CAPITOLO VENTISEIESIMO. L’OLIMPO IN FERMENTO.
Nelle profondità del monte Etna, in Sicilia, aveva sede la fucina olimpica, dove lavorava il Dio del Fuoco e della Metallurgia, Efesto, il Fabbro Divino. Figlio di Zeus e di Era, era un abilissimo fabbro, le cui pregiate creazioni erano da sempre oggetto di ammirazione e di vanto da parte degli Dei Olimpi, che periodicamente si rivolgevano a lui per la creazione di nuovi oggetti sacri. La Nike e lo Scudo di Atena, il Tridente di Nettuno, la Spada di Ade, il Fulmine di Zeus, e tutte le vestigia dei Cavalieri Celesti erano state create dalla sua esperta mano, che riusciva sempre ad aggiungere un tocco personale, capace di avvolgere in una magica aura ogni opera.
In quei giorni, mentre nuvole scure si addensavano sulla cima dell’Olimpo, e il Padre degli Dei meditava, su consiglio e spinta di Flegias, di attaccare Atene, Efesto aveva ricevuto una visita a sorpresa. Non erano molti i viaggiatori che scendevano nelle profonde oscurità dell’Etna, e lo stesso Dio non aveva l’abitudine di uscirne spesso, rifuggendo il lusso olimpico e le vezzosità in cui non si era mai sentito a suo agio. Soprattutto a causa della sua scarsa bellezza, e della sua infermità, che lo avevano fatto spesso oggetto di critica e di derisione da parte delle altre Divinità Olimpiche.
Efesto era zoppo e l’eccessivo coinvolgimento sul lavoro aveva contribuito a rovinare ulteriormente il suo fisico, rendendolo anche gobbo, con grande difficoltà di movimento. Ma non era una creatura malvagia né orribile, anzi era dotato di un’enorme cultura pratica e di un’abbondante dose di saggezza, oltre che di un’infinità bontà d’animo che gli aveva permesso di attirare l’attenzione, e l’interesse, della più bella Divinità Olimpica, Afrodite, la Dea dell’Amore, l’unica persona che gli faceva periodicamente visita, oltre al Messaggero degli Dei, Ermes.
Per questo motivo Efesto fu parecchio sorpreso quando sentì il cosmo di un Cavaliere giungere fino all’Etna. Sterope del Fulmine era sceso nelle viscere dell’italico vulcano per conferire con lui, informandolo di un importante progetto.
"Salute a te, Fabbro Divino!" –Esclamò il Ciclope Celeste, inginocchiandosi di fronte al Dio.
"Sterope del Fulmine!" –Sgranò gli occhi Efesto. –"Cosa ti ha spinto a scendere fin quaggiù, nella Divina Fornace? Non credo che la tua armatura abbia bisogno di riparazioni, non è così?"
"Dici il vero, Dio del Fuoco! Splendide sono le vestigia che hai forgiato per me! Splendide e resistenti! Vestigia che mai andranno distrutte!" –Commentò Sterope, pieno di baldanza. –"Non sono qua per chiederti qualcosa per me, ma ti porto un ordine da parte del Divino Zeus! Un’importante commessa che dovrai eseguire prontamente!"
"Una commessa?! Di cosa si tratta?!"
"Devi produrre fulmini in grande quantità per il Sommo! Fulmini e spade, lance e scudi, e quant’altro necessario per una grande guerra, in cui il Dio del Fulmine confermerà tutto il suo valore e la sua possanza!"
"Sono lusingato da una simile proposta, Ciclope Celeste, ma sono anche piuttosto sorpreso! L’Olimpo non conosce guerre da millenni ormai e, per quanto sia passato parecchio tempo dall’ultima volta in cui salii sul Monte Sacro, mi pare di ricordare che Zeus vivesse tranquillamente in pace! Cosa lo ha spinto a una simile decisione? Quale nemico minaccia la serenità Olimpica?"
"I motivi che spingono Zeus ad agire non sono di nostra competenza, Dio del Fuoco, e non sarò io a rivelarli, non disponendo dell’autorizzazione né delle conoscenze al riguardo! Tuttavia, l’unica cosa che posso dirti è che Zeus intende muovere guerra ad Atene, tra pochi giorni! Perciò ti prego di eseguire gli ordini con solerzia e impegno, doti che, insieme alla tua impressionante abilità, hai sempre dimostrato, con piacere del Dio dell’Olimpo!" –Rispose Sterope, facendo per andarsene.
"Una guerra contro Atene?! Contro sua figlia?!" –Si stupì Efesto, cercando di trattenere l’improvvisato messaggero.
"Questo è quanto, Dio del Fuoco! Zeus attaccherà Atene con i suoi Cavalieri Celesti ed essi dovranno essere efficientemente equipaggiati!" –Concluse Sterope. –"Non deludere le aspettative che il mio Signore ha riposto in te!" –Non aggiunse altro e se ne andò, scomparendo dalle viscere del vulcano, troppo in fretta per vedere una smorfia dipingersi sul volto del Fabbro Divino.
Stupido d’un Ciclope! La tua arroganza è pari soltanto alla tua stupidità! Cosa ti fa credere di potermi parlare in quel modo superbo? Sei la guardia del corpo del Dio dell’Olimpo ma io sono pur sempre suo figlio, il Fabbro Divino! Rifletté Efesto con rabbia, prima di rimettersi al lavoro.
Quella notte, mentre i combattimenti sull’Olimpo tra i Cavalieri di Atena e i Cavalieri Celesti erano in corso, Efesto continuava a lavorare, martellando senza sosta, fondendo metalli e creando armi per il suo Signore, nonostante nei giorni scorsi ne avesse prodotte numerose centinaia. Sull’Olimpo c’è battaglia! Rifletté, sedendo un momento per riposare. Lo sento anche da quaggiù, dalle viscere infuocate di questo vulcano dove sono stato confinato da mio padre millenni fa, con la scusa ufficiale di disporre di un posto tutto mio dove poter operare. Mentre in realtà voleva soltanto togliermi di mezzo, dimenticare un figlio malformato che potesse inquinare la solennità e lo splendore dell’Olimpo! Ricordò con rabbia, ma anche con dispiacere. Motivo questo che mi ha spinto a rifiutare ogni contatto con il Sacro Monte, ad eccezione dei periodici ordini che Ermes provvedeva a recapitarmi, quando ancora si combattevano Guerre Sacre, quando il prestigio di Zeus era minacciato dai Titani o da altre creature infernali… Sono passati secoli, anzi millenni, e sono ancora qua, resistente come queste rocce!
In quel momento un cosmo che ben conosceva raggiunse l’isola italica, rasserenando il Dio, che si alzò in piedi, preparandosi per sorridere alla sua amata. Afrodite, Dea della Bellezza, comparve davanti a lui, splendida come sempre. Alta e snella, con lunghi e mossi capelli castano chiaro, che le ricadevano lungo la schiena, un fisico asciutto ed etereo e un grazioso viso su cui spuntavano due luminosi occhi dal colore verde-mare, Afrodite sorrise alla vista dello sposo, avvicinandosi per abbracciarlo. Ma Efesto, per quanto felice di vederla, percepì subito che c’era qualcosa di strano.
"Perché indossi la tua Veste Divina?" –Domandò, osservando l’armatura da lui stesso creata. Dorata, con luminosi riflessi biancastri.
"C’è guerra sull’Olimpo!" –Commentò lei, con voce leggera ma preoccupata. –"Zeus ha imprigionato Atena nella Torre Bianca, accusandola di disobbedienza nei suoi confronti, e i Cavalieri della Dea Guerriera stanno scalando il Monte Sacro nella disperata speranza di liberarla!"
"Terribile!" –Mormorò il Dio. –"Non avrei mai immaginato una guerra tra Zeus e sua figlia!"
"Nemmeno io, Efesto!" –Si limitò a rispondere Afrodite. –"Non ho mai avuto una particolare simpatia per Atena, come ben saprai, ma ho comunque provato dispiacere nell’apprendere una simile decisione! Decisione a cui non ho potuto oppormi, essendo ordine del Dio dell’Olimpo, mettendo a sua disposizione un’armata di miei Cavalieri, guidati da Narciso, che il Luogotenente di Zeus ha condotto al Grande Tempio di Atena questo pomeriggio, per raderlo al suolo!"
"Notizie interessanti mi porti, mia diletta, per qualcuno che passa la vita rinchiuso in una prigione sotterranea!" –Commentò Efesto, rimuginando sull’accaduto. –"Che cosa ti turba, Afrodite?"
"La guerra mi turba, mio sposo! La guerra e la devastazione che porta con sé, la distruzione del mio mondo, del mio paradiso perfetto! I Cavalieri di Atena hanno varcato il Bianco Cancello e adesso combattono sui pendii dell’Olimpo! Qualcuno lotta nella foresta di Artemide, altri si massacrano lungo la via principale! Non mancherà molto prima che qualcuno giunga al Tempio dell’Amore, dove mio figlio Eros li sta aspettando! E allora anche lì ci sarà battaglia, anche lì ci sarà sangue!"
"Comprendo il tuo dolore, mia amata, e vorrei fare qualcosa per alleviarlo!" –Affermò il Dio del Fuoco, cingendo Afrodite tra le proprie braccia.
"Unisciti a me, adesso! E poi torna con me sull’Olimpo! Non lasciarmi sola ad affrontare questa incerta battaglia!"
"Sai bene quanto io detesti la vita Olimpica... tutto quel lusso e quello sfarzo…"
"Non è rimasto niente di quel lusso!" –Esclamò Afrodite, separandosi da Efesto con uno scatto di rabbia, verso l’intera ostica situazione. –"L’Olimpo di oggi è molto lontano da quel mondo fatato che abbandonasti millenni fa! Adesso è un campo di battaglia, dove si scontrano i destini di questo mondo, in una guerra che, lungi dal concludersi presto, è più incerta che mai!"
"Credi davvero che i Cavalieri di Atena possano avere ragione dei Cavalieri Celesti, e delle Divinità Olimpiche? Quei ragazzini saranno spazzati via in breve tempo, non preoccuparti! Il tuo Tempio resterà immacolato!"
"Quei ragazzini hanno sconfitto Eos e i suoi figli! E Bronte del Tuono, e altri Cavalieri Celesti!"
"Non ci credo?! Eos sconfitta?!" –Urlò Efesto. –"Incredibile!"
"Vuoi sapere una cosa, mio sposo adorato? Può sembrare assurdo ma non vorrei misurarmi con loro... non per paura, né per desiderio di ribellione al Sommo Zeus! Solo che vorrei... vorrei..."
"Che questa guerra non fosse mai iniziata?!" –Terminò la frase Efesto, mentre Afrodite annuiva con un sospiro. –"Lo vorremmo in tanti, ma non spetta a noi decidere! Noi dobbiamo solo eseguire gli ordini del Sommo Zeus!"
"E difendere l’Olimpo!"
I due Dei salirono in superficie, ricoperti dalle loro Vesti Divine, in una frizzante notte di maggio, pronti per raggiungere il Monte Sacro. Ma prima di partire, si concessero un momento per loro. Era così poco il tempo che trascorrevano insieme, divisi com’erano da due realtà diverse, che scelsero di cogliere l’attimo, unendosi sulle pendici del Vesuvio e confermando il loro millenario amore.
Nel frattempo Flegias, figlio di Ares e Flagello degli Uomini, sedeva su un’elegante poltrona nelle sue stanze, in quelle sale di candido marmo che Zeus gli aveva assegnato mesi prima, quando era giunto sull’Olimpo la prima volta. Rideva, freneticamente rideva, sorseggiando ambrosia da una coppa dorata, e seguiva da lontano i combattimenti ai piani inferiori del Monte Sacro. Soddisfatto per come stavano procedendo le cose. Aveva sentito nuovi cosmi arrivare alle pendici dell’Olimpo, ma non si era affatto scomposto, quasi come lo avesse programmato fin dall’inizio. Neppure riconoscere che si trattava di Cavalieri d’Oro lo aveva minimamente preoccupato.
Tutto procede come previsto! Sogghignò il diabolico figlio di Ares, complimentandosi con se stesso per l’astuzia dimostrata. La guerra che aveva tanto voluto era finalmente in corso, le stragi che follemente lo inebriavano stavano avendo luogo ed egli poteva sadicamente abbeverarsi del sangue di tutti i caduti. Qualcuno bussò alla porta, proprio mentre Flegias esplodeva in una malvagia risata. Il figlio di Ares si voltò e vide un ragazzetto entrare nella sala, portando un ampio vassoio con calici ripieni di ambrosia. Era Ganimede, il coppiere degli Dei.
"Vi ho portato la bevanda da voi richiesta, mio Signore!" –Esclamò il ragazzo timidamente, mentre Flegias si alzava per andargli incontro.
Indossava la sua Armatura Divina, autorigeneratasi dopo i danneggiamenti che aveva subito nello scontro con Phoenix, il giorno prima. Ed emanava un’aria truce e violenta, che spaventò come sempre il giovane coppiere.
"Smettila di tremare, sciocco!" –Lo derise Flegias, tirando una torva occhiata al ragazzo.
Era un giovincello di media altezza, con capelli castani, un po’ ricciuti, e occhi marroni. Indossava eleganti vesti di un pregiato tessuto chiaro che contribuivano a dargli quell’aria candida, quasi semplicistica, che lo caratterizzava. Non aveva età, avendogli Zeus concesso vita immortale, ma apparentemente sembrava un sedicenne in buona forma.
"Sono preoccupato per la guerra, mio Signore! Non ho mai combattuto!"
"E probabilmente non dovrai neppure farlo! I Cavalieri Celesti fermeranno l’avanzata di quei miserabili combattenti di Atena, impedendo loro di giungere fin qua, alla Reggia del Sommo Zeus!"
"Ma quanti ne cadranno? Quanti Cavalieri Celesti saranno necessari per fermare la loro avanzata?" – Si chiese Ganimede, con dispiacere.
Li conosceva tutti, e anche se non aveva mai stabilito particolari legami con nessuno, ad eccezione di uno, provava coinvolgimento emotivo nel saperli impegnati in battaglia. Narciso è già morto, e Oreste, Pelope e numerosi altri soldati! E anche i cosmi di Castore e Polluce sono in forte fibrillazione! Presto toccherà a Giasone e a Phantom scendere in campo!
"In una guerra è normale che ci siano caduti, ragazzo! Non c’è limite al numero di Cavalieri da sacrificare per vincerla, per difendere Zeus e la sua reggia!" –Esclamò Flegias, sorseggiando una coppa di ambrosia. –"Li manderei tutti a morire, pur di eliminare quei bastardi ateniesi!"
Quelle crude parole fecero sobbalzare Ganimede, e al tempo stesso preoccuparlo. Anche lui avrebbe dovuto combattere? Fece per ribattere qualcosa, con un’ingenuità che Flegias proprio non sopportò.
"E smettila, ragazzino!" –Urlò, afferrando il giovane per il colletto della veste e scaraventandolo lontano, fino a farlo schiantare contro una parete e ricadere a terra. –"Sono stufo dei tuoi lamenti!"
Ganimede si rialzò stordito e impaurito, prima di aggiungere un messaggio che aveva ricevuto.
"Il Sommo Zeus vi sta aspettando nella Sala del Trono, e mi ha incaricato di dirvi di portare con voi anche vostro fratello Issione!"
"Cosa?! E me lo dici adesso? Stupido!" –Gridò Flegias, incamminandosi verso l’uscita della stanza. –"E Issione non è mio fratello! Non pensarlo minimamente! Siamo soltanto figli del Dio della Guerra!" –Precisò, fulminando il ragazzo con uno sguardo. Quindi uscì dalla stanza, contattando Issione telepaticamente e invitandolo a presentarsi subito nella Sala del Trono.
Quando arrivò di fronte al trono di Zeus, Flegias fu sorpreso nel trovare anche Sterope del Fulmine, impegnato a riferire al Sommo Zeus dell’esito dei combattimenti. Issione arrivò pochi istanti dopo.
"Anche Arge è caduto, mio Signore! Ho sentito il suo cosmo spegnersi poco fa!" –Esclamò il Ciclope Celeste, inginocchiato ai piedi della scalinata di marmo.
"Poco importa..." –Si limitò a rispondere il Dio seduto sul trono. –"Altri difensori fermeranno la loro avanzata! So dove trovare rinforzi!" –E nel dir questo espanse il proprio cosmo, di fronte allo sguardo preoccupato di Flegias.
"Mio Signore…" – Intervenne il figlio di Ares, ma il Dio gli fece cenno di tacere.
Tre scie luminose comparvero improvvisamente nella sala, tre cosmi appartenenti a personaggi che Zeus conosceva bene, avendoli nominati lui stesso, nel Mondo Antico, Giudici dell’Oltretomba. Le anime dei tre assunsero una sfuocata forma umana, domandando storditi per quale motivo il Padre degli Dei li avesse risvegliati, dopo la morte in cui erano incorsi durante l’ultima Guerra Sacra.
"Non vorrai chiederci di combattere con te?" –Domandò una voce.
"E tradire così il nostro Dio?!" –Incalzò un’altra.
"Tacete, stolti! Il vostro Dio è stato sconfitto da un’infantile Divinità e dai suoi Cavalieri e per altri 250 anni non potrà tornare in vita! I vostri corpi sono a pezzi, le vostre anime in vita soltanto perché io le ho risvegliate! Se volete tenere illogicamente fede a lui allora vi riconsegnerò al sonno eterno in questo stesso momento! Se invece volete ringraziarmi, per la nomina che vi concessi nel Mondo Antico, allora difendete l’Olimpo, ed io darò ai vostri spiriti un nuovo corpo e una nuova vita!"
I tre si consultarono per un momento e, per quanto la proposta giungesse loro inaspettata, accettarono di combattere per l’Olimpico Signore. Questi diede loro tre nuovi corpi, differenti dagli ultimi in cui le loro anime avevano abitato, e li ricoprì con nuove Armature Celesti, simili alle scure Surplici che avevano indossato in precedenza, ma più resistenti. Flegias rimase stupefatto, nel riconoscere i tre Comandanti dell’Aldilà inginocchiarsi di fronte a Zeus e prestare giuramento di fedeltà. Sterope li condusse fuori poco dopo, pronto per guidare una pattuglia di Cavalieri Celesti contro i Cavalieri di Atena. Rimasti soli, Flegias e Issione si avvicinarono alla scalinata di marmo.
"I tuoi poteri stanno aumentando notevolmente!" –Commentò Flegias. –"Se puoi permetterti di richiamare anime assopite nel profondo dell’Ade!"
"Dubiti di me, figlio di Ares?" –Lo bacchettò Zeus. –"Sono il Dio dell’Olimpo, e non esiste luogo sulla terra che il mio cosmo non possa raggiungere!"
Flegias non disse niente, limitandosi a distogliere lo sguardo, mentre Issione prese la parola, esaltando le sua impresa contro Ilda e i Cavalieri di Asgard.
"Tornerò in battaglia e li ucciderò tutti, quei maledetti!"
"Frena il tuo impeto, Issione, e conserva le forze per la prossima fase del piano!" –Disse Flegias.
"Non dirmi cosa devo fare e cosa no, Flegias!" –Si incollerì Issione, sfoderando le sue sciabole.
Flegias non apparve per niente intimorito, e mentre Issione muoveva le scimitarre arroventate contro di lui, egli le fermò entrambe, facendole schiantare sulla propria spada infuocata. Con un gesto brusco Flegias spinse il guerriero indietro, prima che Zeus li richiamasse.
"Smettetela, sciocchi! Non sprecate energie preziose! Il tempo della vittoria è ormai prossimo! Poche ore ancora e domineremo il mondo! Per quel momento… fatevi trovare pronti!"
"Così sarà, mio Signore!" –Esclamò Issione, inginocchiandosi. Lo stesso fece Flegias, senza dire niente.
In quel momento qualcuno bussò alla porta della Sala del Trono, e le porte si aprirono poco dopo, rivelando l’elegante figura del Messaggero degli Dei, ricoperto dalla sua Armatura Celeste.
"Potete ritirarvi!" –Il Padre degli Dei ordinò ai due figli di Ares di uscire dalla Sala del Trono.
"Farò curare le mie ferite, prima di recarmi a far visita a Morfeo!" –Esclamò Issione, allontanandosi, lanciando un’occhiata torva a Flegias. Questi non rispose alla sua provocazione, fermandosi di fronte ad Ermes e chiedendogli se aveva recuperato il Vaso di Nettuno.
Nel frattempo, dopo aver parlato un poco tra loro, informandosi sulle ultime notizie, Cristal, Ioria, Scorpio, Mur, Ilda, Alcor e Mizar si mossero per incamminarsi lungo il sentiero principale, alla volta della Reggia di Zeus. Stavano discutendo l’eventualità o meno di separarsi, per rendere più difficile la difesa al nemico, quando arrivarono ad un ampio spiazzo, alla destra del quale si ergeva uno splendido Tempio greco, con un elegante colonnato che correva intorno all’edificio.
Chissà cos’è quella costruzione? Si chiese Mur, percependo una grande energia cosmica provenire dall’interno. Ma non fece in tempo a chiedersi altro che dovette creare il Muro di Cristallo, per difendere se stesso e i propri compagni da un improvviso attacco. Un plotone di Cavalieri Celesti era infatti giunto fin là, con l’intenzione di porre fine alla loro corsa, giunta fin troppo avanti.
Sterope del Fulmine, ultimo dei tre Ciclopi ancora in vita, guidava il gruppo di Cavalieri Celesti. E al suo fianco c’erano tre uomini dalle vestigia molto simili, che Mur e gli altri non avevano mai visto in volto, ma il cui cosmo parve loro familiare.
"Ci rivediamo, Cavalieri d’Oro!" –Esclamò uno dei tre, con voce maschile e baldanzosa. –"A quanto pare è stata data una seconda occasione a tutti noi!"
Ioria, Mur e Scorpio impiegarono pochi secondi per riconoscere il cosmo del Cavaliere che avevano di fronte, così come fece Cristal a sua volta, riconoscendo anche quello di uno dei suoi due compagni, contro il quale lui stesso aveva combattuto mesi prima, all’interno del Muro del Pianto, nelle profondità di Ade. Radamante della Viverna, Eaco di Garuda e Minosse del Grifone, i tre Comandanti dell’Aldilà, risvegliati dal sonno eterno dal Dio che millenni prima li aveva nominati Giudici infernali e che adesso pretendeva un pegno di fiducia. Le teste dei Cavalieri di Atena.