CAPITOLO UNDICESIMO. ASSALTO ALL’OLIMPO.
Zeus aveva assegnato a Giasone il compito di organizzare la difesa dell’Olimpo, in assenza di Phantom e di Ermes, che il Dio sperava rientrassero in fretta. Ares attaccherà quanto prima! E in quel momento avremo bisogno di tutte le forze disponibili, di tutti i poteri che saremo capaci di reperire, dentro e fuori di noi! Rifletté il Sommo Zeus, uscendo dalla vasca della enorme sala da bagno nella propria Reggia e fermandosi di fronte ad un ampio specchio a muro.
Sul suo corpo scivolavano soffuse gocce di acqua, risplendendo come rugiada sul fisico scolpito del Signore dell’Olimpo. Per quanto esistesse da millenni, Zeus sembrava non risentire minimamente del trascorrere del tempo, di quello stesso tempo di cui suo padre Crono aveva voluto privarlo. Aveva il corpo di un trentenne mortale, con ampie spalle e petto robusto, un viso maschile ma al tempo stesso delicato, e mossi capelli dorati, lunghi fino alle spalle. In mezzo al viso risplendevano due occhi grigi come il diamante, splendenti e puri, simboli dell’Olimpo di cui era il Signore.
Piccoli passi risuonarono nella sala da bagno, senza scomporre il Dio che continuava a rimirarsi nel limpido specchio. –"Mio Signore, perdonatemi… vi ho portato i vostri abiti migliori…"
"Poggiali pure là, Ganimede!" –Commentò Zeus, voltandosi verso il ragazzo e osservando la solerzia con la quale svolgeva i suoi compiti. –"Anche se credo che oggi indosserò vesti differenti…" –Ironizzò, riferendosi alla sua Veste Divina.
"Ho lucidato personalmente la vostra armatura, Signore!" –Si inginocchiò Ganimede. –"E migliaia di fulmini sono stati fabbricati da Efesto, pronti per essere stretti dalle vostre possenti mani!"
"Ti ringrazio, Ganimede…" –Sorrise Zeus, congedando il ragazzo.
Come io desiderai stringerti millenni fa?! Rifletté il Dio, ricordando l’impetuosa passione d’amore che aveva provato per il giovane Ganimede, al punto da ordinare a un’aquila di rapirlo e condurlo sull’Olimpo, donandogli la gioventù eterna. Che sia stato anch’esso un capriccio divino?! Si chiese, fissando nuovamente il proprio volto nello specchio. Che sia stato un capriccio anche credere di regnare per sempre sull’Olimpico Trono, guardando il mondo dall’alto, schivo alle umane genti?! Non rispose, ma una goccia di tristezza scivolò sul suo volto, portandolo a sospirare, prima di terminare di asciugarsi ed indossare le proprie regali vesti.
Nel frattempo, Giasone aveva concordato con gli altri pochi Cavalieri Celesti la difesa dell’Olimpo, decidendo di concentrare un’unica forza a difesa del Bianco Cancello, un tempo preservato da Bronte del Tuono.
"Se i nostri nemici riusciranno a passare, sarà Artemide, con i pochi Cacciatori che le sono rimasti, ad affrontarli!" –Esclamò Giasone, rivolgendosi ai Dioscuri.
"Non temere! Sapremo tenere testa ai berseker!" –Affermò Castore, spavaldo come sempre.
Ma Polluce non rispose, memore della sconfitta subita pochi giorni prima dal Cavaliere di Andromeda. Se Ares dispone di un gruppo di guerrieri forti e decisi come i cinque Cavalieri Divini di Atena allora possiamo metterci l’animo in pace fin da ora! Mormorò, sconcertato.
"I miei Cacciatori sono già nella Foresta Sacra, appostati sugli alberi con le loro frecce avvelenate!" –Intervenne Artemide nella conversazione. –"Sono pochi, è vero, ma hanno tutta la determinazione che si confà a un Cavaliere Celeste!" –Aggiunse, tirando un’occhiata quasi di rimprovero a Polluce.
"E noi non saremo da meno, Dea della Caccia!" –Esclamò Giasone, stringendo i pugni.
In quel momento la porta dell’armeria, dove i quattro erano riuniti a consiglio, si aprì ed un ragazzetto ed una donna entrarono nella stanza.
"Se è questo il luogo dove si discute la difesa dell’Olimpo, allora ci uniremo a voi, Cavalieri Celesti!" –Esclamò la donna, con aria seria e decisa.
"E cosa sperate di fare?!" –La schernì Castore. –"Una donna e un ragazzino ferito, con le armature distrutte, pensano di opporsi alla violenza incendiaria dei guerrieri di Ares?!"
"Non deridere quella donna!" –Lo zittì Artemide. –"Ella è più degna di molti altri di combattere su questo monte sacro!"
"Ti ringrazio, Divina Artemide!" –Commentò Tisifone del Serpentario.
"Inoltre avremo bisogno di tutti i Cavalieri disponibili!" –Intervenne Giasone. –"E se Tisifone e… perdonami non ricordo il tuo nome…" –Aggiunse, rivolgendosi al ragazzetto dai capelli castani.
"Sono Asher dell’Unicorno, di Atena Cavaliere!"
"Se Tisifone e Asher vogliono combattere al nostro fianco, rischiando la vita per la difesa dell’Olimpo, non sarò certo io ad impedir loro di lottare per i propri ideali!"
"Sappiamo che Atena rimarrà con Demetra, Era e Asclepio nella Sala del Trono, a unire il proprio cosmo a quello di Zeus, per fermare l’avanzata dei guerrieri di Ares! Il nostro compito sarà quello di difendere la nostra Dea e suo Padre, Dio che ci ha accolto con gentilezza e generosità!"
"Chiudersi nella Sala del Trono?!" –Sbuffò Artemide. –"È una sciocchezza! Le guerre si vincono scendendo in campo e combattendo faccia a faccia con il proprio nemico, con la spada in mano e il pugno carico di energia!"
"Anch’io la penso come te, Dea della Caccia!" –Rispose Tisifone. –"Per questo motivo ti chiedo di accettarmi tra i tuoi Cacciatori e concedermi l’onore di combattere al tuo fianco!" –La richiesta di Tisifone, sincera ma decisa al tempo stesso, lasciò la schiva Artemide per un momento in silenzio. Ma poi, spostandosi i capelli scuri all’indietro, non trovò alcun motivo per rifiutarle tale richiesta.
"Di morire al mio fianco, vorrai dire!" –Ironizzò la Dea, muovendosi per uscire dall’armeria. Tisifone le andò dietro, salutando Asher e gli altri, e seguendo Artemide, che aveva intenzione di prendere immediatamente posizione, per non farsi trovare impreparati. Giasone pensò la stessa cosa, avvertendo i Dioscuri di seguirlo al Bianco Cancello con gli altri Cavalieri Celesti superstiti.
"Ehi... ed io?!" –Domandò Asher, richiamando Giasone.
"Sei libero di scegliere da solo il luogo in cui morire, ragazzo!" –Gli sorrise Giasone, in tono di scherno. Ma poi, vista la luce di determinazione che sgorgava nei suoi occhi, decise di addolcire il tono. Quel ragazzo, in fondo, gli ricordava molto Ganimede, caro amico a cui era legato da sempre.
"Rimani qua, alla Reggia di Zeus, e quando arriveranno uccidi quanti più nemici potrai! Per Atena, per Zeus e per tutto ciò che ritieni sacro difendere!" –Altro non aggiunse l’antico argonauta e si allontanò con Castore e Polluce, discendendo il monte, diretti verso il Bianco Cancello.
Pochi attimi dopo la terra tremò, mentre una forte tempesta energetica iniziò a soffiare sull’Olimpo, scuotendo gli alberi fino alle fondamenta. Una tempesta innaturale, carica di odio e di fiamme mortali. Una tempesta che aveva la sua origine nel Dio della Guerra. Il cielo si oscurò di colpo, mentre guizzanti fulmini solcarono l’aere, schiantandosi a terra con fragore. Fiamme orrende spuntarono alla base del Sacro Monte, fiamme di odio e di violenza, che marciavano compatte e decise verso la residenza del Padre degli Dei. L’esercito di Ares, i berseker del sangue e della morte, intrisi nel profondo dell’animo del velenoso cosmo del Dio della Guerra.
In testa all’immondo esercito marciavano i due figli divini di Ares: Phobos, Divinizzazione della Paura, e Deimos, Divinizzazione del Terrore, avuti dal suo incestuoso rapporto con Afrodite. Dietro di loro, centinaia di guerrieri ricoperti da scarlatte vestigia, muniti di armi infernali, il cui unico scopo era distruggere ed uccidere. Tra di loro vi erano altri figli di Ares, che il Dio aveva avuto con donne mortali o con ninfe. Figli bastardi, mai riconosciuti, mai neppure conosciuti realmente, tale era il disinteresse che Ares provava verso tutto ciò che non fosse la propria persona.
Mentre ad Ares, che rompe gli scudi Citerea partorì Phobos e Deimos, terribili, che agitano le folte schiere degli uomini, nella guerra paurosa con Ares distruttore di città... cantò un giorno Esiodo, e quel canto risuona ancora negli animi malvagi dei figli del Dio della Guerra.
Phobos, la Paura, dai corti capelli scuri e dagli occhi neri, bello e dal fisico scultoreo, come quello delle statue greche, marciava a destra, ricoperto dalla sua Armatura Scarlatta, con accese sfumature viola. Una veste liscia e senza troppe decorazioni, dai toni scuri e incutenti paura. Alla cintura una spada infuocata, identica a quella del fratello: dalla lama stretta e lunga, capace di perforare qualsiasi difesa. Deimos, il Terrore, dai mossi capelli neri e gli occhi grigio scuro, dal fisico simile al fratello, eccezion fatta per la corazza, scarlatta ma delle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree, diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli pronti a ghermire, terrorizzando i sogni e gli animi delle vittime. Alla cintura pendeva una spada infuocata come quella del fratello, e del Padre che ne aveva loro fatto dono. Alle loro spalle l’esercito di Ares, le cui urla invasate risuonavano per l’intero Olimpo.
"Alale alala!" –Tuonavano a gran voce, intonando il grido di battaglia di Ares nel Mondo Antico.
"Arrivano!" –Esclamò Ganimede, entrando di corsa nella Sala del Trono. Il ragazzo aveva indossato la propria armatura, quella della Coppa Celeste, di cui era il custode scelto da Zeus. Una Veste creata da Efesto, che ricordava le dorate corazze dei Dodici Custodi di Atene, per l’eccessiva presenza del colore aureo, che la rendeva meno simile alle Vestigia Celesti.
"Bene!" –Esclamò Zeus, alzandosi in piedi.
Era, Demetra, Asclepio e Atena erano ai piedi della scalinata di marmo, ma solo la Dea della Giustizia indossava la sua Veste Divina, ricreata da Shin per fornirle adeguata difesa contro Ade.
"Mio Signore…" –Si fece avanti Asclepio, ma Zeus sorprese tutti per la risolutezza che dimostrò. Espanse improvvisamente il suo cosmo, luminoso come il firmamento, carico di incandescenti bagliori divini che trovarono espressione in guizzanti saette che solcarono il cielo sopra l’Olimpica Reggia, contrastando l’infuocata tempesta di Ares. Lo scontro tra i possenti cosmi delle due Divinità fu percepito su tutto l’Olimpo e sull’intera Grecia, persino da Pegasus, Dragone e Andromeda, liberatisi da poco dai giochi della Cerva dalle Corna d’Oro.
La Grande Guerra era finalmente iniziata e Ares aveva mosso il suo esercito, dirigendolo compatto verso il Monte Olimpo. Il cosmo di Zeus scivolò sui verdi campi, raggiunse gli abbandonati templi che sorgevano ai lati della Via Principale, intrise i boschi di lauri e di querce, la foresta di Artemide e il Bianco Cancello, fortificando l’immortale difesa. Tutti poterono avvertire l’avvampante potere del Signore dell’Olimpo risplendere in tutta la sua fiera possanza, pronto a dimostrare ancora una volta, al nuovo nemico, chi fosse degno di sedere sul trono del Divino Monte.
Giasone, Artemide e gli altri Cavalieri Celesti furono inebriati dal lucente cosmo di Zeus e motivati a resistere con tutto l’ardore che avevano in corpo. Se contro i Cavalieri di Atena avevano avuto qualche reticenza, dovuta all’antico legame che li univa e alla purezza che avvertivano nei loro animi, contro Ares e il suo esercito di canaglie infami non sarebbero arretrati di un passo.
"Che le difese del Divino Monte siano apprestate!" –Ordinò Zeus. –"Che i Giganti di Pietra, miei fidi guardiani, si destino dal loro sonno!"
E in quel momento, pochi metri a valle del Bianco Cancello, proprio mentre i berseker di Ares si avvicinavano, la terra si spaccò e robuste e possenti figure nacquero dal terreno, da cui traevano origine e forza: i Giganti di Pietra, difensori dell’Olimpo, gli stessi che Pegasus e amici avevano sconfitto e superato qualche giorno prima. Gli stessi, ma in quantità e potenza maggiore, sorretti dal Divino Cosmo di Zeus. I berseker si aspettavano tale mossa, ben conoscendo tutte le difese olimpiche, avendoli Flegias informati di ciò, ma furono comunque disorientati dalla violenza e dalla repentinità con cui Zeus reagì, invocando i Giganti. Alcuni Guerrieri Scarlatti si lanciarono contro di loro, venendo respinti o schiacciati dagli immensi piedi di pietra dei Guardiani dell’Olimpo.
Phobos e Deimos capirono fin da subito che Zeus non si sarebbe lasciato vincere così facilmente. Ma non per questo ci tireremo indietro! Commentò Phobos, ordinando ai berseker da lui guidati di attaccare congiunti e in maniera disordinata e imprevedibile. I Giganti di Pietra sono resistenti, e non riusciremmo ad abbatterli in un attacco diretto, ma non sono umani, non dispongono della ratio umana, e questo li rende goffi e lenti nei movimenti. Un pugno tremendo di un gigante si schiantò a pochi centimetri dal Dio, interrompendo i suoi pensieri e inducendolo a non sottovalutare i suoi nemici. Con un balzo, Phobos affiancò Deimos e i due brandirono le infuocate spade del loro Padre, puntandole contro un Gigante di Pietra. L’incandescente energia da loro prodotta trapassò il colosso da parte a parte, ma fu necessario uno sforzo maggiore per mandarlo definitivamente in frantumi. L’esultanza dei berseker durò poco, alla vista di nuovi Giganti di Pietra che sgorgavano dal terreno, spuntando rapidi e pronti per combatterli. Alcuni giganti si fecero avanti, esponendosi agli assalti energetici dei Guerrieri Scarlatti, ma non riportando grandi danni.
Improvvisamente un corno risuonò nella massa di berseker, mentre alcuni di loro si scansavano rapidamente, per non essere travolti. Veloce come un fulmine, un carro rossastro passò in mezzo ai Guerrieri Scarlatti, puntando lesto contro un gigante di pietra; questi tentò di colpirlo, schiacciandolo con un pugno, ma il carro fu più svelto e deviò direzione all’ultimo istante, mentre l’immenso pugno di pietra si schiantava nel terreno. Phobos approfittò di quel momento per balzare sul collo del gigante e piantare dentro di lui la Spada Infuocata. Un’esplosione energetica fece saltare in aria il Dio della Paura poco dopo, mentre il Gigante di Pietra andava in frantumi.
"Un’ottima mossa!" –Commentò Phobos, riconoscendo l’uomo alla guida del carro. Era uno dei tanti figli bastardi di suo padre: Enomao del Carro Furioso. Uno dei tanti illusi che sperava di attirare lo sguardo del padre per ingraziarselo e ottenere gloria e benefici nel nuovo ordine che Ares avrebbe imposto al mondo. Enomao non rispose, limitandosi a incitare i cavalli e a lanciarsi all’assalto, contro nuovi Giganti di Pietra, seguito da una trentina di berseker vari.
"Sciocco egocentrico!" –Esclamò una voce maschile, alle spalle di Phobos.
Il Dio della Paura si voltò, trovandosi di fronte un terzetto di uomini non molto difformi tra loro. Barbuti, con mossi capelli scuri, e ricoperti da tozze corazze scarlatte, senza alcun fregio particolare. Molo, Pilo e Testio, tre figli che Ares ebbe da Demonice, fratelli di Eveno, che il Padre teneva leggermente in maggior considerazione.
Forse perché è il meno incapace di loro! Ironizzò Phobos, prima di rivolgersi bruscamente ai tre.
"Enomao sta eseguendo gli ordini di vostro Padre, attaccando senza sosta il nostro nemico! Non avete forse intenzione di fare altrettanto?!"
"Lo faremo, non preoccuparti Phobos!" –Rispose uno dei tre, ma Phobos non gli lasciò il tempo di aggiungere altro, balzando di fronte a lui e sollevandolo con il braccio, stringendolo al collo.
"Non permetterti più di rivolgerti a me in così inappropriato modo, stolto mortale!" –Esclamò Phobos, mentre l’infuocata spada che stringeva in mano trinciava malamente i capelli del ragazzo. –"Per te e per tutte le carogne qua presenti, io sono il Comandante Phobos, Dio della Paura! E come tale voglio essere trattato!"
"Sì... sì... sì…" –Urlò il ragazzo in preda al panico.
Phobos lo fissò per un altro secondo con i suoi occhi scuri, iniettando nel suo animo la giusta quantità di paura e riverenza, prima di lasciarlo cadere a terra, e colpirlo con un calcio in pieno viso.
"Alzati, miserabile! E vai a morire per il tuo Signore!" –Lo intimò Phobos, mostrandogli la via.
Senza proferire parola, né aiutare il fratello in difficoltà, gli altri due ragazzi si lanciarono avanti, brandendo le loro armi, seguiti presto dal terzo fratello. Phobos sogghignò, soddisfatto con se stesso e per i propri poteri persuasivi. Deimos lo raggiunse in quel momento, con aria scocciata per la lentezza con cui procedeva l’assalto.
"Combattiamo da trenta minuti ormai e i Giganti di Pietra continuano ad opporre resistenza! Dobbiamo superarli quanto prima e sfondare il Bianco Cancello!" –Esclamò il Dio del Terrore.
"Fossero uomini potremmo usare i nostri poteri su di loro…" –Commentò Phobos, prima di convenire, con il fratello, che su esseri composti da minerali ciò non era possibile.
"Liberala!" –Esclamò infine Deimos.
"Adesso?!" –Alzò un sopracciglio Phobos, quasi dispiaciuto di dover ricorrere a lei fin dall’inizio.
"Lei terrà a bada i Giganti di Pietra, permettendo a noi di guidare i berseker fino al Bianco Cancello!" –Spiegò Deimos, e Phobos gli diede ragione. I due fratelli si guardarono con un ghigno soddisfatto, quasi dispiaciuti per la triste sorte del reame di Zeus, che presto avrebbero distrutto.
Un grido improvviso lacerò l’aria, mentre una confusa sagoma deforme iniziò a spuntare tra la nebbia incandescente che avvolgeva l’esercito di Ares, una nebbia formata in parte dal cosmo incendiario del Dio della Guerra. La maggioranza dei berseker scappò terrorizzata, mettendosi ai margini dell’ampio spiazzo in cui combattevano, avendo riconosciuto le urla terribili della loro alleata: una bestia mitologica risvegliata da Ares per distruggere l’Olimpo. Nuovi versi osceni solcarono l’aere, di fronte allo sguardo compiaciuto di Phobos e Deimos. Contro di lei, Zeus non avrà speranze! Commentò Phobos. E se ancora non bastasse…
Un’immonda creatura comparve infine tra la nebbia, trascinandosi disordinatamente sul terreno, spaventando ulteriormente i berseker. La parte inferiore del suo corpo era serpentiforme, una lunga coda squamata di colore marrone e verdastro, putrida e fetida, che spazzava via tutto ciò che trovava sulla sua strada; il busto sembrava quasi un corpo di donna, dai connotati leggermente umani, ma la testa non era unica, bensì molteplice. Cinquanta teste diverse, ognuna appartenente ad un’orrida bestia feroce, gridavano ed emettevano versi terribili e osceni.
Kampe era il suo nome, il mostro posto da Crono a guardia del Tartaro, dopo che, eliminato Urano, il Dio del Tempo aveva rinchiuso gli Ecatonchiri, suoi fratelli, per paura che interferissero con i suoi piani di dominio. Un piccolo regalo di Flegias! Commentò Phobos, che, per quanto detestasse il figlio di Ares, dovette ammettere che aveva saputo ideare un piano geniale. E la presenza di Kampe avrebbe contribuito in maniera considerevole alla loro vittoria.
"Forza, codardi! Assalite l’Olimpo!" –Esclamò il Dio della Paura, espandendo il cosmo scarlatto. Deimos fece altrettanto, lanciandosi contro i Giganti di Pietra, con le infuocate spade sguainate.
Kampe li seguì all’istante, superandoli e buttandosi contro i difensori olimpici, stringendone un paio con la sua putrida coda e gettandoli gli uni contro gli altri. Era altissima e la sua coda serpentiforme era lunga a sufficienza per arrotolarsi intorno ai corpi dei giganti e distruggerli con la sua forza.
Approfittando della distrazione dei Giganti di Pietra, Phobos e Deimos ordinarono ai berseker di passare oltre, di correre al Bianco Cancello, dove sapevano che avrebbero nuovamente combattuto. Ma stavolta contro degli uomini! Sogghignarono i figli di Ares. E non c’è uomo che non conosca la paura, o il terrore! Ih ih ih! Alcuni berseker vennero schiacciati, fermati dai Giganti di Pietra, ma la maggioranza riuscì a passare, spinti e sostenuti dal violente cosmo di Ares che ardeva dentro di loro ed impediva a chiunque di muovere un solo passo indietro, pena l’annientamento immediato.
Mentre Kampe e i Giganti di Pietra si affrontavano in una battaglia senza esclusione di colpi, l’esercito di Ares continuò la sua barbara avanzata, giungendo fino al Bianco Cancello dell’Olimpo.
Là, il Divino Cosmo di Zeus fermò il loro progredire, costringendo Ares ad intervenire nuovamente. Scariche di energia sferzarono il cielo, mentre i cosmi delle due Divinità si fronteggiavano sull’Olimpico Monte. Le saette di Zeus si abbatterono contro l’esercito di Ares senza pietà, fulminando tutti coloro che ne venivano in contatto. E molti furono i berseker che perirono così, anonimi e impotenti, annientati dai Fulmini di Zeus di fronte al Bianco Cancello.
Ares contrattaccò, liberando immense vampate di fuoco, nel tentativo di raggiungere la Reggia, come aveva fatto poche ore prima. Ma inaspettatamente incontrò una forte resistenza sul suo cammino, rappresentata dai cosmi congiunti di Era e Atena, che si unirono per impedire al Dio della Guerra di andare oltre. Le fiamme divorarono il bosco alle pendici del Monte, al di fuori del Bianco Cancello, ma ad alcuni parve di vedere gli alberi scuotersi e scacciar via le fiamme, quasi fossero esseri viventi. Altri berseker videro piante muoversi, sollevarsi da terra, liberarsi dalle millenari radici che le imprigionavano e marciare contro di loro, schiacciandoli, stritolandoli con i loro rami frondosi, scaraventandoli lontano. Non è certo cosa accadde quel giorno, alle pendici dell’Olimpo, ma molti berseker persero la vita in maniera ignota, e Phobos e Deimos, per quanto non avessero detto niente per non demotivare i loro soldati, giurarono di aver visto una donna muoversi nel bosco infuocato. Una donna che aveva il potere di smuovere gli alberi e lanciarli contro i soldati di Ares: la Dea delle Coltivazioni, Demetra.
Il cosmo di Ares ruggì nuovamente, con maggiore impeto e vigore, approfittando anche del doppio impegno di Zeus che doveva sostenere i Giganti di Pietra, ancora alle prese con Kampe, e riuscì a spingere i suoi guerrieri fino alle prossimità del Bianco Cancello, senza però abbatterlo. Enomao, tronfio sul suo carro, incitò i berseker a fargli spazio. Avrebbe abbattuto lui l’infame Cancello.
"Non provarci neppure! O userò quel che resterà della tua carretta come bara per tutti voi berseker!" –Esclamò improvvisamente una voce maschile. Un fulmine si schiantò di fronte al Bianco Cancello, travolgendo alcuni berseker, e illuminando il muro di cinta in cima al quale si ergeva un Cavaliere dalla Celeste armatura.
"Ma guardatelo!" –Lo schernirono alcuni guerrieri. –"È uno solo!"
"Uccidiamolo! Sii!!!" –E molti si lanciarono all’assalto.
"Stolti!" –Mormorò il Cavaliere Celeste, sollevando il piccolo ma compatto scudo che portava affisso al braccio sinistro. –"Scudo della Colchide!" –Una devastante energia partì dallo scudo del Cavaliere, travolgendo i berseker che puntavano su di lui, annientandoli completamente, di fronte agli occhi sbigottiti degli altri Guerrieri Scarlatti.
"Beh?!" –Li derise Enomao, all’apparenza per niente intimorito. –"Cosa sono quelle facce?! Siamo i guerrieri del Sommo Ares e siamo pronti a morire per lui!" –E incitò i cavalli del suo carro.
"Ed è questa la fine che vi attende se solo oserete avanzare di un altro passo!"
"E tu da solo vorresti impedircelo?!" –Ironizzò Enomao. –"Folle e temerario se speri di tenere testa a trecento berseker! Chiunque tu sia!"
"Giasone è il mio nome celeste, se questo ti dice qualcosa!" –Commentò il ragazzo, mentre il volto di Enomao cambiò lievemente espressione, adombrandosi con preoccupazione. –"E in quanto al resto… non credo proprio di essere solo!"
Improvvisamente guizzanti fasci di energia attaccarono i berseker, mentre altre due figure facevano la loro comparsa, piombando direttamente nello spiazzo antistante al Bianco Cancello. Erano due ragazzi, molto simili tra loro, e le Armature Celesti che indossavano erano praticamente speculari. Dall’acceso colore celeste, con raggianti sfumature bianche, coprivano buona parte del corpo dei due, lasciando scoperte solamente poche zone, lungo le braccia e nella parte superiore delle gambe. I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, capelli castani mossi e occhi marroni, e si presentarono come i Dioscuri, i figli di Zeus.
"Bene!" –Commentò Enomao, con spavalderia. –"Per rispetto alla vostra divina parentela morirete per mano di un figlio di Dio! C’è solo l’imbarazzo della scelta su chi vi ucciderà! Ah ah ah!"
In quel momento tuonarono nuovamente i cosmi di Ares e di Zeus, accendendosi ancora una volta nei cieli sopra l’Olimpo. Le grida di Kampe risuonarono nell’aere, insieme alla distruzione dei Giganti di Pietra, che Zeus non poteva più permettersi di sostenere. Con i berseker al Bianco Cancello era prioritario impedire loro l’accesso al Sacro Monte.
Phobos e Deimos sorrisero soddisfatti. Avevano perso quasi centotrenta guerrieri, ma adesso, con Kampe al loro fianco, avrebbero abbattuto il Bianco Cancello e invaso l’Olimpo.