CAPITOLO TRENTADUEESIMO. FOLLE LOTTA.
Andromeda seguì Pan, Dio delle Greggi e delle Selve, che lo aveva afferrato per mano e trascinato nel cuore del bosco, continuando a suonare il suo flauto di canne, saltellando allegramente. Il Dio caprino lo aveva pregato di andargli dietro, essendo desiderio del suo Signore incontrarsi con lui.
"Chi è il tuo Signore?" –Aveva domandato Andromeda, lasciandosi trascinare da Pan. –"Zeus?"
"Oh no! Zeus è il Signore di tutto, qua sull’Olimpo! Ma il Dio a cui appartengo e a cui sono devoto è un altro, uno dei figli che Zeus ebbe dalle diverse spose divine! Beh, per la verità il suo parto fu molto, molto particolare!" –Aveva ridacchiato Pan, continuando a trascinare Andromeda.
La strana coppia si era lasciata alle spalle la Foresta di Artemide, costeggiando un ampio bosco di lauri che correva alla loro destra, descritto da Pan come il bosco dietro al Tempio del Sole, antica residenza del Dio Apollo. Ci stiamo allontanando dalla Via Principale! Commentò Andromeda, cercando di orientarsi alla meno peggio. E infatti il luogo in cui Pan stava conducendo il ragazzo si trovava al limite occidentale dell’Olimpo, proprio a ridosso di un ampio rilievo che costituiva la vera cima del Sacro Monte, sulla quale sorgeva la Reggia di Zeus.
Ben presto il bosco iniziò a diradare, lasciando il posto ad ampi filari di vite, lavorati abilmente e con sistematicità, al punto da stupire Andromeda per la grandezza di quelle coltivazioni, che sembravano immensi archi che puntavano verso il cielo grigio. In mezzo ai filari di vite trottavano allegramente strani esseri simili a Pan, dall’aspetto caprino; alcuni di loro coglievano l’uva matura, mentre altri si sollazzavano al suolo, rotolandosi sul terreno e gustando i frutti appena raccolti, in compagnia di prosperose fanciulle, vestite soltanto con pelli di animali e cinte di edera.
"Quelle sono le baccanti, le donne che praticano il culto di Dioniso!" –Le presentò Pan, salutando qualcuna di loro, che risposero con un sorriso gaio. –"Mentre i mezz’uomini in loro compagnia, se così possiamo definirci, sono i satiri!"
"Dioniso…" –Disse Andromeda, realizzando chi fosse la Divinità che aveva chiesto di incontrarlo.
"Lo vedrai tra poco! Guarda!" –Esclamò Pan, indicando avanti.
Il terreno digradava leggermente, fino a condurre a un bacino di acqua lacustre, dove alcune menadi si bagnavano nude, scherzando sotto l’acqua che cadeva dalla roccia sopra di loro, una cascata naturale che contribuiva a potenziare l’atmosfera mitica di quel luogo senza tempo. Incredibile! Disse Andromeda, guardandosi intorno. Sembra che qua il tempo non scorra, che non abbia importanza! Vendemmia in primavera! Uomini e donne sempre giovani! È il paradiso terrestre!
"Pan! Finalmente sei tornato!" –Esclamò una decisa voce maschile.
Andromeda si voltò e finalmente si trovò di fronte al virgulto Dio della Natura Selvaggia, del Vino e dell’Ebbrezza, Dioniso, figlio di Zeus e Semele, che morì partorendolo e dal cui corpo fu estratto dal padre. Il Dio si presentò indossando una leggera, quanto semplice, tunica biancastra, fermata in vita da una cintura di foglie di vite, la quale era molto larga e lunga, al punto da strusciare in terra. Fisicamente non era molto alto, di aspetto tozzo e paffuto, con un viso tondo e guance rosse, al centro del quale spuntavano due occhi verdastri. Spettinati capelli marroni spuntavano dalla corona vegetale che portava sul capo, formata intrecciando foglie di vite e grappoli di uva.
Dietro di lui venivano una decina di baccanti e di satiri, che tenevano disordinatamente il lungo mantello rossastro del Dio, e canticchiavano strofe di qualche poema sconcio.
"Tacete, voi!" – Li zittì Dioniso, prima di incamminarsi verso il suo trono. Un panchetto ricoperto di velluto sul quale il Dio si distese, mentre alcune baccanti gli porgevano profumati grappoli di uva appena colta. –"Dunque sei tu, il Cavaliere di Andromeda!" –"Commentò infine, rivolgendosi al ragazzo, sempre più straniato nel trovarsi in una situazione simile. –"L’uomo che è riuscito a rigettare Ade dal suo corpo, grazie all’aiuto divino di Atena!"
"Sì, Dio dell’Ebbrezza, sono io, Andromeda!"
"Bravo ragazzo!" –Si complimentò il Dio, mordicchiando alcuni acini d’uva. –"Hai fatto bene, sai? Ade non mi è mai piaciuto tanto. Per quanto sia il fratello del Sommo Zeus, nonché del mio creatore, Ade mi riesce veramente difficile capirlo! Distruggere la Terra, isterilendola, creando un secondo Inferno?! Follie!!!" –Tuonò, cambiando l’espressione del suo volto, che si fece irata, prima di rabbonirsi nuovamente. –"Distruggere i verdeggianti campi coltivati, capaci di offrire molto più di quanto un Dio possa creare?! Follia! E ti assicuro che di follia me ne intendo!"
Andromeda ascoltava con interesse, ma anche con un certo timore, preoccupato per quei continui sbalzi di umore, sperando che Dioniso si rivelasse un alleato o comunque non un ostacolo nella sua scalata all’Olimpo.
"Pensa che nelle ore in cui Ade scatenò la Grande Eclissi, i miei raccolti hanno rischiato di non produrre le abbondanti messi che invece mi hanno offerto! Tutto merito del mio Divino Cosmo!"
"Divino Dioniso!" –Si fece coraggio Andromeda. –"Sapete che Atena è stata imprigionata da Zeus nella Torre Bianca, non è così?"
"Certamente! Chi non è stato informato di tale evento?!" –Ironizzò il Dio, continuando a mordicchiare un grappolo di uva, senza mostrare tropo interesse o soddisfazione per un tale fatto.
"Come suo Cavaliere, è mio preciso compito arrivare da Zeus e salvarla! Vi prego quindi di non opporre resistenza, in modo da permettermi di proseguire!"
"Resistenza?!" –Esclamò infine Dioniso, mettendosi a sedere. –"Ho forse manifestato resistenza?! Non ho forse inviato il mio fido Pan a recuperarti, salvandoti dalle pericolose insidie della Foresta di Artemide?"
"Non era mia intenzione offenderla, Divino Dioniso... semplicemente…"
"Semplicemente?!" –Chiese il Dio, osservandolo di sottecchi, mentre Pan, in piedi accanto a loro, non osava fiatare.
"Semplicemente ho fretta. Mi preme salvare Atena quanto prima…"
"Ah ah ah!" –Dioniso esplose in una folle risata. –"Se è solo questa la tua preoccupazione, caro ragazzo, allora considerala già risolta! Svelti!" –Esclamò, rivolgendosi ad alcune baccanti. –"Portate cibo e acqua per questo giovane! Che si rifocilli all’istante!"
"Non è il caso, Dio del Vino… Devo raggiungere la Reggia di Zeus quanto prima!"
"E la raggiungerai! Ma non in queste condizioni! Sei stanco e affamato, e devi nutrire il tuo corpo, o verrai sconfitto dai Cavalieri Celesti!"
Immediatamente un gruppo di baccanti imbandì un’elegante tavola nell’erba intorno, ponendovi invitanti piatti dall’aspetto ammaliante e brocche di acqua fresca e di vino, appena prodotto.
"Tieni!" –Esclamò Dioniso, porgendo una coppa dorata al giovane, e tenendone una per sé. –"Brinda con me, ragazzo! C’è un tempo per tutto, e verrà anche quello per salvare la tua Dea!"
Andromeda afferrò la coppa con una certa titubanza, e qualcosa in fondo al cuore gli disse che non avrebbe dovuto bere. Ma quel profumo era così intrigante, quell’odore era così invitante, che il ragazzo ne restò inebriato, quasi drogato, sotto effetto anche di quei misteriosi, ma ammalianti, aromi di cui l’aria era intrisa. Ne bastò un sorso, di quel vino drogato, per far barcollare Andromeda e farlo accasciare al suolo, davanti allo sguardo soddisfatto del Dio del Vino.
"C’è un tempo per tutto, ragazzo!" –Commentò Dioniso, scolando con un solo sorso la sua coppa e gettandola poi via. –"Anche per morire!"
Subito un gruppo di satiri circondò il corpo inerme di Andromeda, spogliandolo delle vestigia e degli abiti che indossava. Qualcuno di loro esclamò estasiato, desiderando possedere quel nobile metallo, quella corazza brillante e resistente, ma qualcun altro preferì possedere il corpo del giovane, vedendolo così naturale, così provocante, nella sua semplicistica nudità.
"Portatelo nel vigneto! Che il rito abbia inizio!" –Tuonò Dioniso.
I satiri sollevarono il corpo nudo di Andromeda, portandolo al centro del Vigneto Divino, dove un cerchio di donne e altri satiri li stava attendendo. Pan affiancò Dioniso, continuando a zufolare con il suo flauto a canne, ma il Dio, che non aveva voglia di scherzare, lo colpì con forza sulla bocca, spaccandogli il labbro e spingendolo a terra.
Improvvisamente il cerchio si aprì, lasciando entrare una processione di donne semi-nude, il cui volto era coperto da una maschera, che reggevano in mano il tirso, un bastone ricoperto da pelle di animali, in cima al quale spiccava una maschera, coronata da edera e pampini.
"Ooh, mie menadi! Mie invasate!" –Urlò Dioniso, follemente attratto da quel rito, da quel culto in cui veniva fatto oggetto di venerazione, in un’ebbrezza infinita, a tratti mortale. –"Ecco Dioniso, ecco il Dio, prendetelo, e assaporatelo!"
Detto questo, ordinò ai satiri di lanciare il corpo inerme di Andromeda al centro dello spiazzo, mentre le menadi battevano con forza i loro bastoni a terra, prima di sollevarli al cielo, cantando inni di adorazione al Dio. In breve, Andromeda fu circondato da un buon numero di donne, in delirio dionisiaco, che si avvinghiarono con forza al suo corpo, per farlo proprio, come volevano che il Dio fosse per loro. E tutto intorno, nel vigneto e allo stagno, e nei boschi circostanti, satiri e menadi si univano tra di loro, in orgiastici riti in onore al Dio a cui la loro esistenza era votata.
Le mani confuse delle donne, travolte da un’irrefrenabile pazzia, correvano sul corpo di Andromeda, graffiandolo, stringendolo a sé, contendendoselo tra loro, anche con la forza. Soprattutto con la forza. Una donna morse il braccio di un’altra, prima di venir tirata indietro per i capelli e percossa, mentre Dioniso sogghignava, continuando a sorseggiare il delizioso nettare che gli veniva offerto, senza prestare troppa importanza a un leggero vento che aveva iniziato a soffiare, smuovendo i tralci di vite. Riscosso dal torpore in cui era precipitato, Andromeda riprese lentamente i sensi, cercando di comprendere cosa stesse accadendo, ma era ancora troppo drogato per reagire.
"Aaa… Atena..." –Mormorò, provando a liberarsi dall’avvolgente presa delle donne intorno a lui.
Il vento si fece più impetuoso, smuovendo con forza i tralci di vite e facendo svolazzare gli abiti del Dio del Vino, che dovette appoggiarsi a un satiro per non cadere. Questo fu abbastanza per risvegliare completamente Andromeda.
Per quanto debole fosse, il ragazzo si sforzò di reagire, scansando le donne invasate, senza far loro del male, non volendo ferirle, ma si accorse presto di non riuscire a liberarsene. Più le scansava, più queste tornavano da lui, in una delirante caccia dei sensi. Andromeda capì allora che c’era un solo modo per allontanarle. Concentrò il cosmo, facendolo esplodere poco dopo e scaraventandole lontano, mentre la Divina Armatura di Andromeda apparve sopra di lui, ricoprendolo.
"Come osi?" –Tuonò il Dio del Vino, offeso per il rifiuto del giovane di prendere parte al culto sacro. –"Pagherai con la vita per questa insolenza!"
E scagliò un fascio energetico contro Andromeda che fu travolto e spinto indietro, fino a schiantarsi contro dei sostegni che reggevano la vigna, facendoli crollare. Le menadi e i satiri, spaventati e confusi, iniziarono a scappare urlando, nonostante il Dio dell’Ebbrezza ordinasse loro di non allontanarsi.
"Se le donne che ti ho inviato, per procurarti piacere, non sono state di tuo gradimento… forse lo saranno questi uomini!" –Urlò Dioniso, mentre una quindicina di uomini raggiungeva il cerchio.
Costoro erano alti e ben fatti, rivestiti soltanto da una cintura di pelle animale che copriva loro il basso bacino, e avevano il volto coperto da una maschera scura, alla quale erano fissate delle corna, da cui il nome con cui Dioniso li aveva battezzati, i suoi Guerrieri Caprini. Mentre Andromeda si rimetteva in piedi, ancora frastornato, vide arrivare il mucchio di guerrieri contro di lui, alcuni brandendo lame, altri delle fruste, ma tutti intenzionati a ucciderlo. Il ragazzo evitò un paio di affondi e poi, resosi conto che il loro agire era completamente manovrato dall’ebbrezza di Dioniso, decise di reagire, seppur a malincuore. Liberò la Catena di Andromeda e la lanciò avanti, disarmando la maggioranza dei Guerrieri Caprini e travolgendo gli altri, che caddero a terra feriti.
"Rialzatevi!" –Tuonò Dioniso. –"Rialzatevi e uccidete l’uomo che ha offeso il nostro culto!"
Quasi spinti da un’arcana forza, gli uomini si rimisero in piedi, avventandosi nuovamente contro Andromeda, il quale ancora una volta si difese con la catena, scagliandoli indietro. Ma ogni volta che li vedeva rialzarsi, nudi e grondanti sangue, provava un immenso dispiacere nel doverli colpire.
"Dioniso!" –Mormorò il ragazzo. –"Devo arrivare a lui! È lui che ha ubriacato l’anima di costoro!"
Evitando l’affondo della lama di un Guerriero Caprino, Andromeda balzò in alto, usando la catena e arrotolandola ai sostegni rimasti del vigneto. Con rapidità scavalcò i guerrieri, venendo colpito alle gambe di struscio, e si buttò su Dioniso, che lo fissava compiaciuto. Ma non riuscì a raggiungerlo, in quanto il Dio afferrò una manciata di menadi e se le mise davanti, usandole come scudo umano, e osservando, senza dispiacere alcuno, la Catena di Andromeda lacerare i loro corpi.
"Maledizione!" –Urlò Andromeda, atterrando di fronte al Dio, mentre i corpi sanguinanti delle menadi si accasciavano al suolo. –"Dioniso! Combatti con me!"
"Mai!" –Tuonò questi, concentrando il cosmo sulla mano e sopraffacendo le difese di Andromeda.
Il ragazzo ricadde nuovamente a terra, mentre mucchi confusi di Guerrieri Caprini e di menadi si buttarono su di lui, sospinti dalla Divina Ebbrezza di Dioniso, il quale, convinto ormai della vittoria, voltò loro le spalle e si incamminò, sbronzo, verso lo stagno.
In quel momento una nuova folata di vento soffiò impetuosamente, agitando le calme acque del laghetto e sollevando la veste biancastra del Dio, che fu costretto ad appoggiarsi a un traliccio per non cadere. Una seconda folata, dalla forza simile a quella di una tromba d’aria, si abbatté quindi su di lui, travolgendolo e scaraventandolo in alto, fino a farlo precipitare nelle acque dello stagno. Andromeda si liberò dei Guerrieri Caprini e delle menadi facendo esplodere il proprio cosmo, mentre le veloci rotazioni della catena, disposta intorno a lui a forma circolare, impedivano agli invasati uomini di avvicinarsi nuovamente.
Ma anche a me di uscire! Commentò, riflettendo preoccupato. Non lo avrebbero lasciato passare, quello era chiaro! Per quanto la loro volontà fosse annebbiata dai vapori dell’alcol e dal cosmo di Dioniso, quei guerrieri e quelle donne sarebbero morti pur di trattenere il Cavaliere di Atena.
Improvvisamente furono tutti spazzati via da una violenta tempesta che si abbatté sul vigneto, risparmiando incredibilmente Andromeda, che si trovava al centro dello spiazzo. Indebolito e in parte drogato, il ragazzo fu quasi sul punto di lasciarsi cadere a terra, quando gli parve di vedere una mano, ricoperta da una scintillante armatura celeste, avvicinarsi al suo viso, incitandolo ad aggrapparsi ad essa. Non capì neppure lui come accadde, ma pochi istanti dopo si trovò in volo, sopra lo stagno, sopra i vigneti inebrianti di Dioniso, stretto al corpo di un Cavaliere il cui cosmo gli evocava sensazioni conosciute.
"Eccoci a terra!" –Esclamò una decisa voce maschile, depositando Andromeda in mezzo a un gruppo di alberi, un paio di chilometri a est delle terre stagnanti di Dioniso.
Andromeda tentò di rialzarsi, ma ancora troppo debole ricadde a terra, osservando la figura di fronte a sé. Un uomo alto e snello, con un bellissimo viso che emanava un’aura di antica saggezza, gli sorrideva con due occhi grigi e profondi. Indossava un’Armatura Celeste, molto accattivante, sulla cui schiena erano fissate due grandi ali azzurre, le stesse che gli avevano permesso di piombare dall’alto e salvarlo.
"Io... ti conosco! Tu sei Euro, Vento dell’Est, figlio della Dea dell’Aurora!"
"E tu, se la mia memoria non fa scherzi, dovresti essere il Cavaliere di Andromeda!"
"Cosa fai qua? E perché mi hai salvato?" –Domandò Andromeda, stordito dal suo comportamento.
"Avresti preferito rimanere prigioniero di quel pazzo?" –Ironizzò Euro, mentre Andromeda si rimetteva in piedi. –"Sono rimasto finora con Titone, per consolare il suo cuore addolorato dalla morte di mia madre! Povero vecchio… Per quanto sia sempre stato cosciente dell’abisso che c’era tra loro, un mortale e una Dea, quell’uomo l’ha sempre amata, per tutti questi millenni, come la prima volta in cui lei l’aveva visto, a Troia! Credo che il suo vecchio cuore non resisterà a lungo, e se anche fosse risparmiato da questa guerra, la morte lo coglierà comunque!"
"Credevo fosse immortale…" –Mormorò Andromeda.
"Lo è, fisicamente! Ma cosa resta dell’anima di un uomo quando la donna che ha dato un senso alla sua intera esistenza se n’è andata?" –Sospirò Euro. –"Titone è morto con lei!"
Dopo un momento di pausa, Andromeda chiese a Euro se non temesse la collera di Zeus.
"Non ho motivo di temerla! Stavo lasciando l’Olimpo in questo momento, quando ho sentito un cosmo in difficoltà nel Vigneto di Dioniso e, giunto sull’altura sovrastante, ti ho riconosciuto, in difficoltà contro i Guerrieri Caprini! Adesso continuerò il mio viaggio... tornerò in Tracia, dove deporrò la salma di mia madre dando degna sepoltura al suo vecchio, ma sempre splendido, corpo!"
"Non combatterai dunque?"
"Questa guerra non mi appartiene!" –Rispose Euro, spalancando le azzurre ali della Veste Divina. –"E, in tutta onestà, credo che non appartenga neppure a Zeus!"
Sbatté le ali e si sollevò da terra, mentre il suo corpo veniva ricoperto da una celeste aura. Un’aura che, Andromeda poté percepirlo, aveva la stessa intensità di quella di sua madre, Dea dell’Aurora.
"Inoltre…" –Aggiunse, ironicamente. –"Di cosa dovrebbe accusarmi? Di averti salvato la vita?! Ah ah!" –Ridacchiò Euro, ma a Andromeda parve di cogliere una vena di malinconia nella sua voce. –"Non credo che vivrai ancora a lungo, se continuerai questa scalata!"
"Ma devo farlo! Per salvare Atena! E garantire la libertà agli uomini della Terra!"
Euro, in volo sopra di lui, osservò Andromeda negli occhi per qualche interminabile secondo. E dentro sé si convinse di aver fatto la scelta giusta. Sì! Commentò, ricordando la prima impressione che aveva avuto su lui e Pegasus. Esistono ancora eroi disposti a combattere per i propri ideali!
"Che le stelle ti assistano, Cavaliere di Atena!" –Sorrise, prima che lo scintillante bagliore del suo cosmo illuminasse l’intero spiazzo, obbligando Andromeda a tapparsi gli occhi con una mano.
Quando il ragazzo risollevò lo sguardo, Euro era scomparso, lasciandolo solo, ai margini settentrionali del bosco. Grazie! Sorrise Andromeda, prima di proseguire. Sentiva cosmi ardere non molto lontano da lui, cosmi che, per quanto gli sembrava impossibile, riteneva di aver già incontrato. Erano quelli dei Cavalieri d’Oro.
Mur, Scorpio e Virgo infatti, dopo essere riemersi dalle rovine del Tempio dell’Amore, e aver sconfitto a fatica il suo custode, si erano incamminati lungo la strada principale verso la Reggia di Zeus, giungendo fino al Tempio dei Mercanti. Fuori da esso avevano ritrovato un caro amico, che li aveva incitati a procedere oltre, verso il Cancello del Fulmine, l’ultima cintura difensiva prima di entrare nel giardino di Zeus. Là si sarebbe combattuta la battaglia finale, contro l’ultimo gruppo di Cavalieri Celesti posti a difesa del Signore dell’Olimpo.
Quando i tre Cavalieri d’Oro arrivarono di fronte al Cancello del Fulmine, trovarono i loro nemici già pronti per combattere, disposti in fila, uno accanto all’altro, ricoperti dalle loro scintillanti corazze divine, armati di spade, scudi e lance affilate.
Un uomo si fece loro incontro, ed essi intuirono fosse il comandante. Era alto, ma non quanto un Ciclope Celeste, e robusto, con un viso maschile, corti capelli neri e occhi scuri, che spuntavano su un viso abbronzato e segnato da una cicatrice sotto l’occhio destro, segno inequivocabile della sua lunga carriera di soldato. Indossava un’Armatura Celeste molto semplice, ma ben rifinita, con uno scudo rotondo fissato al braccio sinistro, di dimensioni inferiori a quello di Libra, e portava una spada fissata alla sua cintura.
"È Giasone della Colchide il mio nome celeste, Cavaliere di Zeus!" –Esclamò l’uomo, mentre Mur, Scorpio e Virgo si fermavano di fronte a lui, quasi incantati da quella figura mitica. –"Fermatevi adesso, Cavalieri, e tornate indietro! È l’unico modo che avete per evitare la battaglia, e quindi la morte!"
"Cavaliere Celeste…" –Affermò Scorpio, per nulla intimorito. –"Sai bene anche tu che non è possibile! Abbiamo una missione da compiere, salvare Atena, e non rinunceremo certamente adesso, ad un passo dalle stanze di Zeus!"
"Era questa la risposta che temevo!" –Sussurrò Giasone, prima di sollevare il braccio destro. –"E allora… che guerra sia!!!"
Al suo cenno decine di Cavalieri Celesti spuntarono dagli alberi intorno, da dietro il Cancello e dalla cima del muro di cinta che correva intorno al giardino, incoccando archi e scagliando dardi luminosi contro i tre Cavalieri d’Oro.
"Kaan!!!" –Urlò Virgo, con una determinazione tale da spaventare qualche nemico, che fece addirittura un passo indietro nel vedere l’esplosione di luce con la quale Virgo materializzò la sua dorata cupola difensiva.
All’interno della cupola di energia, Mur e Scorpio bruciarono i propri cosmi, il primo per aiutare Virgo a reggere quella barriera, il secondo per attaccare i nemici.
"Non possiamo più indietreggiare! Anche se le forze fisiche ci stanno abbandonando, c’è ancora bisogno di noi!" –Tuonò Scorpio, balzando fuori dalla cupola con il cosmo concentrato sull’indice destro. –"Cuspide Scarlatta!" –Esclamò, sprigionando il deciso raggio energetico che diresse contro le incandescenti frecce dei Cavalieri Celesti.
I dardi furono distrutti e respinti e qualche Cavaliere fu colpito di striscio, ma anche Scorpio presto si trovò esposto ai colpi energetici dei difensori dell’Olimpo, venendo travolto e spinto indietro.
Mentre un gruppo di Cavalieri Celesti stava per avventarsi su di lui, Mur e Virgo si fecero avanti, scagliando il Sacro Ariete e l’Abbandono dell’Oriente, travolgendo i nemici, ma subito ne arrivarono di nuovi, in un continuo accanimento che presto tinse di sangue l’intero piazzale antistante il Cancello del Fulmine.
Giasone incoccò una lancia e scattò avanti, caricandola dell’energia del suo cosmo, prima di scagliarla contro Scorpio, che riuscì ad evitarla per un soffio, mentre essa si piantava tra le sue gambe facendo esplodere il terreno. Il contraccolpo spinse il Cavaliere indietro, esponendolo nuovamente all’assalto dei suoi nemici. Ma Scorpio non si arrese, concentrando il cosmo sotto forma di sfera incandescente tra le mani e scagliandola avanti, contro Giasone stesso.
"Cometa di Antares!!!" –Urlò, liberando la rossa sfera.
"Difendimi, Scudo della Colchide!" –Esclamò Giasone.
La Cometa di Antares si infranse sullo scudo, spingendo indietro il Cavaliere e facendogli scavare solchi nel terreno con i piedi, ma non riuscì a romperlo, forte dell’antico potere che lo sorreggeva.
"Adesso è il mio turno!" –Esclamò Giasone. Ma non riuscì a lanciare il proprio attacco che fu costretto a saltare indietro, per evitare di essere travolto da saettanti catene che guizzarono improvvisamente contro di lui.
"Chi altri?!" –Domandò, osservando un Cavaliere dai capelli verdi, ricoperto da un’Armatura Divina, arrivare in soccorso ai tre Cavalieri d’Oro.
"Il Cavaliere di Andromeda!" –Esclamò il ragazzo, roteando con forza le sue catene, a creare una barriera contro cui si infransero le frecce dei Cavalieri Celesti.
"Andromeda!!!" –Sorrisero i Cavalieri d’Oro.
"Dovrete spiegarmi molte cose, voi! Prima tra tutte, cosa fate qua?!" –Esclamò il ragazzo, con le lacrime agli occhi all’idea di vederli vivi e vegeti.
"Che ne dici di rimandare a dopo?" –Ironizzò Scorpio. –"Il tempo di eliminare questi insetti fastidiosi!"
"Vedi di non fare loro troppo male!" –Commentò Mur. –"In fondo stanno solo facendo il loro dovere!"
In quella Giasone sentì cosmi avvampare nel Giardino dei Sogni, dietro la residenza di Morfeo, a pochi passi dalla Reggia del Dio dell’Olimpo. Com’è possibile? Chi può combattere laggiù, così vicino al Sommo Zeus? Nessuno ha oltrepassato il Cancello del Fulmine! E strinse i denti con preoccupazione, sentendo cosmi di vasta entità scontrarsi tra di loro. Maledizione! Devo andare a controllare! Rifletté, ordinando ai Cavalieri Celesti di intensificare l’assalto.
"Piegate questi invasori!" –Urlò loro, dando le direttive finali, prima di saltare il Cancello del Fulmine e iniziare a correre lungo il sentiero, diretto verso il Giardino dei Sogni.