CAPITOLO VENTESIMO: ESITAZIONI IMPERDONABILI.

Il Grande Tempio era sotto attacco, percorso in lungo e in largo da schiere di Guerrieri Egizi armati delle loro spade capaci di sprigionare violenti raggi calorifici. I soldati semplici di Athena si lanciarono contro i loro avversari, ben sapendo di essere in inferiorità qualitativa, non disponendo di armi particolari con cui fronteggiare quei mortali raggi di energia rovente. Ma era loro dovere proteggere il Santuario della Dea Guerriera e le migliaia e migliaia di persone che in quei giorni vi si erano radunate per assistere ai Giochi Panatenaici.

Koroibos stava facendo il possibile, per evacuare l’ippodromo e per proteggere la folla impaurita, che presa dal panico stava fuggendo in molteplici direzioni, rendendo ancora più ardua quella disperata difesa. I Cavalieri d’Argento erano corsi subito al Cancello Principale e Koroibos era rimasto da solo, insieme ad un centinaio di soldati semplici che era riuscito a riunire, e adesso stava dando loro indicazioni.

"Nient’altro posso dirvi!" –Eslcamò Koroibos, sfoderando una magnifica spada. –"Che sarà un onore combattere e morire insieme ad uomini valorosi come voi, uomini disposti a guardare la morte in faccia, pur di non venir meno ai loro ideali!"

In quel momento un gruppetto di Guerrieri Egizi balzò nell’ippodromo, lanciando violenti fendenti di energia rovente, mentre la folla urlante si disperdeva, venendo massacrata dai loro mortali raggi. Koroibos infiammò gli animi dei soldati greci, lanciandosi per primo contro gli invasori, brandendo la sua lama, presto seguito dagli altri difensori del Grande Tempio.

Il grande campione greco, che Sion aveva scelto per curare l’organizzazione dei Giochi Panatenaici, non era un Cavaliere, né disponeva di particolari poteri cosmici, ma aveva un fisico perfetto, che aveva creato lui stesso, modellandolo per tutti gli anni della sua gioventù. Era veloce e scattante, capace di scivolare sotto le gambe dei propri avversari, e ferirli dal basso con un colpo secco di lama. Aveva sensi ben affilati, riflessi svelti come quelli di un felino, che gli consentirono di evitare i raggi di energia che i Guerrieri Egizi gli rivolgevano contro. Ma non aveva difese, soltanto una misera cotta di bronzo e cuoio, che i Cavalieri usavano durante il loro addestramento. Ma egli ormai ne aveva fatto la sua seconda pelle.

"Non è poi così difficile!" – Mormorò, evitando l’affondo di un Guerriero e saltando sopra di lui. –"Basta solo evitare di farsi colpire!" –Ironizzò, falciando il suo nemico alle gambe, in modo da farlo accasciare al suolo.

Un raggio energetico colpì il terreno vicino a lui, scaraventandolo indietro e facendogli perdere la presa della sua spada. Un secondo raggio lo ferì di striscio ad una spalla, liquefacendo la sua cotta protettiva e lasciandolo solo alla mercè di una coppia di Guerrieri Egizi, con le lame incandescenti puntate verso di lui. I due africani caricarono le loro armi ma i raggi di energia non raggiunsero Koroibos, che venne spinto via da un ragazzo e fatto rotolare sul terreno per qualche metro, fuori dal raggio di azione degli Egizi.

"Prendi questo!" –Gli disse una decisa voce maschile, porgendogli un pugnale. –"Che tu possa aver maggior fortuna del suo precedente possessore!"

"Ascanio!" –Mormorò Koroibos, riconoscendo il giovane dal fisico piazzato e dai capelli rasati che aveva combattuto poche ore prima nella sfida di pancrazio.

"Siamo in minoranza!" –Esclamò Ascanio, mentre Tebaldo si gettava sui due soldati egizi, armato di una lancia. –"Ma non ci fermeremo certamente per una sciocchezza simile!" – E si lanciò avanti, per aiutare il compagno contro i Guerrieri Egizi.

Con una grinta tremenda, Ascanio piantò una lancia in pieno petto ad un Guerriero del Sole Nero, trapassandolo e sollevandolo, prima di scaraventarlo addosso al suo compare. Ma altri avversari furono presto su di loro, dirigendo i violenti raggi energetici delle Spade del Sole sui due giovani senza alcuna protezione.

Koroibos gridò loro di spostarsi, ma anch’egli fu costretto a fronteggiare l’assalto di un gruppetto di Guerrieri Egizi. Con notevole sforzo, saltando da un punto all’altro del terreno, Koroibos riuscì ad evitare di essere colpito direttamente, ma quando tirò un’occhiata attorno a sé non poté trattenere un moto di sgomento nell’osservare la triste scena: decine e decine di cadaveri di soldati semplici del Grande Tempio, e di semplici visitatori, trucidati dai Guerrieri Egizi. I loro corpi erano arsi, quasi carbonizzati, dai mortiferi raggi energetici delle Spade del Sole.

Distratto dai suoi pensieri, Koroibos non si avvide di un Guerriero che si portò dietro di lui, e lo colpì con un bastone sulla nuca, facendolo accasciare a terra, mentre altri suoi compagni avevano circondato Ascanio e Tebaldo, ormai allo stremo delle loro forze. I Guerrieri Egizi puntarono i raggi contro i due ragazzi, ma improvvisamente si ritrovarono tutti avvolti in strani fili bianchi, leggeri ma altamente resistenti.

"Ehi?! Ma che succede?! Cosa sono questi fili che ci avvolgono?" –Gridarono i Guerrieri Egizi, venendo stritolati da quella presa mortale.

"Stringer Fine!" –Esclamò una voce, mentre un turbinio di fiori delicati roteava nell’aria, avvolgendosi intorno ai fili che stritolarono i corpi impotenti dei Guerrieri Egizi. Su tutto dominava una lenta melodia, una canzone suonata da esperte dita che pizzicavano con abilità le corde di un’arpa d’argento.

Pochi attimi dopo i corpi dei Guerrieri Egizi, dilaniati nel profondo, si schiantarono a terra, mentre un Cavaliere d’Argento, dalla bianca armatura, si avvicinava ai due ragazzi e a Koroibos per sincerarsi delle loro condizioni.

"Perdonatemi se ho tardato, maestro!" –Esordì Orfeo, aiutando l’uomo a rimettersi in piedi. –"Ma ho perso tempo a condurre Euridice e molte persone al sicuro, nelle grotte sul versante interno della Collina!"

"Il tempo trascorso ad aiutare gli altri, soprattutto a salvare innocenti, non è mai perso, Orfeo!" –Sorrise Koroibos, ringraziando il giovane per il suo aiuto.

Gli era affezionato a quel ragazzo, avendo curato il suo addestramento fisico per sei lunghi anni, avendogli insegnato a sviluppare i propri muscoli e i rudimenti basilari della ginnastica, per consentirgli di competere alla pari con altri avversari. Ma per tutto quel tempo, Koroibos non aveva mai smesso di ripetere a se stesso che quel ragazzo, dallo sguardo perso negli occhi dell’amata, non era adatto per fare il Cavaliere. Troppo coinvolto, troppo innamorato, di Euridice e della musica, per diventare un guerriero.

"Essere un Cavaliere di Athena richiede pazienza e virtù, Orfeo, e la capacità di mantenere il sangue freddo!" –Amava ripetergli Koroibos. –"Sei tu in grado di garantirlo?"

Ma Orfeo riusciva sempre a schivare il discorso, senza rispondere alle domande del maestro, lanciandosi in improvvisate melodie d’arpa che amava suonare per ringraziare l’uomo della sua disponibilità. Sorridendo, Koribos non poteva fare a meno di chiedersi se il potere ipnotico della sua musica non avesse effetto anche su di lui, che non riusciva mai ad arrabbiarsi, né ad essere troppo incisivo.

"Quanti altri?" –Domandò Koroibos. –"Quanti Guerrieri Egizi sono entrati nel Grande Tempio?"

"Orione, Dedalus e Argetti stanno combattendo al Cancello Principale!" –Rispose Orfeo, tendendo i sensi. –"E anche Noesis è impegnato in battaglia! L’infermeria è sotto assedio!"

"Allora è là che correremo a prestare aiuto!" –Esclamò deciso Ascanio, rivolgendosi a Tebaldo.

Afferrarono due lance gettate a terra e corsero via, diretti verso l’ospedale, mentre Koroibos gridava loro di fare attenzione. La tenacia non ti manca, giovane Ascanio! Sorrise Koroibos, prima di voltarsi verso Orfeo, distratto da un’imprevista apparizione: Euridice era infatti comparsa nell’ippodromo e stava correndo verso di lui, spaventata e al tempo stesso felice di rivederlo.

Ascanio e Tebaldo sfrecciarono per le vie del Grande Tempio, prima di incappare in un piccolo gruppetto di Guerrieri Egizi, impegnati in un corpo a corpo contro dei soldati semplici di Atene. Non appena li videro, un africano puntò la sua Spada del Sole verso di loro, mirando all’edificio alle loro spalle. Lo colpì, facendolo franare e rovinare a terra, sopra i due ragazzi, che furono sommersi da detriti e macerie.

Quando Ascanio riuscì a liberarsi da tutte quelle pietre che gli erano piovute sopra, ferendolo in più punti, si ritrovò bloccato da un grosso macigno che gli aveva schiacciato le gambe. Tra le nuvolette di polvere attorno, chiamò Tebaldo più volte, ma nessuno sembrò rispondergli. Anche il rumore dello scontro tra i Guerrieri Egizi e i Soldati di Atene era cessato, come se fosse terminato. Ascanio non poté che chiedersi quanto tempo fosse rimasto svenuto sotto quelle macerie.

"Devo.. liberarmi!" –Si disse, facendo forza sulle sue gambe e riuscendo a cacciarle fuori dal mucchio di pietre franate.

"Posso aiutarti?" –Esclamò improvvisamente una voce, facendo voltare il ragazzo di scatto.

Non aveva sentito nessuno avvicinarsi, nessun passo, nessun rumore. Soltanto il limpido suono di una voce cristallina ed eterea, quasi senza tempo. Ascanio sollevò lo sguardo e trattenne un grido di stupore: di fronte a lui c’era un uomo, apparentemente sui trenta/quaranta anni, alto e snello, con capelli argentati e vividi occhi lucenti, rivestito da un’Armatura Celeste, che risplendeva luminosa sotto i pallidi raggi dello sbiadito sole di quel giorno.

"Chi… sei?!" –Domandò Ascanio, certo che l’uomo che aveva di fronte non fosse affatto un combattente di Atena.

Questi non rispose, limitandosi ad afferrare il ragazzo per un braccio e a liberarlo dalle macerie, senza mai togliere lo sguardo dai suoi occhi, quasi come per riconoscerlo.

"Hermes è il mio nome, e sono il Messaggero degli Dei!" –Si presentò l’uomo, mentre le ali celesti fissate sul retro della sua Armatura si dispiegarono, risplendendo luminose. –"E sono venuto a prenderti, giovane Ascanio, per permetterti di seguire il tuo destino!"

"Il mio destino?!" –Balbettò Ascanio, incredulo e titubante.

"C’è qualcuno che desidera conferire con te immediatamente, per affidarti un prestigioso incarico! E, parola mia, non è il tipo di persona a cui poter rifiutare un incontro!" –Esclamò Hermes, con voce decisa ma sorridente.

"Ma io… non posso venire.. e Tebaldo? E l’assalto al Grande Tempio?" –Balbettò confuso il ragazzo.

"Questa guerra non ti appartiene, giovane Ascanio! È nel tuo destino non prendervi parte, per seguire una diversa strada, che ti permetterà di innalzarti e trovare quella soddisfazione che in vita ti è stata negata fino ad oggi!"

Ascanio esitò ancora un momento. C’era qualcosa, nelle parole di Hermes, che lo colpiva nel profondo, qualcosa capace di risvegliare un lato nascosto rimasto dentro al suo cuore per anni, un istinto di eternità che lo riteneva capace di imprese maggiori, che non diventare un semplice Cavaliere di Athena. Ciò nonostante era restio ad abbandonare il suo compagno, e i Cavalieri impegnati in battaglia.

E in quel momento parve udire dentro di sé parole che non aveva udito in precedenza, che parevano confermare quanto aveva inconsciamente sempre creduto.

"La tua strada è altrove, ragazzo mio!" –Aveva mormorato il Vecchio Maestro, lasciandolo libero di partire, e di scegliere il suo cammino.

Che sia questo l’altrove? Si domandò Ascanio, allungando una mano verso Hermes, sospeso in volo sopra di lui. E non appena il Messaggero degli Dei afferrò il suo braccio, un lampo di luce esplose, rischiarando la strada interna del Grande Tempio e nascondendo la loro scomparsa. Non passò neppure un secondo che i due uomini erano già sull’Olimpo.

***

Nel frattempo Orfeo era rimasto estasiato dall’apparizione della sua amata Euridice, e al tempo stesso preoccupato poiché era convinto che fosse al sicuro, riparata insieme alle altre persone nelle grotte sul versante interno del Grande Tempio. Le corse incontro, mentre Koroibos si guardava intorno sgomento, osservando il triste sfacelo di quel giorno, la triste aria di morte che spirava dall’Egitto e che aveva lasciato sul campo un centinaio di caduti almeno, tra Guerrieri Egizi, soldati di Atene e semplici visitatori del Santuario.

"Euridice!" –Gridò Orfeo, raggiungendo l’amata e cingendola tra le sue braccia. –"Perché sei qua? È pericoloso! Dovevi rimanere nella grotta al sicuro!"

"Non potevo rimanere lontana da te!" –Gli sussurrò lei, con voce candida e suadente. E lo tirò a sé, baciandolo improvvisamente sulla bocca.

Koroibos, poco distante, storse un po’ il naso, ritenendo fuori luogo, in un frangente simile, una tale manifestazione di passione. Fece per voltarsi ma qualcosa attirò il suo sguardo. Euridice stringeva infatti nella mano destra un affilato gladio e cercò di conficcarlo, con tutta la forza che aveva in corpo, nell’addome di Orfeo.

"Orfeo!!! Attento!!!" –Gridò Koroibos, avvisando il giovane, che riuscì a spostarsi di lato, facendo sì che il pugnale scheggiasse soltanto la sua corazza d’argento, senza riportare grosse ferite.

"Euridice! Ma che stai facendo?!" –Le gridò Orfeo, sconvolto.

Ma la ragazza non rispose, tentando nuovamente di ferire il Cavaliere di Atena. Con un brusco movimento, si liberò della presa del giovane, e falciò il suo braccio sinistro, proprio sotto il coprispalla, facendo schizzar fuori del sangue. Orfeo, stringendo i denti per il dolore, cercò di bloccare i movimenti della ragazza, afferrandole il polso e lasciando cadere il pugnale a terra. Sconvolto e incapace di comprendere.

"Euridice?!" –Ripeté Orfeo, quasi con le lacrime agli occhi.

"Ho fatto un patto, Orfeo!" –Esclamò la ragazza. –"Un patto che permetterà a me e alla gente comune di essere libera! Dare agli Dei Egizi la tua vita, il tuo sangue, affinché essi possano nutrirsi! Ed avere in cambio la libertà!"

"Euridice… tu…" –Gridò Orfeo, mentre rivoli di lacrime amare gli rigavano il viso, amare figlie del disincanto. –"Mi hai… venduto?"

"Cos’è in fondo un uomo, cos’è un amore, in confronto alla libertà?" –Mormorò Euridice, abbassando gli occhi. –"Il veleno di cui era intrisa questa lama sta facendo effetto! Tra pochi minuti cadrai a terra, debole e incapace di rialzarti, e io avrò la mia libertà!"

"Io… non ci credoo!" –Gridò Orfeo, avanzando barcollando verso la ragazza. La vista iniziò ad annebbiarsi, e i muscoli gli dolevano sempre di più, rendendo ogni passo un’agonia. –"Non puoi avermi abbandonato! Non tu!"

"Credici invece, e accetta il fato! Hai sempre creduto che non esistesse niente che valesse più del nostro amore? Bene, adesso hai avuto la prova che ti sbagliavi!" –Queste dure parole furono le ultime che Orfeo udì, pronunciate dall’unica persona al mondo da cui mai avrebbe creduto di sentirle.

Si accasciò a terra, tastandosi il braccio dolorante, mentre la sua arpa cadeva vicino a lui, e tutto iniziò a scomparire davanti ai suoi occhi. I prati fioriti, le corse tra i campi, le canzoni, le poesie dedicate al suo amore, tutto sembrò soltanto un ricordo lontano. Uno sbiadito ricordo di cui adesso non rimaneva niente.

Forse il dolore alla spalla sarebbe stato superabile, per un Cavaliere della sua portata, ma la lama che lo aveva raggiunto in profondità non aveva ferito le sue carni, ma il suo spirito, uccidendolo e facendolo a pezzi. In pochi istanti Orfeo vide la sua intera esistenza andare in frantumi, come un cristallo dissolto in mille frammenti, vide tutto ciò in cui aveva sempre creduto, tutto ciò per cui aveva sempre combattuto e vissuto venire meno. E non trovò la forza di rialzarsi, e di lottare, perché sentiva che ormai, persa Euridice, perso il suo amore, persa la sua vita, non vi era altro per cui valesse la pena lottare.

Euridice non si curò troppo del Cavaliere d’Argento, lasciandolo a languire sul terreno, dilaniato dall’amara realtà che aveva azzannato il suo spirito emotivo. Ma Koroibos, che aveva seguito l’intera vicenda, non poté che correre verso Orfeo, per sostenerlo, per incitarlo a reagire, a non lasciarsi abbattere.

"Abbiamo bisogno di te, Orfeo! Alzati, ragazzo mio! Alzati, amico mio!" –Cercò di scuoterlo Koroibos, con gli occhi lucidi, di dolore e dispiacere, nel vedere il volto sempre sorridente del ragazzo sbiadire in una lenta agonia.

"Lascialo al suo destino!" –Lo spinse bruscamente via Euridice, lasciando cadere Orfeo a terra come un peso morto. –"O vuoi fare la sua stessa fine?"

"Euridice!" –Gridò Koroibos, rialzandosi adirato. –"Cos’è successo? A cosa è dovuto questo cambiamento? Come hai potuto ferire Orfeo, proprio tu, che a lui sei legata nelle stelle?"


"Umpf…" –Ironizzò la ragazza, con un ghigno perverso. –"È ben per questo che l’ho scelto!"

Koroibos storse il viso, rimuginando straniato sulle parole della ragazza, che ormai, davanti ai suoi occhi angosciati, non gli sembrava neppure più lei. No, si disse Koroibos, questa non può essere Euridice, la dolce fanciulla che ha consacrato la vita all’amore! A Orfeo!

Prima di avere il tempo per altre supposizioni, Koroibos fu costretto a scansarsi, per evitare un affondo diretto di Euridice, che con il pugnale nella mano destra si era lanciata verso di lui, mirando al suo cuore. L’allenatore riuscì a schivarla, ma ella si volse subito verso di lui, per colpirlo nuovamente e un’altra volta ancora, decisa, determinata, cattiva, guidata da un istinto felino che la faceva ringhiare di malvagità.

Con un’abile mossa, Koroibos si portò dietro alla ragazza, bloccandole le braccia con le proprie e stringendola a sé, nel tentativo di calmarla. Era ancora sconvolto, era ancora confuso, per capire cosa fare, per capire come comportarsi. Per capire cosa avrebbe dovuto fare di lei. Euridice lo sorprese nuovamente, scagliando un violento calcio tra le gambe dell’uomo, che lo fece accasciare a terra, permettendole di liberarsi dalla sua presa e gettarsi su di lui, conficcandogli il pugnale all’altezza della spalla destra.

"Aaargh!" –Gridò Koroibos, mentre l’avvelenata lama entrava dentro di lui, con una violenza tale da spaccargli un paio di ossa.

"Muori anche tu!" –Ghignò Euridice, balzando indietro, a contemplare il delizioso spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi. Sollevò il gladio avvelenato, ancora intinto del sangue di Orfeo e di Koroibos, quindi lo portò davanti al suo viso leccandolo avidamente, pulendolo fino a farlo splendere nuovamente, saziandosi di quel sapore che tanto la inebriava.

"Chi… sei?" –Trovò la forza per mormorare Koroibos, accasciato a terra, mentre sangue usciva copioso dalla sua ferita.

"Euridice!" –Sibilò la figura, prima di esplodere in una risata isterica. Una risata fragorosa, quasi satanica, che fece rabbrividire Koroibos, i cui sensi si andavano lentamente spegnendo. –"Euridice!!!" –Gridò nuovamente la figura, saltando in alto, pazzamente felice, freneticamente isterica.

Koroibos rimase a guardarla per qualche secondo, tamponandosi la spalla sanguinante con una mano, prima di tentare di rimettersi in piedi. E allora, con gli ultimi frammenti di vista, egli la vide trasmutarsi. Le linee delicate e gentili di Euridice cambiarono, lasciando il posto ad un’orrida figura, per metà umana e per metà animalesca. Una sghignazzante risata accompagnò la sua trasformazione, la rivelazione del suo vero aspetto.

"Ghoul! Così mi ha chiamato il Dio Seth, tentando di ricreare in laboratorio i poteri del demone del deserto!" –Si presentò l’orrida figura.

"Ghoul?!" –Mormorò Koroibos tra sé. –"È una figura del folklore arabo, un demone mutaforma che vive nel deserto, capace di assumere la forma e le sembianze di altri animali e persone. Dissacra le tombe e si nutre della carne dei morti o dei bambini piccoli!"

"Precisamente! Ma l’esperimento è risultato imperfetto e i miei poteri di trasformazione sono limitati nel tempo! Per questo devo cibarmi di sangue, del caldo sangue delle mie vittime, per aumentare i miei poteri e permettermi di trasmutarmi ulteriormente!"

"Dea Athena!" –Mormorò Koroibos, disgustato. –"È orribile!"

"Ssssh!" –Sibilò il demone, dall’aspetto simile a quello di una iena umanizzata. –"Sentirai sulla tua pelle quanto tutto ciò è orribile!" –Esclamò, gettandosi su di lui.

Il Ghoul afferrò Koroibos sbattendolo a terra e si avvinghiò al suo corpo, mentre l’uomo si dibatteva selvaggiamente, cercando di mandarlo via, ma la ferita alla spalla gli pesava eccessivamente, rendendolo debole e raggiungibile. Bastò un colpo secco, dei suoi affilati canini, e Ghoul affondò nel corpo dell’allenatore, iniziando ad assaporare il suo sangue, la sua linfa vitale che tanta energia gli forniva.

"La.. lasciamiii!" –Gridò Koroibos, cercando di scacciar via il demone, ma era bloccato al suolo, paralizzato dal veleno e dal peso del suo avversario, che sembrava intenzionato a prosciugarlo. Le forze lo stavano lentamente abbandonando e il malvagio potere del Ghoul mirava ad assorbire la sua stessa essenza vitale.

Improvvisamente sottili fili, bianchi come la nevi, ma enormemente più resistenti, si intrufolarono sinuosi tra i corpi dei due contendenti, avvolgendo Ghoul e strappandolo via dal corpo di Koroibos, con un movimento brusco e deciso. Il demone sibilò qualcosa, ma non riuscì ad impedire al groviglio di fili di arrotolarsi intorno a lui, fino a bloccare ogni suo movimento. Non ebbe bisogno di voltarsi per vedere l’artefice di quella sua momentanea prigionia.

"Orfeo!!!" –Gridò Koroibos, accasciandosi sulle ginocchia. –"Ti sei salvato allora?"


"Sì, maestro!" –Esclamò il Cavaliere d’Argento, avvicinandosi all’uomo. –"Non è stato facile! Ma ho trovato la forza per reagire! E lo devo a voi, ai vostri insegnamenti!"

In quei momenti in cui era rimasto a terra, sentendo tutto il peso della sua vita passata opprimerlo e schiacciarlo violentemente, quasi a sbattergli in faccia l’aver sbagliato tutto, l’aver creduto in un sogno che alla fine si era rivelato tale, privo di ogni realtà, aveva sentito una voce da lontano. Flebile, certamente, ma sincera. Una voce che veniva dagli anni del suo addestramento, dagli anni in cui Koroibos aveva cercato di fare di lui un combattente di Athena, lavorando sul suo fisico longilineo, e mirando ad inculcargli poche lezioni di vita. Tra tutte, lottare per un sogno era la più importante. Dimostrare tenacia e stringere i denti in vista di un obiettivo.

Orfeo aveva sempre creduto che la sua vita fosse consacrata ad Euridice, per questo quando lei lo aveva colpito, ferendolo e aggiungendo acide parole cariche di disprezzo e crudezza, era stato sconfitto. Perché le speranze di una vita intera gli erano sembrate soltanto illusioni. E Ghoul, che poteva carpire i sentimenti delle sue vittime, aveva scelto le parole migliori, per ferire Orfeo nel profondo.

Ma c’era qualcosa che Ghoul non aveva previsto, qualcosa che andava aldilà di ogni razionalità e forse di ogni sentimento. Orfeo non riusciva a credere che quelle parole potessero provenire da Euridice: la amava troppo per credere che fosse stato il suo cuore a parlare. La amava troppo o semplicemente non avrebbe mai voluto udirle. Facendo appello alla sua forza interiore, al cosmo sopito dentro sé, che raramente mostrava, Orfeo si era rialzato e la mostruosità del suo avversario si era palesata di fronte a lui.

"Pagherai per quello che hai fatto, mostro!" –Esclamò Orfeo, la cui voce era per la prima volta irata e non pacata. –"Infangare in questo modo i sentimenti puri della mia Euridice, del nostro amore! Pagherai, demone!" –E iniziò a suonare una melodia per il demone intrappolato, stringendo le corde della cetra ed emanando violente scariche di energia.

"Tu credi?" –Sibilò Ghoul, prima che le sue forme iniziassero a mutare. In un attimo la dolce ed esile sagoma di Euridice apparve all’interno di quella ragnatela straziante, di quel labirinto di fili che la stava dilaniando nel profondo. –"Orfeo! Amore! Aiutami! Portami via dalla guerra! Portami a casa! Alla nostra casa!" –Esclamò, con quella delicata voce che Orfeo amava sentire dentro di sé.

Il Cavaliere d’Argento ebbe momentaneamente un balzo, troppo innamorato di lei, troppo coinvolto, anche solo nella sua immagine, per comprendere che si trattava nuovamente di un inganno. Allentò la presa per pochi secondi, allontanando le dita dall’arpa, mentre le grida di Koroibos lo chiamavano a gran voce.

"No! Orfeo! Non cadere nel suo inganno!" –Gli gridò il maestro. Ma era troppo tardi.

Con un movimento brusco e determinato, Ghoul tagliò i fili che lo imprigionavano con il gladio che ancora stringeva in mano, sgusciando fuori come un felino dalla sua prigionia e avventandosi sul debole corpo dell’allenatore. Gli fu sopra e lo sbatté a terra, piantando il gladio in mezzo al suo petto, prima di affondare i suoi orribili canini da iena dentro di lui, per saziarsi di quella preziosa linfa.

Orfeo solo allora si riscosse, maledicendosi mille volte per la sua cecità, per la sua debolezza. Per le sue imperdonabili esitazioni. Bastò un tocco di dita, alla sua cetra argentea, per sollevare Ghoul da terra, per scaraventarlo in alto, avvolto in un turbine di fiori e di energia. Lo Stringer Nocturne di Orfeo lo fece schiantare a terra poco distante, senza vita.

"Maestro! Maestro!" –Gridò in lacrime Orfeo, correndo dall’allenatore. –"Perdonatemi maestro! Perdonatemi!" –E si chinò su di lui, per sorreggerlo. –"Vi ho condannato… vi ho ucciso! Perdonatemiii…" –Singhiozzi mostruosi gli dilaniarono il cuore alla vista dello sguardo spento dell’uomo sprofondare in un limbo eterno e senza ritorno.

"Non… non devi rimproverarti, ragazzo mio! Non sono in collera con te!" –Mormorò Koroibos, e Orfeo parve quasi di udire tali parole dentro di sé. –"Hai seguito il tuo cuore… Avrei voluto farlo anch’io anni fa! Ma ho scelto il dovere! Stai… stai attento… o l’amore.. un giorno… ti perderà!" –E nient’altro aggiunse, spegnendosi tra le braccia di uno dei tanti allievi che aveva addestrato nel corso degli anni, l’unico che veramente gli era rimasto nel cuore.