CAPITOLO QUINDICESIMO. SULLE TRACCE DEL NIENTE.
Libra e Scorpio, dopo aver lasciato l’Olimpo, sfrecciarono attraverso l’Europa Orientale, diretti verso le antiche terre dell’Asia. L’Arcipelago Giapponese era la meta del Cavaliere dello Scorpione, mentre la vallata dei Cinque Picchi lo era per Libra, due luoghi cari ai Cavalieri dello Zodiaco, loro amici e compagni d’arme. Due luoghi in cui, i Cavalieri d’Oro lo sapevano bene, si trovavano affetti che Ares avrebbe potuto colpire. Lasciatisi alle spalle l’Europa, i due decisero di procedere separatamente, dirigendosi ognuno verso il proprio obiettivo, sperando di non incontrare nemici durante il loro tragitto. E così avvenne, in entrambi i casi. Nessun berseker tentò di fermare i due Cavalieri d’Oro, che giunsero indisturbati alle loro mete finali.
Quando Milo di Scorpio raggiunse la città di Nuova Luxor la trovò proprio come Pegasus gliel’aveva descritta: una moderna città di fine millennio, con alti grattacieli e milioni di abitanti. La scelta di quella meta non fu completamente casuale. Non soltanto Libra voleva tornare ai Cinque Picchi, ma lo stesso Scorpio aveva espresso il desiderio di dirigersi in Giappone, per incontrare e conoscere l’ultima allieva di Albione, Nemes del Camaleonte, discepola dell’uomo che lo stesso Scorpio aveva affrontato, e ucciso, l’anno precedente, quando al servizio di Arles, e convinto di eseguire gli ordini di Atena, aveva raso al suolo l’Isola di Andromeda, ingaggiando combattimento proprio con il Cavaliere di Cefeo.
Già! Commentò Scorpio, amaramente, mentre un forte senso di colpa si risvegliava in lui per non aver saputo riconoscere il male nell’animo del Grande Sacerdote. Ho ucciso credendo di essere nel giusto! Quale vergogna per un Cavaliere del mio rango! Ma adesso non posso tornare indietro... no... posso solo chiedere il perdono e la comprensione dell’ultimo discepolo di Albione!
Il Cavaliere dello Scorpione, avvolto nel suo mantello per non dare troppo nell’occhio, seguì le indicazioni per l’ospedale della Fondazione e quando vi arrivò percepì che era accaduto qualcosa di grosso. Segni evidenti di lotta in tutto l’ingresso principale, muri e pavimento distrutti, guardie armate e dottori in forte agitazione, e i corpi di tre ragazzini massacrati, tra i frammenti delle strane armature che indossavano. Che sia dunque troppo tardi?! Rifletté, sguisciando in fretta al piano superiore. Ma anch’egli, come Scure e Balestra ore prima, non trovò tracce di Patricia né di Nemes.
Il muro distrutto della camera gli offrì una nuova pista da seguire, ripetendo in fretta il percorso compiuto dai berseker di Ares prima di lui, fino al centro della foresta intorno all’ospedale. Là trovò i corpi feriti di una decina di guerrieri dalle scarlatte armature, che non ebbe dubbio alcuno nel riconoscerli: erano i berseker del Dio della Guerra, da lui inviati per rapire Patricia e Nemes.
Ma chi può averli uccisi?! Da ciò che Pegasus e Andromeda mi hanno raccontato, questa Nemes è un Cavaliere di Bronzo, uno dei superstiti dell’Isola di Andromeda! Per quanto discepola del grande Albione, e quindi potenzialmente abile, non può essere riuscita a tenere testa, e ad uccidere, dieci berseker da sola! Si domandò, osservando i corpi senza vita dei guerrieri. Molti di loro erano stati passati da parte a parte, con colpi decisi e sottili che avevano perforato il loro corpo, senza incontrare resistenza. Rapidi fasci, precisi ed efficaci hanno sterminato questi macabri guerrieri! Commentò Scorpio. I cacciatori sono diventati preda! Ironizzò, affatto dispiaciuto per la triste sorte dei suoi avversari. Ma non poté fare a meno di chiedersi contro chi avessero combattuto. Tentò di usare il cosmo per contattare il compagno, in Cina, quando si accorse, con stupore, ma anche con una certa preoccupazione, che il suo cosmo era facilmente percettibile. Troppo facilmente!
Il Cavaliere di Libra era infatti impegnato in un combattimento.
***
Dohko di Libra raggiunse nuovamente i Cinque Picchi, dopo averli lasciati pochi giorni prima, alla ricerca di Fiore di Luna, la ragazza che aveva adottato anni addietro, per lenire la propria solitudine in quella terra d’Oriente. Dopo la battaglia con Arge, Ciclope di Zeus, e la distruzione della vecchia pagoda in cui il Cavaliere era vissuto per due secoli e mezzo, Dohko aveva suggerito a Fiore di Luna di trovare una nuova momentanea sistemazione. Non c’era tempo, con la guerra sull’Olimpo in corso, di ricostruire una nuova pagoda, e la cosa migliore era che la ragazza fosse ospitata da persone fidate. Cosa che infatti accadde, venendo accolta da una famiglia che abitava in una vallata adiacente a quella dei Cinque Picchi, che Dohko e Fiore di Luna conoscevano abbastanza bene.
"Non preoccuparti!" –Le aveva detto Sirio, prima di lasciarla. – "Quando la guerra finirà tornerò da te, e insieme costruiremo una casa per entrambi! Insieme costruiremo il nostro futuro!"
Fiore di Luna aveva sorriso, con le lacrime agli occhi e il cuore pieno di emozioni. E l’aveva lasciato partire un’altra volta, l’ennesima volta. Quel viso sorridente ma anche preoccupato era il volto che Dohko era solito riconoscere in lei, ed era il volto che adesso andava cercando.
Raggiunta l’abitazione dei contadini dove Fiore di Luna aveva trovato alloggiò, trovò conferma alle sue fosche previsioni. La casa era stata distrutta, e tutti i campi e le foreste di bambù circostanti erano stati incendiati, da mortifere fiamme che avevano il solo scopo di portare dolore. Anche l’anziana coppia, a cui Dohko aveva chiesto aiuto, era stata uccisa, e questo lo rattristò, facendolo sentire in colpa. Per un momento, osservando le ultime fiamme divorare quel che rimaneva della vecchia pagoda e dei campi attorno, prima di estinguersi, pensò che aveva fallito. Aveva condannato a morte due innocenti. O forse tre, se Fiore di Luna non fosse stata semplicemente rapita. Cosa dirò a Sirio?! Si chiese il Cavaliere d’Oro.
Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. Segni vistosi sul terreno, tracce marcate di piedi che si muovevano confusamente e lasciavano lo spazio intorno alla casa per correre via, nel campo attorno. Dohko li seguì, finché a metà del campo tali segni si fecero più confusi, mescolandosi tra loro in un groviglio di orme impossibili da riconoscere, se non fosse che, scaraventati poco distante, vi erano i corpi semidistrutti di una decina di guerrieri. Dohko osservò le armature che avevano indosso e immaginò si trattasse dei berseker di Ares, e la cosa lo stupì non poco.
Com’è possibile?! Si chiese. Come sono morti questi uomini? E dov’è Fiore di Luna? Inizialmente aveva creduto che la ragazza fosse riuscita a fuggire e che gli spietati guerrieri di Ares l’avessero rincorsa e raggiunta nel campo… ma i corpi morti dei berseker lo straniavano completamente. Sembravano arsi dalle fiamme, bruciati vivi da un’energia forte e vigorosa, al punto che le loro corazze erano andate in parte in frantumi per l’immenso calore col quale erano venute a contatto.
Sembra che questi guerrieri siano stati feriti da una massa di energia rovente! Commentò Dohko. Una simile energia non esiste in natura libera in questi luoghi! Soltanto un uomo dotato di cosmo può compiere un gesto simile! Ma chi?! E perché?! Forse una guerra intestina? Che i berseker si siano uccisi tra di loro?! Beh, potrebbe essere… in fondo i servitori di Ares sono oscuri e infidi, relitti sbandati di un tempo che sembra non finire mai, non mancherebbe loro il coraggio di uccidersi a vicenda, magari per ambire ad una ricompensa promessa dal loro fratricida Dio! Ma quella spiegazione, in fondo, non soddisfò neppure lui. Fiore di Luna… Strinse i pugni Dohko, augurandosi che la ragazza stesse bene.
Improvvisamente una vasta emanazione cosmica esplose dietro di lui, obbligando il Cavaliere a voltarsi e a scattare rapido all’indietro, evitando potenti fasci energetici che guizzarono verso di lui.
"Chi va là?!" –Gridò Dohko, atterrando sul terreno poco distante, e immaginando di trovare il suo nemico di fronte a lui. Ma colui che lo aveva attaccato si trovava ancora distante, all’iniziare del campo, ma si stava avvicinando ad una velocità sorprendente. Dohko sbatté le palpebre, per un momento incredulo, prima di mettere a fuoco, sotto i luminosi raggi del sole di Cina, un uomo, ricoperto da una scarlatta armatura, avanzare verso di lui, alla guida di una scintillante quadriga.
"Uh?!" –Si chiese Dohko, mossi capelli marroni fermati da un nastro di stoffa, un viso rude e maschile, ed un’armatura scarlatta, dalla forma un po’ spigolosa e dai cupi riflessi di morte, che copriva buona parte del suo corpo, ma non tutto. Ma non ebbe il tempo di pensare altro che l’uomo sulla quadriga, giunto rapidamente di fronte a lui, lo attaccò con guizzanti raggi energetici, che Dohko fu abile ad evitare e a parare con il suo Scudo Dorato. –"Chi sei, cavaliere?!"
"Non chiamarmi con quel nome, stupido mortale! Io sono un berseker! Di stirpe divina e regale!" –Esclamò l’uomo, fermando la quadriga a pochi metri da Libra. –"Eveno, della Quadriga Celere! Figlio di Ares e suo messaggero! Sono giunto fin qua, in queste bastarde terre d’Oriente, per sincerarmi dell’operato dei guerrieri miei subalterni, preoccupato per il loro, apparentemente immotivato, ritardo! E ho fatto bene a venire, per affrontare te, che hai sconfitto i miei sottoposti!"
"Io non ho sconfitto nessuno, figlio di Ares!" –Precisò Dohko, irritato dall’atteggiamento di superiorità dell’uomo. Un mortale che si crede un Dio solo perché in lui scorre del sangue divino! Commentò acidamente Dohko. Non è il primo né l’ultimo a vivere di questa illusione! Crede di essere invincibile, di essere immortale, ma presto si accorgerà di essere soltanto carne da cannone per il Dio della Guerra. Niente di più!
"Non mentirmi, bastardo ateniese! Dieci corpi di berseker giacciono intorno a te, gli stessi guerrieri a cui mio padre affidò il compito di rapire una fanciulla! E tu, che hai osato ostacolare la Divina Volontà di Ares, pagherai cara questa insolenza!"
"Se è la guerra che qua ti porta, figlio di Ares, allora non mi tirerò indietro e ti affronterò, come si affronta un invasore che porta fuoco e morte nella propria casa!" –Spiegò Dohko, mettendosi in posizione da battaglia. –"Ma non incolpare me del fallimento dei tuoi sgherri, perché, seppure mi piacerebbe gloriarmi di tale vittoria, non sono io la causa della loro sconfitta!"
"Taci, miserabile!" –Gridò Eveno, schioccando con forza la frusta che reggeva nella mano destra.
La verga colpì i cavalli di fronte alla quadriga scarlatta, che si impennarono improvvisamente, emettendo versi osceni. E solo in quel momento Dohko realizzò, osservandoli da vicino, che quelle bestie non erano cavalli, ma immondi esseri dalle deformi figure umane.
"Osservi i miei cavalli, Cavaliere dorato?!" –Esclamò tronfio Eveno. –"Non sono stupendi?! Erano uomini un tempo, uomini mortali proprio come te! Esseri inferiori che hanno osato sfidarmi, chiedendo la mano di mia figlia, venendo sconfitti. Le loro anime sono condannate a rimanere prigioniere dei miei cavalli, guidando in eterno la quadriga celere che li ha superati, che li ha schiacciati con le sue possenti ruote scarlatte! Una pena eterna, da cui mai saranno liberati!"
"È terribile!" –Mormorò Dohko, abbassando gli occhi. E gli parve di udire, in mezzo a quei versi osceni, delle grida di disperazione, delle urla di uomini impauriti, trasmutati in bestie deformi.
"E presto anche tu farai parte del mio cocchio!" –Gridò Eveno, sbattendo nuovamente la frusta.
I cavalli deformi si impennarono, volgendosi rapidi verso Dohko, e puntando su di lui ad altissima velocità. Il Cavaliere fu svelto a rotolare sul terreno, evitando la carica della Quadriga Celere, ma non ebbe tempo di riprendere fiato che subito dovette fronteggiare un nuovo assalto, alla velocità della luce.
"Cos’è? Sei sorpreso, Cavaliere di Atena?!" –Lo derise Eveno, dall’alto della sua biga. –"Il nome Quadriga Celere non è certo di presunzione, ma frutto dei miei divini poteri che le permettono di spostarsi alla velocità della luce! Proprio come te! E, anzi, forse ad una velocità superiore!"
Una nuova frustata di Eveno diede il via al rinnovato assalto della Quadriga Celere, i cui deformi cavalli puntarono disperatamente su Dohko, obbligandolo a muoversi continuamente per non essere travolto. Ma ogni volta in cui si spostava, doveva nuovamente fronteggiare una nuova carica, verificando, suo malgrado, la veridicità delle parole di Eveno.
"Adesso basta!" –Mormorò Dohko, liberando il Drago Nascente. –"Fermati cocchio infernale!" –E diresse lo scintillante potere del suo cosmo contro la Quadriga Celere. Ma l’attacco non raggiunse l’obiettivo, perdendosi nel cielo terso d’Oriente. –"Che cosa?!" –Balbettò, incredulo.
La Quadriga si era spostata a sinistra, evitando l’affondo e portandosi alla destra del Cavaliere d’Oro, rimasto attonito e stupito. Eveno, approfittando di quel momento di distrazione, sbatté con forza la frusta sul cocchio scarlatto, che si allungò a dismisura e corse verso il Cavaliere di Libra, attorcigliandosi intorno al suo collo.
"Prigionia dell’Anima!" –Gridò Eveno, liberando una forte scarica energetica che percorse l’intera frusta, facendo urlare Dohko dal dolore.
Il Cavaliere d’Oro, soffocato e stritolato dall’energetica frusta, tentò di reagire, cercando di allargare la stretta mortale con la mano destra, mentre con la sinistra afferrò la frusta poco avanti, per allentare la presa. Ma la verga di Eveno lo fulminò ancora, stridendo contro la dorata protezione della Bilancia e impedendogli di portare a termine il suo progetto.
"Non opporre resistenza, mortale! Sarebbe un inutile spreco di tempo!" –Commentò Eveno, osservando i goffi tentativi di Dohko di liberarsi. –"La frusta di Eveno non è una verga qualsiasi! Essa possiede il potere di assorbire l’energia interiore di un uomo, tramutandola nelle deformi bestie che guidano il mio cocchio! Come ti dissi poc’anzi, presto sarai anche tu uno dei cavalli della Quadriga Celere, e questo dovrebbe renderti felice e onorato di una simile morte!"
"Ma... mai…" –Sibilò Dohko, accasciandosi a terra.
"Sciocco… Non accettare il proprio destino è segno di presunzione infinita! Soprattutto da parte di un uomo in procinto di morire!" –Lo rimproverò Eveno, stringendo ancora la presa della sua frusta.
Nuove scariche di energia stritolarono il corpo di Dohko, sollevandolo da terra con improvviso vigore e scaraventandolo lontano, nel campo erboso. Eveno ritirò quindi la sua frusta, convinto di aver sconfitto il Cavaliere d’Oro e di averlo privato della sua energia, del suo cosmo. Sbatté nuovamente il frustino sulle sue immonde bestie, per liberare il potere di Dohko, da lui appena imprigionato, con un sorriso sardonico sul volto.
Aveva assorbito il cosmo di un Cavaliere d’Oro, di uno dei più potenti Cavalieri di Atena! Questo avrebbe sicuramente aumentato notevolmente il potere e la velocità della sua Quadriga Celere, portandola forse ad essere più forte e più rapida del maledetto carro del suo rivale, Enomao, altro figlio bastardo di Ares, ma da lui tenuto in maggior considerazione, al punto che il Dio gli aveva fatto dono di cavalli alati. Ma da oggi io sarò il primo! Commentò Eveno, prima di accorgersi, con immenso stupore, che la sua frusta non aveva immagazzinato energia alcuna.
"Com’è possibile?!" –Si chiese, sbattendo nuovamente la sua verga sui cavalli informi. E ancora e ancora. Ma nessuna energia giungeva a lui, nessun surplus su cui fare riferimento per aumentare il potere e la velocità della sua Quadriga.
In quel momento, tossendo e sputando, Dohko si rimise in piedi, ansimando per lo sforzo, ma sorridendo soddisfatto. Anche se ferito, tutto sommato aveva vinto.
"Come può essere?!" –Gridò Eveno, non comprendendo.
"Bella arma la tua verga, Eveno! Utile per frustare un illuso bastardo come te!" –Lo derise Dohko, mettendosi in posizione eretta. –"Forse sugli uomini mortali ha avuto effetto, ma non su un Cavaliere protetto da un’Armatura d’Oro! Un’armatura forgiata dagli alchimisti di Mu millenni addietro, intrisa della Divina Volontà di Atena, e ricreata, usando le proprie ceneri, nelle fornaci di Muspellheimr, nel Reame Nordico!"
"Un’Armatura d’Oro?!" –Bofonchiò Eveno, incapace di accettare il suo fallimento. –"Ha davvero potuto opporsi alla Prigionia dell’Anima?!"
"Adesso sembri tu, restio ad accettare il proprio destino!" –Lo schernì Dohko, bruciando il cosmo.
"Taci, mortale!" –Gridò Eveno, imbestialito. –"Prigionia dell’Anima!" –E lanciò nuovamente la frusta, potenziandola del suo cosmo semidivino. Ma Dohko quella volta non si fece sorprendere. Afferrò il Tridente Dorato, caricandolo del suo scintillante cosmo, e fermò con esso l’avanzare sguisciante della verga, spingendola contro il terreno, con il tridente piantato in essa.
"A me il gioco, adesso!" –Esclamò Dohko, sfoderando il secondo Tridente d’Oro. Lo puntò avanti, scaricando un abbagliante fulmine di energia dorata, che colpì Eveno in pieno, scagliandolo fuori dalla Quadriga, mentre il Cavaliere d’Oro con un balzo era davanti al suo cocchio.
Con un colpo secco, Dohko piantò il tridente nella Quadriga Celere, sfondando la sua protezione e liberando il suo cosmo dorato e purificatore. Stringendo i denti per lo sforzo, il Cavaliere di Libra sollevò la Quadriga, usando il tridente come leva, e la lanciò lontano, sbattendola con forza sul terreno, distruggendola. I cavalli deformi, liberi dal loro obbligo di servilismo, iniziarono a correre per il vasto campo, nitrendo selvaggiamente, quasi come se tentassero di recuperare una libertà che da molto tempo avevano perduto.
"Maledetto!" –Gridò Eveno. –"Me la pagherai!" –E scattò avanti, con il pugno carico di energia cosmica. Ma Dohko, per quanto Eveno fosse velocissimo, come la Quadriga che dal mito guidava, fu più svelto di lui; sollevò lo Scudo Dorato, su cui si infranse il colpo di Eveno, brandendo il tridente e conficcandolo nel piede sinistro del suo avversario. La protezione scarlatta del berseker andò in frantumi e Eveno tirò un urlo, mentre il suo piede sprofondava nel terreno, trapassato dal forcone dorato. –"Aaargh!!!" –Gridò Eveno, i cui occhi esplodevano di rosso furore di morte.
"Eveno della Quadriga, devo dartene atto! Mi hai etichettato come un comune mortale all’inizio dello scontro e inizialmente la tua presunzione mi aveva offeso, quasi disturbato. Ma poi, ascoltando il male insito dentro di te, la collera e l’odio annidati nel tuo animo, mi sono detto che mille volte preferirei morire, mille volte preferirei essere un uomo mortale, che passare un solo giorno della vita in un corpo semidivino come il tuo, ma così triste e incapace di comprendere i sentimenti umani!"
"Tu sia dannato per l’eternità, bastardo!" –Esclamò Eveno, afferrando il Tridente con entrambe le mani e liberando il suo piede insanguinato. Ma ormai era troppo tardi. Il cosmo di Libra si era già acceso, scintillando nel verde prato, di fronte agli occhi attoniti e spaventati del suo avversario.
"Colpo del Drago Nascente!" –Urlò Dohko, liberando l’immensa sagoma del drago d’Oriente, che volò rapido verso Eveno, colpendolo in pieno petto, mentre ancora reggeva il Tridente Dorato.
Il berseker di Ares fu travolto e scaraventato lontano, mentre la sua scarlatta corazza andò in frantumi, schiantandosi sul terreno poco distante. Vicino ai guerrieri, da lui giudicati inferiori, che era tornato a cercare. In quel momento, forse privi per sempre del malefico controllo del loro carnefice, i cavalli si trasformarono, dissolvendosi nel vento poco dopo. Dohko sorrise, intuendo che le anime degli uomini da Eveno uccisi, le anime che aveva imprigionato facendone bestie deformi, avevano lasciato quel mondo, alla ricerca di un po’ di pace. Un grazie portato dal vento giunse all’orecchio del Cavaliere di Libra, un grazie ed un raggio di sole. Un grazie che, per quanto gli riempisse il cuore di gioia, non lo aiutava a capire dove si trovasse Fiore di Luna.
***
Quando Patricia riaprì gli occhi, ancora stordita, si accorse di essere in una grande stanza, poco illuminata, distesa su un soffice giaciglio di paglia. A fatica tentò di mettersi a sedere, per capire dove si trovasse e cosa fosse accaduto nelle ultime ore. Le doleva la testa, e si sentiva anche affamata, ma cercò di non pensarci e riorganizzare i frammenti dei suoi ricordi.
Fino a qualche ora prima, non sapeva neppure lei quanto, si trovava distesa nel suo letto, nell’Ospedale della Grande Fondazione, dove, da ciò che Nemes e i Cavalieri di Acciaio le avevano raccontato, suo fratello l’aveva condotta un paio di giorni prima, dopo essere rimasta ferita dall’attacco di un Cavaliere Celeste. Quella era stata l’ultima volta in cui aveva visto Pegasus, l’ultima volta in cui aveva parlato con suo fratello, prima che egli recuperasse la memoria, tornando ad essere il Cavaliere della Speranza. E a rischiare la vita per difendere la Terra e l’umanità.
Pegasus! Mormorò la ragazza, chiedendosi dove si trovasse il fratello e augurandosi il suo bene.
In quella, si accorse di un’altra persona, sdraiata non distante da lei, ricoperta da una morbida coperta che nascondeva il suo corpo alla vista di Patricia, ma la ragazza la riconobbe comunque dai lunghi capelli biondi. Doveva essere Nemes, l’amica di Andromeda, sua compagna nei lunghi anni dell’addestramento. In un momento Patricia ricordò tutto: l’assalto all’Ospedale, quei terribili guerrieri dalle vestigia scarlatte, la fuga nel bosco e… quel Cavaliere! Quel misterioso biondino che le aveva salvate. Chi era? Si domandò, non avendolo mai visto.
Un rumore proveniente dal fondo della stanza la fece sussultare, mentre una porta si apriva cigolando, lasciando entrare un giovane che reggeva una torcia luminosa, che rischiarò l’ambiente, permettendo alla ragazza di realizzare che il luogo in cui si trovava altro non era che una caverna. Un’ampia grotta, dall’alto soffitto, illuminata soltanto da alcune fiaccole affisse alle pareti laterali.
"Non avete mangiato niente, a quanto vedo!" –Esclamò il giovane, rubando Patricia ai suoi pensieri.
La sorella di Pegasus fissò il ragazzo e riconobbe il Cavaliere che le aveva salvate, sgominando in un attimo i malvagi Guerrieri Scarlatti. Biondo, dai capelli cinerei, un viso delicato e occhi marroni, sembrava un angelo disceso sulla Terra. Ma un angelo combattivo! Si disse Patricia, osservando l’armatura che il ragazzo indossava. Una splendida corazza che ricopriva quasi totalmente il suo corpo, senza apparire pesante o ingombrante, ma leggera e eterea al tempo stesso; il suo colore oscillava tra il dorato e il bianco sporco, ma riluceva di mille sfolgoranti striature, capaci di riflettere lo scintillio delle stelle.
"Chi sei?" –Domandò infine, con voce tremolante. –E dove siamo?
"Non aver paura! Non è nostra intenzione farvi del male!" –Rispose il ragazzo, parlando con voce calma. E lasciando intendere che non fosse solo.
Il rumore della conversazione risvegliò anche Nemes, la quale si voltò di scatto, chiedendo confusamente spiegazioni.
"Le avrete, quando sarà il momento!" –Esclamò il biondino. –"Adesso pensate soltanto a riposarvi e a rimettervi in forma!" –E indicò loro una tavola imbandita poco distante, con pezzi di pane, frutta fresca, verdura e un recipiente pieno di un’aromatica zuppa, oltre che varie caraffe di acqua. Non aggiunse altro e si allontanò, lasciando le due ragazze sole, a chiedersi dove fossero capitate. Dopo pochi minuti ricomparve, tenendo per mano una ragazza, dall’aspetto gracile e delicato. Patricia la fissò per un momento, e lo stesso fece Nemes, riflettendo di averla già vista in precedenza.
"Ecco!" –Sorrise il giovane, accompagnando la ragazza fino alla tavola a cui si erano appena sedute Nemes e Patricia. –"Credo che vi farà piacere passare del tempo in compagnia! Del resto… sono certo che abbiate molti argomenti in comune, non è così, Fiore di Luna?"
Fiore di Luna! Mormorò Patricia, sgranando gli occhi. La ragazza di Sirio, il Cavaliere del Drago, grande amico di Pegasus! Ecco quando l’avevo incontrata! Quel giorno, molti mesi fa, quando Lady Isabel tolse la memoria ai Cavalieri, donando loro il Talismano della Dimenticanza! Lei era presente… ed era così felice, così felice nel sapere che il suo Sirio non avrebbe più rischiato la vita in battaglia, e che adesso, finalmente, avrebbero potuto stare insieme! E vivere una vita normale, come tutti i giovani della nostra età!
E non è forse quello che ho pensato anch’io, riferendomi a mio fratello Pegasus? E che ha provato Nemes, per Andromeda?! Rifletté amaramente. Oh Atena, ogni tanto ti odio! Se tu non esistessi, non esisterebbero neppure i mortali pericoli che Pegasus e gli altri sono costretti ad affrontare ogni volta! E potrebbero vivere quella vita felice, piena di amore, a cui hanno diritto. Tremendamente tanto diritto!
La candida voce di Fiore di Luna la riportò in quella caverna, a chiedersi, con le altre due ragazze, cosa stesse accadendo e chi le avesse portate lì, salvandole dai Guerrieri Scarlatti.
Le tre giovani non potevano certamente sapere che pochi metri distante da loro era in corso un’interessante conversazione tra alcuni personaggi, gli stessi che avevano organizzato il loro salvataggio, per impedire ad Ares di disporre di un’ulteriore arma, più emotiva che fisica, da usare contro i Cavalieri di Atena.
"Mio Signore…" –Esclamò una decisa voce di donna. –"I berseker marciano verso l’Olimpo! Spade si infiammano nuovamente sul Sacro Monte!"
"Ahimè, dici il vero, Cavaliere di Luce!" –Rispose un’anziana, ma profonda, voce. –"Quest’epoca oscura è entrata nell’ultima fase del suo declino, e temo che non molto tempo passerà prima che la grande ombra scenda su tutti noi!"
"Riusciremo a fermarla in tempo?" – Chiese la donna, in piedi di fronte al vecchio uomo.
Questi non rispose, sospirando, prima di spostare lo sguardo verso due ragazzi, inginocchiati di fronte al trono di legno sul quale sedeva. Biondo era il primo, con lisci capelli che cadevano sulle spalle, e occhi marroni su un viso rotondo, luminoso come il sole; mentre il secondo aveva mossi capelli castani, che uscivano dall’elmo della sua corazza, ed occhi azzurri, profondi come il mare.
Di fronte a loro, per terra, c’era un oggetto che avevano recuperato dalle profondità degli abissi, salvandolo dal pericolo di una possibile appropriazione indebita da parte dei berseker di Ares. Il vaso contenente lo spirito di Nettuno, Dio dei Mari.
In quella una porta si aprì, dal fondo dell’ampia grotta, e un giovane Cavaliere dai biondi capelli ne entrò, reggendo una torcia ravvivante.
"Come stanno le nostre ospiti, Jonathan?" –Domandò il vecchio dalla lunga barba bianca.
"Fisicamente meglio, mio Signore!" –Rispose il ragazzo, avvicinandosi al piccolo trono. –"Ma sono desiderose di sapere, di conoscere cosa sta accadendo!"
"Aaah, grande è il desiderio di conoscere nell’uomo, innato ed infinito oserei dire!" –Sorrise l’antico saggio, toccandosi la sua lunga barba. –"Ma credo che per il momento sia meglio lasciarle all’oscuro dei fatti! Perlomeno fino a quando non avremo recuperato l’ultimo talismano!"
"Mio Signore…" –Esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri. –"Vuole che contatti Avalon?"
"Non ancora, Marins!" –Rispose l’Antico. –"Cerchiamo di procedere con le nostre forze, senza ricorrere ad aiuti esterni! In fondo ne manca soltanto uno!" –Poi si voltò verso la ragazza, in piedi di fronte a lui. –"Credo che dovresti andare! Un vecchio amico ha bisogno di te!"
La donna non aggiunse altro, limitandosi ad annuire con il capo. Indossò l’elmo a diadema della sua scintillante armatura, e si incamminò verso l’uscita della caverna, mentre mille pensieri turbinavano nel suo cuore. Uno tra tutti, il più umano. Chissà se si ricorderà ancora di me? Si chiese, sospirando.