CAPITOLO NONO. COMPLOTTI SULL’OLIMPO.

Phoenix seguì l’uomo per un paio di minuti, finché questi non entrò in una grande sala, lasciando aperta la porta dietro di sé. Il Cavaliere della Fenice esitò un momento, ma poi entrò, deciso ad avere spiegazioni. Si ritrovò in una stanza completamente arredata, ricca di mobili e soprammobili, all’apparenza anche troppo disordinata per essere la stanza di una reggia olimpica.

"Accomodati, Ikki di Phoenix!" –Esclamò l’uomo, che si era avvicinato alla finestra.

Tirò le tende bianche, lasciando entrare la luce solare che sull’Olimpo sembrava più vivida che mai, prima di voltarsi verso l’ospite che, come immaginava, non si era affatto accomodato.

"Come conosci il mio nome?" –Domandò Phoenix.

"Oh beh, conosco il nome di tutte le creature viventi! Perché non dovrei conoscere il tuo, che sei Cavaliere di una Divinità Olimpica?" –Rispose l’uomo, continuando a trafficare per la stanza.

"Chi sei? E cosa vuoi da me?"

"Aiutarti!" –Affermò l’uomo, fermandosi un istante. –"Aiutarti a liberare la mente da quelle confuse visioni che la infestano!"

"Visioni?!"

"Non mentire, Cavaliere della Fenice! È perfettamente inutile negare la verità a un Dio! A un Dio che sa leggere nel cuore degli uomini, e nelle loro menti, anche quando questi credono di essere al sicuro!" – Esclamò l’uomo, alzando per la prima volta il tono della voce. –"Ma adesso siediti, ti prego!"

Phoenix fu stupito nel vedere se stesso ubbidire alla richiesta dell’uomo, accomodandosi su una panchina al centro della sala, più confuso che mai.

"Posso offriti qualcosa? Del vino? Ooh, penso che Dioniso si arrabbierà se prendo in prestito qualcosa dalla sua riserva!"

"Non disturbarti…" –Lo fermò Phoenix, spazientito. –"Vorrei solo sapere chi sei, e perché mi hai condotto qui?"

"Condotto?! Non mi sembra di averti legato e trascinato fin qua! Se non sbaglio sei stato tu stesso, e tu soltanto, a prendere la decisione di venire fin qua, tra le braccia di Morfeo!"

"Mo... Morfeo?!"

"In persona!" –Sorrise l’uomo, senza sforzarsi troppo.

"Ecco perché dicevi di poter leggere nella mia mente…"

"Io vedo tutto ciò che accade nella tua mente, Cavaliere di Phoenix! Tutto ciò che accade nella mente degli uomini! Io trasformo i tuoi sogni, le tue visioni, in realtà, dando ad esse consistenza e concretezza!"

Per un momento Phoenix sentì un brivido correre lungo la sua schiena, inebriato e impaurito da una Divinità così particolare, come Morfeo gli appariva.

"E vedo cosa affanna il tuo cuore!" –Disse il Dio, prima di dargli le spalle e ricominciare a trafficare su un bancone di marmo.

"Sono soltanto preoccupato per Atena!" –Esclamò il ragazzo, rialzandosi improvvisamente. – "Anzi, a questo proposito... meglio che torni a controllare…" –E si avviò verso l’uscita della stanza, rimasto un po’ deluso dalla conversazione.

"E non vorresti rivederla?" –Lo ghiacciò Morfeo.

"Chi?!" –Domandò Phoenix, in piedi sulla porta, senza voltarsi.

"La ragazza a cui pensi in ogni momento della tua vita! In ogni notte, anche quelle più serene; in ogni giorno, anche mentre rischi la vita per i tuoi ideali!"

"Non c’è nessuna ragazza, Dio del Sonno... e ora ti prego..."

"Non mentirmi, Ikki di Phoenix!" –Tuonò Morfeo. E a Phoenix parve che l’intera sala rimbombasse al suono delle sue parole. –"Sai che è inutile! Se non vuoi affrontare le tue paure, non importa! Fa’ ciò che ritieni giusto! Io ti ho solamente offerto il mio aiuto, senza obbligo alcuno!"

"E quale aiuto potresti darmi, Dio del Sonno? Farmi dormire per sempre?" –Ironizzò il Cavaliere.

"Condurti da lei!" –Sussurrò l’uomo. –"Permetterti di incontrarla ancora!"

"È... è possibile?"

"In sonno tutto è possibile!" –Chiarì Morfeo. –"Ma se non ti interessa... torna a fare il tuo dovere di Cavaliere e tieniti le tue visioni!" –Chiuse in fretta il discorso, con tono quasi indispettito.

Phoenix rimase per un momento a bocca aperta, combattuto tra il suo dovere di Cavaliere, che lo spingeva a tornare nell’atrio e prepararsi in caso di bisogno, e la sua natura umana, i suoi desideri, i sentimenti che aveva dovuto mettere da parte per apparire diverso. Per sembrare cattivo, per sembrare superiore, per sembrare più forte di quanto non fosse. Adesso aveva l’opportunità, unica nel suo genere, di rivedere Esmeralda, la sola ragazza che aveva mai amato in tutta la vita, l’unico fiore in quell’inferno che era stato l’Isola della Regina Nera. La stessa ragazza che da venti giorni appariva continuamente nei suoi sogni, nei suoi pensieri, come mai aveva fatto prima. Appariva, e sembrava quasi preoccupata, sembrava chiamare il suo nome, ma non riusciva a farlo. Ogni volta moriva e la visione si spegneva senza che Phoenix riuscisse a comprenderne il senso. Adesso, forse, aveva la possibilità di risolvere quell’enigma che tanto lo attanagliava.

"Cosa accadrà?" –Domandò.

"Come?!" –Rispose Morfeo, recuperando interesse verso il ragazzo.

"Cosa dovrò fare?"

"Tu non dovrai fare proprio niente, solamente stenderti e chiudere gli occhi! Al resto penserò io!" – Commentò Morfeo, e indicò un letto, situato proprio sotto la finestra.

Phoenix esitò ancora, incapace a prendere quella decisione, preoccupato non soltanto per la sorte di Atena, ma anche per se stesso. E non poté fare a meno di chiedersi se sarebbe stato forte abbastanza per affrontare una simile prova.

"Sento molta angoscia nel tuo giovane cuore, Cavaliere della Fenice, troppa! E questo inquina la bontà delle tue azioni!"

"Puoi liberarmi da quest’angoscia?"

"Posso provarci!" –Rispose il Dio. –"Ma scacciare le tue paure spetterà, in definitiva, soltanto a te!"

Non sapeva neppure lui come aveva fatto, ma aveva accettato. Si era sdraiato su quel lettino ed aveva chiuso gli occhi, mentre la voce del Dio gli rimbombava in testa. Una dolce melodia, un incantesimo suadente, e l’araba Fenice si perse nella culla di Morfeo.

Morfeo si staccò dal ragazzo, ponendo fine a quell’incantato motivo, e rimase ad osservarlo per qualche secondo, pieno di sensi di colpa. In quel momento udì scontrarsi due grandi energie, non molto distante da lì. Non ebbe bisogno di essere presente per capire cosa era accaduto. Era tutto chiaro, tutto stampato davanti ai suoi occhi.

Pochi istanti più tardi, un guerriero entrò a passo svelto nella sua stanza. Era alto e robusto, con un viso scuro, pieno di cicatrici; capelli neri e mossi, occhi scuri, intrisi di sangue che ispiravano terrore soltanto a guardarlo. Tutto l’opposto dell’educato e nobile Cavaliere dell’Eridano Celeste. Con modi bruschi richiuse la porta alle sue spalle, osservando sul letto la preda tanto ambita.

"Ce l’hai fatta allora, vecchio?" –Esclamò il guerriero, con fare rozzo.

"Ne dubitavi, forse, Issione?" –Commentò Morfeo, indispettito.

"Hai fatto il tuo dovere, ma assicurati di farlo fino in fondo!" –Lo intimò il guerriero, con una torva occhiata.

"Non hai bisogno di ripetermi la lezione, sono il Dio del…" –Ma Morfeo non riuscì a terminare la frase che le possenti mani di Issione lo afferrarono per il collo, sollevandolo da terra e sbattendolo al muro, mentre folgori incandescenti circondarono il corpo del Dio, stringendolo e ferendolo.

"Bada a come parli, vecchio stolto!" –Sibilò Issione. –"C’è ancora posto sulla ruota di fuoco!"

"Come osi?" –Esclamò Morfeo, ma Issione strinse ancora di più la presa.

"Porta a compimento il tuo incantesimo! O saranno queste mie spade a condannarti al sonno eterno!" –Sibilò il guerriero, sfoderando una spada infuocata che portava seco. Passò la lama sotto la gola dell’uomo, bruciando la sua sparuta barba, ma impedendogli di urlare. –"Non voglio sentire un sibilo!" –Sussurrò, fissandolo con i suoi occhi intrisi di sangue.

Morfeo annuì, impaurito e disperato, prima di essere lasciato ricadere a terra, come una marionetta. Issione rinfoderò la spada e si avviò verso l’uscita.

"Il nostro Signore ha imprigionato Atena nella grande Torre del Fulmine, condannandola ad una sofferenza perpetua!" –Esclamò, prima di uscire dalla sala. –"Flegias è convinto che come Phoenix ha ricordato così anche altri Cavalieri possano risvegliarsi e giungere fin qua!"

"Poveri ragazzi..." –Mormorò Morfeo, immaginando il triste destino a cui andavano incontro.

"Li uccideremo tutti, se verranno!" –Esclamò Issione. –"Ma tieni pronto Phoenix!"

"Cosa ne sarà di lui? Non abbiamo già abbastanza guerrieri per difendere l’Olimpo?"

"Ooh... sì!" – Sussurrò Issione. –"Ma ho intenzione di usarlo come mia personale guardia del corpo, nel caso il nostro amico Flegias volesse tentare qualche scherzo!"

Detto questo, Issione uscì dalla stanza, sbattendo violentemente la porta e lasciando Morfeo, a terra, con i propri pensieri. Il Dio del Sonno si rialzò a fatica, avvicinandosi al letto su cui era sdraiato Phoenix e chiedendosi cosa stesse accadendo nella mente del giovane. Lo aveva imbrogliato, vigliaccamente imbrogliato, solo per aver salva la pelle. Proprio come Issione, figlio di Ares, aveva ordinato di fare.

***

Quando esplose il cosmo di Atena, dilaniata dai fulmini del Sommo Zeus, Castalia stava conversando con Phantom dell’Eridano Celeste, nel giardino dell’Olimpo. Il giovane, dai modi garbati ed eleganti, si era rivelato un’ottima compagnia, mostrando sincero interesse affinché l’incontro tra Atena e Zeus si risolvesse pacificamente, senza il rischio di una guerra.

"Una guerra che, perdonami se lo dico, Atene non avrebbe alcuna possibilità di vincere!"

"Tu non conosci il valore dei Cavalieri di Atena!" –Gli rispose Castalia, riferendosi a Pegasus e ai suoi amici.

"Certo che lo conosco, Sacerdotessa dell’Aquila! Ho seguito le loro battaglie dall’alto dell’Olimpo, augurandomi sempre che ne uscissero vincitori! Ma, credimi, conosco bene le difese dell’Olimpo e i Cavalieri che Zeus ha a disposizione! Numericamente superiori ai vostri e dotati di incommensurabili poteri!"

La risposta lasciò Castalia in silenzio, obbligandola ad ammettere che vi era un fondo di verità. Le armate di Atene si erano ridotte con la morte dei Cavalieri d’Oro, limitandosi a una decina di Cavalieri di Bronzo e d’Argento. Troppo pochi e male equipaggiati per un conflitto con le Divinità Olimpiche! In quel mentre si udì un boato e l’accendersi di cosmi incandescenti che si scontravano poco distanti.

"Atena!!!" –Esclamò Castalia, correndo via, subito seguita e superata dal Cavaliere dell’Eridano Celeste.

Quando raggiunsero il grande atrio, Castalia notò la porta semiaperta e un giovane guerriero dall’Armatura rossastra uscirne in fretta, e infilare un corridoio laterale. La Sacerdotessa dell’Aquila chiamò a gran voce il nome di Phoenix, chiedendosi dove fosse finito, e poi entrò nella Sala del Trono, con paura, ma anche con determinazione.

Phantom fu stupito nel vedere uscire Issione dalla Sala del Trono, essendo stato informato in precedenza che il colloquio sarebbe stato privato. Cosa ci faceva quel demonio nella Sala del Trono, quando persino ad Ermes, che del nostro Signore è il più caro amico e fidato consigliere, era stato negato l’accesso? Si domandò. Ma prima che potesse parlarne con Castalia, vide la ragazza infilare svelta dentro la Sala del Trono.

Senza perdere tempo, Phantom corse dietro a Issione, facendo attenzione a non farsi scoprire. Come Luogotenente dell’Olimpo aveva ricevuto un rigido addestramento, e una delle prime regole basilari che aveva imparato era proprio come ridurre ogni traccia di cosmo per non farsi scoprire. Per questo motivo era stato soprannominato Phantom, fantasma, per la sua abilità a rendersi invisibile.

Phantom vide Issione entrare nelle stanze di Morfeo, e di questo ne fu piuttosto stupito. Si avvicinò alla porta, rimanendo nascosto, e percepì sprazzi della conversazione tra i due. Morfeo sembrava impaurito e quando Phantom vide Issione puntargli contro la spada infuocata sarebbe voluto intervenire per salvarlo, ma preferì rimanere nascosto e cercare di capire cosa stesse accadendo.

Poco dopo Issione uscì, senza notare Phantom nascosto poco distante. Questi si avvicinò alla porta e la prima cosa che notò, a cui prima non aveva prestato attenzione, era il corpo di un Cavaliere sdraiato sul letto. Un volto che aveva seguito varie volte in battaglia, quello del Cavaliere della Fenice.

Quando Castalia entrò nella Sala del Trono trovò evidenti segni di lotta, ma nessuna traccia di Atena. Solamente una scia lasciata dal suo cosmo, gravemente indebolito dallo scontro con Zeus.

"Atena!!!" –Gridò la Sacerdotessa, mentre Flegias le si faceva incontro. Alle spalle della ragazza comparvero Sterope e Arge, i due Ciclopi Celesti. –"Cos’è accaduto? Dov’è Atena?"

"Ha avuto la punizione che meritava!" –Sibilò Flegias. –"Per aver osato levare lo scettro contro il nostro Signore Zeus!"

Immediatamente Castalia sollevò lo sguardo sopra Flegias, percorrendo con gli occhi la bianca scalinata fino al trono in cima ad essa. Zeus, Signore dell’Olimpo, era in piedi davanti al trono, avvolto da un lucente cosmo celeste.

"Ci avete imbrogliato! Ermes ci aveva garantito che non sarebbe accaduto niente... Atena era qua per parlare!"

"Tacii!!!" –Gridò Flegias, scagliando l’Apocalisse Divina sulla ragazza, che, incapace di difendersi, fu scaraventata lontano, fino a sbattere contro un muro.

Castalia non fece in tempo a riprendersi che le robuste mani dei Ciclopi Celesti le furono addosso. Sterope da un lato, e Arge dall’altro, la tennero stretta, portandola ai piedi della scalinata, dove la gettarono a terra con violenza. Flegias le si avvicinò, e Castalia poté sentire la sua sinistra risata echeggiare per la stanza.

"È tutta colpa tua, maledetto!" –Gridò la ragazza, prima che una mano robusta le sbattesse la faccia contro il pavimento.

"Desideri tanto rivedere la tua Dea, giovane donna?" –Esclamò la voce imperiosa del Dio dell’Olimpo. –"Ebbene, eccoti accontentata!"

E puntò un dito avanti, da cui si sprigionò un accecante raggio di luce che investì Castalia sollevandola da terra e avvolgendola in una sfera luminosa. Con un gesto veloce, Zeus scagliò la sfera, e Castalia dentro essa, contro il muro alla sua destra, frantumandolo e lasciando che la ragazza cadesse di sotto, precipitando nell’abisso.

Se hai le ali, impara a volare, Aquila! Ironizzò Flegias, ghignando.

Phantom dell’Eridano Celeste e altri Cavalieri Celesti raggiunsero correndo la Sala del Trono, avendo udito poc’anzi scontrarsi il cosmo di Zeus e quello di Atena. Anche Ermes arrivò in fretta, facendosi largo nella ressa che i Ciclopi Celesti stavano respingendo fuori dalla stanza.

"Non preoccupatevi! Il nostro Signore Zeus sta bene!" –Esclamò Sterope, spingendo i vari Cavalieri fuori dalla Sala del Trono.

"Devo conferire immediatamente con lui!" – Intervenne Ermes, e al suono della sua voce tutti gli altri Cavalieri presenti si allontanarono, intimiditi. –"Adesso!"

"Questo non è possibile!" –Rispose Sterope, con tono deciso. –"Zeus ha bisogno di riposare e ci ha dato ordine di non far entrare nessuno!"

"Sono il Messaggero degli Dei e Consigliere privato del Dio dell’Olimpo, Sterope! E conosco le prassi in questi casi!" – Continuò Ermes, rincarando il tono.

"Errore!" –Esclamò una figura, spuntando sulla soglia della Sala del Trono.

"Flegias!!!" –Gridò Ermes, incollerito.

"Zeus mi ha nominato suo personale Consigliere, affidandomi il prestigioso incarico di gestire la crisi che si è appena aperta con il Grande Tempio di Atene!"

"Quale crisi? Cos’è successo?" –Incalzò Ermes, subito affiancato da Phantom, fingendo di non dare importanza alla nomina raggiunta da Flegias.

"Cos’è successo?!" –Gridò Flegias, e il tono della sua voce andò aumentando sempre di più. –"Ecco cos’è successo! Atena, figlia prediletta del Sommo Zeus, ha respinto le richieste che il Dio dell’Olimpo le aveva proposto per evitare una guerra! E non soltanto! Ha osato levare la mano contro Zeus e i Cavalieri preposti alla sua difesa, causando un’onta insopportabile!"

Un mormorio di voci di disapprovazione si levò tra i Cavalieri e le varie Divinità presenti fuori dalla Sala. Ma anche di sorpresa. Possibile? Si chiese Phantom dell’Eridano. E la stessa domanda risuonò nella mente del Messaggero degli Dei.

"Per questo motivo, per vendicare il torto subito, Zeus ha ordinato l’immediata distruzione del Santuario della Vergine Dea, affidandomi personalmente il comando di tale missione!"

"E che ne è stato di Atena?" –Domandò Ermes, preoccupato per la sua sorte.

"Puoi sentirlo da solo… Messaggero!" –Sibilò Flegias, voltandosi lentamente verso sinistra.

Al di là della porta, al di là del parco, si estendeva un vasto prato che progressivamente saliva, fino a raggiungere un picco, un’alta sommità su cui Zeus aveva fatto costruire la Torre Olimpica, o Torre del Fulmine, il punto più alto dell’Olimpo, capace di stare persino al di sopra della coltre di nuvole che da sempre celava la residenza degli Dei alla vista dei comuni mortali. Là, in cima alla torre, Zeus aveva rinchiuso Atena, intrappolandola con i Fulmini ricevuti in dono dai Ciclopi e condannandola ad un’agonia perpetua, stretta in una morsa incandescente che lentamente l’avrebbe uccisa.

"E Castalia? Dov’è?" –Domandò Phantom, disturbando Flegias con quella richiesta insignificante.

"Cavaliere dell’Eridano Celeste! Considerando gli attuali rapporti di crisi esistenti tra l’Olimpo e Atene, una simile domanda giunge completamente inattesa, e fuori luogo! È chiaro che, in un frangente simile, tutti i Cavalieri della Dea sacrilega devono essere eliminati!"

"Eliminati?!" –Ripeté Phantom, con tono preoccupato.

"Precisamente!" –Sogghignò Flegias. –"A tal proposito, che ne è dell’altro? Il Cavaliere della Fenice, giunto con le due donne sull’Olimpo?" –E si rivolse verso Ermes, ma questi spiegò di non saperne niente.

"Avrà avuto paura e sarà fuggito!" –Esclamò una voce proveniente dal mucchio di Cavalieri. Phantom si voltò e riconobbe il ghigno sfregiato di Issione, colui che aveva appena parlato.

"Non ne sono sicuro..." – Mormorò Flegias. –"Cercatelo! E uccidetelo, ovunque si trovi!"

Molti Cavalieri Celesti, dopo quell’ordine, si allontanarono, mentre Sterope e Arge richiusero il portone dorato della Sala del Trono, lasciando Flegias fuori, di fronte agli sguardi attoniti e preoccupati di Ermes e di Phantom. E a quello compiaciuto di Issione.

"In quanto a te, Cavaliere dell’Eridano! Avrai un grande onore quest’oggi! Guidare l’assalto al Santuario della Dea Guerriera e raderlo al suolo!"

"Assalto?!" – Mormorò Phantom.

"Esattamente! Zeus ha ordinato che l’intero Grande Tempio e i Cavalieri rimasti alla sua difesa vengano distrutti, annientati, spazzati via dalla faccia della Terra!" –Esclamò Flegias, con un perfido sorriso. –"Avrai l’onore di eseguire questo importantissimo incarico! Sentiti degno della fiducia ricevuta dal Sommo, Cavaliere!"

"Sì, figlio di Ares!" –Affermò Phantom, inchinandosi, e poi allontanandosi. Ma la voce imperiosa di Flegias lo richiamò un momento.

"Da oggi non sono più soltanto il figlio di Ares, Cavaliere! Ma sono il Consigliere personale del Dio dell’Olimpo!" – Precisò, irritando ulteriormente Ermes.

Il Messaggero degli Dei, ferito nell’orgoglio, non aggiunse altro, e se ne andò, lasciando Flegias e Issione a parlare davanti alla Sala del Trono.

"Meglio di così non potrebbe andare!" –Sussurrò Issione.

"Non ne sarei così sicuro.." –Precisò Flegias, per la prima volta preoccupato.

"Cosa vuoi dire? Cosa non va?"

"Dopo che Zeus aveva lanciato la Sacerdotessa di sotto dall’Olimpo, ho avvertito una lieve, quasi impercettibile, vibrazione nello spaziotempo! Come se qualcuno fosse riuscito a raggiungere l’Olimpo!"

"Aaah! Sciocchezze, Flegias! È praticamente impossibile! Nessuno è mai riuscito ad arrivare fin quassù, superando i Giganti di Pietra e i Cavalieri Celesti! Inoltre, se un Cavaliere di Atena fosse riuscito a teletrasportarsi fin quassù il suo cosmo sarebbe stato percepito, non credi? Neppure il Grande Mur dell’Ariete e Shaka di Virgo avrebbero potuto tanto!"

"Tuttavia non sono affatto convinto! Ho progettato questo piano troppo a lungo e troppo bene, per permettere ad una anche piccola variabile di influenzarlo!"

"Se sei davvero così preoccupato, Flegias, perché non vai a controllare?" –Propose Issione. –"La prudenza non è mai troppa!"

"Sì! È quello che farò!" –Esclamò Flegias, allontanandosi.

Issione si sfregò le mani, soddisfatto. Quell’alleanza con Flegias, lo sapeva, era assolutamente provvisoria. Adesso che Atena era caduta, e dei suoi Cavalieri presto non sarebbe rimasta traccia, la Terra sarebbe potuta essere di Zeus. Ed egli avrebbe ricompensato degnamente i suoi fedeli servitori, promettendo loro un trono nel nuovo ordine. Ma se qualcuno di noi cadesse in guerra... Sogghignò Issione. Perderebbe il titolo, e anche il trono! Ed esclamò in una grossa risata.

Flegias passò più di venti minuti a perlustrare tutto il perimetro esterno dell’Olimpo, balzando di roccia in roccia, di sperone in sperone, senza saltare nemmeno un anfratto. Ma di Castalia non c’era traccia. Alzò gli occhi, verso la cima del Monte Sacro, perennemente immersa in una coltre di nuvole, e ipotizzò dove si trovasse la Reggia del Sommo Zeus, ma non era facile neanche per lui riuscire a individuarla. Sbuffò un po’, continuando a rimuginare sull’accaduto, ma alla fine dovette convincersi che i suoi sospetti erano infondati.

Nessuno aveva raggiunto l’Olimpo, o se l’aveva fatto era stato talmente abile da non lasciare neppure un’impercettibile traccia. Castalia probabilmente era precipitata nell’abisso, sfracellandosi contro qualche roccia più a valle. E tirò uno sguardo verso il basso, prima di essere investito da una folata di vento che lo convinse a rientrare a palazzo. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare improvvisamente, trovandosi di fronte uno dei Ciclopi Celesti, Arge, lo Splendore.

"Il Sommo Zeus richiede la tua presenza a palazzo, Flegias!" –Esclamò l’uomo.

"D’accordo! Arrivo subito!" –Rispose Flegias, prima di tirare un’altra occhiata furtiva intorno a sé.

Quindi seguì Arge, rientrando a palazzo. Se si fosse trattenuto pochi minuti di più, avrebbe notato una figura in ombra, nascosta in un anfratto roccioso. Un uomo sui trent’anni, con dei lunghi capelli mossi, che teneva in braccio una giovane donna dal volto ricoperto con una maschera bianca. Vi fu una vibrazione nello spaziotempo, quindi entrambi scomparvero.