Capitolo VI

TERRA E ACQUA

Medio Oriente, ottobre 1062

Hamal era pronto a portare a compimento il suo primo incarico da Cavaliere. L'apparizione di sei cosmi fra l'Asia e l'Europa aveva allertato il Sommo Alexer e lo aveva spinto ad inviare i dorati custodi nelle zone in cui si erano manifestati. La sua meta era Baghdad, la capitale del califfato abbaside e città d'origine della sua famiglia. Da piccolo, prima suo padre e poi la sua nutrice, Sherefa, gliene avevano parlato, ma non aveva mai avuto occasione di visitarla, soprattutto dopo la tragedia che lo aveva privato di tutti i suoi cari. Fu una voce a scrollarlo dai suoi pensieri e a ricordargli che Sertan e Calx erano con lui.

"Io sono arrivato, amici! State attenti!", disse il custode della terza casa, voltandosi alla sua sinistra e dirigendosi alla volta di Bisanzio, dove era apparso uno dei cosmi. I compagni annuirono e lo videro scomparire nello scintillio dorato della sua armatura.

"Sembra eccitato all'idea di affrontare la sua prima battaglia. Spero non faccia sciocchezze!", commentò il Cavaliere del primo segno, mentre il compagno svaniva all'orizzonte. "Non preoccuparti. Calx ha un cosmo straordinario e poi è troppo modesto per lasciarsi prendere dalla foga del combattimento. Se la caverà egregiamente!", rispose Sertan, la cui capacità di leggere l'animo umano gli aveva sempre permesso di rinfrancare lo spirito altrui e di risolvere situazioni complicate.

Hamal accennò un sorriso e tornò a concentrarsi sui propri pensieri. Il Cavaliere di Cancer lo osservò per un attimo, poi con voce distesa e amichevole chiese: "Qualcosa non va, amico mio?"

"Nulla di particolare. La mia destinazione mi ha riportato alla memoria ricordi della mia infanzia. La mia famiglia era originaria di Baghdad e mio padre me ne parlava spesso con entusiasmo ed orgoglio", spiegò con tono calmo e gentile il Cavaliere di Aries, tentando di celare la muta rabbia che accompagnava le sue parole.

"Ma l'uomo che adesso la governa l'ha resa ingiusta e spietata, vero?", terminò Sertan, leggendo nel tono del compagno un senso di tristezza e disprezzo. Hamal lo fissò ed accennò un sorriso tirato. Si conoscevano ormai da anni, ma ancora non riusciva ad abituarsi al suo talento nel comprendere fin nel profondo il cuore umano. "Come sempre non ti si può nascondere niente!", esclamò, un po' contrariato dal sentirsi così nudo ed indifeso di fronte agli occhi del compagno.

"Non è un crimine esprimere i propri sentimenti! So che anche la tua infanzia non è stata lieta e mi stupirebbe se non provassi niente al ricordo di chi amavi", replicò Sertan, abbandonando per un attimo il suo solito piglio ironico. Il custode del primo tempio lo fissò per un secondo, poi abbassò lo sguardo e disse: "Edessa! La tua meta, Sertan". Il Cavaliere di Cancer fece un sorriso compiaciuto ed esclamò: "Ci sarà da divertirsi! A presto, amico mio, e che Atena sia con te!" Hamal ricambiò il saluto e proseguì il suo viaggio.

Tornò a chiudersi nel suo mondo e si concentrò sulla battaglia che stava per ingaggiare. Avrebbe presto scoperto l'identità del demone e sperava anche di conoscere il nome del dio che serviva. I nemici incontrati fino a quel momento erano sempre stati cauti a non rivelare dettagli che permettessero al Grande Tempio di chiarire i punti oscuri di tutta quella vicenda. Il Sacerdote aveva caldamente invitato i Cavalieri a carpire dagli avversari che avrebbero affrontato quante più notizie possibili.

Mentre nella sua mente vorticavano tutti questi pensieri, giunse in vista di Baghdad. Notò subito del fumo levarsi alto dall'interno della città, nugoli di persone urlanti ed in fuga e schiere di soldati pesantemente armati. "L'attacco è già iniziato! Devo sbrigarmi prima che la città venga rasa al suolo!", pensò, atterrando in prossimità delle mura.

Notò un manipolo di soldati che correva in città ed un uomo che li incitava a combattere per la gloria dell'Islam ed a sconfiggere il nemico anche a costo della vita. Hamal si avvicinò e lo chiamò con tono cortese, salutandolo in lingua araba. Il soldato lo guardò con aria stupita; notò la strana armatura che indossava e soprattutto le vistose corna appuntite che gli ornavano le spalle. "Chi sei?", sbottò dubbioso, con la mano stretta sull'elsa della scimitarra.

Accennando un sorriso bonario, il Cavaliere rispose: "Sono un Cavaliere di Atena, sono venuto per aiutarvi! Dov'è diretto il jinn che vi ha attaccati?"

"Hai detto jinn? Vuoi dire che quell'essere è un demone del mondo antico? Ma non è possibile! I jinn non hanno tutto questo potere!", esclamò il soldato, dal cui volto traspariva un'espressione confusa, mista a incredulità e repulsione.

"Non è il momento di discutere su cosa sia possibile e cosa no! Dimmi dov'è diretto quell'essere!", tagliò corto Hamal, un po' spazientito dalle parole del soldato. L'uomo piantò gli occhi su di lui e disse con tono sgarbato e stizzito: "Sta andando verso la cittadella, al Palazzo del Sultano. Va' via, Cavaliere, questo non è posto per gli infedeli!"

"Siete degli sciocchi se pensate di avere la meglio su di lui! Fareste meglio a ritirarvi, fra poco sarà tutto finito!", commentò il custode della prima casa, sparendo davanti ai loro occhi.

In città il demone seminava caos e distruzione. Aveva appena ucciso un gruppetto di soldati e si apprestava ad eliminare i civili che fuggivano ovunque in cerca di salvezza. Alzò il braccio per colpire, ma una misteriosa forza gli impediva di muoversi. D'un tratto, udì una voce alle sue spalle dire: "Vieni con me!"; una mano gli afferrò stretto il braccio e si ritrovò in una zona deserta, costellata qua e là da collinette e battuta da un vento caldo e asfissiante. "Chiunque tu sia, mostrati!", urlò, in preda alla frustrazione di essere stato distolto dalla sua missione.

Aveva un elmo a casco di colore verde intenso, come il resto dell'armatura, dalle forme di serpente, al cui centro era ornato da triangoli uniti gli uni agli altri a formare una catena. Un largo bavero a forma di calice gli proteggeva il collo e s'innestava sui coprispalla tondeggianti e piccoli. Il pettorale era aderente e copriva interamente il torace, fino al bacino, prolungandosi in due code puntute. Sul petto aveva due triangoli, all'altezza dei seni, ed un altro nella zona dell'ombelico. Il cinturino era formato da due piastre, una anteriore, l'altra posteriore, che coprivano le zone lasciate scoperte dalle code del pettorale. La parte anteriore era adornata da due rombi orizzontali e terminava in due lamine appuntite, che sembravano zanne di serpente. Bracciali e cosciali erano in tutto identici: lisci e adornati di rombi gialli sulla parte frontale, nei lati erano bombati, per riprodurre la forma dei muscoli, e somiglianti a squame. Non aveva copribicipiti. I bordi, gli occhi dell'elmo ed i vari triangoli dell'armatura erano tutti di colore giallo. Dall'elmo fuoriuscivano ciocche marroni e sul volto si aprivano occhi neri, privi di iridi, in netto contrasto con la carnagione pallida e smunta.

"Sono qui, demone!", riecheggiò l'eco di una voce calma e pacata proveniente dalle sue spalle. Il demone si voltò e vide un ragazzo dall'armatura dorata seduto su un gruppetto di rocce poco distante. "Chi sei? Come hai fatto a portarmi qui?", sbottò il Sabitta, stizzito dal tono del nemico.

"Semplice: ho usato il teletrasporto!", rispose con aria tranquilla e disinvolta Hamal, come se non temesse affatto la battaglia imminente. "Mi chiamo Hamal di Aries, sono un Cavaliere d'Oro del Grande Tempio di Atena. Qual è il tuo nome, demone?", chiese poi, avvicinandosi all'avversario, di poco più alto di lui.

"Il mio nome è Bazi, terzo demone della terra. Tieni bene a mente questo nome, perché sarà il tuo biglietto da visita per l'aldilà!", sbraitò con orgoglio e superbia l'emissario d'Irkalla. A quelle parole, Hamal chiuse gli occhi ed accennò un sorriso. "Sei molto sicuro di te, Bazi, ma devi sconfiggermi prima di cantar vittoria", commentò il Cavaliere, preparandosi allo scontro.

"Hai osato distogliermi dalla mia missione di sangue e pagherai per questo", sibilò il demone, lanciandosi contro di lui e cominciando a tempestarlo di pugni carichi di un cosmo verde scuro, ma che il Cavaliere prontamente schivava. La velocità dell'Ariete irritò il demone, che tentò un nuovo assalto. Stavolta, però, Hamal caricò una piccola sfera di cosmo nella mano destra e la lanciò verso il nemico, che non riuscì ad evitarla e venne sbalzato a terra.

"Sei troppo lento! E' facile prevedere i tuoi attacchi! Come speri di vincermi?", disse il custode della prima casa, ma in risposta ebbe solo una risata sommessa ed uno sguardo di profonda determinazione. "Vincerò per onorare il mio dio, Cavaliere! E né tu, né nessun altro potrete fermarmi!", esclamò con enfasi, rialzandosi in piedi e facendo avvampare il suo cosmo verde.

Si lanciò di nuovo con foga verso il custode della prima casa. Hamal non si scompose, sapeva che i colpi del nemico erano troppo prevedibili e che sarebbe stato uno scherzo evitarli. Notò che la velocità dell'assalto era aumentata rispetto all'inizio e si complimentò con l'avversario, prima di scaraventarlo di nuovo a terra.

"Nonostante i tuoi attacchi siano diventati più rapidi, sei lontano dal poter affrontare chi padroneggia la velocità della luce", aggiunse poi, guardando Bazi che si rialzava con crescente ostinazione. "Non importa. Lo scopo che mi spinge a combattere sarà più che sufficiente ad avere ragione di te!", affermò con convinzione il demone della terra, preparandosi ad un nuovo assalto.

Hamal rimase sorpreso dalle parole del demone e chiese, attonito: "Cos'è che ti spinge a combattere? Spiegamelo!" Bazi lo fissò per un attimo, ponderando la richiesta del nemico, poi abbassò le braccia e placò il suo cosmo. "Ti accontenterò, Cavaliere. Così capirai quanto sia radicata e forte la mia fedeltà al mio imperatore.

Ai tempi del mito, quando il mio signore sconfisse l'oscura sovrana di Irkalla e lo sottrasse al suo dominio, noi Sabitti, timorosi delle ritorsioni della regina del regno dell'oblio, non prendemmo parte alla battaglia e lasciammo l'onere e l'onore delle armi agli Utukki. Quando la conquista fu conclusa ed il mio signore decise di sposare Ereshkigal, la deposta sovrana d'Irkalla, ci facemmo avanti e gli giurammo fedeltà. Con riluttanza e diffidenza il nuovo dio delle terre perdute ci accordò di servirlo, ma non ci considerò mai parte del suo esercito. L'onta subita dal nostro comportamento era troppo grave per essere dimenticata con facilità. Ci relegò al ruolo di truppe ausiliarie e non avemmo alcuna parte nelle fasi più importanti dei suoi piani. Poi gli dei di Sumer lo ingannarono e lo sprofondarono nel sonno eterno, ma ora che il tempo del suo risveglio è giunto, gli dimostrerò che può avere fiducia nei Sabitti! Sconfiggerò qualsiasi nemico mi si parerà davanti, a cominciare da te!"

Concluso il suo racconto, Bazi tornò a bruciare il proprio cosmo e si apprestò a riprendere lo scontro. Si accorse, però, che Hamal era rimasto immobile, senza neppure alzare le difese e lo guardava con occhi carichi di una triste ironia. Quello sguardo lo infastidì e, senza indugiare oltre, si avventò contro il Cavaliere, che sollevò il braccio sinistro, bruciando una minima frazione di cosmo. Sul bracciale dell'armatura apparve una barriera trasparente, su cui s'infranse il pugno del demone. Mentre l'armatura dell'Ariete era rimasta indenne, il coprimano di Bazi aveva subito gravi danni e gocce di sangue bluastro cominciarono a bagnare la polvere assetata.

Stringendosi la mano dolorante, il demone della terra ebbe un moto di rabbia e chiese con tono feroce che cos'avesse fermato il suo colpo. "Sono in grado di creare barriere di cristallo capaci di respingere qualsiasi attacco. Avrei potuto anche evitare di adoperarle, ma volevo dimostrarti che l'ideale per cui combatti non ti concederà mai la vittoria!", rispose Hamal, accentuando il tono della voce sulle ultime parole per farle meglio comprendere al rivale.

"Come osi? Tu non puoi capire lo zelo che agita il mio cuore!", urlò furente Bazi, guardandolo bieco e storcendo la bocca in una smorfia di cieca indignazione. Il suo cosmo verde s'innalzò e nei suoi occhi di fitta tenebra Hamal riuscì a scorgere un'ostinazione sorda e profonda. Coi pugni avvolti di un'intensa aura cosmica, il fedele guerriero di Irkalla iniziò a sferrare colpi a velocità sempre maggiore. Il Cavaliere schivava quasi con noia, ma aveva notato qualcosa di strano: la mano che aveva colpito la barriera difensiva sembrava intatta, vista l'agilità con cui il demone la muoveva, ma dalle spaccature del coprimano cadevano, di tanto in tanto, gocce bluastre.

"La corazza che indossa è molto strana", pensò fra sé, continuando a schivare i colpi intrisi di cosmo che il demone indirizzava al suo corpo. Stanco di questo gioco, Hamal concentrò una sfera di energia nella destra e la fece detonare all'altezza dello stomaco di Bazi. Il servo di Nergal venne sbalzato in aria e cadde pesantemente a terra, sollevando nugoli di polvere e sabbia. Si rialzò, toccandosi la parte colpita, da cui fuoriuscivano fiotti di sangue. L'armatura aveva piccole crepe, ma la vista della linfa vitale impensierì il custode del Palazzo del Montone Bianco. "Il colpo non era così potente da procurargli ferite, da dove proviene quel liquido bluastro simile a sangue?", si chiese, osservandolo avvicinarsi barcollante.

"Rinuncia alla lotta. Non hai possibilità di sconfiggermi! Ritirati e ti risparmierò la vita!", propose il Cavaliere, con voce ferma e impassibile. A quelle parole, Bazi si sentì ferito nell'orgoglio, si accigliò, strinse i pugni e sibilò parole sprezzanti e colme di rabbia: "Mai! Credi che mi arrenderò così facilmente? Ho detto che ti sconfiggerò e lo farò, a costo di sprofondare nel freddo sonno della morte! Finora ho solo giocato con te, non ti ho ancora mostrato tutto il mio potere!"

"Credi che le tue motivazioni riusciranno a darti la forza sufficiente a battermi? Ti sbagli, Bazi! La storia che mi hai raccontato dimostra quanto siano vacue e risibili le tue ragioni! Tu lotti per scrollarti di dosso la fama di vigliacco e opportunista; una fama che tu stesso hai ammesso di meritare per esserti comportato con viltà e paura. Chi scende in campo con un ideale tanto scialbo e debole non ha speranze di vittoria!", affermò con decisione e passione il primo guerriero dorato. Nei suoi occhi marroni, Bazi vide ardere la calda fiamma della risolutezza ed accennò un sorriso di sfida.

"Un umano con degli ideali! Che assurdità! Di tutte le creature dell'universo voi siete la specie più egoista, spietata e traditrice che conosca! Nei secoli che ho trascorso sulla Terra ho avuto più volte modo di constatare quanto la vostra tracotanza abbia contaminato la purezza del mondo donatovi dagli dei. E da quello che ho visto oggi, mi rendo conto che dopo interminabili lustri continuate a comportarvi sempre alla stessa maniera!", commentò sprezzante il demone, avvolgendosi del suo cosmo.

"E' vero, gli uomini non sono perfetti e forse mai lo saranno. Ma neppure gli dei lo sono: la loro sete di vendetta e di potere palesa la loro vera natura. Si sentono oltraggiati e minacciati dagli uomini, ma non si accorgono di condividere i loro stessi difetti. Dici di voler vincere in virtù dei tuoi alti ideali, ma anch'io ho un compito ben preciso: proteggere gli innocenti e gli indifesi da chi, come te, si arroga il diritto di decidere del destino altrui. Ti sfido a verificare quale fra i nostri ideali è quello più forte!", replicò Hamal, deciso a chiudere la partita, facendo risplendere il suo cosmo dorato.

"La tua folle presunzione nel disconoscere la celeste perfezione divina ti condanna! Sono più che certo che la vittoria arriderà a mio favore! Preparati, Cavaliere, la sfida che hai appena lanciato decreterà la tua fine! Igi Ishibak [Occhio del Negromante]!", affermò delirante il demone, levando le braccia al cielo e lanciando per la prima volta il suo colpo segreto. Il cielo si oscurò ed un leggero ma penetrante sibilo si diffuse nell'aria. Hamal si accigliò, mentre attorno a lui iniziarono a danzare voci che mai avrebbe immaginato di risentire. Cercò di restare vigile e di non farsi ingannare, ma dopo un po' il suo cuore cedette all'assalto opprimente dei ricordi. Rivide il volto sorridente di sua madre, quello fiero di suo padre, quello delicato e dolce delle sorelle e quello gentile dei fratelli. Non riuscì a trattenere il fiume di lacrime che gli sgorgava prepotente dagli occhi e si accasciò sulle ginocchia, come svuotato di ogni volontà di reazione.

Bazi ne approfittò e cominciò a tempestarlo di colpi sempre più veloci e potenti, schernendolo per la futilità delle sue convinzioni. "A quanto pare, la tua determinazione non è poi granché. Sono bastati pochi ricordi a spogliarti delle tue difese e della tua prosopopea. Come ogni altro uomo, di fronte ai sentimenti hai ceduto le armi e ti sei arreso!", provocò, nel tentativo di spezzare ancora di più l'animo di Hamal.

Nella mente di Aries tornarono vivide le immagini di quell'ultimo giorno che aveva trascorso assieme alla sua famiglia. Suo padre aveva fatto uscire tutti dalla tenda padronale per parlare con gli ambasciatori inviati da Baghdad. Lui, che era il più piccolo, si era allontanato con Sherefa, la sua balia, che gli aveva promesso una storia; i fratelli più grandi si erano sparsi per il campo e giocavano a rincorrersi; la madre, le sorelle e le altre mogli del padre si erano ritirate in un padiglione più distante, lontane da occhi indiscreti.

Era passata più di un'ora dall'arrivo dei messi della capitale e li si udiva discutere animatamente. Hamal, cullato dalla dolce voce di Sherefa, si era addormentato e la balia gli carezzava i capelli corvini ed il volto morbido e paffuto. Un grido repentino e soffocato la distolse da quelle effusioni d'affetto e la spinse a scostare un lembo della tenda ed a guardare cosa accadeva all'esterno. Uno spettacolo raccapricciante le si palesò alla vista: Rashid al-Haman, padre di Hamal e gran visir del califfo, giaceva riverso all'ingresso della tenda in una pozza di sangue. Da varie parti del campo si levarono altre grida, di donne e bambini. Sherefa, terrorizzata, prese delicatamente tra le braccia Hamal e si nascose dietro una pila di barili e stoffe a ridosso di una parete della tenda. Il bambino si svegliò, ma la donna gli fece cenno di restare in silenzio e di abbassarsi il più possibile.

Poco dopo, uno dei messi entrò con la scimitarra sguainata, diede una rapida occhiata in giro, senza curarsi di verificare se ci fosse ancora qualcuno, e disse ai compagni che il campo era sgombro. Si allontanò e si udirono cavalli correre a spron battuto nella luce del crepuscolo. Sherefa e Hamal aspettarono ancora qualche ora distesi nel loro nascondiglio per timore che uno degli assassini si fosse attardato in cerca di sopravvissuti, ma non c'era nessuno. Il vento della sera alitava sulle tende ormai vuote e spargeva nell'aria il pungente olezzo della morte.

Sherefa uscì lentamente e con circospezione, tenendo per mano il piccolo Hamal. Tentò di distoglierlo dal guardare lo sterminio che aveva di fronte, ma il bambino si ribellò e corse a controllare se oltre lui qualche altro membro della sua famiglia fosse sfuggito all'abbraccio della morte. Purtroppo, la nera signora, quel giorno, aveva fatto incetta di vite e lo aveva lasciato senza più nessuno da amare. Gli restava solo la balia che, per quanto amasse e rispettasse, non avrebbe mai potuto sostituire l'affetto dei suoi cari.

"Non posso farmi vincere dai ricordi del passato. Ho giurato di proteggere gli indifesi e di fare quanto è in mio potere per offrire loro un mondo scevro dal male e dal dolore! Devo reagire!", pensò fra sé, mentre un potente calcio di Bazi gli faceva volare l'elmo e lo atterrava. Il demone si avvicinò soddisfatto, già pregustando gli allori, e schiacciò col piede il volto di Hamal nella sabbia ardente. "Voi esseri umani tenete troppo in conto i sentimenti! Il vostro cuore è la vostra debolezza! E' finita, Cavaliere di Atena!", lo schernì, scoppiando in una grassa risata. Alzò il pugno carico di cosmo e si apprestò a colpire, ma una strana forza lo bloccò e lo spinse lontano.

Confuso, Bazi vide l'Ariete rialzarsi e bruciare intensamente il suo cosmo dorato. "Te lo ripeto, Bazi, il tuo desiderio di redenzione agli occhi del tuo signore è una ragione troppo futile per prevalere contro la giustizia! Non c'è altro ideale per cui valga la pena morire! Il dolore e la rabbia che la tua tecnica aveva scatenato in me mi avevano fatto perdere di vista il mio obiettivo. Ma ora è ben chiaro nella mia mente e nel mio cuore! Faresti meglio a ritirarti perché non avrò pietà di chi si diverte a torturare gli altri con tristi ricordi!", affermò con tono grave e minaccioso il custode della prima casa, ricevendo in cambio soltanto un'occhiata sprezzante e rabbiosa.

"Preferisco morire combattendo che coprirmi di vergogna ritirandomi!", rispose Bazi, sollevando le braccia per eseguire di nuovo il suo colpo segreto. Hamal chiuse gli occhi ed accennò un sorriso: aveva notato che mentre lanciava la sua tecnica le code dell'armatura ondeggiavano verso l'alto come spire di serpe.

"Igi Ishibak", gridò il demone d'Irkalla, lasciando che il sibilo della sua tecnica si diffondesse sul campo di battaglia e che memorie di uno straziante passato affollassero la mente dell'avversario. Si preparò a colpirlo con tutta la forza che aveva, ma all'ultimo secondo Hamal sparì dalla sua vista ed il servo delle oscure lande avvertì un dolore lancinante invadergli il fianco sinistro. Si girò e si accorse che una delle code era stata distrutta e che macchie bluastre tingevano i calzoni di lino che indossava sotto.

"Sei ancora convinto di voler combattere, Bazi?", provocò Hamal, riapparso davanti a lui in un alone di luce dorata. "Come hai fatto a scoprire la fonte del mio potere?", chiese livido il Sabitta, incredulo di fronte alla scoperta del Cavaliere.

"Il mio compito non consiste soltanto nel combattere le forze del male, ma anche e soprattutto nel riparare le armature e la tua è decisamente particolare. Pur avendo una consistenza metallica, ho notato che sanguina e che le code che possiede si animano quando lanci la tua tecnica speciale.

Durante l'addestramento il mio maestro in Jamir mi aveva raccontato di armature simili, ma mi aveva anche detto che erano estremamente rare. Vengono chiamate 'Arâia', 'corazze maledette', perché imprigionano le anime di chi si è macchiato di tradimento verso gli dei e lo condannano a morte eterna se vengono distrutte, anche se sono numi celesti ad indossarle. Sono state le divinità di Sumer ad infliggervi questa punizione, vero?", spiegò il Cavaliere d'Ariete, notando nello sguardo dell'avversario stupore e indicibile sconforto.

"Sì, hai visto giusto. Queste corazze contengono la nostra essenza ed il corpo che ricoprono è solo un simulacro per consentirci d'interagire con ciò che ci circonda. E' per questo che il nostro aspetto è molto simile: nessuno di noi ha caratteristiche fisiche particolari", ammise Bazi, guardando l'avversario che aveva di fronte con malcelato astio. "Ma aver scoperto questo segreto non ti aiuterà a vincere! Mi resta ancora una coda, non dimenticarlo, ed è più che sufficiente a batterti!", aggiunse con un'oscura luce negli occhi.

"Non ne sarei così sicuro. Osservala bene!", esclamò il Cavaliere, invitandolo a controllare. Quasi d'istinto, come avvinto da un improvviso ed angoscioso dubbio, Bazi girò la testa verso la coda rimasta: notò i bordi scheggiati e crepe diffuse. "Se lanci adesso il tuo colpo segreto la manderai in pezzi e per te sarà la fine", concluse l'Ariete, guardandolo serio.

"Che tu sia maledetto, Cavaliere! Con un colpo solo mi hai privato delle mie armi, ma te l'ho detto: preferisco la morte alla resa! Se devo morire, morirò combattendo! Preparati! Igi Ishibak!", sibilò in preda alla disperazione il demone. Hamal bruciò il proprio cosmo e levò in alto la destra: il cielo attorno a lui s'illuminò di stelle. "Astérōn Peristrophé [Rivoluzione Stellare]", gridò il custode del primo tempio: miriadi di astri luminosi si diressero contro Bazi, ne penetrarono il pettorale dell'armatura ed esplosero, scaraventandolo via di alcuni metri.

Bazi era immobile, circondato da un alone di linfa vitale, ed il vento asfissiante e secco portava con sé il fumo in cui il suo corpo si stava dissolvendo. Hamal si avvicinò e lo guardò con espressione triste: "La giustizia è il solo ideale per cui vale la pena morire! Mio padre lo ripeteva spesso e pagò il prezzo di questa sua ferma convinzione! Quando Atena mi ha concesso l'armatura che indosso ho capito che era questa la strada che dovevo percorrere. La città che oggi ho difeso è governata da coloro che mi hanno privato dei miei affetti e per un momento la mia mente è stata sfiorata dall'idea di lasciarla affondare. Ma le parole di mio padre ed il giuramento fatto ad Atena sono stati più forti: la giustizia è ideale troppo alto per essere infangato dall'odio e dalla vendetta! E' questo che mi ha permesso di vincere, Bazi!", affermò con una determinazione che mai avrebbe immaginato di possedere.

Il demone lo fissò sbalordito. La fierezza e la calma che spiravano da quel ragazzo che ora lo sovrastava e quegli occhi risoluti e luminosi lo turbarono. "Che sciocche... creature... sono gli umani!", commentò prima di sparire per sempre tra polvere e sabbia, macchiate di linfa vitale. Hamal seguì con lo sguardo la nebbiolina bluastra dissiparsi contro il cielo cristallino e terso.

A Baghdad, la notizia dell'improvvisa scomparsa dell'assalitore si era diffusa rapidamente. Toghrul Beg, il sultano, consegnò una lettera ad un araldo e gli ordinò di recapitarla al Sacerdote di Atena.

Sertan si avvicinò a Edessa: sembrava deserta. Non si udivano grida, né fragore di lotta; non si vedevano soldati, né persone in fuga. Quel silenzio innaturale lo turbava; percepiva una strana aura, fredda e priva di qualsivoglia scrupolo. Giunto in vista della porta della città, scorse dei corpi accasciati a terra, immobili. Si avvicinò con circospezione per controllare se fossero ancora vivi. Erano un uomo, una donna ed un bambino, forse una famiglia che rientrava in città. Girò l'uomo, sdraiato supino, e notò che aveva il volto cosparso da un liquido simile a sudore, ma viscoso e che sembrava non asciugare mai.

"Che diavoleria è mai questa?", pensò fra sé, soppesando la situazione, mentre il cosmo gelido che aveva avvertito prima si palesò in tutta la sua crudele essenza.

"Finalmente sei giunto, Cavaliere. Cominciavo ad annoiarmi, i guerrieri di questa città non hanno saputo intrattenermi, spero ci riesca tu!", risuonò l'eco di una voce giovanile, ma fredda e inespressiva. Si udirono dei passi, lenti e ritmici. Poi apparve una figura, alta e di corporatura media, che si fermò sulla soglia della porta della città.

Aveva occhi e capelli acquamarina, lisci e lunghi fino alle spalle. Indossava un'armatura azzurra e bianca, dalle forme assai singolari: l'elmo, a casco, era munito di un paio di corna arrotondate e leggermente rivolte verso l'alto che partivano dai lati della testa. I coprispalla erano concavi e curvi, a ricoprire interamente la spalla, ornati da due spuntoni, mentre il pettorale proteggeva la cassa toracica e si univa al cinturino tramite una piastra a forma di punta di lancia, su cui appariva il fregio di due triangoli uniti per la base di colore bianco. Il cinturino copriva il bacino e presentava quattro lunghe piastre: due sui fianchi, più piccole e strette a forma di punta di freccia, ed altre due più larghe davanti e dietro dai bordi bianchi. Gli schinieri, alti fino alle ginocchia, seguivano le forme della gamba e terminavano in tre punte: una anteriore, le altre ai lati. I cosciali erano formati da piastre cilindriche che avvolgevano l'arto, al cui centro erano ornate da un triangolo bianco. Dello stesso colore erano anche i bordi. I bracciali, infine, coprivano dalla mano ai copribicipiti, permettendo i movimenti grazie a giunture poste all'altezza dei gomiti. Erano ornati da una lunga piastra affilata e bianca che, partendo dal polso, giungeva fino all'altezza del gomito.

"Sono Iltasadum, quarto demone dell'acqua. Come ti chiami, Cavaliere? Non mi piace uccidere persone di cui non conosco il nome", disse, fissandolo in volto con occhi penetranti e curiosi.

Sertan sostenne lo sguardo ed accennò un sorriso sarcastico: "Oh, un demone che conosce le regole della cavalleria! Interessante! Il mio nome è Sertan di Cancer, Cavaliere d'Oro di Atene! Perdonami se ti chiamerò semplicemente 'demone', ma hai un nome impronunciabile!", aggiunse in modo provocatorio, scrutando ogni minimo cambio d'espressione dell'avversario.

"Come vuoi", rispose Iltasadum, "tanto non avrai più occasione di pronunciarlo dopo questa battaglia". Facendo seguire i fatti alle parole, un cosmo celeste lo circondò e l'aria, calda e secca fino a poco prima, divenne fredda ed il cielo si rannuvolò, minacciando tempesta. Il volto di Sertan si rabbuiò: qualcosa lo rendeva inquieto, una strana sensazione gli balenò repentina nel cuore ed un'antica angoscia lo pervase. Non era il demone che aveva di fronte a preoccuparlo, ma voci di lontane sofferenze che credeva fossero scomparse per sempre.

Si preparò alla battaglia, conscio di non potersi concedere distrazioni e dell'importanza della missione affidatagli. La brezza umida aveva acquistato vigore e ammantava di tristezza e solitudine la zona. Gocce d'acqua caddero dal cielo e si avventarono contro il Cavaliere. Sertan bruciò il proprio cosmo dorato ed il demone vide che le gocce scomparivano in bolle biancastre ed evanescenti. Provò ad intensificare l'attacco, ma ogni singola goccia veniva intercettata ed annullata. Il suo volto non sembrava allarmato, anzi si distese in un sinistro sorriso.

"Un Cavaliere che sfrutta le anime per difendersi! Comportamento davvero nobile, il tuo! E poi sarei io il demone! Ah ah ah...", provocò Iltasadum, ridendo e fissandolo con aria sprezzante.

Sertan lasciò cadere le provocazioni del nemico e gli puntò addosso i suoi occhi accesi di lucida convinzione: "Ti sbagli, demone! Non sono io a costringere le anime a difendermi, lo fanno spontaneamente. Hanno cura del loro custode, anche se mi rende triste il loro sacrificio!", lo corresse il Cavaliere di Cancer, sorprendendolo.

"I tuoi sono solo patetici vaneggiamenti! Le anime, troppo legate al mondo a cui sono state strappate, non acconsentirebbero mai a sacrificarsi per qualcun altro. Magari non vuoi ammettere che ti diverte avere tutto questo potere su entità incapaci di difendersi, ma potenti armi in battaglia", insinuò il demone dell'acqua, bramoso di trarre da questo scontro il massimo della soddisfazione possibile.

Le parole di Iltasadum irritarono il giovane Cavaliere, che per anni si era addestrato per imparare a sopportare ed a gestire il peso che indossare l'armatura del Cancro comportava. Nei suoi occhi verdi, come quelli di suo padre, passarono brandelli di vite che non aveva mai conosciuto, ma che aveva imparato ad osservare e capire. "Forse per voi demoni è divertente continuare ad opprimere e ad affliggere chi non può difendersi, ma io sono un Cavaliere ed è compito di chi indossa quest'armatura portare avanti le speranze e i sogni di coloro che non possono più farlo", ribatté, stringendo i pugni e circondandosi di un alone dorato.

"Interessante!", commentò il demone, "Sono certo che questo scontro mi procurerà un'immensa soddisfazione! Erano secoli che aspettavo questo momento!" Il suo cosmo celeste avvampò ed una fitta pioggia si abbatté su Sertan.

Difeso dalle anime, il Cavaliere si avvicinò ad Iltasadum ed iniziò a tempestarlo di pugni al volto e al corpo. Il demone schivava o parava, ma molti colpi andavano a segno ed alla fine dovette cessare l'attacco. "Non sei niente male, Sertan! Seppur giovane, il tuo cosmo arde fiero e luminoso, sorretto da una fede che mai ho conosciuto prima d'oggi. Sarà un vero piacere uccidere un guerriero del tuo spessore!", concesse Iltasadum, che neppure fra i suoi parigrado aveva trovato tanta forza d'animo.

"Vuoi blandirmi? Hai forse paura? Ricordati: uno soltanto uscirà vivo da questo campo di battaglia e quello sarò io!", replicò Sertan, riprendendo l'assalto ed assestando un poderoso montante al mento del demone, che si ritrovò a terra di schiena.

"Vedremo chi la spunterà. Questa battaglia è appena iniziata ed io non mi sono ancora divertito abbastanza!", ribatté Iltasadum, rialzandosi. Fece bruciare il proprio cosmo, incrociò le braccia davanti al petto e poi le fece scattare in avanti, mentre le lame sui bracciali dell'armatura s'illuminavano. "Shir Erenak [Sinfonia di Lacrime]!", gridò, scagliando il suo colpo segreto. Una fitta pioggia si abbatté su Sertan, immobilizzandogli le gambe ed impedendogli di muoversi. Le gocce di cui era formata quella raffica erano viscose e si attaccavano alla pelle e all'armatura. Il Cavaliere capì che era la stessa arma usata per piegare gli abitanti di Edessa.

"Il venerabile Nergal mi ricompenserà per aver sconfitto un Cavaliere di Atena e per aver conquistato questa città. Che c'è di meglio di un sano divertimento e di un cospicuo premio? La vittoria, da sola, non ha valore se non si ricevono onori e compensi!", affermò Iltasadum, convinto di avere in pugno il custode della quarta casa.

Sertan, che cominciava a perdere i sensi, si fece forza e concentrò nelle mani il proprio cosmo, creando due sfere biancastre. "Pneumatiké Phylaké [Prigione Spirituale]!", gridò. Al suo comando le sfere si levarono in alto e si divisero in miriadi di fuochi fatui che inglobarono le gocce create dalla tecnica del demone e le dissolsero.

Iltasadum rimase interdetto. La mossa del nemico l'aveva lasciato senza parole. Confuso e in collera chiese: "Come hai fatto a liberarti dalla morsa della mia tecnica? Nessuno c'era mai riuscito!"

Ormai libero di muoversi e di contrattaccare, Sertan lo fissò con aria di sfida e sorrise: "Le anime sono mie amiche! Esse mi rivelano molti particolari che all'occhio umano possono sfuggire. In loro è custodita una conoscenza che nessun rotolo o volume potrebbe contenere! La tua tecnica adopera sostanza spirituale e grazie all'aiuto delle anime io sono in grado di annientarla! Avevi ragione quando dicevi che le anime possono essere potenti armi in battaglia, ma lo diventano ancora di più quando scelgono liberamente di affiancare colui che se ne serve!" Poi fece avvampare il suo cosmo e si avventò contro il demone, colpendolo con calci e pugni portati alla velocità della luce. L'attacco fu devastante e Iltasadum si schiantò contro le mura della città, creando un'enorme buco. Quando si rialzò, aveva l'armatura piena di scheggiature e crepe, da cui fuoriuscivano rivoli bluastri che si confondevano con l'azzurro dell'armatura.

"Non ci credo! Non è possibile! Come può la tua tecnica annientare la mia, se usano entrambi materia spirituale?", chiese stizzito Iltasadum, non del tutto convinto dalle parole dell'avversario.

"Non è così difficile da comprendere: tutta la materia spirituale conserva un barlume di vita e di coscienza. Essa trattiene ricordi, rabbia, rancore, dolore, speranze, delusioni, tutti i sentimenti provati nella sua forma fisica. Tu che l'hai sempre e solo usata come arma e l'hai costretta a strappare altre vite non ti sei mai soffermato ad ascoltarne la voce. Ma oggi, in me, essa ha trovato un alleato ed ha deciso di abbandonarti!", spiegò il Cavaliere, fissando il nemico con sguardo serio e grave.

Iltasadum storse la bocca in un grugnito di rabbia, deponendo per un attimo la freddezza e il distacco che il suo volto aveva mostrato fino a quel momento. "Che idiozie vai farneticando? Le tue parole sono soltanto vane ciance. Gli spiriti sono mera servitù, atta a dilettare il loro padrone e ad eseguirne gli ordini. E' questa la legge di Irkalla ed in essa è riposta la mia totale fiducia!", rispose, circondandosi di nuovo della sua aura cosmica.

Sertan schioccò le dita ed una fiamma azzurra avvolse il corpo del demone, impedendogli qualsiasi movimento e provocandogli un'indicibile sofferenza. "Phátnēs Epouránia Phlóx [Sekishiki Kisouen]!", gridò, mentre Iltasadum lanciava un urlo di agonia.

"Che cosa mi hai fatto?", chiese dilaniato dal dolore, tentando in tutti i modi di liberarsi dalla morsa di quell'atroce supplizio. "Quella fiamma è generata dalla materia spirituale della tua tecnica", rispose secco il Cavaliere. "Coloro che hai barbaramente ucciso per mero divertimento ora ti stanno ripagando con la stessa moneta. E ora, prima che il fuoco della loro vendetta ti consumi, dimmi quali sono i piani di Nergal e chi è venuto con te!", interrogò, tentando di scoprire la causa del turbamento che lo aveva pervaso all'inizio dello scontro.

"I piani del mio signore non li conosco, né mai te li rivelerei, e nessuno mi ha accompagnato, sono qui da solo o forse credi che questa città non sia caduta per mano mia?", rispose Iltasadum, la cui armatura cominciava a sgretolarsi ed a dissolversi in fumo bluastro. "Che vanto c'è nel conquistare una città d'indifesi?", ribatté Sertan, irritato dall'ultima frase del demone. "Non credo proprio che il tuo signore non vi abbia messo a parte dei suoi piani. Rispondi, prima che la vita ti abbandoni del tutto e l'oblio eterno ti schiuda le sue porte!", insistette, aumentando l'intensità e la potenza della propria tecnica, ma in modo da non pregiudicare la vita di Iltasadum.

"A noi semplici Sabitti il sommo Nergal non ha mai rivelato i suoi piani. Solo gli Utukki, i sette Guardiani di Irkalla, ne sono al corrente. Noi siamo solo forze ausiliarie, lontani dalle confidenze del signore delle terre perdute", rivelò il demone, prostrato dall'agonia e dal tormento. Si accasciò a terra, strinse le braccia al petto e cadde prono. La fiamma del colpo segreto di Sertan s'innalzò maestosa e del corpo di Iltasadum non restò nient'altro che cenere, spazzata via dalla calda brezza che soffiava sul pianoro.

Il sole era tornato a rischiarare la zona ed i palmizi che adornavano il luogo ondeggiavano carezzati dal vento. Sertan si diresse verso di loro: da lì proveniva la presenza che lo aveva inquietato durante il combattimento. Quando vi giunse, non c'era nessuno. Si guardò intorno, tendendo i sensi, ma non avvertì nessuna traccia di cosmo.

Tornò indietro e vide che le persone svenute all'ingresso della città si erano riprese e si stavano lentamente rialzando, confuse e frastornate. Si avvicinò loro sorridendo ed aiutandoli. Un gruppetto di guardie si affacciò alla porta, in perlustrazione, e, notato il Cavaliere, chiese spiegazioni in merito all'accaduto. Sertan spiegò per sommi capi gli eventi e affidò alle loro cure i tre individui che aveva aiutato e rincuorato.

Mentre si allontanavano, una decina di anime cominciarono a vorticargli attorno: erano le vittime di quella città, che non avevano resistito al colpo mortale di Iltasadum. Una lacrima solcò il viso del Cavaliere che, in cuor suo, elevò per loro una preghiera. Le vide danzare ancora per qualche attimo attorno a lui e poi svanire. La cupa inquietudine provata all'inizio dello scontro si riaffacciò prepotente nel suo cuore.

Erano passati molti anni da quando quella grigia sensazione lo aveva assalito. La prima volta che l'aveva avvertita aveva due anni e suo padre si era macchiato di gravi crimini. Quella sera aveva significato per lui anni di dolore e di frustrazione. Ma ormai era un Cavaliere ed aveva vinto i suoi demoni, perché quello spettro tornava a turbarlo? Cosa significava? Suo padre era morto da anni ormai, perché il suo ricordo continuava a perseguitarlo? Non riusciva a darsi una spiegazione plausibile; mille ipotesi gli affollavano la mente, ma nessuna lo convinceva. O forse non voleva convincersene? Un dubbio cominciò a farsi strada nel suo cuore, una terribile verità che forse aveva cercato di rimuovere, sprofondandola fra le brutture del passato. Quella triste eventualità lo colmò di rabbia e di astio.

"Possibile che sia ancora vivo?", pensò fra sé, stringendo forte il pugno e lasciando quei luoghi alla velocità della luce.