CAPITOLO TRENTADUESIMO. IL MASSACRO DEGLI ARGONAUTI.
Giasone della Colchide stava affrontando due vecchi compagni, gli Argonauti Ascalafo e Ialmeno, che avevano partecipato, millenni prima, alla ricerca del Vello dell’Ariete d’Oro, guidata proprio da Giasone. Per quanto i loro rapporti, all’epoca, fossero stati positivi, di amicizia e collaborazione reciproca, adesso i due vecchi compagni d’armi, che di Ares erano figli bastardi, avevano mostrato il loro lato malvagio, desiderosi di uccidere Giasone, colpevole, secondo loro, di aver ricevuto gloria ed onori, oscurando quindi i meriti di tutti gli altri.
"Hai avuto tutto!" –Gridò Ialmeno, mentre una devastante rabbia gli invadeva l’animo. –"E a noi non hai dato niente, approfittando della nostra buona fede, della nostra disponibilità! Senza di noi non saresti mai giunto nella Colchide, né avresti incontrato Medea!"
"Quello forse sarebbe stato un bene…" –Ironizzò Giasone, ricordando l’affascinante, quanto psicologicamente instabile, donna che lo aveva ammaliato millenni prima.
Medea, figlia di Eete, re della Colchide, era la nipote della Maga Circe, dotata, come lei, di poteri magici, che non esitò a usare per aiutare Giasone, che conobbe e rubò il suo cuore, sia per recuperare il Vello d’Oro, sia per uccidere l’usurpatore del trono di Iolco, antica città della Magnesia di cui Giasone avrebbe dovuto essere re. Ma per quest’ultimo atto fu bandita, insieme a Giasone, sposato in fretta durante il viaggio di ritorno dalla Colchide, il quale molto soffrì la separazione dalla sua città natale, e infine, quando dieci anni dopo il nuovo re di Iolco gli offrì la mano di sua figlia, egli accettò, tradendo il patto d’amore sancito con Medea, incapace di sopportare ancora di essere un proscritto e convivere con un’assassina. Quel gesto gli attirò l’odio di Medea, che con l’inganno riuscì ad uccidere sia la futura moglie di Giasone che suo padre, sterminò i figli avuti dall’uomo, assistendo impassibile al suicidio dell’eroe. Dell’unico eroe che aveva veramente amato, al punto da mettersi contro suo padre. Ma quando seppe che Zeus aveva salvato Giasone, donandogli un posto nell’immortale cielo dell’Olimpo, per farne un Cavaliere Celeste, Medea andò su tutte le furie, lanciando un pesante anatema su di lui, condannandolo all’insofferenza perpetua.
"Come io non ho avuto diritto, a causa tua, alla felicità… neppure tu mai la assaporerai!" –Aveva mormorato la donna, millenni prima, puntando i pugni contro il cielo.
E ancora oggi la tua maledizione mi colpisce! Rifletté Giasone, cercando di evitare gli assalti dei suoi avversari, i cui cosmi, lo percepiva chiaramente, erano molto potenti, sospinti, quasi violentati, dall’ardente cosmo del loro Padre.
"Il giorno della resa dei conti è infine giunto!" –Esclamò Ialmeno, sollevando nuovamente il braccio destro al cielo, mentre le unghie della sua mano diventavano affilati artigli carichi di oscura energia cosmica. –"Ooh, Padre grazie… Quanto ho aspettato questo momento di gloria!"
"Se è soltanto la gloria in battaglia ciò a cui miri, Ialmeno, allora dovresti essere soddisfatto! Perché grandi sono state le tue gesta nella Colchide e nella Guerra di Troia, in cui combattesti a fianco di tuo fratello!"
"In cui fui ucciso a fianco di mio fratello!" –Precisò Ialmeno rabbioso, scagliando gli Artigli del Male verso Giasone, il quale fu svelto a pararli con lo Scudo della Colchide. Ma la pioggia di avvelenati unghioni continuò, mentre Ialmeno si faceva sempre più vicino, obbligando Giasone a una maggiore concentrazione e a un aumento di velocità.
"Vortice Oscuro!" –Esclamò una seconda voce, liberando un vortice di oscura energia cosmica, che travolse Giasone in pieno, scaraventandolo in alto e facendolo schiantare molti metri addietro, danneggiando la sua robusta Armatura Divina.
"Perché ti sei intromesso, Ascalafo?!"
"La vendetta non deve accecare il nostro obiettivo finale, Ialmeno!" –Precisò questi, avvicinandosi al fratello. –"Siamo qua per sconfiggere Giasone, per vederlo strusciare ai nostri piedi, chiedendo perdono per averci precipitato nella dimenticanza, offrendoci la gloria e le ricchezze di cui ci derubò in passato per avere salva la vita!"
"È ciò che stavo facendo!" –Ruggì Ialmeno, mentre Giasone si rialzava a fatica, grondando sangue.
"Mi sembrava che l’ira avesse accecato il tuo istinto, fratello… rendendoti vulnerabile!"
"E a me sembra che tu voglia proteggere Giasone!" –Esclamò scocciato Ialmeno, prima di bruciare nuovamente il suo cosmo. Ma quella volta Giasone lo anticipò, scattando avanti brandendo la propria lucente spada, caricandola del suo scintillante cosmo.
"Spada della Colchide!" –Gridò, lanciando rapidi affondi sui due fratelli, che furono obbligati a separarsi. Ialmeno scattò di lato, venendo ferito solo al braccio sinistro, mentre Asclafo cercò di contrastare Giasone con il mazzafrusto su cui la spada si abbatté inutilmente, senza scalfirlo, prima che il figlio di Ares scagliasse la sfera rotante avanti, arrotolando la catena intorno al polso di Giasone e tirando con forza. –"Aargh…" –Ringhiò il Cavaliere, perdendo la presa della spada, che cadde a terra. Con un rapido strattone, Ascalafo tirò Giasone a sé, concentrando il cosmo sul pugno destro per colpirlo, ma il Cavaliere di Zeus fu più abile, centrandolo con un calcio secco sulla mano, distruggendo il guanto protettivo della sua armatura, e scagliando poi nuovi calci contro il suo braccio sinistro, per liberarsi dalla presa della catena.
"Vortice oscuro!" –Gridò nuovamente Ascalafo, liberando il nero vortice di energia cosmica, che travolse in pieno Giasone, scaraventandolo indietro.
L’argonauta ricadde al suolo, con la palla chiodata ancora arrotolata al braccio, sbattendo la spalla destra e scheggiando la sua corazza, ma non fece in tempo a muoversi che Ialmeno fu su di lui, affondando i suoi avvelenati artigli nel pettorale del Cavaliere Celeste, facendolo gridare dal dolore.
"Sii uomo fino in fondo, sporco traditore! E muori senza piangere!" –Sibilò il figlio di Ares.
"Non io…" –Mormorò Giasone, con un filo di voce. –"Non io sono il traditore!" –Detto questo mosse velocemente il mazzafrusto, ancora attorcigliato al suo braccio destro, stringendo il collo di Ialmeno con la catena, fino a farlo soffocare.
"Aah…" –Rantolò Ialmeno, ritirando immediatamente i propri artigli e dimenandosi per liberarsi.
"Tu sei il traditore, Ialmeno! Non soltanto perché hai tradito me, cercando di uccidermi, ma anche per aver venduto i tuoi principi, la tua lealtà, a tuo padre, che ha fatto di te soltanto un servo per le sue mire di dominio!" –Mormorò Giasone, stringendo ancora la presa, mentre Ialmeno si portava le mani alla gola, cercando di togliersi quell’opprimente catena che gli stava facendo mancare il fiato. –"Comprendilo adesso, mio vecchio amico… adesso… prima che sia troppo tardi!"
"È già troppo tardi!" –Esclamò una voce di donna, intromettendosi nella conversazione.
"Uh?! Che cosa?!" –Mormorò Giasone, sorpreso da quell’apparizione. Scaraventò Ialmeno di lato, facendogli sbattere con forza la testa per terra, e lo calciò via violentemente, prima di voltarsi verso la nave di Argo, da cui aveva sentito provenire la voce.
Là, in piedi, sulla prua della nave, che lo fissava con occhi intrisi di fiamme, stava Medea, come l’aveva vista l’ultima volta, millenni prima. Non molto alta, mora, con riccioluti capelli ondulati, che sembravano serpi avvelenate, ricoperta da una semplice veste nera, e con una lunga lancia in mano, dalla punta dorata.
"Me… Medea?!" –Balbettò Giasone, facendo un passo indietro.
"Grandi sono i poteri di nostro Padre!" –Commentò Ascalafo, avvicinandosi. –"Ha pensato persino a te! Non sei felice di rivedere la tua antica amante?!"
Senza rivolgergli alcun saluto, Medea spiccò un tremendo salto, lanciandosi dall’alto della nave di Argo, gridando follemente e scagliando la lancia verso il cuore di Giasone, il quale, sorpreso da tale immediata violenza, poté soltanto sollevare lo scudo, in cui la lancia si conficcò, trapassandolo con la sua punta dorata e raggiungendo il braccio di Giasone, che si accasciò sulle ginocchia per il dolore. In un attimo, Medea fu su di lui, sbattendolo in terra e iniziando a graffiare il suo viso ed il suo corpo con unghie affilate, finché il sangue non sgorgò copioso dalle ferite dell’uomo.
"Addio Giasone!" –Esclamò Ialmeno, rialzandosi. –"Avrei voluto avere io il piacere di ucciderti, ma credo che lei abbia più diritto di me di avere vendetta!" –E fece un cenno al fratello, indicandogli la cima dell’Olimpo, su cui sentiva che gli altri berseker stavano combattendo.
"Fe… Fermatevi!" –Gridò Giasone, ma l’eroe non era nelle condizioni di bloccarli, impegnato a tenere a bada la brutale violenza dell’animalesca Medea.
"Tu non sai il dolore che ho dentro, la rabbia che ho covato in questi anni, Giasone…" –Sibilò la donna, e la sua voce parve veramente quella di una serpe avvelenata. –"Ho aspettato millenni, nelle profondità dell’Inferno, che qualcuno mi riportasse alla luce, anche soltanto per un giorno, per confrontarmi con te, per vendicarmi del torto subito!"
"Credo che tu ti sia anche troppo vendicata, Medea!" –Le rispose Giasone, scagliandola via con un violento calcio nello stomaco, che lanciò la donna contro un albero retrostante. –"Hai ucciso la mia futura sposa, e il mio re, togliendomi ogni speranza di ritornare in patria, ogni speranza di ritornare tra la mia gente!"
"Io ero la tua patria!!!" –Gridò Medea furibonda. –"Doveva bastarti il mio amore, la mia passione! Ma tu no, volevi di più! Hai sempre voluto di più, incontentabile vittima dei vizi umani! Volevi compiere imprese eroiche, e hai sfidato gli Dei conquistando il vello d’Oro! Volevi una bella moglie, e l’hai avuta, sposando me, che per amore tuo sono andata contro mio padre! E infine volevi tornare in patria, e per farlo non hai esitato a sacrificarmi, a vendermi, gettandomi via, come un oggetto privo di utilità!!!"
"Il nostro amore era finito tempo prima… Quando ti rivelasti per quello che eri, un’assassina che non esitava ad usare gli altri per il proprio tornaconto!"
"Fui io ad uccidere Pelia, che aveva usurpato il tuo trono!" –Gridò Medea, assatanata. –"E come ricompensa ho avuto soltanto questo.. la morte!"
"Non ho mai desiderato sedermi su un trono imbrattato di sangue!" –Sospirò Giasone.
"Ma certo.. tu sei sempre stato l’eroe… e noi, compagni abbandonati, mogli tradite.. siamo sempre stati il male!" –Ironizzò Medea, prima di lanciarsi nuovamente contro Giasone, il quale concentrò il cosmo sullo Scudo della Colchide, liberando la sua possente luce e scaraventando la donna indietro, fino a farla ricadere distesa a terra, apparentemente svenuta.
"Fermi, voi!!!" –Gridò infine, rivolgendosi ad Ascalafo e Ialmeno, che si stavano allontanando.
"Quante volte vuoi morire?!" –Dissero i due, voltandosi verso di lui. Ma prima che potessero muovere un muscolo si ritrovarono completamente immobilizzati da guizzanti liane verdi sgorgate dal terreno sotto i loro piedi; lunghi resistenti filamenti di erba che intrappolarono i loro muscoli.
"Gorgo dell’Eridano!" –Esclamò una squillante voce, mentre un turbine di energia acquatica sfrecciava nel terreno, dirigendosi verso di loro. Li travolse e li scaraventò indietro, sbattendoli a terra con violenza, ammaccando le loro corazze, prima di esaurire la sua potenza, e mostrare l’uomo che lo aveva generato: Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo. Dietro di lui, un centinaio di Cavalieri Celesti, dalle armature dai colori scintillanti: l’Ultima Legione di Zeus.
"Gwynn!" –Esclamò Phantom. –"Conduci i soldati alla Reggia di Zeus! Là il nostro Signore ha bisogno di aiuto!"
"Sì, Luogotenente!" –Rispose l’amico di Ascanio, incitando i Cavalieri Celesti a proseguire.
Quindi Phantom si avvicinò a Giasone, aiutando il compagno, che intanto si era accasciato a terra, a rialzarsi. Lo osservò con preoccupazione, notando i numerosi graffi sul suo corpo, e i fori sulla corazza divina, da cui sgorgava sangue scuro, probabilmente infetto. Era pallido e ansimante, quasi febbricitante, e Phantom intuì che era necessario intervenire immediatamente per salvarlo. Ma non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente che dovette evitare guizzanti fendenti di energia che lo obbligarono a saltar via per non essere trafitto.
"Chi siete?!" –Domandò Phantom, atterrando poi di fronte ai due guerrieri.
"Ascalafo del Mazzafrusto, figlio di Ares!" –Rispose uno.
"Ed io sono Ialmeno, dell’Anfesibena!" –Aggiunse l’altro, muovendo le braccia davanti a sé, che subito assunsero la forma di due teste di serpente, sibilanti e sputanti fuoco.
L’Anfesibena! Ma certo! Rifletté Phantom. Avrei dovuto capirlo dai coprispalla della sua armatura! Mitico serpente dotato di due teste, una per ogni estremità del corpo, capace di strisciare in entrambe le direzioni! Vuole il mito che sia nata dal sangue della Gorgone, quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico!
"Come l’animale bicefalo che rappresento, per te, Cavaliere di Zeus, doppia razione di veleno!" –Sibilò il guerriero, liberando i suoi incandescenti artigli velenosi, da entrambe le mani.
Ma Phantom, ristoratosi grazie alle sanguigne acque della Blood Spring, scattò in alto velocissimo, evitando tutti gli affondi del figlio di Ares, che cercava di stare dietro ai guizzanti movimenti del Cavaliere Celeste, che balzava in ogni direzione. Finché, con un ultimo salto, non si portò proprio dietro a Ialmeno, il quale si voltò immediatamente, pronto per affondare i suoi artigli dentro di lui, ma Phantom fu più veloce, colpendolo con un montante al mento e sollevandolo da terra.
Ialmeno cercò di trascinare Phantom con sé, afferrando il braccio con cui l’aveva colpito con le sue gambe, e ci riuscì, tirandolo in alto; quindi mosse le mani come serpenti velenosi, per affondare dentro al suo corpo, ma Phantom lo anticipò di nuovo, portando le braccia al petto e poi aprendole di scatto, liberando la devastante potenza del Gorgo dell’Eridano. Colpito da distanza ravvicinata, Ialmeno venne travolto in pieno e scaraventato in alto, prima di ricadere a terra, scavando una fossa nel terreno, che presto si tinse di scuro sangue.
"Complimenti, Cavaliere!" –Disse Ascalafo, osservando Phantom atterrare compostamente al suolo. –"Hai tenuto testa ai velenosi attacchi di mio fratello e lo hai sconfitto in fretta! Stupefacente!"
"Conserva il fiato per combattere, e non per lusingarmi, figlio di Ares! Sarebbe fiato sprecato!" –Replicò Phantom, bruciando ancora il proprio cosmo celeste.
"Non è falsa lode la mia, ma verità! Tuttavia non credere di esserne uscito indenne…"
"Uh?!" –Mormorò Phantom, non comprendendo le parole dell’uomo. Una fitta incredibile al fianco destro lo fece accasciare a terra, strappandogli un lacerante grido di dolore, mentre Ascalafo sogghignava compiaciuto, iniziando a roteare il proprio mazzafrusto.
"Soltanto un artiglio avvelenato ti ha raggiunto!" –Mormorò, avvicinandosi al Cavaliere. –"A te andrà meglio che al tuo compagno, il quale morirà tra poco, con tutte le ferite che ha riportato!"
"Cosa... vuoi dire?!" –Strinse i denti Phantom rimettendosi in piedi.
"Il veleno dell’Anfesibena è doppiamente mortale, e necessita della metà del tempo di un comune veleno per agire sull’organismo!" –Commentò Ascalafo, prima di bruciare il cosmo. –"Difenditi adesso, perché hai ancora un nemico da affrontare! E temibile per di più!" –E roteò con forza il mazzafrusto, moltiplicando le sfere chiodate e scagliandole contro Phantom. –"Sfere distruttici!" –Gridò, mentre comete oscure piombavano sul Luogotenente dell’Olimpo, il quale rotolò in fretta sul terreno, mentre le varie palle chiodate si piantavano dietro di lui, senza riuscire a raggiungerlo.
Si rifugiò dietro un albero, ma Ascalafo non gli diede pace, arrotolando la catena intorno al tronco e sradicandolo con vigore. Di grande forza è dotato costui! Rifletté Phantom, ritenendo opportuno giocare d’astuzia, e scattò via, per evitare un nuovo assalto delle sfere distruttici. Continuando a saltare qua e là, schivando le palle chiodate, Phantom si allontanò dal sentiero principale, obbligando Ascalafo a rincorrerlo tra gli antichi alberi dell’Olimpo. Là, sul versante che dava sul Mediterraneo, la furia devastante dei berseker non era giunta e la natura incontaminata regnava intorno a loro, permettendo a Phantom di fruire a pieno di quell’energia silenziosa in cui era immerso. D’istinto si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando che il Talismano di Demetra risplendesse intorno al suo collo, caricandosi delle immortali energie dell’Olimpo.
"Sciocco! Non riuscirai ad evitarla anche stavolta!" –Gridò Ascalafo, lanciando nuovamente la sua palla chiodata avanti.
"E non era questa la mia intenzione!" –Mormorò Phantom, afferrando la sfera con mano decisa, senza riportare danno alcuno.
"Incredibile!!!" –Ascalafo rimase a bocca aperta. Fermare la sua sfera, che sfrecciava alla velocità della luce, irta di punte acuminate, avrebbe piegato molti avversari comuni. Ma il Luogotenente non apparve affatto sfiatato, anzi procedeva nella sua posa meditativa, senza lasciare la presa della sfera.
"Mollala!!!" –Gridò Ascalafo, scuotendo il suo mazzafrusto. –"D’accordo… passerò alle maniere forti!" –Commentò, e si lanciò avanti con il pugno carico di energia.
"Ora!!!" –Aprì improvvisamente gli occhi Phantom, liberando il cosmo che aveva accumulato. Dal terreno sottostante spuntò una moltitudine di liane e piante rampicanti, che si arrotolarono immediatamente intorno al corpo del guerriero di Ares, fermando i suoi movimenti, stridendo sulla sua corazza, avvoltolandosi intorno al suo collo e iniziando a soffocarlo.
"Non crederai… di fermarmi con un po’ d’erba…" –Mormorò Ascalafo, espandendo il suo cosmo, ed iniziando a recidere le liane che lo tenevano prigioniero. Ma si rese presto conto che per ogni liana che recideva, bruciandola con il suo infuocato cosmo, altre due ne sgorgavano dal terreno, obbligandolo ad uno sforzo sempre maggiore.
"Sono in pena per Giasone! Questo scontro deve terminare adesso!" –Esclamò Phantom, chiudendo le braccia al petto e concentrando su di esse il suo cosmo celeste.
"Non… te lo permetterò…." –Gridò Ascalafo, bruciando tutto il suo cosmo indemoniato. –"Vortice Oscuro!!!" –E liberò il nero mulinello di energia, che recise le liane che lo tenevano prigioniero, dirigendosi verso Phantom, il quale, tatticamente, non lo contrastò con il suo gorgo energetico, onde evitare una violenta esplosione, ma cercò di frenarlo con le braccia incrociate davanti a sé, cariche di tutto il suo cosmo.
"Iaaaaahhh!!!" –Strinse i denti Phantom, mentre la violenta pressione del Vortice Oscuro si abbatteva sulle sue braccia, spingendolo indietro, e facendo scavare ai suoi piedi profondi solchi nel terreno erboso. Alla fine, il vortice esaurì la sua potenza, senza riuscire a travolgere Phantom, che, con grande sforzo, aveva resistito, per quanto gli dolessero le braccia .
"Non... può essere!!!" –Sgranò gli occhi Ascalafo.
"Accetta il tuo destino, figlio di Ares! Il destino che tu stesso hai scelto per te!" –Esclamò Phantom, concentrando il cosmo sul pugno destro e scattando avanti, sfondando il pettorale dell’armatura di Ascalafo e scaraventandolo indietro. Quindi, convinto che fosse morto, fece per scattar via, ma un gemito lo costrinse a rimanere. Il berseker si stava infatti rialzando, tossendo e vomitando sangue.
"Non vuoi morire, figlio di Ares?!" –Esclamò Phantom, caricando nuovamente il pugno, ma la flebile voce di Ascalafo lo fermò.
"Portami da Giasone!" –Mormorò, prima di accasciarsi a terra, in una pozza di sangue.
Phantom, titubante, esitò un momento, finché non percepì che il cosmo di Ascalafo si stava schiarendo, come se l’oscurità presente nel suo cuore stesse scivolando via, con il suo sangue. Ancora un po’ dubbioso, Phantom si caricò il corpo esanime dell’uomo sulle spalle, scattando verso la Via Principale, mentre Ascalafo parlò, con molta fatica, al cosmo del Cavaliere, raccontandogli la sua storia e quella del fratello, due Argonauti che avevano combattuto a fianco di Giasone.
"E lo avete massacrato?!" –Domandò Phantom, depositando il figlio di Ares a terra, poco distante da Giasone, il cui viso era pallido e febbricitante, segno inequivocabile che il veleno ormai aveva invaso tutto l’organismo e lo avrebbe ucciso entro pochi minuti.
"Dei dell’Olimpo!!!" –Imprecò Phantom, non sapendo come salvare l’amico.
Ascalafo a fatica si trascinò fino al corpo di Giasone, sfiorando con un dito le sue ferite.
"Non provare a…" –Gridò Phantom, preoccupato che volesse dargli il colpo di grazia. Ma Ascalafo non si curò di lui, continuando a tastare il corpo ferito di Giasone, cercando una vena principale. La trovò e la morse con i propri denti. –"Ma che diavolo fai?!" –Esclamò Phantom, sollevandolo immediatamente dal corpo di Giasone.
"Lasciami fare… Il veleno è ormai troppo in profondità… colpire le sue stelle vitali non sarebbe sufficiente! Devo aspirarlo..." –Mormorò, ricadendo sul corpo del Cavaliere, allo stremo delle forze.
Phantom lo lasciò fare, dubbioso e incerto, ma qualcosa gli suggerì che ciò che muoveva il figlio di Ares in quel momento era sincero affetto. Per un amico che aveva dimenticato. Affetto che la rabbia del fratello e del Padre, la ricerca dell’oro e della gloria e l’orgoglio ferito gli avevano portato via, nascondendolo al suo cuore, e che adesso la lucentezza del cosmo di Phantom gli aveva ricordato.
"Tu mi hai ricordato cosa sia l’onore!" –Commentò Ascalafo, continuando a succhiare via il veleno dal corpo del vecchio amico. –"Mi hai ricordato antichi valori per cui io combattevo un tempo, per cui accompagnai Giasone nella Colchide e mi lanciai nella Guerra di Troia in seguito, trovandovi la morte! Non solo gloria, non solo ricchezza, ma anche onore, volontà di emergere, di essere qualcuno, un nome che potesse vincere le asperità del tempo, e fosse segno inequivocabile delle umane possibilità! Non sono gli Dei che decidono la storia… ma gli uomini…" –Mormorò infine, accasciandosi a terra, con la bocca sporca di sangue.
"Ascalafo…" –Lo chiamò Phantom, chinandosi su di lui. Ma si accorse di non poter più fare niente per salvarlo: il veleno che aveva succhiato fuori, come si succhia quello delle vipere, era penetrato nel suo organismo, ormai indebolito e senza difese, e lo aveva ucciso, rapidamente, lasciandogli soltanto il tempo di rimediare in parte ai suoi errori.
"Cough Cough…" –Tossì improvvisamente Giasone, sputando bava e sangue.
"Giasone!!!" –Esclamò Phantom, felicissimo, chinandosi su di lui, ed aiutandolo a tirarsi su. –"Come stai, amico?"
Gli scoppiava la testa, e si sentiva debole e febbricitante, ma senza più le fitte che lo avevano aggredito poc’anzi. –"Ascalafo?!" –Sgranò gli occhi l’argonauta, obbligando Phantom a raccontargli l’intera vicenda.
"Credo che infine, liberatosi dal giogo di Ares, abbia compreso l’affetto che provavi per lui, l’amicizia che legava voi tutti Argonauti e che, per quanto il tempo vi abbia diviso e la vita abbia riservato ad ognuno di voi sorti diverse, è stata capace di resistere… per interi millenni!"
"Frottole!!!" –Esclamò improvvisamente una voce stridula dietro di loro.
Phantom e Giasone si voltarono e trovarono Ialmeno, in piedi, grondante sangue e con l’armatura quasi tutta distrutta, e con fiamme negli occhi ed un cosmo ostile che lo avvolgeva.
"Mio fratello in punto di morte ha perso il senno! Ma io non lo farò!" –Gridò.
"Tuo fratello ha ammesso i suoi errori! Non essere da meno, Ialmeno!" –Esclamò Phantom, pregando Giasone di non preoccuparsi del nemico.
"No!" –Intervenne una voce di donna. –"Giasone avrà altro di cui preoccuparsi!"
"Medea!!!" –Esclamò Giasone, osservando la donna, appoggiata ad un albero poco distante, che reggeva in mano una lama scarlatta, raccolta in terra.
Nello stesso momento Ialmeno e Medea scattarono avanti, il primo su Phantom e la seconda su Giasone, ancora intento a rimettersi in piedi. Il Luogotenente dell’Olimpo evitò l’affondo del figlio di Ares, portandosi rapido alla sua destra e colpendolo con un calcio allo sterno che lo spinse indietro, prima di afferrarlo dal dietro, sollevarlo in aria e sbatterlo sul terreno, come un cencio.
"Grrr!!!" –Ringhiò ancora Ialmeno, sgraffiando con i suoi affilati artigli il braccio che lo teneva prigioniero, mentre le fiamme nei suoi occhi bruciavano sempre più.
Quest’uomo ha l’Inferno dentro! Possano le fresche acque dell’Eridano purificare il suo animo! Sospirò Phantom, prima di scagliarlo in alto, avvolto da un energetico gorgo acquatico, di cui Ialmeno rimase in balia, prima di schiantarsi disastrosamente al suolo, alla fine morto.
Medea, dal canto suo, era balzata su Giasone, brandendo l’affilata lama e mirando al suo cuore, quel cuore che lui le aveva spezzato millenni prima, abbandonandola per un’altra donna. Non capiva Medea, non poteva capire cosa avesse spinto il suo amato ad un gesto simile. Ma da quel momento Giasone non era più stato il suo amato, bensì il suo nemico, il demonio allo stato puro, che lei avrebbe perseguitato anche dopo la morte, lanciando su di lui la maledizione dell’infelicità eterna.
"Muoriii!!!" –Gridò, puntando la lama al cuore di Giasone, ma egli si liberò della donna inferocita calciandola via, facendola rotolare al suolo e farle perdere la presa della lama.
"Medea! Fermati! Abbandona i tuoi propositi omicidi, liberati dalla prigionia di Ares, e torna la donna che ho amato un tempo!" –La esortò Giasone, concentrando il cosmo sullo scudo.
"Mai!!! Ringrazierò Ares ogni giorno, invece, per avermi riportato in vita, per avermi concesso di vederti nuovamente.. e poterti uccidere!!!" –Gridò, in preda ad un profondo delirio esistenziale, prima di lanciarsi avanti, sfoderando i suoi affilati artigli.
"E sia… allora…" –Sospirò Giasone, prima di liberare la devastante luce della Colchide. –"La maledizione che mi lanciasti continua a colpirmi… e a rendermi infelice…"
In un attimo, l’energia cosmica travolse Medea, svuotandola della vita, facendola ricadere a terra, con il braccio teso verso Giasone, senza che la sua vendetta avesse trovato compimento.
Cadde nella polvere insanguinata, giù lungo distesa, ricoperta dai suoi aggrovigliati capelli scuri, e Giasone cadde accanto a lei, debole e dispiaciuto per non aver saputo vincere quel vecchio fantasma. Per non essersi liberato dalla sua maledizione.