CAPITOLO VENTUNESIMO. CACCIATORI E SERPENTI.

Tisifone si trovava nella foresta di Artemide, impegnata in un duro combattimento contro uno dei Cacciatori della Dea. Atteone era il suo nome, un tempo allievo del centauro Chirone, che aveva insegnato al discepolo l’arte della caccia. L’uomo era d’aspetto rude, quasi selvaggio, alto e muscoloso, con folti riccioli mori e barba incolta, ricoperto in parte da un’Armatura Celeste, di colore verde, ornata con pelli e frammenti di corteccia, molto diversa dalle più nobili vestigia dei Ciclopi Celesti. Ma altrettanto resistente! Dovette ammettere Tisifone, dopo aver scagliato un nuovo assalto contro l’uomo, senza aver raggiunto il bersaglio.

La Sacerdotessa dell’Ofiuco era assai stanca, per essere quasi stata soffocata dalla frusta di Atteone, frusta intrisa di un veleno che annebbiava i sensi, e soprattutto in pena per le sorti dell’amica, ferita e condotta via dai Cacciatori di Artemide.

Devo sbrigarmi! Devo trovare Castalia! Avrà sicuramente bisogno di aiuto! Si disse, sentendo esplodere in quel momento il cosmo di Andromeda, in un luogo che non riuscì a focalizzare, ma sicuramente più avanti rispetto a dove si trovava lei, e un po’ dopo altri due cosmi lucenti scintillarono a valle. E Tisifone immaginò che anche Mizar e Alcor fossero impegnati in battaglia.

Un destro di Atteone la ferì in pieno volto, spingendola indietro, mentre con un calcio l’uomo la colpì allo stomaco, ma Tisifone riuscì a reagire, buttandosi a terra e rotolando sul terreno, prima di snodare la propria frusta e lanciarla contro Atteone. Il Cavaliere di Artemide cercò di evitare la sguisciante arma di Tisifone, che sferzò l’aria pesante della foresta, percorsa soltanto dai sibili della frusta e dalle urla rabbiose della donna. Atteone scattò tra gli alberi, mentre Tisifone si lanciò al suo inseguimento, liberando continuamente la frusta, che si intrecciava ai rami della foresta senza mai riuscire a raggiungerlo. Improvvisamente Atteone si voltò scagliando un violento pugno energetico contro la donna che fu presa in pieno e spinta indietro, fino a sbattere contro un albero. Con un balzo, l’uomo le fu sopra, brandendo una rozza lama, pronto per tagliarle la gola, ma Tisifone fu svelta a rotolare a terra, lasciando che l’arma si conficcasse nella corteccia dell’albero.

Senza neppure darle fiato per riprendersi, Atteone si voltò di nuovo, liberando la lama con un colpo secco e lanciandola contro la donna. A Tisifone sembrò che l’arma si moltiplicasse in infinte lame, tutte convergenti verso di lei. Ne evitò alcune, prima che altre strusciassero contro la sua corazza.

"Non potrai evitarle tutte!" – Urlò Atteone, sogghignando soddisfatto.

E infatti Tisifone non ci riuscì, venendo colpita in più punti dalle lame rotanti del Cavaliere. Per fortuna indosso un’Armatura d’Oro! Si disse la Sacerdotessa, con un certo timore, mentre una lama le passava accanto, tagliandole una ciocca di capelli. Devo reagire! Strinse i denti e scattò avanti, lanciando rapidi fendenti energetici. Atteone, sorpreso, tirò fuori una nuova lama, scagliandola contro la donna.

"Lame di Atteone, ferite l’invasore della Foresta Sacra!" –Esclamò, convinto di liberarsi facilmente di lei. Ma Tisifone, decisa a tutto pur di non lasciarsi sconfiggere, riuscì a colpire quasi tutte le lame, mancandone soltanto un paio che le strusciarono l’armatura, senza però raggiungere la pelle.

"Sei stupito, guerriero di Artemide?" –Chiese Tisifone, sarcastica. –"Che una donna possa tanto?"

"Non è la tua natura femminea a stupirmi, Cavaliere di Atena! Non dimenticarti che servo la Dea della Caccia, ed è per me normale vedere una donna lottare! Ciò che mi stupisce è la tua resistenza! La stanchezza e il veleno presente nella mia frusta avrebbero dovuto abbatterti già da tempo!"

"Comprendo la tua sorpresa, Atteone, ma non dimenticare il motivo per cui sono qua! Per salvare la Dea a cui sono devota e che Zeus ha condannato a morte! Un motivo più che valido per stringere i denti e rimanere in piedi!"

"Capisco..." –Si limitò a commentare Atteone, per niente interessato a un’eventuale conversazione. –"Allora morirai con lei, contenta?" –Detto questo scattò avanti, muovendosi rapido come un felino, con mosse svelte e animalesche, che a Tisifone fecero proprio venire in mente una fiera feroce, più che un uomo. Atteone concentrò il cosmo sulle mani, muovendole contro la donna come artigli pronti a ghermire, ad una velocità pari a quella della luce.

Tisifone evitò un paio di affondi, prima di essere costretta a indietreggiare per non essere travolta da quella fiera furibonda. Fece un passo indietro, poi un altro e un altro ancora, alla cieca, urtando radici sporgenti e sassi, incapace di concentrarsi sul terreno di scontro, incapace di trovare una strategia su come evitare gli affondi energetici del Cavaliere che stridevano fortemente sulla sua corazza. D’un tratto si ritrovò con le spalle al tronco di un albero, proprio mentre Atteone caricava il braccio destro affondandolo contro di lei.

L’Armatura del Cancro vibrò pesantemente, sottoposta a notevole pressione, e a Tisifone parve sul punto di esplodere, lei compresa. Un secondo affondo e Tisifone fu spinta indietro, distruggendo l’albero a cui era appoggiata, e scaraventata lontano, fino a ritrovarsi con la faccia sul terreno.

"Per quanto tu abbia un bel seno, non vali poi molto, donna!" –La schernì Atteone, osservandola mentre si rialzava a fatica. –"Mi chiedo come tu abbia potuto superare il Bianco Cancello! Probabilmente qualcun altro avrà combattuto per te, non trovo altre spiegazioni!"

"Taciiii!!!" –Urlò Tisifone, scagliando contro di lui un violento fendente energetico.

Atteone, seppur sorpreso, evitò il colpo, semplicemente spostandosi di lato, mentre Tisifone si appoggiava alle sue ginocchia per riprendere fiato. Nessuno combatte per me! Si ripeté più volte, concentrando il proprio cosmo. Nessuno combatte per me! E si lanciò avanti, liberando gli incandescenti Artigli del Cobra.

"Umpf! Ridicolo!" –La derise Atteone, evitando tutti i colpi della donna, prima di colpirla sul braccio sinistro, nel punto lasciato scoperto dall’Armatura del Cancro, proprio sotto il coprispalla.

"Aaargh!!!" –Tisifone urlò di dolore, nel sentire le affilate unghie dell’uomo penetrare le sue carni. Un calcio in pieno petto la scaraventò lontano, nuovamente a terra.

"Non rialzarti, brava, rimani a terra! È quello il luogo in cui devi restare! Nel fango della tua vita! Non alzare il capo, non sollevare la testa verso una luce che non hai occhi a sufficienza per guardare!" –Esclamò Atteone, avvicinandosi a passo lento.

Tisifone ansimava a fatica, dolorante ma anche molto rabbiosa. Non soltanto per non riuscire a colpirlo, non soltanto per non sentirsi in grado di sconfiggere da sola un nemico, ma per le parole ostili che l’uomo le rivolgeva. Parole che la colpivano nell’orgoglio e che contribuivano, seppur indirettamente, a ricordarle la sua solitudine.

La Sacerdotessa dell’Ofiuco era sempre stata sola, orfana fin dai primi anni di vita, aveva intrapreso la strada dell’addestramento, per diventare Cavaliere, per servire la giustizia e Atena, ma soprattutto per se stessa. Per essere forte e indipendente, come una vera donna secondo lei doveva essere, senza dipendere da un uomo. Rifuggiva le ragazze troppo femminili, troppo dolci e zuccherose, le aveva sempre detestate fin da bambina, fin da quando si allenava nel campo di addestramento femminile in cui Pegasus l’aveva vista per la prima volta anni prima. Voleva essere diversa, voleva essere forte. Anzi, come disse a Pegasus nel giardino dell’ospedale di Luxor, voleva essere considerata un uomo, perché così forse non sarebbe stata inferiore agli altri Cavalieri, perché così sarebbe stata all’altezza della situazione.

Il suo desiderio di realizzarsi era sempre stato grande, il suo sogno di diventare Cavaliere, per potersi confrontare alla pari con altri uomini, l’aveva guidata per tutti i suoi ventidue anni di vita, spingendola persino a rinunciare alla propria femminilità, al proprio volto, coprendolo con una maschera. Un segno discriminante che Tisifone non aveva mai compreso, nonostante si fosse sempre attenuta ad indossarla. Dopo la sconfitta di Arles, l’obbligo di indossare la maschera era decaduto, lasciando la libera scelta alle donne. Ma soprattutto era decaduto l’obbligo di uccidere o amare l’eventuale uomo che avrebbe visto il volto nascosto delle Sacerdotesse.

Pegasus! Mormorò, afferrando grumi di terra umida con le mani. Il primo uomo che l’aveva vista in volto, il primo che era stata capace di amare realmente, al punto da non esitare, ben due volte, a sacrificarsi per lui. Pegasus ha combattuto per me! Rifletté, cercando di rialzarsi. Ha combattuto per darci la possibilità di superare il Bianco Cancello e permetterci di correre a salvare Atena! Non sprecherò questa opportunità, questa occasione di fiducia che ci ha dato! No! E, nel pensar questo, bruciò tutto il suo cosmo, riuscendo a rimettersi in piedi, davanti agli occhi attoniti di Atteone. Pegasus, forse oggi mi hai davvero considerato un uomo, un tuo pari, al cui fianco poter combattere! Non ti deluderò, né deluderò me stessa, lasciandomi andare!

"Ti batterò, Atteone!" –Urlò Tisifone, voltandosi di scatto e lanciandosi in alto. –"A costo di morire ti batterò, qui, adesso! Cobra Incantatore!!!" –Le scariche energetiche raggiunsero Atteone, sorpreso dalla rapida ripresa della Sacerdotessa, stritolandolo, mentre le taglienti unghie di Tisifone vibravano sull’Armatura del Cavaliere di Artemide. –"Adesso sono io la cacciatrice, e tu la mia preda!" –Ironizzò Tisifone, graffiando l’uomo sulle braccia e sulle gambe, nelle parti non coperte dall’Armatura Celeste. La protezione di cuoio e corteccia andò in mille pezzi, distrutta dai fendenti luminosi di Tisifone, rivelando la nuda pelle dell’uomo sotto di essa.

Maledetta! Strinse i denti Atteone, cercando un modo per cavarsi d’impiccio. Di scatto si buttò a terra, di schiena, tirando le gambe a sé e poi spingendole di colpo avanti, colpendo in pieno stomaco Tisifone, a cui, per la botta, si mozzò il respiro, sputando sangue. Quindi Atteone la colpì in pieno viso, spingendola indietro, mentre con un balzo afferrava il ramo di un albero, salendo su esso. Tisifone lo guardò dal basso scomparire tra le verdeggianti fronde sopra di lei, prima di scagliare qualche fendente energetico a casaccio, che distrusse parecchi rami ma non raggiunse l’uomo.

"Scendi subito, vigliacco!" –Urlò Tisifone, avvicinandosi al tronco per guardare meglio in su.

"Vieni a prendermi!" –Ironizzò Atteone, la cui voce sembrava provenire dall’intera foresta.

Bastardo! Commentò Tisifone, e fece per arrampicarsi sull’albero. Poi però, prudentemente si fermò, preoccupata per un’eventuale trappola. Non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente che udì un fischio provenire da dietro di lei. Un nugolo di frecce saettò nell’aria, diretto verso la donna, che fu svelta ad evitarle, spostandosi di lato; ma subito ne arrivarono altre, dalla cima degli alberi.

Tisifone si spostò velocemente, lanciandosi in una folle corsa nella foresta, mentre sciami di frecce la inseguivano ad ogni dove. La Sacerdotessa tentò di scagliare qualche colpo contro le cime degli alberi, ma caddero soltanto rami, e non i velenosi arcieri. Con inquietudine si accorse che le frecce la stavano obbligando a un percorso stabilito, impedendole di muoversi diversamente, ed ella non poté far altro che accondiscendere, impossibilitata a affrontare un nemico invisibile, nascosto da una sempre presente foschia che limitava la vista. Un nuovo fruscio non le diede tempo di pensare, che si ritrovò sollevata in aria, intrappolata in una rudimentale rete di liane e arbusti.

"Ma cosa diavolo?" –Si dimenò Tisifone, appesa con la testa in giù, cercando di liberarsi, ma anche le sue braccia si ritrovarono completamente bloccate.

"Tecnica un po’ rozza oserei dire..." –Esclamò una voce che ben conosceva, comparendo alle sue spalle. –"Anzi, decisamente primitiva! Ma efficace!" –Sogghignò Atteone, mentre una decina di Cacciatori di Artemide lo raggiungeva. Erano come quelli che avevano portato via Castalia mezz’ora prima, dopo aver attaccato entrambe con le frecce velenose. E Tisifone li guardò con tremendo disprezzo, prima di bruciare il proprio cosmo e tentare di liberarsi.

"Non dimenarti troppo! In quelle liane c’è il sacro cosmo di Artemide! È come se lei ti stesse soffocando!" –Esclamò Atteone, mentre uno dei Cacciatori gli passava un’affilata lama. –"E adesso muoriii!" –Urlò, saltando avanti.

La rapidità dell’assalto e l’impossibilità di muoversi di Tisifone fecero sì che, nonostante i disperati tentativi della donna di liberarsi, la lama colpisse il pettorale dell’Armatura d’Oro, scheggiandolo di brutto. Tisifone tremò, dimenandosi come una pazza e bruciando il proprio cosmo. Atteone, ormai davanti a lei, piantò di nuovo la sua lama rovente, scheggiandole quella volta un coprigamba, senza riuscire ad affondare, a causa dei continui dimenamenti della donna.

Sono una cacciatrice, si disse Tisifone, espandendo al massimo il proprio cosmo. Non posso morire così, appesa come una sciocca in una primitiva trappola! No, non posso! Non voglio! Il cosmo del Serpentario esplose in tutta la sua forza, caricato del dorato calore della costellazione del Cancro, bruciando le liane e le piante che tenevano Tisifone prigioniera, e abbagliando tutti i presenti, Atteone incluso, obbligandoli a coprirsi gli occhi con una mano. Con un’abile piroetta Tisifone si rimise in piedi, mentre i Cacciatori di Artemide caricavano gli archi, pronti per ucciderla.

"Artigli del Cobra!!!" –Urlò la Sacerdotessa, scattando avanti, avvolta ormai in un’aura dorata.

I suoi fendenti squarciarono l’aria tetra, portando luce in quella scura foresta, raggiungendo gli arcieri di Artemide che caddero tutti, uno dopo l’altro. L’ultimo colpo lo diresse verso Atteone, accanto a lei, con la lama in mano, ferendolo in pieno petto. L’artiglio affilato del Cobra penetrò la corazza divina di Atteone, spingendosi fino alle pelle al di sotto, facendo urlare l’uomo dal dolore.

Ma questi non si arrese, abituato, come tutti i cacciatori, a trattare con bestie ribelli. Con le ultime forze piantò la lama nel braccio sinistro di Tisifone, sfondando l’armatura d’Oro. La Sacerdotessa urlò e nello stesso momento il suo cosmo esplose, facendo terra bruciata di tutto ciò che le stava attorno, mentre il corpo di Atteone veniva scaraventato lontano, tra i frammenti della sua Armatura Divina. Prima di morire, l’allievo del centauro Chirone pensò alla sua Dea, la bellissima Artemide, a cui aveva consacrato la sua esistenza. La prima vita, e pure la seconda, che in quel momento finì.

Tisifone barcollò per qualche istante, prima di togliersi con un urlo il pugnale avvelenato che aveva distrutto la sua corazza dorata, piantandosi nel braccio sinistro. Sangue iniziò a uscire a fiotti, mentre la donna, debolissima, si accasciava al suolo, incapace di focalizzare l’ambiente intorno a lei. La vista le si stava annebbiando sempre più, si sentì sudare e poi gelare improvvisamente, prima di cadere con la faccia a terra, in una pozza di sangue, incapace di rialzarsi. Il suo ultimo pensiero andò a lui, all’unico uomo che aveva visto il suo volto, l’unico per il quale avrebbe voluto forse essere diversa. Non un uomo, non un Cavaliere, solamente una donna che avrebbe potuto amare.

Mentre Tisifone era impegnata nel combattimento contro Atteone, il gruppo di Cacciatori che aveva rapito Castalia aveva condotto la donna nel cuore della foresta, di fronte ad un’ampia caverna, sul bordo estremo dell’Olimpo. La residenza della Divina Artemide. Castalia era febbricitante, percorsa da fitte di dolore dovute al veleno che le era penetrato nel sangue e stava paralizzando i suoi sensi nervosi, facendola sudare, facendola ansimare e rendendola incapace di reagire, persino di parlare. Era diventata un vegetale, e molto presto sarebbe morta.

I Cacciatori la deposero a terra, sull’erba fresca, proprio mentre una donna usciva dalla caverna. Non era molto alta, anzi sicuramente più bassa di Castalia e Tisifone, ma aveva un fisico atletico, molto rude, mossi capelli scuri, che le ricadevano confusamente sul volto, nascondendo in parte il suo sguardo. Indossava solamente pelli di animali, che lasciavano scoperta gran parte del suo corpo e del suo abbondante seno, e portava con sé un arco da caccia e una faretra, della stessa fattura di quelli utilizzati dai suoi guerrieri.

"Lode a te, Divina Artemide, Dea della Caccia!" –Esclamarono i Cacciatori, inginocchiandosi. –"Le abbiamo portato uno degli invasori del Sacro Monte!"

"Perché soltanto uno? Dove sono gli altri sei? Ho sentito sette cosmi raggiungere l’Olimpo!"

"Atteone sta affrontando un’altra donna, mentre i Dioscuri hanno attirato in trappola un terzo Cavaliere! Altri tre hanno proseguito per la strada principale e sono adesso impegnati in battaglia con i Cavalieri Celesti del Sommo Zeus!"

"E il settimo?"

"Di lui non sappiamo niente! Soltanto sei cosmi hanno varcato il Bianco Cancello!" –Risposero i Cacciatori di Artemide.

La donna non disse altro, avvicinandosi a Castalia, distesa a terra, in preda a forti convulsioni nervose. Le diede una rapida occhiata e per un istante provò il desiderio di strapparle la maschera. Poi si contenne, riflettendo che sarebbe morta da sola entro pochi minuti, e ordinò ai suoi seguaci di tornare nella foresta e uccidere gli altri Cavalieri di Atena.

I Cacciatori scomparvero tra gli alberi poco dopo, lasciando solamente un esiguo numero intorno alla caverna. Ma Artemide non aveva paura di nessuno, né dei Cavalieri di Atena, né di Zeus o di altre Divinità. Il territorio intorno, quello che lei chiamava con orgoglio la Foresta di Artemide, era il suo territorio, il luogo di caccia prediletto della Dea, l’unico in cui si sentiva sicura e protetta. Non solo dai suoi Cacciatori, appostati sulle cime degli alberi e mimetizzati nelle verdeggianti fronde, non solo dal suo Divino Cosmo, capace di percepire ogni minima variazione dell’equilibrio, ma dal territorio stesso. Sì, la sua terra era un tutt’uno con lei, un unico respiro, come amava definirla. E in quella terra nessuno avrebbe potuto ferirla o solamente raggiungerla.

Un mugolio di Castalia richiamò l’attenzione della Dea, costringendola a uscire nuovamente dalla caverna. Artemide si avvicinò alla Sacerdotessa, distesa a terra, senza tradire espressione alcuna, né di godimento né di dispiacere. Si chinò su di lei e le strappò la maschera, gettandola via con disprezzo. Odiava quel simbolo! L’aveva sempre odiato, fin da quando Atena e altri Dei Olimpici avevano fissato tale pratica nel Mondo Antico. Una pratica che, come lei aveva sempre sostenuto, era soltanto una discriminazione, un’inutile proibizione. Nascondere il viso di una donna è come tenere un fiore sotto una campana di vetro! Mormorò Artemide, accarezzando il viso di Castalia. Un viso liscio, ma pallido, espressione della mortale febbre che la stava uccidendo.

Improvvisamente Castalia aprì gli occhi, e fissò la donna china su di lei, non capendo dove si trovasse. Ricordava poco di ciò che era accaduto nelle ultime ore, provava soltanto freddo.

"Sono Artemide, Dea della Caccia!" –Esclamò la Divinità, rialzandosi. –"E tu stai morendo, Cavaliere di Atena, per effetto del veleno contenuto nelle frecce dei miei guerrieri! Dovrei essere felice, dovrei gioire per la tragica fine degli invasori del Monte Olimpo, dovrei essere appagata, nel vedere di persona la morte di uno dei Cavalieri di Atena, quell’insolente assassina che ha causato la morte di mio fratello Apollo, del mio amatissimo fratello Apollo!"

Castalia mosse la testa, cercando di seguire con lo sguardo i movimenti della Dea, ma non riusciva a metterla a fuoco, vedendo soltanto una scura massa indistinta.

E allora perché non lo sono? Perché non provo il giusto piacere nel vedere la fine di questi invasori? Perché non pianto io stessa una lama nella sua gola? E senza pensarci ulteriormente strappò una lama dalle mani di uno dei Cacciatori, brandendola con rabbia e avventandosi su Castalia. La Sacerdotessa dell’Aquila poté soltanto spostarsi, rotolando a fatica sul terreno, proprio mentre la lama lucente di Artemide si piantava nell’erba vicino a lei. Febbricitante, quasi delirante, Castalia tentò di urlare qualcosa, ma le parole le morirono in bocca, prima di essere afferrata per i capelli dalla Dea della Caccia e sollevata bruscamente. Con un colpo deciso Artemide le tagliò un pezzo di capelli, lasciandola poi ricadere con la faccia nell’erba. Le diede un calcio, offendendola per aver rinunciato alla sua femminilità.

"Voi Sacerdotesse di Atena siete la vergogna della Madre Terra, ree di aver accettato di sottomettervi agli imperativi maschilisti del mondo, avete abiurato la vostra femminea natura, nascondendo il vostro volto, coprendo il vostro corpo, invece di farne motivo di vanto e di mostra!" – Esclamò Artemide, osservando Castalia a terra, incapace di reagire ulteriormente. –"Guardami!!!" – Urlò la Dea, stracciandosi le vesti di dosso e rivelando il suo bellissimo corpo, che neppure Efesto avrebbe potuto ricreare così perfettamente. –"Guarda una vera donna! Non tu, che ti nascondi dietro quella maschera! Non tu che rinunci alla tua natura femminile, isterilendoti insanamente!"

Detto questo scagliò la lama contro Castalia, lasciando che si piantasse proprio accanto al suo volto, falciandole una ciocca di capelli e facendole sentire il freddo contatto con il metallo della lama.

"Aah!" –Esclamò Artemide, volgendole le spalle. –"Inutile perdere tempo con una moribonda, è questione di attimi ormai e poi lascerai questo mondo! Non ti compiango, anzi, ho pena di te!"

Un fruscio debolissimo fece voltare la Dea, proprio per incrociare lo sguardo deciso di un uomo dagli occhi verdi, ricoperto da una lucente Armatura Celeste. In un attimo decine di Cacciatori di Artemide scesero dagli alberi, lanciandosi a terra o vorticando in aria appesi a delle liane, sfoderando lame e pugnali e puntando i loro archi contro l’inaspettato invasore.

Incredibile! Mormorò la Dea, facendo un passo indietro e sistemando le proprie vesti, ricoprendo il seno nudo. Per la prima volta qualcuno era riuscito a giungere fin lì, all’ingresso della caverna, nel cuore del suo impero, senza che lo avesse percepito, senza che i suoi Cacciatori lo avessero fermato.

"Chi sei?" –Domandò, cercando di non tradire la propria sorpresa.

"Sono il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste!" –Rispose l’uomo, accennando un inchino. –"Sono qua per ordine del Sommo Zeus, per recuperare il corpo moribondo del Cavaliere di Atena qua presente e condurlo da lui, alla Divina Reggia!"

"Che cosa?! Neanche per sogno!" –Urlò Artemide, mentre i Cacciatori si avvicinavano a Phantom, con gli archi sempre più tesi. –"È la mia preda, il mio trofeo di caccia! Sono stati i miei Cacciatori, dai Cavalieri di Atena barbaramente assassinati, a portarlo qua!"

"E Zeus te ne renderà merito, Dea della Caccia!" –Continuò Phantom, con voce educata e suadente. –"Sapere che tra le fila dei suoi difensori ci sono guerrieri così abili e attenti non potrà che fare la felicità del Divino Zeus! Tuttavia io sono un suo messaggero, ed ho il dovere di eseguire i suoi ordini, perciò ti prego, Divina Artemide, di consegnarmi l’inerme corpo del Cavaliere di Atena!"

"Non capisco proprio cosa se ne faccia Zeus di quella donna!" –Mormorò Artemide, indispettita. Poi fece un cenno ai Cacciatori, che abbassarono lame e archi, senza comunque indietreggiare di un passo. –"Prendila dunque, Cavaliere dell’Eridano, e conducila da Zeus! Se riuscirà ad arrivarvi viva! Gli ordini del Padre degli Dei sono l’unica legge che la Dea della Caccia rispetta, anche se gradirei che intrusioni simili non si ripetessero in seguito!"

"Lo terrò presente!" –Rispose Phantom, con un mezzo sorriso. Quindi si incamminò verso l’inerme corpo di Castalia, ancora delirante, e lo sollevò con cura, di fronte agli occhi attenti di Artemide.

La Dea della Caccia non era tanto infastidita per la perdita della sua preda, che comunque sarebbe morta entro pochi istanti, ma per l’affronto che sentiva di aver subito da Phantom. Un Cavaliere Celeste che riesce a spingersi fino qua! Tieni dunque fede al tuo nome di fantasma! Mormorò, osservando il giovane sollevare delicatamente la Sacerdotessa di Atena.

Castalia mugolò ancora, incapace di comprendere cosa stesse accadendo. Si sentì sollevare da mani robuste ma sicure e improvvisamente sentì un po’ di calore circondare il suo corpo. Tumultuosi ricordi cominciarono ad affollare la sua mente, vorticando senza tregua dentro di lei. In un attimo si scoprì bambina, cullata dal fratello maggiore che presto aveva perduto; poi si ritrovò in Grecia, ad osservare quel monello di Pegasus fare mille flessioni ad un’asta sospesa sopra un precipizio, e a incitarlo a non mollare. Infine si ritrovò là, nella Quinta Casa di Leo, stretta tra le braccia dell’uomo che non era mai riuscita ad amare liberamente, in quell’unica notte che avevano passato insieme prima che lei partisse alla ricerca di Patricia. Aprì gli occhi di scatto, ma non riuscì a vedere niente, stordita dal veleno e dalla debolezza. Ma non ebbe bisogno di usare gli occhi per riconoscere l’uomo che la stava reggendo, soltanto di sentire il suo cosmo.

"Phantom…" –Mormorò. Fu un sussurro, ma non sfuggì ad Artemide, che improvvisamente si avventò sui due, chiedendo spiegazioni al Cavaliere.

"Come può conoscerti quella donna?!" –Urlò, mentre tutti i suoi Cacciatori si lanciavano su Phantom, brandendo lame e scagliando frecce avvelenate.

Maledizione! Strinse i denti Phantom, notevolmente preoccupato. Evitò un paio di frecce, scattò di lato per non essere ferito da una lama, ma poi si rese conto di non poter combattere contro di loro. Di non voler combattere contro guerrieri fedeli al Sommo Zeus. Concentrò i sensi e scomparve. Artemide si fermò un momento e pure i Cacciatori si arrestarono, guardandosi intorno storditi. La Dea della Caccia chiuse gli occhi, per concentrarsi meglio, e poi sorrise.

"Ho capito adesso come sei arrivato fin qua!" –Affermò, riaprendo gli occhi. –"Mimetizzandoti con l’ambiente, al punto da essere invisibile!" – E afferrò l’arco, incoccando una freccia.

Ci pensò solo un secondo prima di scagliarla avanti a sé, veloce come un fulmine. Il dardo si piantò in un albero, ma improvvisamente accanto ad esso ricomparve Phantom dell’Eridano, che reggeva Castalia ancora stordita. La sua Armatura Celeste era percorsa da forti striature verdastre e marroni, che gli avevano permesso di mimetizzarsi nella foresta. Ma neppure lui poteva sfuggire ai poteri della Dea della Caccia nel suo territorio.

"Non permetto a nessuno di prendersi gioco di me due volte!" –Urlò Artemide, scoccando una nuova freccia.

Phantom evitò anche quella, depositando Castalia dietro un albero, mentre un gruppo di Cacciatori si lanciava su di lui. E sia dunque! Se questo è il mio destino… Commentò, bruciando il cosmo.

"Gorgo dell’Eridano!!!"

L’incandescente vortice energetico travolse tutti i Cacciatori di Artemide, scaraventandoli lontano, smuovendo le fronde degli immortali alberi della foresta, ma non fu abbastanza per fermare la Dea della Caccia, che, guizzante come una fiera, raggiunse Phantom brandendo un’argentea lama. La sollevò di scatto, stridendo sul pettorale dell’Armatura Celeste del giovane, spingendolo indietro, con la schiena contro un albero, contro l’albero dietro il quale era riparata Castalia. Un secondo affondo gli distrusse il coprispalla sinistro, mentre la lama raggiungeva la pelle, senza scendere troppo in profondità.

"Tieni così tanto a lei? Tieni così tanto a questa donna, al punto da tradire il tuo Signore?" – Sibilò Artemide, togliendo la lama dalla spalla di Phantom.

"Devo fare ciò che è giusto!" – Mormorò Phantom, bruciando il proprio cosmo.

"Traditore! Ucciderti mille volte non basterà per lavare il tuo peccato!" –E calò nuovamente la lama su di lui. Ma Phantom afferrò l’arma con entrambe le mani, fermandola a mezza via, mentre sangue usciva copioso dalle sue mani. Il ragazzo trattenne a stento un grido, limitandosi a spingere con tutte le proprie forze, vincendo la resistenza di Artemide, che venne spinta leggermente indietro.

"Gorgo dell’Eridano!!!" –Urlò Phantom, scagliando contro la Dea il suo vortice energetico.

Artemide fu travolta e sollevata in aria, ma riuscì comunque a ricadere a terra poco distante, senza riportare grandi danni. Incoccò un’altra freccia, per scagliarla contro il giovane, quando percepì una grande energia cosmica raggiungere l’intero spiazzo e avvolgere i due Cavalieri.

"Nooo!!!" – Urlò, scagliando la propria freccia. Ma capì che ormai era troppo tardi.

Il dardo di Artemide si conficcò nuovamente in un albero, trapassando letteralmente Phantom e Castalia, scomparsi in un momento, grazie al cosmo amico di un’altra Divinità olimpica. Artemide imprecò più volte, minacciando ritorsioni contro il Cavaliere dell’Eridano Celeste e il suo inspiegabile alleato. Invocò il suo vero arco, costruito da Efesto insieme alla sua Armatura Divina, e scoccò una freccia verso l’alto. Il dardo trapassò la cima degli alberi, saettando nel nuvoloso cielo olimpico diretto come un fulmine verso la reggia del Dio dei Sogni.