CAPITOLO DICIOTTESIMO. IL TORO DI CRETA.
Andromeda stava roteando vorticosamente la propria scintillante catena, disposta a cerchi concentrici intorno a lui, evitando i continui assalti degli uccelli della Palude di Stinfalo, che volevano raggiungere il ragazzo e trafiggerlo con i loro affilati artigli.
Il guerriero che custodiva la Palude di Stinfalo sghignazzava maldestramente, sospeso in aria poco distante, osservando la scena che tanta estasi portava nel suo cuore malato. Era un uomo alto, di corporatura media, quasi gracile confrontato alla media dei suoi parigrado, con un viso bianco e scavato, piccoli occhi scuri ma capaci di vedere molto lontano, persino al di là delle nebbie che circondavano il Grande Tempio, orecchi tesi, atti a captare il minimo movimento improvviso, e radi capelli grigi.
Era completamente rivestito da una cotta marrone, dalla forma simile a quella di un immenso uccello, con le braccia ricoperte da un’intelaiatura a cui erano affisse delle grandi ali, che l’uomo sbatteva freneticamente per volare; le gambe terminavano in gambali a forma di inquietanti artigli acuminati, proprio come quelli delle bestie di cui era il padrone, dando al guerriero una forma più animalesca che umana. Non aveva nome, come i guerrieri dell’Idra di Lerna e del Leone di Nemea, tanto poca era la considerazione che Ares aveva di loro, ma dagli altri berseker era chiamato, con chiaro intento dispregiativo, il Custode della Palude di Stinfalo, o più semplicemente il Custode. Un ruolo che, era a tutti evidente, nessuno avrebbe voluto occupare, a causa delle tossiche esalazioni provenienti dall’acquitrino. Acquitrino che lui stesso e Augia avevano realizzato, creando un’unica grande palude infernale sul versante medio della Collina della Divinità, tra le Case di Virgo e di Libra, la prima distrutta, la seconda abbandonata e in rovina.
"Iiik…" –Le grida stridule degli infernali uccelli risuonarono nell’intera palude, mentre la furia della Catena di Andromeda piombava su di loro, cercando di scacciarli.
Con uno scatto improvviso, il guerriero di Ares balzò avanti, lanciandosi contro la Difesa Circolare, stupendo lo stesso Andromeda che pensò ad un atto di suicidio. Ma il guerriero di Stinfalo scagliò centinaia e centinaia di piume dall’aspetto bronzeo contro la Catena di Andromeda, una pioggia così fitta che da lontano uno spettatore estraneo avrebbe potuto scambiare Andromeda per un covone, da tanto che era ricoperto di piume. Nessuna di esse riuscì a penetrare l’inaccessibile barriera rappresentata dalla sua catena rotante e Andromeda ne fu contento, quando realizzò che la sua arma sembrò girare con maggiore lentezza, con maggiore pesantezza.
"Uh?!" –Si domandò il Cavaliere, mentre il guerriero di Stinfalo sogghignava malignamente. Ma prima che riuscisse a comprende cosa fosse accaduto, fu colpito in pieno viso da un violento calcio dell’uomo, che lo spinse indietro, ferendolo malamente sul volto e facendolo sanguinare.
"Ih ih ih... Pianterò i miei artigli nel tuo dolce visino!" –Sghignazzò il guerriero, saltando in avanti, sospinto dalle sue ali.
Andromeda, vedendo il berseker brandire un affilato stiletto, fu svelto a rotolare nel terreno fangoso, mentre il guerriero di Stinfalo piombava su di lui; tentò di imprigionarlo con la sua catena, ma si accorse, finalmente, che non riusciva più ad usarla.
La Catena di Andromeda era completamente ricoperta di piume marroni, che si erano infilate tra gli anelli lucenti che la componevano, appesantendola e rendendo impossibile il suo utilizzo. Andromeda, stupefatto, tentò di scuoterla, di rianimarla, ma sentì la pesantezza della stessa, bloccata in quel fango fetido dalle piume di Stinfalo.
"Sta’ fermo, bel bocconcino!" –Balzò in avanti il guerriero, puntando al cuore di Andromeda con lo stiletto.
"Nooo!!!" –Urlò Andromeda, liberando nuovamente l’Onda Energetica.
Le guizzanti saette di pura energia travolsero il guerriero di Stinfalo, spingendolo indietro, facendolo rotolare nella melma da lui stesso creata, mentre Andromeda riprendeva un attimo fiato, ancora sconvolto dalla perdita di controllo sulla catena.
"Non è possibile…" –Mormorò tra sé, concentrando i propri sensi.
"Non sforzarti, Cavaliere!" –Esclamò il Custode della Palude, rimettendosi in piedi. –"È pesante la tua catena… Grave è il peso delle piume di Stinfalo, per chi non è in grado di sopportarlo!"
"Non basteranno certo le tue piume a fermare la Catena di Andromeda!" –Esclamò il ragazzo, cercando di mostrare baldanza, per quanto insicuro fosse in quel momento.
"Forse no… ih ih ih… ma la bloccheranno quel tempo che basta per ucciderti!!!" –Gridò il berseker con voce stridula, scattando nuovamente avanti.
Andromeda concentrò ancora il cosmo sulla mano destra, scaricando l’Onda Energetica contro il guerriero, ma questi, astutamente, si richiuse su se stesso, coprendosi il volto con il lungo piumaggio delle sue ali, e lasciando che le saette di Andromeda si schiantassero sulla sua corazza pennuta, venendo respinte.
"Cosa?!" –Esclamò Andromeda, mentre anche la sua seconda tecnica veniva neutralizzata.
"Adesso… sei mio… ih ih…" –Ghignò il guerriero di Stinfalo, riaprendo nuovamente le sue braccia e balzando con una piroetta aerea sul Cavaliere.
Rapidamente lo sbatté a terra, afferrandogli il collo con le sue mani ossute, ma forti e assetate di sangue, mentre i suoi piedi, ricoperti da metallici artigli affilati, si piantavano nelle gambe del Cavaliere, bloccando i suoi movimenti. Stringendo il collo di Andromeda, piantando le sue affilate unghie dentro la sua tenera pelle, il guerriero di Stinfalo cercò di soffocarlo nel fango, spingendolo sotto, impedendogli di respirare, mentre l’adorato stormo dei suoi uccelli volteggiava sopra di loro, pronto per banchettare del succulento sangue del cadavere.
"Caugh Caugh..." –Tossì Andromeda, spaventato e sorpreso da quel repentino succedersi di fatti.
Gli doleva il corpo in vari punti, ferito e infettato dagli artigli del guerriero di Stinfalo, impossibilitato a muoversi, bloccato a terra, in quella putrida massa di fango che gli stava entrando nelle narici, nelle orecchie, in gola, impedendogli di respirare. Ma soprattutto era stupefatto della perdita di vitalità della catena.
Non era la prima volta che qualcuno la fermava. Anche Mime ci era riuscito ad Asgard, semplicemente perché la catena, sentendo il suo cuore nobile, non lo aveva considerato un nemico da affrontare; e c’era riuscito pure Polluce, pochi giorni prima, usando i suoi poteri mentali che gli permettevano di controllare oggetti inanimati e animali. Ma che vi fosse riuscito il guerriero di Stinfalo, per Andromeda, aveva dello sconvolgente. Lui che era un bieco assassino, senza nobiltà d’animo né, per quello che aveva potuto avvertire, disponeva di poteri mentali. Lui che era pari ad una bestia, come i più infidi e sanguinari berseker, aveva potuto fermare la sua micidiale arma, la sua compagna indivisibile di mille avventure: la Catena di Andromeda.
Non… posso crederci… Mormorò Andromeda, rantolando nella fanghiglia. Poteva sentire il fetido alito del guerriero sibilare risate isteriche a pochi passi dal suo volto, mentre le sue ossute dita stringevano il suo collo, affondando in esso i suoi avvelenati artigli. No… non ci credo! Urlò, espandendo al massimo il suo cosmo rosato.
Un’improvvisa esplosione di energia travolse il guerriero di Ares, scaraventandolo indietro di parecchi metri, addirittura fino a farlo sbattere contro le colonne del Tempio di Libra, abbattendone un paio. Persino il fango intorno ad Andromeda fu spazzato via, travolto da quell’inaspettata esplosione di energia cosmica. Energia che Andromeda portava dentro, come Albione ben gli aveva insegnato a controllare, e cha adesso avrebbe liberato, incapace di sopportare ancora le angherie e le violenze del suo nemico.
"Catena di Andromeda!" –La chiamò, bruciando il suo vasto cosmo. –"Svegliati! Le piume degli uccelli stinfalii troppo a lungo ti hanno fatto dormire! È tempo che tu torni a vivere! Per Atena che ha bisogno di noi! Svegliati, Catena di Andromeda!" –Esclamò con voce decisa, espandendo ancora la sua aura cosmica, che invase l’intera palude antistante alla Settima Casa.
La catena fu percorsa da una violenta scossa energetica, che travolse e bruciò sul colpo le piume di Stinfalo, svincolandola da quella fetida prigionia, prima di ricominciare a guizzare libera nell’aere.
"Maledetto… Muori!" –Sibilò il guerriero di Ares, lanciandosi contro di lui, accompagnato dall’intero stormo di uccelli infernali.
"Adesso… vai, Catena di Andromeda, nella tua ultima configurazione! Melodia scintillante di Andromeda!"
Avvolta da lucenti fulmini di energia cosmica, la Catena di Andromeda scivolò nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, assumendo ogni conformazione atta a fermare l’assalto degli Uccelli di Stinfalo. Tutti furono travolti, fermati, stritolati, penetrati dalla furia della catena, che trapassò persino il mantello piumato che il guerriero di Ares usava come difesa, dilaniando le proprie carni, facendolo precipitare al suolo, mentre tutto questo si accompagnava a un delicato suono. Un suono sconosciuto, che gli Uccelli di Stinfalo non avevano mai udito, come nell’Antica Grecia non avevano udito le nacchere di Efesto, provocato dall’armonico scintillare della Catena di Andromeda, che risuonava di celeste melodia.
Quando tutto fu finito, e gli ultimi uccelli si dettero alla fuga, spaventati da quell’ignoto bellissimo suono, Andromeda ritirò lentamente la sua arma, fida compagna di quell’ultima avventura, mentre il custode dell’oscura palude tentava di rimettersi in piedi. Emerse dal fango, come un’orrida apparizione, grondante sangue e melma, e con voce più stridula che mai. Sollevò uno stiletto, cercando di incamminarsi verso Andromeda, ma non riuscì a fare neppure tre passi che cadde avanti, nella fetida melma, che accolse il suo corpo, risucchiandolo per sempre.
Andromeda sospirò, in parte sollevato dalla fine della cruenta battaglia, in parte dispiaciuto, come ogni volta in cui aveva dovuto dare la morte in nome della giustizia. Si tastò il collo dolorante e sentì ancora sangue uscire fuori dalle ferite; tentò di raggiungere Pegasus e gli altri, ma si accorse di essere troppo debole per camminare. Con rammarico, si lasciò cadere con la schiena a una colonna, bisognoso di riposarsi e riprendere assolutamente fiato.
***
Che l’Ottava fatica fosse il Toro di Creta Pegasus e compagni lo avevano ben presente, fin da quando avevano lasciato la Settima Casa, uscendo finalmente dalla melmosa palude che aveva inquinato il versante medio della Collina della Divinità. Pegasus e Phoenix aprivano la strada, correndo lungo la scalinata, seguiti con qualche difficoltà, e maggior lentezza, da Sirio, ancora debole per lo scontro sostenuto con Diomede, alla Casa di Leo.
Prima ancora di entrare nell’antica casa dello Scorpione, i tre amici sentirono una potente e ostile emanazione cosmica venire loro incontro, da un lato invitandoli a proseguire, aspettandoli con baldanza tra le mura dell’Ottavo Tempio, dall’alto cercando di farli desistere, magari di inquietarli, ostentando il proprio cosmo.
"Non servirà!" –Esclamò Pegasus, entrando nella navata centrale della Casa di Scorpio.
"Tu credi?!" –Gli rispose una voce maschile, molto gutturale.
In piedi, in mezzo al vasto corridoio, proprio dove Cristal aveva affrontato Scorpio l’anno precedente, c’era un uomo alto e muscoloso, un vero colosso, come Pegasus e gli altri lo avevano immaginato. Grosso come un bue, il guerriero di Ares sembrava una copia malvagia del rimpianto Cavaliere del Toro, per quanto sembrasse ancora più alto e dalle forme più animalesche. Indossava un’armatura scarlatta, dalle forti sfumature color ocra, adornata da due possenti coprispalla stondati su cui erano affisse sinuose corna bovine; l’elmo, dalla rozza forma di una roccia, copriva l’intero cranio, lasciando scoperto solo il viso, su cui splendevano occhi scuri e determinati.
"Il Toro di Creta, immagino!" –Commentò Pegasus, fermandosi a una decina di metri dall’uomo.
Il guerriero di Ares non rispose, scattando avanti a una velocità impressionante, al punto che Pegasus, Dragone e Phoenix non riuscirono a staccare i piedi dal pavimento e furono travolti e scaraventati lontano. Quando si rialzarono, trovarono il possente berseker in piedi sopra di loro, che li osservava con uno sguardo pieno di superiorità e di compassione.
Incredibile! Mormorò Pegasus. Nonostante la sua massa, si muove ad una velocità impressionante! Ci ha caricato, come un toro furioso, senza lasciarci tempo alcuno per riflettere, per spostarci, neppure per pensare ad un modo per parare il suo assalto!
I pensieri di Pegasus furono interrotti da una nuova carica del berseker che puntò impetuosamente contro Sirio e Phoenix, in piedi sul lato destro della sala. Anche quella volta i due Cavalieri vennero travolti e scaraventati lontano, fino a sbattere contro le mura del Tempio dello Scorpione, mentre il gigantesco bue di Ares continuava la sua folle corsa abbattendo un paio di colonne.
"Sirio! Phoenix!!!" –Urlò Pegasus, osservando gli amici che non si rialzavano.
"Non temere per loro! È della tua vita che devi avere cura, adesso!" –Parlò finalmente il guerriero del Toro di Creta.
Senza altro aggiungere il muscoloso berseker caricò nuovamente Pegasus, il quale, mostrando maggiore attenzione, quella volta riuscì a vedere in che modo il guerriero si lanciava contro di lui. La troppa concentrazione però penalizzò i suoi riflessi, permettendo al Toro di Creta di portarsi di fronte a lui e travolgerlo, scaraventando Pegasus contro le colonne del tempio, abbattendole.
Il Cavaliere ricadde sul pavimento di marmo, perdendo l’elmo dell’armatura e sbattendo la nuca con violenza. Incurante del dolore si rimise in piedi, bruciando il proprio cosmo. Era rimasto affascinato dalla tecnica del berseker, il quale, per attaccare, si trasformava in una grossa pietra, in un masso marrone che rotolava velocissimo verso il suo nemico, travolgendolo impetuosamente.
Pegasus ansimò, ricordando un nemico affrontato in precedenza che usava una tecnica simile: Serian di Orione, un Cavaliere d’Argento dei tempi antichi, che la Dea della Discordia aveva richiamato in vita lo scorso anno, per farne un guerriero ombra al suo servizio. Serian saltava in aria, roteava su se stesso, diventando un incandescente nucleo che sfrecciava verso l’avversario, colpendolo con la punta del piede. Il Toro di Creta invece, rifletté Pegasus, si china su se stesso, rotolando sul pavimento, come un grande masso, come un pietra rotolante alla velocità della luce.
In un attimo il guerriero di Ares si lanciò nuovamente all’attacco, una rozza sagoma marrone diretta verso Pegasus, il quale, quella volta, decise di rispondere con il suo pugno lucente.
"Devo fermarlo! Fulmine di Pegasus!" –Esclamò il Cavaliere di Atena, scattando avanti, incontro al suo nemico.
Ma le migliaia di colpi luminosi di Pegasus non raggiunsero il guerriero di Ares, che rotolando su se stesso evitò tutte le stelle cadenti, troppo lente rispetto ai suoi spostamenti. Nuovamente fu su Pegasus e nuovamente lo travolse, scagliandolo lontano, addirittura fuori dall’Ottavo Tempio.
Pegasus ricadde sulla scalinata d’ingresso, rotolando malamente sul freddo marmo, mentre la sua corazza divina accusava il colpo, scricchiolando in più punti. Era stata una botta notevole, in pieno sterno, da distanza ravvicinata, e se non fosse stato per il mithril, che Efesto aveva donato loro, l’armatura avrebbe probabilmente ceduto in più punti.
Passi grevi risuonarono nell’atrio del tempio, accompagnando il cammino del guerriero di Ares, che intendeva porre fine alla vita del giovane pupillo di Atena.
Quando il Toro di Creta si affacciò sulla porta dell’Ottava Casa trovò Pegasus già in piedi, alla base della piccola scalinata di marmo, ansimante e con il volto segnato da rivoli di sangue.
"Sei pronto alla morte, Cavaliere?!" –Esclamò il guerriero, senza troppo scomporsi. –"Porterò la tua testa al Sommo Ares, vendicando anche il mio creatore Nettuno!"
"Il tuo creatore?!" –Balbettò Pegasus.
"Naturalmente! Non conosci la leggenda del Toro di Creta?!" –Gli domandò il guerriero, dall’alto della scalinata. –"Minosse, Re di Creta, conquistò il trono a danno dei suoi fratelli, Radamante e Sarpedonte, e a conferma del suo diritto al trono chiese a Nettuno di far emergere un toro dal mare, con la promessa di sacrificarlo! Il Dio accondiscese alla sua richiesta, ma vista la bellezza del sacro animale, Minosse tenne per sé la bestia, attirando le ire di Nettuno, che instillò nell’animo della moglie del re una morbosa passione per il toro, al punto da unirsi a lui, generando il Minotauro!"
"Mio Dio..." –Commentò Pegasus, approfittando di quel momento per recuperare le forze.
"Reso folle e furioso dal Dio, il toro lasciò Creta, iniziando a devastare villaggi e a travolgere uomini innocenti, finché Eracle, incaricato da Euristeo, non lo fermò, portandolo a Micene!"
"Fosti domato dunque, eh?!" –Sorrise Pegasus, con aria di sfida.
"No! Neppure il sommo Eracle riuscì a vincere il possente toro, limitandosi a catturarlo provvisoriamente, per condurlo da Euristeo, che lo dedicò ad Era, rimettendolo poi in libertà!
Era tuttavia, considerando odioso un dono che le ricordava la gloria di Eracle, guidò il toro prima a Sparta e poi a Maratona in Attica, dove Teseo lo trascinò ad Atene per sacrificarlo ad Atena!""E adesso hai rinunciato alla tua bella libertà per servire quel fanatico di Ares, eh?!"
"Ti sbagli! È proprio per riavere la mia libertà che ho accettato di servire il Dio della Guerra! Dopo che Era mi aveva maledetto, che Nettuno mi aveva rifiutato, e che Atena mi aveva fatto cacciare da Teseo, dopo la mia fuga da Micene, avevo perso ogni fede, ogni speranza! Fu Ares, trovandomi, a incanalare la mia rabbiosa furia verso nuovi obiettivi!"
"E ne vai fiero?!" –Disse Pegasus. –"Portare la morte in nome di Ares significa avere la libertà?!"
"Taci, ragazzino!" –Lo zittì il guerriero, espandendo il proprio cosmo. –"Tu ancora non conosci il disprezzo divino, il sentirsi rifiutati dal proprio Padre celeste; ma con le tue azioni irrispettose, con il tuo agnosticismo battagliero presto ti attirerai l’odio degli Dei, e allora capirai quanto desiderosa sia la libertà!"
Senz’altro aggiungere, il guerriero di Ares si preparò a caricare nuovamente Pegasus, dall’alto della scalinata, assumendo la forma di tozza roccia, mentre il Cavaliere di Atena bruciava il suo cosmo come non mai, deciso a fermare la sua folle corsa. La pietra rotolante puntò su Pegasus a gran velocità, ma quella volta incontrò la tenace resistenza del cosmo del ragazzo, il quale portò entrambe le braccia avanti per contenere l’impatto con il guerriero di Ares.
"Come… come riesci a fermare il Toro di Creta?!" –Tuonò il berseker, spingendo ancora per travolgere Pegasus. Ma questi non rispose, risparmiando il fiato e continuando a opporre resistenza.
La devastante potenza del toro stava lentamente spingendo Pegasus indietro, mentre i suoi piedi scavavano solchi nel pavimento del piazzale, obbligando il Cavaliere ad un enorme sforzo fisico.
Per un momento Pegasus ricordò i giganti che aveva affrontato nelle sue tante battaglie, da Geki dell’Orsa, durante la Guerra Galattica, ad Aldebaran del Toro, fino a Thor, nobile Cavaliere di Asgard. E su tutti aveva vinto, forte del potere di Atena e delle stelle che albergano dentro di lui. E saprò vincere anche questo colosso! Mormorò, stringendo i denti. Iaiiii!!! Ed espanse ancora il proprio cosmo, portandolo ai limiti estremi della galassia, come il suo maestro, Castalia dell’Aquila, le aveva insegnato, e come le avventure successive gli avevano permesso di superare.
"Non esistono limiti al cosmo di un Cavaliere!" –Gli aveva spiegato una volta Castalia. –"Teoricamente esso è infinito! Un immenso potenziale sopito, che solo l’animo puro di un Cavaliere che combatte per la giustizia può risvegliare! Trova dentro di te la forza per sconfiggere i tuoi nemici, Pegasus!"
Sì! Lo farò, Castalia! Mormorò il ragazzo, spingendo sempre di più. Con determinazione, piantò i piedi saldamente a terra, concentrando il cosmo sulle braccia, riuscendo a frenare la devastante spinta del guerriero di Ares, il quale, stupefatto da un simile prodigio, ebbe un attimo di esitazione.
Pegasus, il cui cosmo aveva raggiunto proporzioni quasi divine, allentò la presa con il braccio destro, sul cui pugno concentrò la sua energia lucente, riuscendo a contrastare la carica del toro con il solo braccio sinistro, prima di scagliare un violento attacco da distanza ravvicinata.
"Fulmine di Pegasus!!!" –Gridò, mentre una fitta pioggia di stelle cadenti si abbatteva sulla pietra rotolante, che, colpita da distanza così ridotta, venne spinta indietro, con una violenza tale da schiantarsi sulla scalinata del Tempio.
Incredibile! Mormorò il guerriero del Toro di Creta, sprofondato nella fossa che il suo possente corpo aveva scavato nel marmo. Non riesco a credere che un uomo abbia potuto respingermi in così brutale modo! Rifletté, mentre il suo elmo marrone andò in frantumi, rivelando il cranio sanguinante del berseker.
A fatica, respirando affannosamente, il guerriero di Ares tentò di rialzarsi, di uscire da quell’indegna fossa, cercando il Cavaliere con lo sguardo e immaginando di trovarlo di fronte a lui, accasciato in terra, debole per lo sforzo. Ma fu tremendamente sorpreso di non vederlo.
Un brivido corse lungo la sua schiena, un brivido che accompagnò il robusto tocco di mani decise che lo afferrarono da dietro, bloccando i suoi movimenti e trascinandolo in alto.
"Spirale di Pegasus!" –Urlò il ragazzo, volteggiando nel cielo sopra l’Ottava Casa, come una scintillante cometa che prestò ricadde verso il terreno.
"Aaaargh!!!" –Gridò il Toro, disorientato da una simile tecnica. –"Così rozza, così rischiosa…" –Mormorò, prima di schiantarsi rovinosamente sul pavimento di marmo, scavando un’altra fossa col proprio corpo. –"Così vincente!"
Pegasus ricadde compostamente al suolo, aiutato anche dalle ali della sua Armatura Divina, e per un momento fu tentato di lasciarsi cadere in ginocchio, per riprendere fiato. I colpi ricevuti allo sterno e all’addome lo facevano respirare a fatica, e lo sforzo a cui era stato sottoposto, sia per contrastare la rotolante pietra umana, sia per utilizzare la Spirale di Pegasus, lo avevano indebolito parecchio. La profonda voce del guerriero di Ares lo riportò in battaglia, nel piazzale antistante l’Ottava Casa.
"Mi avevano parlato di te, Cavaliere di Pegasus. Flegias ti aveva descritto come un ragazzino irrispettoso, irriverente, incapace di accettare i destini decisi dagli Dei… il che non è poi così distante dal vero! Mi aveva incuriosito questa tua descrizione, e così scelsi di aspettarti, sapendo che saresti arrivato certamente all’Ottava Casa! Volevo capire cos’era che ti rendeva così insolente verso gli Dei, così determinato a perseguire i tuoi interessi, la tua strada, anche a costo di metterti contro la stirpe divina?!"
"La mia strada segue un ideale di giustizia e di libertà, incarnati dalla Dea in cui credo, Atena! Ma per te che hai rinunciato ad essi molto tempo fa, quando fosti reso folle e furioso da Nettuno, vendendo l’anima al Dio delle atroci guerre, credo sia impossibile comprenderlo!" –Affermò Pegasus, bruciando ancora il proprio cosmo, azzurro e luminoso.
Il Toro di Creta non rispose, facendo altrettanto, e osservando di sottecchi il ragazzo muovere velocemente le braccia di fronte a sé, quasi a comporre un disegno nell’aria.
"Brucia cosmo delle tredici stelle!" –Esclamò Pegasus, raffigurando la sua costellazione. –"Splendi, Fulmine di Pegasus!" –E una pioggia di lucenti pugni si abbatté sul guerriero di Ares, il quale, forte della sua resistenza e velocità, seppe pararli tutti, spegnendoli con i palmi uno ad uno.
"Uh?! Come?!" –Sgranò gli occhi Pegasus, stupito da una simile maestria.
"Dovrai fare di più per abbattere il Toro di Creta!" –Commentò il guerriero, ma non in tono di scherno, bensì con l’aria rassegnata di un uomo dominato dai sensi di colpa.
"Lo farò!" –Strinse i pugni Pegasus, mentre il suo cosmo azzurro invadeva l’intero spiazzo, e la sagoma del maestoso cavallo alato appariva dietro di lui.
"Bene!" –Commentò il toro, prima di roteare nuovamente su se stesso, assumendo la tozza forma della pietra rotolante. –"Carpe Diem! Perché non avrai altre occasioni!" –Con tutto il suo potere, il berseker si lanciò verso Pegasus, veloce ed energico come mai era stato prima, obbligando il Cavaliere di Atena ad un unico modo per poterlo fermare.
"Cometa… lucente!" –Urlò Pegasus, concentrando tutto il suo cosmo in un unico colpo.
La scintillante cometa saettò nel piazzale scontrandosi in pieno con l’ammasso roccioso rappresentato dal Toro di Creta e fermando, con molta fatica, la sua avanzata. Il guerriero di Ares venne sollevato, trapassato dalla devastante meteora luminosa, e ricadde a terra, molti metri addietro, tra i frammenti insanguinati della sua corazza. Un immenso buco era apparso sul suo petto, ancora fumante per l’energia sprigionata. A fatica, il guerriero boccheggiò sul pavimento, volgendo lo sguardo verso il cielo, chiamando il Cavaliere di Atena con un filo di voce.
"Non ho dimenticato il valore della libertà, Cavaliere di Pegasus! Sono solo stato troppo arrabbiato con gli Dei per il destino che mi avevano riservato, o troppo debole e indolente per tentare di cambiarlo, da lasciarmi accecare dai fatui bagliori di gloria promessami da Ares!" –Mormorò, prima di chiudere gli occhi.
"Che tu possa trovare la via per il paradiso dei Cavalieri!" –Commentò Pegasus, inginocchiandosi accanto al suo corpo distrutto. –"Più di molti altri, sei degno di riposarvi!"
Dopo un ultimo sguardo di commiato, si volse verso l’ingresso dell’Ottavo Tempio, per tornare dai propri amici, ma non riuscì a raggiungerlo, crollando al suolo, esausto per lo sforzo, mentre una leggera pioggia iniziava a cadere sul Grande Tempio di Atene. Una pioggia che avrebbe lavato gli insanguinati scalini delle Dodici Case, mondandoli dalla violenza che vi si era consumata. Violenza che ancora non era giunta al suo termine.