CAPITOLO TRENTACINQUESIMO. GIOCHI DI MENTE.
Quando Castalia riaprì finalmente gli occhi erano già passate parecchie ore dall’inizio della scalata dell’Olimpo. Ansimò per un momento, debole e stordita, prima di comprendere dove si trovasse. Si rigirò su se stessa e si trovò mezza spogliata, distesa su un morbido lettino in una stanza chiusa, mentre una leggera brezza le sbatteva sul viso, provenendo dalla finestra alla sua destra.
"Ben svegliata, Sacerdotessa dell’Aquila!" –Esclamò una voce limpida, ma al tempo stesso antica. –"Sono lieto che tu abbia finalmente ripreso i sensi!"
Castalia si voltò di scatto, trovandosi di fronte uno sconosciuto uomo di mezza età, rivestito da una larga tunica celestina, fissata in vita da una fascia di tela. Non era molto alto, e il suo viso sembrava segnato dagli anni, ma Castalia pensò subito che doveva averne molti di più di quelli che realmente dimostrava, emanando un fascino, un’aura di antica sapienza.
"Qualunque cosa tu abbia intenzione di dire, ti prego di parlare in silenzio! E azzera il tuo cosmo, per quanto ridotto sia! Ho avvolto le mie stanze nelle nebbie, per nascondere la tua presenza, ma in questi tempi oscuri è necessario essere ancora più prudenti!"
"Chi sei?" –Chiese Castalia, ancora stordita.
"È naturale che tu non ricordi! Stavi morendo, avvelenata dalle frecce dei Cacciatori di Artemide! Quando Phantom ti ha portato qua, ti stavi spegnendo, Sacerdotessa dell’Aquila! Ho cercato di curare al meglio le tue ferite, strofinando erbe medicamentose sulle tue lesioni! Tieni, bevi questo, servirà per ridare calore al tuo freddo corpo!" –E le porse una tazza contenente un infuso caldo.
"Grazie! "–Commentò Castalia, cercando di capire cosa stesse accadendo.
"È quello che vorrei sapere anch’io!" –Sospirò l’uomo, dando a intendere che fosse in grado di leggere nella sua mente. –"Non completamente, e non in tutte le menti! Ma tu sei stata distesa in quel lettino per quasi due ore, e mentre aspettavo che tu riprendessi i sensi, dopo aver tolto il veleno dal tuo corpo, ho scandagliato la tua mente, vagando nei tuoi sogni e nei tuoi desideri inconsci! Ed ho trovato molte cose interessanti!"
"Chi sei tu, per fare questo?"
"Sei una donna passionale Castalia dell’Aquila, anche se riesci a nascondere bene i tuoi sentimenti dietro la maschera che porti! Oh, no, non mi riferisco alla maschera delle Sacerdotesse, ma a quella che hai costruito, all’abile difesa che hai approntato affinché gli altri non possano troppo su di te! Hai creato un muro dentro al quale ti senti protetta, dentro al quale niente può ferirti, nessun uomo può ferirti! Un giardino segreto le cui chiavi concedi soltanto a pochi eletti, mentre obblighi gli altri a stare fuori, negando loro l’accesso!"
"Come puoi sapere questo di me?" –Domandò Castalia, mettendosi in piedi. E in quella si accorse di un altro lettino, poco distante, sul quale giaceva immobile un corpo che conosceva bene, essendo giunto con lei sull’Olimpo il pomeriggio precedente. Ikki di Phoenix.
"Phoenix!" –Esclamò, avvicinandosi al corpo del ragazzo. –"Ma allora tu sei… Morfeo?!"
"Non toccarlo!" –La intimò il Dio. –"Potrebbe essere pericoloso!"
"Pericoloso? Che vuoi dire? Sveglialo!" –Esclamò Castalia, prima che Morfeo le tappasse la bocca.
"Ti ho detto di tacere, Sacerdotessa! Se qualcuno scopre che sei qua, viva, non esiterà a tagliarti la gola!" –Le sussurrò il Dio. –"E questo vanificherebbe i miei sforzi!"
"Quali sforzi?"
"Quelli fatti per salvarti!" –Confessò il Dio, raccontandole l’intera vicenda, sottolineando il ruolo giocato da Phantom. –"Il Luogotenente dell’Olimpo ha rischiato la vita per proteggerti! E adesso rischia di essere punito dal Sommo per insubordinazione! O peggio, per alto tradimento!"
Castalia si portò le mani alla bocca, spaventata da una simile prospettiva. Ma Morfeo, vedendola così emotivamente coinvolta, cercò di rassicurarla, spiegando che Zeus avrà problemi ben più importanti da affrontare.
"I tuoi compagni combattono sull’Olimpo! Sono divisi, ma uniti da un unico obiettivo! Raggiungere la Torre Bianca e liberare Atena!"
"E ci riusciremo, Dio dei Sogni!" –Affermò Castalia, con decisione.
"Leggo nel tuo cuore la stessa determinazione di quella dei tuoi compagni! Spero soltanto che il vostro ardore, il vostro nobile coraggio, non vi conduca alla morte!"
"Per quale motivo mi hai aiutata, Dio dei Sogni? Non dovresti essere fedele a Zeus? O pure tu rischi di essere processato per alto tradimento?"
"Hai detto bene, Sacerdotessa! Io sono fedele al Sommo Zeus, e mai oserei levare la mano contro di lui o contro uno dei suoi emissari! Ma non ai figli di Ares! Non agli arroganti, sanguinari, omicidi figli della Guerra!" –Esclamò Morfeo, surriscaldandosi per la prima volta.
"Ti riferisci a Flegias?"
"Non soltanto! Ares ha avuto numerosi figli nella sua vita, da Divinità e da donne mortali! Flegias è soltanto un bastardo la cui maternità non fu mai chiarita! Ma sul padre mai ci furono dubbi: solo Ares possiede quegli occhi iniettati di sangue, quell’aria sadica, subdola, incendiaria che non esiterebbe a dare in pasto ai leoni i suoi stessi figli pur di dominare!" –Disse Morfeo. –"Ma Flegias non è solo! Issione lo sostiene! Almeno finché la loro alleanza di comodo non verrà meno!"
"Chi è costui? Non è ho mai sentito parlare!"
"Issione è uno dei figli bastardi di Ares, che nel Mondo Antico fu punito da Zeus per aver tentato di sedurre Era! Zeus gli inviò una nuvola con le sembianze di sua moglie e lo sorprese nell’atto di abbracciarla! Per punirlo, lo fece fustigare da Ermes e poi legare per mani e braccia a una ruota infuocata, che girava eternamente in cielo! Fu liberato in seguito da Ares, che lo volle nel suo esercito di berseker, quando fa si alleò con Ade per sconfiggere Atena!"
"Ares e Ade alleati contro Atena?!"
"Questo accadde molti secoli fa, ma Issione non prese parte a quella guerra, e di lui si perse ogni traccia, fino a qualche settimana fa! Fu Flegias a reintrodurre il guerriero alla Reggia di Zeus, rispuntato dall’ombra in cui si era nutrito di odio e sangue, nonostante Ermes e molte altre Divinità avessero espresso fin dall’inizio la loro opposizione! E a questo punto è chiaro che Zeus avrebbe fatto bene ad ascoltarli! Forse, in quel modo, questa folle guerra avrebbe potuto essere evitata!"
"Credi che siano i figli di Ares a tessere la tela?"
"Non trovo altre spiegazioni per un simile cambiamento di rotta nella politica conciliante, anzi sempre piena di lodi, che Zeus ha avuto nei confronti di Atena! Issione e Flegias hanno convinto il Sommo Dio ad occupare la Terra, approfittando della sconfitta dei suoi millenari nemici, Nettuno e Ade, ed entrambi sperano di avere un posto d’onore nel nuovo ordine che nascerà, magari come governatori di qualche provincia, o Comandanti dell’Esercito Celeste!"
"Un piano ambizioso…" –Commentò Castalia.
"Che però ha una falla! La rivalità tra i figli di Ares! Subdoli e meschini, Flegias e Issione non hanno fiducia l’uno nell’altro, mantenendo sempre una mano sulla spada mentre parlano tra loro! Ed è per questo motivo che Issione mi chiese di condurre qua Phoenix! Per risvegliare in lui il lato malvagio, e utilizzarlo come guerriero al suo servizio, magari contro lo stesso Flegias!"
"Che cosa?! E tu hai accettato?!" –Esclamò Castalia, delusa dal comportamento del Dio.
"Non ho avuto scelta, Sacerdotessa! Issione mi aveva minacciato di morte, strusciando le sue sciabole incandescenti contro la mia pelle! E un povero vecchio come me non avrebbe speranze contro quella furia!"
"Tu sei un Dio, Morfeo! Non un vecchio rinunciatario!"
"Un Dio?! No, Sacerdotessa dell’Aquila, ho rinunciato alla mia natura divina molto tempo fa, perdendo molti degli attributi che le sono propri!" –Sospirò Morfeo. –"Non vedi? Non indosso alcuna Veste Divina, non combatto, non ho armi se non la forza della mia mente e del mio spirito!"
"E con quelle avresti dovuto opporti a Issione! Avresti dovuto rifiutarti di prendere parte ad una simile impresa!"
"Già… avrei dovuto farlo! Ma ho accettato! Forse per debolezza, forse per indolenza nel reagire, forse perché in fondo una parte di me non si rendeva conto della gravità della situazione! E credo davvero che sia stato così, finché non ho sentito il cosmo di Atena spegnersi per mano di Zeus; finché non ho sentito i vostri cosmi raggiungere l’Olimpo e lanciarsi in una folle impresa! E allora ho deciso di reagire, permettendo a un Cavaliere tuo parigrado di raggiungere il Monte Sacro per salvarti, nascondendo il suo cosmo ai sensi di tutti, e poi inviando Phantom a prelevare uno di voi, per ricevere l’aiuto necessario a riportare la Fenice tra di noi!"
"Cos’è accaduto a Phoenix? Perché dorme ancora?" –Chiese Castalia, osservando il volto rude del Cavaliere, immobile come un morto.
"Issione aveva osservato a lungo Phoenix, impressionato dalla sua potenza e attratto dal lato oscuro che il Cavaliere aveva manifestato lo scorso anno, prendendo il comando dell’Isola della Regina Nera, sperava di farne un guerriero spietato ai suoi ordini! Per questo motivo mi spinse a inviargli dei messaggi subliminali, a introdurmi nella sua mente, quando dormiva, per attirarlo in Grecia, al Grande Tempio di Atena, dove effettivamente si recò, combattendo proprio contro Flegias! Credo che Issione nel far questo abbia voluto prendersi anche una piccola soddisfazione personale!"
"Quindi la presenza di Phoenix in Grecia non è stata casuale! Egli non aveva ricordato?"
"Non completamente! Mi limitai a rimuovere alcuni effetti del Talismano della Dimenticanza, ma essendo di divina fattura riuscii soltanto in parte! Portarlo sull’Olimpo fu semplice e pure convincerlo a sdraiarsi su quel lettino, per potermi introdurre dentro di lui e risvegliare i suoi oscuri ricordi della Regina Nera!"
"Devi risvegliarlo allora!" –Esclamò Castalia. –"Phoenix è un combattente di Atena! Ha rinnegato quel passato, ha chiesto più volte perdono, e sia Atena che i suoi Cavalieri gliel’hanno concesso! Si ucciderebbe piuttosto che ritornare a servire il male! Morfeo, ti prego, devi salvarlo!"
"Lo farei volentieri, Castalia! Ma non posso! Non posso risvegliare Phoenix dal sonno in cui l’ho precipitato, altrimenti rischiamo di provocare in lui uno squilibrio psichico che potrebbe condurlo persino alla morte cerebrale!"
"No… non può essere!"
"Phoenix adesso è come un sonnambulo! Non può essere svegliato, per non danneggiare la propria psiche!" –Commentò Morfeo, sedendo accanto alla ragazza. –"Possiamo soltanto avere fiducia in lui e sperare che riesca a sconfiggere le sue paure inconsce, i suoi rimorsi!"
Castalia si prese la testa tra le mani, preoccupata per il destino di Phoenix e per quello di Atena e degli altri Cavalieri. Sospirò, domandandosi cosa stesse vedendo il ragazzo.
Aveva dieci anni Phoenix quando sbarcò sulla Regina Nera, un’isola vulcanica nel mezzo del Pacifico, offertosi al posto del fratello. Appena sceso dalla nave, Phoenix realizzò che l’isola era peggio di come l’avevano descritta, un pezzo d’inferno galleggiante. Un’isola sulla quale fu costretto a trascorrere sei lunghi anni, nell’odio e nella solitudine, nel dolore e nella sofferenza, senza un amico né un maestro capace di ascoltarlo, ma solo di spingerlo ad odiare tutto.
"Rialzati, Phoenix!" –Lo insultava spesso il suo maestro, durante l’allenamento, prima di afferrarlo per i capelli e riempirgli il viso di pugni. –"Non è così che si diventa Cavalieri, ragazzino!"
L’unica consolazione dell’isola era rappresentata da Esmeralda, la bionda figlia di Guilty, il maestro di Phoenix, l’unico sorriso di cui il ragazzo poteva disporre. Un vero raggio di sole, in quella vita oscura. Purtroppo la ragazza morì tragicamente, uccisa da suo padre durante un combattimento tra Phoenix e lui, un combattimento nel quale Phoenix aveva esitato a colpire Guilty, causando in questo modo la morte di Esmeralda.
Adesso il ragazzo si trovava a rivivere quegli angosciosi momenti, riprovando quei sentimenti di rabbia e disperazione che solo sull’isola aveva trovato.
Phoenix non indossava alcuna armatura, ma i suoi soliti vestiti, pantaloni rossi e maglietta blu, e stava camminando da solo lungo le desolate distese vulcaniche della Regina Nera, mentre rivoli di lava incandescente scorrevano accanto a lui, per confluire poi in un’unica grande pozza.
"Sei tornato!" –Sibilò una voce di uomo, costringendo Phoenix a voltarsi.
Dal fiume di lava si sollevò un’orribile forma umana, dal volto coperto da una strana maschera, che Phoenix riconobbe come il suo Maestro.
"Sei tornato per tornare a termine ciò che avevi iniziato!" –Commentò Guilty, con sarcasmo. –"Per cos’altro saresti qua?"
"No.. io.." –Ma Phoenix non seppe cosa rispondere, non trovando altra spiegazione per giustificare la sua presenza sull’isola.
Guilty lo condusse allora in un luogo che ben conosceva, un campo dove sorgeva un piccolo altare in cima al quale era posta l’Armatura della Fenice.
"Coraggio, Phoenix! Mostrami di cosa sei capace!" –Urlò il suo maestro, iniziando ad attaccarlo.
Phoenix rispose ai colpi e man mano che lo colpiva sentì in lui una tremenda ferocia salirgli nell’animo, un senso di profonda soddisfazione nel massacrarlo.
"Così Phoenix!!! Bravo! Colpiscimi!!!" –Urlava Guilty, aumentando l’eccitazione del ragazzo.
L’ultimo pugno di Phoenix scaraventò il maestro indietro, fino a farlo sfracellare contro delle rocce, e ricadere al suolo sanguinante.
"Ih ih... Bravo! Ma ancora non basta! Saprai affrontare anche loro?" –E indicò dietro al ragazzo. In piedi, ricoperti dalle loro vestigia, stavano tutti i nemici che Phoenix aveva combattuto in vita. Il Cavaliere della Fiamma, Jango, Phoenix Nero, Agape e Vesta, Loto e Pavone, Virgo, Gemini, Mime, Alcor, Lemuri, Kanon, Eligor e altri che Phoenix non riuscì a riconoscere.
"Perché siete qua?" –Domandò, facendo un passo indietro.
"Per ottenere giustizia!" –Esclamarono i Cavalieri all’unisono. –"Tu ci hai combattuto, tu ci hai ferito! Tu ci hai ucciso!"
"No! Non è vero!"
"Sì, invece! Ci hai privato della vita, massacrandoci senza ritegno!" –Urlarono le confuse voci dei Cavalieri avvicinandosi a Phoenix. –"Adesso siamo qua per vendicarci!"
Jango e Phoenix Nero balzarono avanti, scagliando pugni energetici contro il ragazzo, che fu abile ad evitarne un paio, venendo però avvolto dalle roventi vampate del Cavaliere della Fiamma. In suo soccorso giunse però Vesta che lo afferrò con la palla chiodata, arrotolandola intorno al suo collo e strattonandolo a sé, mentre Agape lanciava i suoi dischi affilati per tagliargli le braccia.
Debole e mutilato, Phoenix cadde a terra, ma ancora non poteva avere pace, sollevato dal potere mentale di Loto e Pavone, e graffiato dagli affilati artigli di Alcor che stridevano sul suo corpo, lacerando la sua pelle, finché fili invisibili non lo imprigionarono, stritolandolo con forza.
"Mime..." –Sibilò il ragazzo, mentre i fili della cetra del Cavaliere di Asgard tagliavano il suo corpo, il suo viso, deformandolo ulteriormente. Un brusco strattone lo liberò dai fili, scagliandolo in alto, mentre un piede ricoperto da una nera Armatura tracciava una croce in terra.
"Qua morirai! Adesso!" –Esclamò Eaco, mentre Phoenix si schiantava a terra, creando un immenso cratere. Ne uscì soltanto grazie allo smisurato cosmo di Shaka di Virgo che lo sollevò in aria, prima di togliergli i cinque sensi, essendo lo spirito, secondo lui, già morto.
"Tu non hai mai avuto uno spirito, Phoenix! La tua anima è precipitata all’Inferno appena sei nato!" –Commentò Virgo. –"Guardati, adesso la raggiungerai!" –E scaraventò il ragazzo in un lago di sangue. –"È la collera! Il mondo adatto a te! A te che della guerra hai fatto il tuo pane quotidiano, cibandoti di massacri e di violenza! A te che non hai esitato a combattere i tuoi fratelli, i tuoi amici d’infanzia, per ottenere il potere grazie alla Sacra Armatura! A te, infine, che hai ucciso il tuo maestro e sua figlia, macchiandoti del crimine più grave di questo mondo!"
"Aargh!!!" –Urlò Phoenix, prima che una mano amica gli sfiorasse la guancia, offrendogli il suo aiuto per uscire dal lago di sangue. –"Andromeda!" –Mormorò, afferrando la mano del fratello.
"Fratello…" -Commentò Andromeda. –"Perdonami… ma devo ucciderti!" –E lanciò la Catena a Triangolo contro di lui, trapassandolo in pieno viso.
"Andromedaaaa!!!" –Urlò Phoenix, ricadendo a terra, mentre Andromeda riprendeva la forma del predatore di anime, il Generale Lemuri. Insieme, Kanon e Saga scagliarono l’Esplosione Galattica eliminando i resti di Phoenix dal mondo.
"Ecco!" –Commentò Virgo infine. –"Adesso sei morto! E non è stata una fine gloriosa la tua, ma violenta e sanguinaria, come quelle che hai impartito ai tuoi avversari, uccidendoli senza rispetto!"
Phoenix si risvegliò poco dopo, accorgendosi di non avere più un corpo. Di non essere niente più che aria in un cielo senza fine. Tentò di urlare ma non aveva più voce. Era prigioniero, e solo, in un limbo senza fine, spettatore forzato di un film che mai avrebbe voluto vedere nuovamente.
Di fronte a lui, incapace di chiudere gli occhi, non avendoli più, incapace di voltare il capo, non possedendo più una testa, scorrevano le immagini della sua vita, una vita fatta di violenza e morte.
"Basta! Basta!!!" –Tentò di urlare Phoenix, ma le parole gli morirono in bocca, mentre Eaco, Giudice Infernale, lo bacchettava, spiegando che quello era il Giudizio Divino.
E continuamente quelle scene scorrevano di fronte a lui, incapace di cancellarle. Nuovamente si trovava sulla Regina Nera, nuovamente veniva massacrato da Guilty, prima che il suo pugno uccidesse Esmeralda. Quindi, tronfio e pieno di gloria, il Cavaliere dell’Oscura Fenice guidava l’assalto al Palazzo dei Tornei, al comando di un battaglione di Cavalieri Neri, che si lasciava andare alle più oscene efferatezze.
E più Phoenix cercava di cambiare, di dimenticare quei ricordi, più essi parevano riemergere dal suo animo, incapace di trovare qualcos’altro, di positivo, di migliore, che avesse fatto in vita, se non portare la morte. Per un momento, un dubbio lo colse, portandolo a pensare che forse non aveva fatto altro. Che forse non c’erano momenti belli a cui fare riferimento, ricordi felici a cui attingere nelle sue sere nere, essendo la sua vita stata fatta soltanto di dolore e morte.
"Accetta questo, Phoenix!" –Risuonò una voce nella sua testa. –"Accettalo e sarai finalmente te stesso!"
"Maestro…" –Balbettò il ragazzo, riconoscendo l’uomo con la maschera incamminarsi verso di lui.
Qualche passo ancora, quindi Guilty si fermò, a torso nudo come sempre, mentre vulcani esplodevano dietro di lui. Lentamente l’uomo si tolse la maschera, mostrando il volto che Phoenix non aveva mai visto, ma che era l’unico che avrebbe ritenuto avesse. Il suo.
"Nooo!!!" –Urlò Phoenix, cercando di cambiare visione. Ma non ci riuscì, e si ritrovò coperto dalla maschera di Guilty, mentre oscure ombre si agitavano intorno a lui. Le ombre dei suoi rimorsi.
Infine la visione cambiò di nuovo, e Phoenix si ritrovò a vagare sull’Isola della Regina nera; ma non era più un bambino, adesso era un ragazzo di diciassette anni, morto. Ucciso dai Cavalieri che aveva privato della vita e che erano ritornati per vendicarsi. Lentamente, Phoenix si incamminò verso un lago di sangue, intorno al quale erano riuniti tutti i Cavalieri che aveva affrontato, Alcor e Virgo esclusi, non essendo effettivamente morti. E in mezzo a loro, si ergeva solitaria Esmeralda, con le mani giunte e il suo bellissimo sorriso.
"Esmeraldaaa!!!" –Urlò il ragazzo, correndo verso di lei. Ma la ragazza lo fermò, nonostante Guilty e gli altri Cavalieri lo incitassero a raggiungerli, e la sua voce, candida ed eterea, sovrastò tutte le altre.
"È ora di andare, Phoenix!" –Esclamò, mentre le figure intorno a lei si facevano sempre più sfuocate. –"Non è ancora tempo per te!"
"Esmeralda..." –Mormorò Phoenix, allungando una mano, ma anche la sagoma della ragazza parve sfumare sempre di più.
"Devi vivere, Phoenix! Vivere per chi ti ama, vivere per chi crede in te, vivere per chi lotta ogni giorno per la libertà! C’è del buono a questo mondo, e tu lo sai!" –E con quest’ultima frase, la ragazza scomparve, risucchiata da un turbinoso vortice, insieme alle ombre dei Cavalieri che prima erano con lei, lasciando soltanto il vuoto intorno a Phoenix.
"È ora di andare, Phoenix!" – Ripeterono Gemini e Kanon, con un sorriso, prima di scomparire a loro volta. –"È ora di vivere!"
Incredibilmente Phoenix trovò la forza per stringere un pugno e si accorse di essere di nuovo lui, di essere nuovamente il Cavaliere di Atena, ricoperto dalle scintillanti vestigia della Fenice. Sì! Commentò, bruciando il cosmo. È ora di andare! Nuove battaglie mi aspettano, nuove persone a cui prestare il mio aiuto! Sono Phoenix, il Cavaliere della Speranza, e anche se un giorno sbagliai a sostituire la bontà con l’odio, accecato di rabbia e di dolore, niente ha mai potuto offuscare il mio vero io, la mia vera natura; quella di un Cavaliere votato ad Atena, votato alla giustizia. Un ragazzo che compie errori, certo, ma che trova la forza di rialzarsi e andare avanti!
Pochi secondi dopo l’ultima confusa visione di Phoenix scomparve e il ragazzo aprì gli occhi, fissando il soffitto sopra di lui. Stordito, il Cavaliere si tirò su, scoprendo di essere su un lettino in un luogo sconosciuto di fronte agli occhi speranzosi di Castalia e di un uomo dai capelli brizzolati.