CAPITOLO QUINTO. RITORNO AL PASSATO.
Pegasus stava correndo lungo un viale alberato della città di Nuova Luxor. Adorava correre di mattina, libero e felice, sentire il fresco tocco dell’aria sul suo viso, che lo risvegliava e lo preparava per la giornata. Era un’abitudine che aveva preso negli ultimi mesi, da quando, anche se non poteva saperlo, era tornato a vivere in città, insieme alla sorella.
Patricia correva accanto a lui, ridendo e scherzando in allegria, come facevano ogni mattina. Si erano ritrovati pochi mesi prima, dopo anni di separazione, ma Pegasus questo non lo ricordava. L’immagine di sua sorella, che gli aveva fatto da madre da bambino, era talmente fissata nella sua mente, che anche la lontananza non l’aveva intaccata. Correndo, i due fratelli giunsero fino a Villa Thule, a quella che Pegasus riteneva fosse l’abitazione di un ricco amico, Andromeda.
Il ragazzo dai capelli verdi era fuori in giardino, intento a fare stretching tra gli alberi, avvolto nella sua colorata tuta da ginnastica.
"Ehi Andromeda!" –Lo salutò Pegasus, raggiungendolo tra gli alberi.
"Pegasus! Patricia!" –Esclamò Andromeda, con un gran sorriso. – "Puntuali come sempre, eh?!"
"Puoi ben dirlo!" –Affermò Patricia, ansimando. –"Mio fratello è uno schiavista! Non vuole fermarsi un momento!"
"Ma certo! Usciamo per correre, no? Mica per fare salotto!" –Rise Pegasus.
Patricia rise a sua volta, cercando di apparire il più naturale possibile. Ma quando Pegasus stava con Andromeda si sentiva a disagio. Non per gelosia, tutt’altro, Andromeda era un caro amico e un ragazzo di compagnia. Patricia aveva semplicemente paura, come Fiore di Luna per Sirio, che Pegasus recuperasse la memoria, nonostante lo zaffiro che portava al collo, e ritornasse a combattere. E mai come quella mattina le sue paure erano fondate.
"Allora, dov’è il tuo burbero maggiordomo?" – Domandò Pegasus.
"Ti ho già detto che non è il mio maggiordomo, Andromeda! È il maggiordomo della proprietaria di questa villa! Quella che mi ha concesso di abitare qua!"
"Sì, certo, come no?!" –Scherzò Pegasus, arruffando i capelli dell’amico. –"Lo ripeti da mesi ma di questa fantomatica donna nessuna traccia! Non è mai comparsa!"
"Non burlarti di lui, Pegasus!" –Intervenne Patricia. – "Non è carino!"
"Non voglio burlarlo, vorrei solo che ammettesse che questa splendida villa appartiene a lui, al nostro caro miliardario!" –Rise Pegasus.
"Di nuovo con questa storia!?!" –Sbuffò Andromeda.
In quel momento uscì fuori Mylock, il maggiordomo della villa. I tre amici si voltarono e lo videro brontolare al telefono con qualcuno.
"Non invidio chi sta dall’altro lato della linea!" –Ironizzò Pegasus.
Ma Patricia non rise, preoccupata dall’eccessiva agitazione dell’uomo. Lo guardò con attenzione, mentre si avvicinava, e vide che Mylock non era soltanto inquieto, era anche molto triste e angosciato. Il maggiordomo chiuse bruscamente la comunicazione, e la ragazza non udì niente, ma colse soltanto un nome, che la fece rabbrividire. Lady Isabel.
"Oh sei qua Andromeda! Ti stavo cercando!" –Esordì il maggiordomo.
"Sono con Pegasus e Patricia! Stiamo andando a correre nel bosco di querce! Vuoi unirti a noi?"
"Bravi, bene, no, cioè!" – Mylock farfugliò qualche parola incomprensibile.
"Ehi Mylock, stai bene?" –Gli chiese Andromeda.
"Certo, certo! Volevo solo sapere dov’eri e come stavi!" –Tagliò corto Mylock, voltandosi per tornare in casa. –"Non allontanarti, e quando entrate in casa pulitevi i piedi, per favore!!!"
"Certo, certo!!! Useremo le pattine!" –Scherzò Pegasus. –"Allora, partiamo per questa corsetta?"
Ma Andromeda non fece in tempo a rispondere che l’attenzione di tutti fu attirata da un singolare evento. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Anzi, tre fulmini consecutivi caddero poco distanti da loro, bruciando gli alberi e la vegetazione. Patricia tirò un urlo spaventata, mettendosi dietro Pegasus, anch’egli, come Andromeda, stupefatto dal fenomeno. Ma il loro stupore aumentò ancora quando videro che dalle fiamme apparve una figura, piuttosto singolare. Alto e robusto, con un viso maschile e massiccio, barbetta incolta, occhi azzurri e capelli mossi, un uomo che poteva avere una trentina d’anni, ma anche un tempo indefinito, completamente ricoperto da una scintillante armatura celeste dai riflessi violacei, si incamminò verso di loro, fermandosi a pochi metri. Pegasus e Andromeda sgranarono gli occhi stupiti, mentre un gran mal di testa li colpì improvvisamente.
"Che c’è?" –Chiese Andromeda all’amico, che sembrava accusare le fitte più forti.
"Non lo so... è come se quell’uomo mi ricordasse qualcosa ma non riesco a capire cosa!" – Si lamentò Pegasus, portandosi le mani alla testa.
"Siete dunque voi i Cavalieri di Pegasus e Andromeda?" –Domandò la voce.
"Io sono Andromeda, e lui è Pegasus! Ma non sappiamo chi siano questi Cavalieri!"
"Umpf…" - L’uomo quasi sorrise di fronte a tanta beata ingenuità.
"Chi sei?" –Domandò Pegasus. –"E come hai fatto ad arrivare qua?"
"Non fare domande inutili, alle quali potresti rispondere da solo! Chiediti piuttosto cosa voglio!"
"Noo!!!" –Urlò Patricia, ponendosi istintivamente davanti al fratello. –"Smettila! Non tormentarlo ancora!!! Lady Isabel ci assicurò che era tutto finito, che non avrebbero più combattuto!"
"Togliti!" – Esclamò l’uomo, senza battere ciglio. –"Se non vuoi rimanere coinvolta!"
"Mai!" –Gridò Patricia.
Senza perdere tempo, l’uomo puntò l’indice destro contro la ragazza, sprigionando un lampo di luce, e un attimo dopo Patricia si trovò spinta indietro, a sbattere violentemente contro un albero.
"Maledetto! Che cos’hai fatto?" –Gridò Pegasus, correndo a soccorrere la sorella.
"E adesso a noi!" –Esclamò l’uomo, rivolgendosi a Andromeda.
Ma Pegasus gli corse incontro, pieno di rabbia. Non sapeva chi fosse quell’uomo, né perché gli provocasse un così grande dolore alla testa. Sapeva soltanto che aveva ferito sua sorella, e gliel’avrebbe fatta pagare. Si buttò avanti, cercando di colpirlo con un pugno, ma l’uomo neppure si mosse. Con una mossa fulminea afferrò il braccio di Pegasus, sollevandolo e lanciandolo indietro, fino a farlo schiantare contro un albero.
"Pegasus!!!!" –Urlò Andromeda.
"Non curarti di lui! Pensa per te, piuttosto, che ben ne hai motivo!" –Disse l’uomo, puntando l’indice contro Andromeda.
Un lampo di energia saettò dal suo dito, pronto per colpire il ragazzo, ma qualcosa glielo impedì. Una ragazza, coperta in parte da un’armatura grigia, si buttò contro Andromeda, spingendolo di lato e venendo colpita al posto suo e scagliata contro un muro di Villa Thule. Quando Andromeda si rialzò, poté vedere con orrore il corpo di una donna rialzarsi a fatica dalle macerie.
Non vedo il suo volto, ma la conosco! La sento! Pensò, ma non ricordò il suo nome. Né perché fosse vestita in quel modo bizzarro. Un’armatura di bronzo, capace di coprire soltanto alcune parti del corpo, e una frusta legata alla vita. Una maschera sul volto, che lasciava trasparire soltanto i capelli, lunghi e biondi.
"Chi sei, donna, perché ti intrometti?" –Esclamò l’uomo, indispettito.
"Sono Nemes del Camaleonte, Cavaliere di Bronzo al servizio di Atena!"
"Un Cavaliere di Bronzo?! Ridicolo!" –La schernì l’uomo, senza degnarla di un ulteriore sguardo.
Fece invece per incamminarsi verso Andromeda, a terra, per eliminarlo. Ma Nemes fu svelta a balzare avanti, sfoderando la sua frusta e lanciandola contro l’uomo. Questi però non si fece sorprendere, afferrando la frusta e tirandola a sé. Nemes fu travolta dalla forza dell’uomo, a cui cadde quasi addosso, mentre il suo braccio destro le sfondava il pettorale dell’armatura, facendole sputare sangue, e spingendola indietro, nuovamente contro la casa.
"Che ti serva da lezione, patetico surrogato di Cavaliere!"
"Maledetto!" –Urlò Andromeda, sgomento.
"Accetta il tuo destino e la morte che ti è stata riservata!" –Esclamò l’uomo, ormai di fronte a lui.
"Chi sei?"
"Potrei anche dirtelo!" –Sussurrò l’uomo. –"Ma non capiresti comunque perché devo farlo!" –E nel dir questo concentrò una sfera di energia sulla mano destra, pronto per scagliarla contro di lui.
"Ehi, mister muscolo!" –Esclamò una voce dietro di lui. – "Colpisci questi!"
Era Pegasus, che aveva iniziato a lanciare grossi sassi contro l’uomo.
"Attento Pegasus!" –Gridò Andromeda, osservando il veloce movimento dell’uomo.
Questi infatti si voltò di scatto, facendo esplodere la sfera contro Pegasus. I sassi si disintegrarono all’istante e lo spostamento d’aria travolse il ragazzo spingendolo nuovamente contro un albero, mentre tutto il terreno subì notevoli scombussolamenti. Per un attimo Pegasus rivide se stesso sprigionare una simile luce. Fu un attimo, prima di essere distratto da un nuovo attacco dell’uomo.
Nemes si era infatti rialzata, lanciandosi nuovamente avanti con la sua frusta, nonostante il petto in fiamme e le ferite riportate. L’uomo lasciò che la frusta si arrotolasse intorno al suo braccio, per usarla nuovamente come arma per sollevare la ragazza. La lanciò in alto, colpendola con una sfera di energia incandescente. Nemes ricadde a terra, tra i frammenti della sua armatura distrutta. Era ferita ovunque, e sangue scorreva copioso sul suo corpo e sul viso. La maschera che portava sul volto era distrutta, rivelando il suo bel viso. Un viso che Andromeda aveva sicuramente già visto.
"Qua tutto finisce!" –Esclamò l’uomo, soddisfatto.
E si preparò per l’ultimo colpo, quello con cui avrebbe ucciso Pegasus e Andromeda. Il ragazzo dai capelli verdi era corso dall’amico, per aiutarlo a riprendersi, e l’uomo gliel’aveva ovviamente lasciato fare. Cosa potevano fare due ragazzi, senza poteri, contro l’emissario di un Dio? Prima che potesse muoversi, la voce angosciata di Patricia risuonò nell’aria.
"Liberali!!!" –Esclamò, facendo voltare l’uomo.
Ma Patricia non si rivolgeva a lui. Bensì a Nemes, la donna, ancora a terra in una pozza di sangue, che arrancava per sollevare il mento.
"Liberali!!!" –Ripeté Patricia, stupendo persino Pegasus e Andromeda. –"Solo così potranno combattere con lui! Solo così potranno salvarsi!"
"Taci, sciocca!" –La intimò l’uomo, puntando nuovamente l’indice contro di lei.
Al pensiero che qualcuno potesse far del male a sua sorella, qualcosa scattò dentro Pegasus. Si lanciò verso l’uomo, veloce come una gazzella, e spinse avanti il pugno, pronunciando parole che gli uscirono dalla bocca senza neppure averle pensate.
"Fulmine di Pegasus!!!" –E immediatamente decine e decine di sfere luminose partirono dal suo pugno destro dirette verso l’uomo che, nonostante la sorpresa, non ebbe difficoltà ad evitarle tutte.
"Pe… Pegasus!" –Gridò Andromeda, raggiungendo l’amico. – "Ma… come hai fatto?"
"Non chiedermelo, Andromeda!" – Balbettò Pegasus, stupefatto da se stesso.
"Quello è il tuo colpo segreto, Cavaliere di Pegasus!" –Esclamò Nemes, tentando di rialzarsi. Non ci riuscì e ricadde a terra, sanguinante. –"Voi siete i Cavalieri di Atena, sacri difensori della giustizia sulla Terra! I Cavalieri della Speranza! Non so chi sia quest’uomo, ma vorrei… vorrei... essere riuscita a proteggervi!" –E cadde a terra, priva ormai di forze.
I Cavalieri di Atena? Mormorò Pegasus, riflettendo su quelle parole che, improvvisamente, tanto oscure non gli sembrarono.
"Adesso basta, finiamo questa commedia!" –Gridò l’uomo, ma la voce di Patricia si sovrappose alla sua.
"La pietra! La pietra che hai al collo, Pegasus! Gettala via!!!"
La furia devastante dell’uomo quella volta non la risparmiò. Un lampo del dito la sollevò da terra, scaraventandola lontano, contro una vetrata della casa, distruggendola e precipitando rovinosamente al suo interno, mentre frammenti di vetro le penetrarono ovunque, divorandole il corpo.
"Patriciaaaaaaaa!!!" –Urlò Pegasus, ma Andromeda gli afferrò la mano.
Pegasus lo fissò, e con le lacrime agli occhi annuì. Insieme gettarono via le pietre che avevano al collo. Uno zaffiro e un topazio. Ma non accadde niente. Qualunque cosa avessero immaginato, le loro attese risultarono deluse.
"Morite, stolti!" –Gridò l’uomo, lanciando contro di loro un globo di energia.
I due amici si separarono, scattando di lato nella speranza di evitare la sfera, ma questa esplose travolgendoli e scaraventandoli lontano, sotto rami e alberi crollati. Ben fatto! Si disse l’uomo, osservando il risultato del proprio lavoro. E si mosse per andarsene, credendo che i due fossero morti, travolti dall’esplosione.
Non fece in tempo a fare qualche passo che sentì due energie cosmiche liberarsi repentinamente nel giardino di Villa Thule. Si voltò e vide comparire in cielo due scintillanti armature, bianca la prima, con rifiniture azzurre, e rosa la seconda, che si scomposero all’istante, andando a ricoprire i corpi dei due ragazzi, in piedi nel giardino devastato. Pegasus e Andromeda aveva indossato le loro vecchie armature di bronzo.
L’uomo fu piuttosto sorpreso di questo avvenimento, ma non si fece per niente intimorire. In fin dei conti restano pur sempre dei Cavalieri di Bronzo! Nonostante abbiano sconfitto delle Divinità! E bruciò, per la prima volta, il suo cosmo, vasto come il cielo.
"Esteso e luminoso è il cosmo di costui!" –Esclamò Andromeda, osservando il proprio avversario.
"Non abbiamo forse già affrontato avversari potenti e insidiosi?" –Sorrise Pegasus al suo fianco, che pareva aver ricordato tutto.
"Lo sto ricordando!" –Annuì Andromeda, voltandosi nuovamente verso l’uomo.
Pegasus non disse altro, in pena per le sorti della sorella. Scattò avanti, bruciando il proprio cosmo luminoso e scagliando il colpo delle stelle cadenti.
"Fulmine di Pegasus!!!" –Gridò, lanciando centinaia di sfere contro l’uomo, che non si mosse di un centimetro, schivando tutti i colpi del ragazzo. –"Li ha evitati tutti!" –Commentò, deluso.
"Non è esatto! Non li ho evitati, perché non mi sono mosso! Li ho semplicemente parati!"
"Parati?!" –Sgranò gli occhi Pegasus.
"Attacco veloce, il tuo! Ma non così veloce per sconfiggere un Cavaliere Celeste! Non raggiungeva neppure la velocità della luce!" –Commentò l’uomo, espandendo il proprio cosmo. –"Adesso è il mio turno e ti assicuro che il tuo non verrà più! Tuono dell’Olimpo!!!" –Gridò, portando avanti il braccio destro.
Pegasus fu travolto dall’impeto dell’attacco dell’uomo, sollevato da una grande tempesta cosmica. Anche Andromeda, dietro di lui, venne sospinto in aria, senza il tempo di reagire. Caddero parecchi metri indietro, sbattendo violentemente a terra, feriti e sanguinanti. Pegasus perse addirittura l’elmo della sua armatura, la stessa che aveva indosso durante la Guerra Sacra contro Ade. Andromeda fu il primo a rialzarsi, rendendosi conto che il loro nemico si stava avvicinando. Srotolò la catena, disponendola a cerchi concentrici intorno a loro.
"Catena di Andromeda, disponiti a difesa!" –Esclamò, intimando l’uomo di stare lontano. Ma questi non si scompose minimamente, iniziando a camminare su di essa, per avvicinarsi a loro. –"Ma come? Non senti la tensione elettromagnetica della mia catena?"
"Neanche una scossa!" –Commentò l’uomo, deridendo l’inettitudine del Cavaliere. –"Grazie alle mie vestigia, forgiate da Efesto in persona, sono praticamente inarrivabile!"
"Efesto?! Il fabbro degli Dei?!" –Esclamò Andromeda, mentre Pegasus si riprendeva. –"Ma chi sei?"
"Sono Bronte del Tuono, Ciclope Celeste al servizio del sommo Zeus!" –Si presentò finalmente l’uomo. – E sono qua per uccidervi!
"Bronte del Tuono!" –Ripeté Andromeda. –"Un nome che ispira leggenda!"
Ma non ebbe il tempo di riflettere molto che dovette fronteggiare un nuovo assalto del Ciclope Celeste. Andromeda richiamò la sua catena che iniziò a roteare vorticosamente intorno a lui e all’amico, per impedire ai colpi energetici di Bronte di raggiungerli.
"Misera difesa quella catena! Non potrà certo resistere al ruggito degli Dei!" –Commentò Bronte, facendo esplodere nuovamente il proprio cosmo. –"Tuono dell’Olimpo!" –Urlò, scatenando una furiosa tempesta energetica. Molto più potente del colpo lanciato in precedenza.
I due amici furono sollevati da terra, e il tentativo di Andromeda di usare la catena come ancora fallì miseramente, venendo addirittura spezzata in più punti. Ricaddero a terra parecchi metri addietro, doloranti e seriamente preoccupati.
Andromeda aveva appena ricordato. Bronte era il nome di uno tre Ciclopi mitologici, figli di Urano e di Gea, imprigionati sottoterra e liberati da Zeus, a cui diedero in dono il fulmine. Pegasus e Andromeda non sapevano se si trattasse di uno di loro o di una sua reincarnazione, ma la forza che Bronte aveva finora dimostrato loro era certamente all’altezza della sua mitologica fama.