Serpe del Mondo non potrà essere vinto senza un sacrificio! Mormorò Balder, chiedendosi cosa fosse giusto fare, indeciso se disobbedire o meno, per la prima volta, ad un ordine di suo padre.
Un’esplosione di luce, proveniente proprio dal Cancello Principale, risolse i suoi dubbi, costringendolo a portare di nuovo lo sguardo in quella direzione.
Un uomo alto e massiccio, con due armi in mano simili ad asce, e un ragazzo rivestito da una celeste corazza magnificamente intarsiata erano appena apparsi, balzando al di fuori di Valgrind e ergendosi fieri sulle rive del Thund.
"Cos’è questo nauseabondo odore?" –Mormorò il più alto dei due. –"Qualcuno si è scordato di lavarsi le ascelle quest’oggi?"
"E dire che di acqua ne ha avuta tanta a disposizione in questi anni!" –Gli fece eco l’altro, passando tra gli sguardi ammirati e incuriositi dei soldati e degli Einherjar presenti, che notarono che non si trattava di uno di loro.
"Mio signore… possente Thor… fate attenzione… Jormungandr è…"
"È solo un lucertolone troppo cresciuto!" –Commentò il ragazzo dai mossi capelli castani, strusciandosi il naso, prima di espandere il proprio cosmo. –"Credo sia l’ora di mozzargli la coda!"
Il suo nordico compagno fece altrettanto e le loro energie cosmiche abbagliarono la riva del fiume, facendo nascere un sorriso sul volto di Balder.
Il prode Thor era tornato dalla sua missione e aveva portato con sé il Primo Cavaliere della Dea Atena, Pegasus in persona.