CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO. CACCIA NELLA FORESTA.
Sull’Olimpo la battaglia era in pieno svolgimento, con i berseker che marciavano lungo la via principale, diretti verso la Reggia di Zeus, il quale, per fermarli, aveva risvegliato i tre distruttori del Mondo Antico: gli Ecatonchiri. Phobos e Deimos, divini figli di Ares, avevano momentaneamente abbandonato la guida dell’esercito, dando ai soldati un ultimo perentorio ordine: giungere da Zeus, senza mai fermarsi, e uccidere tutti i loro avversari. Senza esitazione, si erano lanciati nella Foresta Sacra, facendo strage di Cacciatori Celesti, gli abili arcieri addestrati dalla Dea della Caccia, una delle poche Divinità ancora vive.
Li avevano uccisi tutti, trapassandoli con le loro lunghe spade affilate, osservandoli gemere, stramazzare al suolo, soffocare nel dolore e nel tormento. Ed ogni morte, ogni uomo massacrato era stato per loro fonte inebriante di estasi, capace di infondere calore e determinazione nel loro animo corrotto e malvagio. Con un secco colpo di spada, Phobos tagliò la gola dell’ultimo Cacciatore, calpestando poi con rabbia il suo arco.
"Questo bastardo mi ha colpito!" –Esclamò, piantando nel cadavere la sua Spada Infuocata.
"Non ti agitare!" –Affermò Deimos, in piedi vicino a lui nel cuore della foresta. –"Lei sarà qui tra un minuto!"
"Errato!" –Esclamò una decisa voce di donna. –"Sono già qui!" –Aggiunse, mentre un lucente dardo sfrecciava in mezzo agli alberi, diretto verso Deimos, il quale fu abilissimo a deviarlo all’ultimo con la Spada Infuocata.
"Mostrati!!!" –Gridò Phobos.
"E perché dovrei?!" –Rise la donna. –"Non avrete forse paura di me?!"
"Paura?! Ah ah ah!" –Sghignazzò Phobos, mentre insieme a Deimos si guardava intorno, osservando le cime degli alberi da cui sembrava provenire la voce. "–Donna, noi siamo i figli di Ares, Sgomento e Spavento degli uomini! Possiamo noi conoscere la paura?!" –Ma nessuno rispose, e i due figli di Ares rimasero da soli, con le spade in pugno, a guardarsi intorno con circospezione.
"Bene!" –Esclamò infine Deimos. –"Se le piace così tanto giocare…" –E si chinò, strusciando il manto erboso con la sua mano destra. Improvvisamente la terra tremò, vibrando sotto effetto di una forte scossa sismica, scuotendo gli alberi intorno a loro, facendo cadere rami secchi e foglie, nidi di uccelli, e, infine, una figura ricoperta da una dorata armatura.
"Cadono d’autunno le foglie..." –Sogghignò Deimos, rialzandosi.
"Maledizione…" –Mormorò la donna. –"Ho perso la presa… sono un’idiota!"
"Ehi!" –La chiamò Deimos, intimandole di voltarsi. –"Ti ho detto di voltarti!" –Urlò, sferrandole un calcio micidiale che la ribaltò, mostrando finalmente il volto ai figli di Ares. –"Ma… Non è lei!"
"Che cosa?!" –Urlò Phobos, osservando la donna che era caduta dall’albero. Era una giovane, di poco più che vent’anni, con folti capelli verdi, e un bel viso, ricoperta da un’armatura dorata, che non era assolutamente una Veste Divina, ma che richiamò, alla mente dei due fratelli, le vestigia dei custodi delle Dodici Case di Atene.
"E lei... dov’è?!" –Si chiese Phobos.
"Sono qua!!!" –Esclamò un’accesa voce di donna.
Improvvisamente una figura snella e agile balzò su Phobos afferrandolo per il collare della sua Veste Divina, mentre un pugnale riluceva nella semioscurità della Foresta Sacra. Phobos si dimenò a più non posso, parando l’affondo con la propria Spada Infuocata, ma la donna continuò a colpirlo, cercando di immergere il suo pugnale nel corpo del figlio di Ares.
"Phobos!!!" –Esclamò Deimos, brandendo la propria spada e correndo in aiuto del fratello. Ma la donna ricoperta dall’Armatura d’Oro cercò di fermare la sua corsa, balzando in alto e sollevando la mano destra, a guisa di artiglio, avvolta da guizzanti scariche di energia.
"Cobra Incantatore!" –Gridò, scendendo su Deimos. Ma il Dio, per niente intimorito da quel cosmo sparuto, si limitò a distruggere i suoi propositi bellici con un rapido movimento della Spada Infuocata, che trinciò la corazza all’altezza dell’addome, proprio mentre la donna balzava su di lui.
"Adesso stai buona e lasciami uccidere la tua compare!" –Esclamò Deimos, mentre la donna dai verdi capelli si accasciava a terra, toccandosi il ventre in fiamme.
"N... Noo..." –Mormorò, cercando di rialzarsi.
"No?! E allora muori prima tu!" –Gridò Deimos, sollevando la Spada Infuocata e calandola poi sulla donna. Ma questa si difese con il bracciale destro dell’armatura, lasciando che la lama si infrangesse su di esso, scheggiandolo, ma non ferendola, prima di bruciare il proprio cosmo e contrattaccare.
"Artigli del Cobra!!!" –Urlò, muovendo entrambe le braccia come fossero serpenti pronti ad azzannare il loro nemico.
Deimos non ebbe difficoltà ad evitare quegli assalti, ben lontani dalla velocità della luce, e per un Dio quale lui era, capace di muoversi ad una velocità superiore, fu una sciocchezza bloccarle il pugno con la mano sinistra, e sollevarla, ribaltandola e sbattendola a terra.
"Come ti chiami, donna?!" –Le chiese, stringendo con forza la sua mano. Ma la donna sembrò non intenzionata a rispondere, allora Deimos strinse con ancora più forza, mandando in frantumi i guanti protettivi della corazza della giovane.
"Sono Tisifone, Cavaliere d’Argento del Serpentario!"
"Un Cavaliere d’Argento?!" –Esclamò Deimos incredulo, lasciando andare la donna. –"Un Cavaliere d’Argento che sfida un Dio?! Ah ah ah!" –Rise di gusto, sbeffeggiando Tisifone e il suo patetico tentativo di affrontarlo.
"Tu non sei un Dio! Sei solo un folle omicida!" –Gridò Tisifone, scatenando la collera di Deimos, che sollevò il braccio destro avanti a sé, mentre sottili striature di cosmo, dal colore biancastro, scivolavano nell’aere fino a lambire l’Armatura del Cancro, che Tisifone aveva indosso.
"Non... provocare... un Dio!" –Parlò a denti stretti, bloccando i movimenti di Tisifone a mezz’aria, lasciandola sospesa davanti a lui, mentre le onde di energia stridevano con forza sulla sua corazza, facendola vibrare sinistramente.
"Fo... folle… omicida…" –Ripeté Tisifone, che quasi non riusciva a muovere neppure la lingua.
"Muoriiiii!!!" –Urlò Deimos, tirando un violento affondo con la sua Spada Infuocata al petto di Tisifone, scheggiando l’Armatura d’Oro, la quale, per quanto riparata da Mur, non poteva reggere il confronto con una Veste Divina. –"Raccomanda l’anima ad Atena, donna, perché adesso vedrai l’Inferno!" –E senz’altro aggiungere aumentò la pressione delle onde di energia, che frantumarono parte della corazza del Cancro, prima di scaraventare Tisifone indietro, facendola schiantare contro un albero, che subito crollò, mentre Deimos, soddisfatto, rideva come un pazzo, tronfio del suo successo. Si voltò, e corse ad aiutare Phobos, in difficoltà contro Artemide.
La Dea della Caccia era infatti balzata su Phobos, brandendo un affilato pugnale che desiderava affondare nel collo del figlio di Ares, responsabile, insieme al fratello, della morte dei suoi Cacciatori, e delle altre Divinità e Cavalieri Celesti massacrati sull’Olimpo.
"Senti questa lama, Phobos?!" –Mormorò Artemide, mentre il suo pugnale premeva con forza contro la spada di Phobos, in un continuo sforzo. –"Te la pianterò in gola, bevendo il tuo sangue, bieca canaglia assassina!"
"Lo credi davvero, Dea della Caccia?!" –Le tenne testa Phobos, continuando a spingere la spada.
I cosmi delle due Divinità si scontravano furiosamente, accendendo l’aria intorno a loro, mentre poco distante Deimos abbatteva Tisifone senza troppe difficoltà. Nel vedere la donna in terra ferita, Artemide ebbe un sussulto e aumentò la pressione sul pugnale, desiderando impedire che Tisifone morisse. Una volta mi ha salvato la vita! Devo renderle il favore! Commentò, scaraventando, con una brusca mossa, Phobos indietro.
"Non mi avete ucciso la prima volta, attaccandomi a sorpresa, e non ci riuscirete neppure stavolta, maledetti figli di Ares!" –Esclamò Artemide. –"Sarà vostro Padre a piangere la vostra scomparsa, non il mio! Sempre che Ares sappia cosa significhi piangere!"
"Maledettaaa!!!" –Urlò Phobos, scattando avanti brandendo la Spada Infuocata. Le due lame si scontrarono, sprigionando scintille, quindi si allontanarono, per poi scontrarsi di nuovo, e di nuovo ancora, obbligando i contendenti alla massima concentrazione.
Phobos lasciò partire un fendente energetico, che scavò un profondo solco nel terreno, dirigendosi verso Artemide, che per pararlo dovette usare il pugnale, storcendolo di lato e fermando con esso la furia dell’affondo. Questo permise a Phobos di balzare in alto e piombare sulla Dea, con la spada puntata al suo cuore, e fu solo grazie a una fortunata e abile mossa che Artemide riuscì a deviare la lama, scattando a destra e scagliandola via, con un secco colpo di pugnale.
"Muori! Per Atteone, e i miei Cacciatori!" –Esclamò la Dea, puntando il pugnale verso Phobos, ma il Dio lo fermò, afferrando il braccio di Artemide con entrambe le mani, prima di colpirla con un violento calcio in pieno addome. La brutalità del colpo fu tale da piegare la Dea, mentre Phobos intensificava la violenza dei suoi calci, tempestando il suo ventre, mentre continuava a tenerle bloccato il braccio, fino ad obbligare Artemide a lasciar cadere il pugnale a terra.
"Sìì... così... da brava… Muori!" –Gridò Phobos, sferrando un calcio violento dal basso verso l’alto, che raggiunse il mento di Artemide, facendola barcollare all’indietro. In un attimo Phobos richiamò la sua Spada Infuocata, balzando avanti, pronto per tagliarle la gola, ma la Dea si buttò di lato, rotolando sulla verde erba, mentre Phobos cadeva a terra, piantando la lama nel terreno. Artemide sfoderò l’Arco della Caccia, incoccando in fretta una freccia, proprio mentre il Dio della Paura si rialzava, estraeva la spada e si voltava verso di lei.
"Ora!!!" –Urlò Artemide, scagliando l’incandescente dardo, che volò verso il cuore di Phobos, il quale tentò di deviarlo con la spada, ma vi riuscì solo in parte ed esso si piantò nel suo coprispalla destro, facendolo urlare dal dolore.
Artemide, senza esitazione, scoccò una nuova freccia, obbligando Phobos a risollevare la lama, colpendo dal davanti la freccia ancora in volo. Lo scontro tra le due armi deviò la direzione della freccia, scheggiandola, e sbalzò via l’Infuocata Spada, davanti agli occhi sorpresi di Phobos.
"Dardi intrisi della profonda energia della Dea della Caccia e della sua Foresta Sacra!" –Commentò la Dea, assumendo una posa meditativa ed espandendo il proprio cosmo. –"Tutto, qua, mi appartiene! Ed io appartengo alla foresta!"
"Che idiozie vai dicendo?!" –Brontolò Phobos, estraendosi la freccia dal coprispalla destro e lasciando uscire il sangue, che macchiò la sua scarlatta armatura.
Ma Artemide non rispose, continuando a sprigionare energia cosmica che invase l’intera foresta, che, parve a Phobos, si stava restringendo sempre più, come se gli alberi si chinassero su di loro, come se volessero soffocarli. Deimos raggiunse il fratello, dopo aver scaraventato via Tisifone, e si lanciò insieme a lui contro Artemide, ma essa li travolse con il proprio cosmo, dal colore indaco.
"Antichi spiriti della Foresta Sacra, palesatevi! E cacciate l’oscuro invasore che ha fatto strage di vostri servitori, di vostri adoratori!" –Esclamò Artemide, socchiudendo gli occhi.
"E adesso uccideremo anche te!" –Affermò Phobos, per niente intimorito dal cosmo della Dea.
"Onde di Terrore!" –Esclamò Deimos, mentre fluttuanti onde di energia scivolavano nell’aria intorno a lui, dirette verso Artemide.
"Spiriti della Foresta, spazzateli via!!!" –Gridò la Dea, mentre dal suo corpo si dipartivano indistinte forme, dal colore indaco, quasi impalpabili evanescenze, che saettarono nell’aria travolgendo le onde di energia e abbattendosi sui due fratelli.
In quel momento, mentre gli Spiriti della Foresta stringevano con forza i corpi di Phobos e Deimos, i due fratelli pensarono davvero di vedere gli alberi stringersi su di loro, chinarsi sempre di più con le fronde fino a soffocarli. Per un momento parve loro di sentire un gemito, un antico grido di dolore per la morte dei Cacciatori Celesti. Artemide, approfittando della momentanea prigionia dei figli di Ares, corse da Tisifone per sincerarsi delle sue condizioni, ma la donna, per quanto ferita e sanguinante, la pregò di non preoccuparsi di lei.
"Sono solo un impiccio!" –Commentò Tisifone, appoggiandosi ad un albero e cercando di rialzarsi.
"Non dire così, sai che non è vero!" –La brontolò Artemide. –"E non piangerti addosso!"
Ma la loro conversazione fu interrotta dalla violenta esplosione del cosmo di Phobos e Deimos che permise ai due fratelli di allentare la loro prigionia dagli Spiriti della Foresta. –"Come potete?!" –Gridò Artemide, incredula. –"Siete dunque figli del demonio più oscuro, da poter contrastare gli antichi spiriti del Bosco Sacro?!"
"Divina Artemide, siamo i signori supremi della Paura e del Terrore, e non esiste spirito alcuno che possa essere così forte, così virtuoso, da non avere nemmeno una debolezza, una paura nascosta, che noi possiamo tramutare in terrore puro!"
"Maledetti!" –Gridò Tisifone, balzando in alto e caricando il braccio destro di scintillante energia. –"Cobra Incantatoreeee!!!" –Ma nuovamente il suo assalto venne respinto e la Sacerdotessa si ritrovò sospesa a mezz’aria, mentre sul suo corpo stridevano con forza biancastre striature di cosmo, che riuscivano ad agire sulle profondità del proprio animo, per quanto Tisifone non comprendesse bene come. –"Pegasus…" –Mormorò infine, cercando di opporre resistenza.
Ma le Onde di Terrore parvero aumentare di intensità, crepitando con violenza sull’Armatura del Cancro, mentre Tisifone, pensando al suo adorato Pegasus, lentamente si lasciava andare, sentendo le forze venirle meno.
"In guardia, carogne!" –Li richiamò Artemide improvvisamente, incoccando una nuova freccia. E senza attendere la risposta dei figli di Ares, scagliò il dardo incandescente, caricandolo del suo celeste cosmo, che saettò nell’aria, diretto verso Phobos e Deimos, ancora semibloccati dagli Spiriti della Foresta. Con brutalità e ferocia però i due fratelli bruciarono il loro fiammeggiante cosmo, che avvampò nella radura, isterilendo la verde erba del Bosco Sacro, liberandosi dalla prigionia degli ancestrali Custodi della Foresta. Phobos, brandendo la sua Spada Infuocata, tentò di fermare il dardo di Artemide, ma il contraccolpo tra i due poteri fu più potente del previsto, e sia la lama che la freccia si spezzarono.
"Grrr... Bastarda!!!" –Mormorò Phobos, gettando via l’elsa della spada mozzata.
"Darò anche la vita pur di mondare questa terra dalla vostra lurida ed inquinante presenza!" –Tuonò Artemide, il cui cosmo continuò a crescere e ad espandersi, invadendo l’intera foresta di cui era padrona, ma anche guardiana.
"Non parlare ad alta voce! Potremmo udirti!" –Ironizzò Phobos.
"E sia, dunque!" –Esclamò Deimos, affiancando il fratello. –"Non ci tireremo certamente indietro! Una è già morta!" –E indicò Tisifone, crollata al suolo, con l’armatura scheggiata. –"E tu presto le farai compagnia, nelle desolate lande di Ade!"
Artemide non raccolse la provocazione, continuando ad espandere il proprio cosmo, richiamando a sé gli ancestrali spiriti della foresta. Sorrise, sentendo il cosmo di Atteone e degli altri Cacciatori a lei fedeli, la cui energia pulsante era ancora dentro quel Bosco Sacro. Socchiuse gli occhi, prima di lasciar scivolare una corrente energetica, che ridusse la possibilità di movimento dei figli di Ares.
Dal canto loro, Phobos e Deimos non rimasero inermi ad attendere l’assalto di Artemide, la quale, dovettero ammetterlo, stava dando loro più filo da torcere del previsto, ed unirono i cosmi per scagliare un devastante attacco. Le biancastre onde di energia di Deimos si unirono all’inquietante cosmo violaceo di Phobos, generando un’unica ostile massa di energia.
"Ira di Ares!!!" –Gridarono i due fratelli, scagliando l’attacco congiunto. Artemide riapri gli occhi in quel momento, liberando l’energia immagazzinata, derivatale proprio dalla foresta stessa.
"Oh Spiriti della Foresta Sacra, che da millenni difendete questo Divino Monte, accorrete in mio aiuto, datemi la forza affinché io possa proteggere questa terra, questi boschi, questa verde erba, dall’infiammante cosmo dei figli della Guerra!!! Datemi la forza, Spiriti della Foresta, e spazzate via l’odiato nemico!" –Esclamò, mentre evanescenti forme di energia saettarono dalle sue braccia verso i figli di Ares, scontrandosi con forza e vigore con l’Ira di Ares.
"Resisteremooo…" –Mormorarono Phobos e Deimos, stringendo i denti, mentre la pressione aumentava sempre di più. Gli alberi intorno a loro tremarono, e molti rami si schiantarono, risucchiati dalla devastante potenza della bolla di energia che si era creata nel mezzo alla radura, risultante dallo scontro tra i due poteri. Poteri che sembravano equivalersi.
Improvvisamente un terzo cosmo sembrò disturbare l’equilibrio che si era creato, iniziando a spingere gli Spiriti della Foresta e a permettere loro di contrastare la demoniaca Ira di Ares.
"Tisifoneee!!!" –Gridò Artemide, osservando la donna rimettersi in piedi ed unire il proprio cosmo a quello della Dea della Caccia.
"Io non appartengo a questa terra, Spiriti della Foresta!" –Mormorò la Sacerdotessa, incurante delle esortazioni di Artemide ad allontanarsi. –"Ma offro volentieri la mia vita per salvarla dai figli di Ares! Concedetemi di poter lottare insieme a voi!" –Detto questo, concentrò il cosmo, muovendo le braccia a guisa di serpenti pronti ad azzannare. –"Artigli del Cobra Dorato!" –Gridò, liberando il proprio assalto, che si unì a quello di Artemide.
In tutta risposta Phobos e Deimos aumentarono l’intensità dell’Ira di Ares, contrastando il rinnovato recupero del cosmo delle due donne, finché la pressione, raggiunti limiti esorbitanti, non determinò l’esplosione dell’intera bolla di energia, in un fragoroso boato che scaraventò indietro i quattro contendenti.
Numerosi alberi crollarono, travolti dall’esplosione di energia, e crepe si aprirono nel terreno della Foresta Sacra, facendo precipitare al loro interno i cadaveri dei Cacciatori di Artemide. Fu la Dea della Caccia la prima a rimettersi in piedi, seppur con fatica: la sua Veste Divina l’aveva protetta, per quanto risultasse danneggiata in più punti, soprattutto al ventre, dove ancora accusava il dolore per i calci di Phobos. Si guardò intorno e vide un immenso sfacelo in quello che fino a quel momento era stato il suo regno. Il suo paradiso. E lo sarà ancora! Si disse, stringendo i pugni con rabbia, ma anche con la determinazione di chi non vuole arrendersi. Cercò i suoi nemici, nella polverosa radura distrutta, ma non trovò i loro corpi, né riuscì più a percepire la loro presenza. Un gemito improvviso, proveniente da un albero crollato, la distrasse, spingendola a correre verso la carcassa e a sollevarla con forza, liberando il corpo rimasto intrappolato al di sotto di essa.
"Sacerdotessa dell’Ofiuco…" –Esclamò Artemide, aiutando la donna a respirare meglio.
"Dea... della Caccia…" –Mormorò Tisifone, il cui volto era pieno di lividi e tagli.
"Grazie!" –Affermò semplicemente Artemide, realizzando che il suo aiuto, per contrastare il violento assalto dei figli di Ares, era stato fondamentale.
Immediatamente si chiese dove fossero finite le due canaglie, se avessero trovato un’altra preda, magari più facile della rissosa Dea della Caccia, contro cui dirigere i propri attacchi, ma non ebbe molto tempo per pensare che tutta l’aria fu scossa da grida furibonde.
"La battaglia tra Ares e Zeus è giunta al suo apice!" –Commentò, sentendo accendersi impetuosi i cosmi delle due Divinità, mescolandosi con quelli dei guerrieri e dei Cavalieri a loro fedeli, che si stavano massacrando lungo la Via Principale.
Una fitta aggredì improvvisamente Artemide al cuore, facendola accasciare a terra. Un presentimento che le fece temere il peggio. A fatica si rialzò, aiutata anche da Tisifone, esortando la donna a raggiungere il cuore della battaglia, dove sicuramente ci sarebbe stato bisogno di loro.
In quel momento un cosmo amico raggiunse la Reggia di Zeus, portando seco altri due compagni, insinuandosi nel vorticante scontro di cosmi che era in corso sul cielo olimpico e che limitava la possibilità di spostarsi. Aiutato dal potere psichico di Mur dell’Ariete, una scintillante figura, ricoperta da una Veste Divina, fece la sua comparsa nell’atrio del Tempio di Zeus, di fronte agli occhi del Cavaliere d’Oro, di suo fratello Kiki e di Asher dell’Unicorno, che subito si adoperarono per aiutare i feriti che l’uomo portava con sé: Efesto, Dio del Fuoco, e l’ultimo figlio di Eos, Euro.
"Divino Ermes…" –Esclamò il Grande Mur, osservando l’aria provata del Messaggero degli Dei.
"Ti ringrazio, Cavaliere di Ariete. Per un momento mi sono sentito perso, risucchiato nell’infuocato vortice di energia che si è acceso sopra l’Olimpo! Zeus sta contrastando Ares con ogni mezzo e oscure creature sono state risvegliate dagli abissi dimenticati del tempo!" –Affermò Ermes. –"Questo ragazzo ha bisogno di cure immediate!" –E indicò Euro, esanime tra le braccia di Efesto. –"Dov’è Asclepio? Deve curar…"
La loro conversazione fu interrotta dal violento sbattere del portone della Sala del Trono, da cui apparve Era, la Regina degli Dei, in lacrime.
"Zeus!!!" –Gridò, correndo verso i Cavalieri e gli Dei presenti. –"Zeus è caduto!!!"
"Che cosa?!" –Borbottarono insieme Ermes, Mur ed Asher. E in quel momento tutti sentirono un suono immondo riecheggiare sull’intero Olimpo, un verso terrificante e stridulo, come prodotto da cento bestie atroci, mentre un fetido cosmo, greve ed opprimente, invase il Sacro Monte, venendo percepito chiaramente da tutti i Cavalieri e le Divinità presenti.
"Cos’è questo grido?!" – Domandò Asher, sentendo gelare il proprio sangue.
"Non è un grido… è un urlo di guerra!" –Commentò Ermes. –"Un urlo carico di sangue e vendetta, voglia di rivalsa su un nemico che lo ha condannato ad un’eterna prigionia, nelle viscere dell’Etna!"
"Ermes…" –Mormorò Era, prendendo le mani del Messaggero degli Dei. –"È dunque tornato?!"
"Madre..." –Intervenne per la prima volta Efesto. –"Flegias lo ha liberato, aiutato da Enio, ed istigato contro l’Olimpo!"
La Regina degli Dei non seppe cosa rispondere, visibilmente scossa e preoccupata per l’accaduto; fece cenno ad Ermes e ad Efesto di seguirli nella Sala del Trono, per aiutare il loro Padre a rimettersi in piedi. Zeus stava infatti fronteggiando Ares a distanza, tramite il cosmo, ed aveva retto bene lo scontro, finché una terribile, nefasta energia ancestrale, oscura come la notte, non si era messa in mezzo, sopraffacendo tutte le altre voci con il suo stridulo grido. Lo sforzo immane aveva travolto Zeus, facendolo barcollare e poi cadere a terra, subito soccorso da Atena, che aveva riconosciuto a sua volta l’origine di quel cupo cosmo.
Tifone, la minaccia più oscura del Mondo Antico, era infine arrivato, calpestando le verdi distese dell’Olimpo, e mirando alla sua distruzione.