Capitolo III

L'EREDE DI GEMINI

Irene cominciava ad ambientarsi alla vita del Grande Tempio. Trascorreva molto tempo a parlare con Jorkell, a cui faceva visita quasi ogni giorno.

Le condizioni del Cavaliere non miglioravano, tanto che ormai non riusciva più neppure ad indossare la propria armatura. Tuttavia, resisteva, non avendo intenzione di cedere alla morte senza trovare un degno custode che la ereditasse.

La donna lo aiutava per ripagarlo di averla salvata. Jorkell, spesso, le faceva garbatamente notare che nel suo stato non avrebbe dovuto affaticarsi, ma Irene, con un dolce sorriso e fissandolo coi suoi occhi innocenti, non si lasciava intimidire.

Alexer passava buona parte dei giorni all'Altura delle Stelle per cercare informazioni sulla minaccia incombente. Erano passati mesi, ma non era riuscito che a trovare scarne notizie, a cui tentava di dare un senso condividendole e discutendone col Cavaliere di Aquarius.

Ai primi di giugno del 1051, Irene aveva dato alla luce un bambino. Alcune donne di Rodorio si erano offerte di aiutarla a partorire ed il Sommo Sacerdote aveva loro concesso, in via eccezionale, l'accesso alle dodici case.

Il bambino era robusto, aveva capelli castani ed occhi azzurro cielo. Venne chiamato Calx, come una delle stelle della costellazione dei Gemelli.

Pochi mesi dopo la sua nascita, Irene chiese al Sacerdote di potersi trasferire in una delle residenze solitamente assegnate alle famiglie dei soldati. Alexer, all'inizio, rimase un po' sorpreso dalla richiesta della donna, ma poi capì che stare a contatto con persone che le apparivano più "normali" la faceva sentire a suo agio.

Il ministro di Atena acconsentì con un sorriso bonario e gliene assegnò una disabitata da qualche tempo. Era fatta di pietra ed aveva il tetto di legno e paglia. Aveva un'unica stanza: in un angolo sotto una finestra, chiusa da un'anta di legno, vi era un letto imbottito di paglia, completamente coperto di polvere. C'era un tavolino ed una sedia vecchia e malandata. Dall'altro lato della stanza vi era un piccolo focolare annerito, qualche pentola di rame appesa alla parete e, di fronte, un'altra finestra che si affacciava sul Grande Tempio.

Il Sacerdote si scusò per la modestia della casa, ma Irene ne fu contenta. Quando aveva lasciato Bisanzio per seguire suo marito in Italia, il suo cuore si era liberato da un peso: si era finalmente gettata alle spalle i pettegolezzi, le trame e i sotterfugi della corte; la paura di esprimere opinioni o fare commenti che avrebbero potuto nuocerle. Lasciare Anastasia, la sua amica d'infanzia, era stato l'unico rammarico che aveva avuto. Ora tutto questo sembrava finito: la sua nuova vita era ricominciata non appena aveva calcato il suolo del Santuario di Atena.

Col tempo aveva imparato a rammendare indumenti, a lavare i panni alla fonte ed a cucinare grazie ai sapienti consigli delle mogli dei soldati, delle quali era diventata molto amica.

Mentre al Grande Tempio Irene iniziava un nuovo percorso di vita ed Alexer ricomponeva il difficile mosaico della guerra che sembrava imminente, il mondo cambiava.

Argiro era stato costretto a combattere e ad affrontare i Normanni in campo aperto: era stato sconfitto a Siponto, mentre tentava di ricongiungersi alle truppe papali, e obbligato a trovare rifugio a Vieste, dove aveva impiantato la nuova sede del catapanato.

L'anno successivo, però, era stato richiamato a Bisanzio, dove il patriarca Michele Cerulario aveva scomunicato il pontefice di Roma ed aveva definitivamente rotto i rapporti col papato e con le chiese latine, isolando ancora di più l'impero dalla storia europea.

Nel gennaio del 1055, Costantino moriva, liberando il Grande Tempio dai suoi propositi di vendetta. Poco prima della sua dipartita, l'uomo incappucciato di cui aveva raccontato Irene era svanito nel nulla senza lasciare tracce. Alexer lo aveva fatto cercare a lungo, ma senza risultati.

I successivi imperatori, troppo presi dalle beghe di palazzo, dalle ribellioni sorte in varie parti dell'impero e dalla minaccia dei Turchi, avevano mantenuto buoni rapporti col Santuario.

Otto anni dopo la sua nomina, Argiro aveva abbandonato il titolo di catapano e si era ritirato in un monastero del Monte Athos, nella penisola Calcidica.

Anche il Santuario sembrava aver ripreso vita: nuovi aspiranti Cavalieri si stavano riunendo lì da varie parti del mondo. Kanaad aveva scritto al Sacerdote di aver finalmente trovato un degno successore all'armatura di Virgo. Atena sembrava aver ascoltato le preghiere di Alexer e l'esercito dei suoi paladini si stava ricostituendo.

Calx aveva raggiunto i sei anni e fin da piccolo aveva dimostrato di possedere un potente cosmo, anche senza rendersene conto. Una mattina di primavera una guardia bussò alla sua porta. Irene, vedendo quell'uomo sull'uscio, capì subito che il bambino era stato convocato alla tredicesima casa.

Lo chiamò e, con la dolcezza tipica di una madre, lo esortò a seguire la guardia, che lo avrebbe accompagnato dal Sacerdote. Calx, che aveva visto Alexer soltanto in rare occasioni, era un po' intimidito, ma, con un cenno del capo e senza proferire parola, si avviò verso la porta, dando un'ultima occhiata alla madre, come a voler scorgere un repentino cambio d'idea nel volto dell'amata genitrice.

Irene, però, mantenne un'aria incoraggiante e con la mano gli faceva segno di seguire l'uomo senza preoccuparsi. Il bambino, col cuore in gola, si rassegnò e andò dietro alla guardia, che gli faceva strada.

Passarono accanto ad un campo d'addestramento, dove alcuni ragazzini, di poco più grandi di lui, si allenavano.

Li aveva visti spesso farlo e qualche volta, di nascosto, aveva imitato le loro mosse tanto per giocare.

Giunsero alle porte della sala del trono. Calx fu sopraffatto dal timore, le gambe iniziarono a tremargli. Aveva visto solo l'undicesima casa, qualche volta, quando aveva accompagnato sua madre a far visita a Jorkell.

I soldati a guardia dell'ingresso aprirono il grosso portone e fecero entrare Calx e la guardia.

Gli arazzi rossi ed il lungo tappeto che giungeva ai piedi del trono, il marmo bianco delle scale alle sue spalle e la sacralità che traspariva da quel luogo impressionarono il bambino, che si guardava intorno con grande stupore.

Alexer si alzò dal trono, scese i tre scalini ed attese alla base di essi che i due si avvicinassero. La guardia ed il bambino s'inchinarono. Il Sacerdote li fece alzare e congedò la guardia che, fatto un nuovo inchino, andò via.

"Benvenuto alla tredicesima casa, Calx!", lo salutò il vicario di Atena. Poi, si tolse l'elmo, rivelando, forse per la prima volta dopo anni, il proprio volto a qualcuno.

Aveva i capelli castano scuri lunghi fino alla base del collo ed occhi profondi, di un brillante verde smeraldo. Il naso era piccolo e proporzionato, le labbra rosse e carnose. Avrebbe dovuto avere più di settant'anni, ma per lui il tempo non sembrava essere trascorso.

Calx rimase interdetto e con l'ingenuità di un bambino della sua età chiese il motivo di quell'aspetto tanto giovanile.

Alexer rise e, inginocchiandosi per poter guardare il bambino negli occhi, rispose: "Col tempo e con l'addestramento scoprirai che i Cavalieri possiedono un potere inimmaginabile!"

Poi si rialzò e disse al bambino di seguirlo. Calx, che aveva scacciato il timore e il disagio grazie all'affabilità dimostratagli dal Sacerdote, annuì e gli tenne dietro.

Il Sacerdote si fermò quasi al centro della sala per poi spostarsi verso destra, in direzione di uno degli arazzi appesi alla parete. Lo scostò e rivelò una porta. Entrò, invitando Calx a seguirlo.

Subito dopo l'ingresso vi era un arco di pietra che si apriva su un'angusta sala. Guardandosi intorno, il bambino vide quattro piedistalli, due per lato, su cui erano poggiate armature in forma di totem e alla cui base vi erano degli scrigni. Su ogni colonna, inoltre, era inciso, in greco, il nome dell'armatura.

Attraversarono un altro arco, sulla cui sommità si scorgeva la scritta "armature di bronzo". Era una sala molto ampia: c'erano quarantotto colonne, ventiquattro per lato, suddivise in due serie di dodici ciascuna. Anche qui c'erano scrigni e nomi incisi sui piedistalli. Alcune colonne, però, erano vuote, segno che quelle armature avevano già trovato un degno custode.

Calx non capiva perché il Sacerdote l'avesse portato in quel luogo, così domandò: "Signore, che ci facciamo qui?"

"Fra poco lo vedrai, mio giovane Calx!", rispose il Sacerdote, continuando a camminare.

Erano arrivati in un'altra stanza: qui c'erano ventiquattro colonne, dodici per lato. Anche qui alcune armature mancavano.

Infine giunsero in un'ampia sala che non aveva sbocchi. Di fronte all'entrata, sull'imponente parete era scolpito lo scettro di Nike, simbolo di Atena. Alla base, in forma di ferro di cavallo, vi erano dodici piedistalli. Le armature che vi poggiavano sopra erano diverse da tutte le altre viste finora. Erano d'oro ed emanavano una luce intensa. Tuttavia, all'appello ne mancava una.

Alexer si avvicinò alla terza armatura che si trovava sulla sinistra. Calx ne seguì l'esempio e lesse il nome inciso sulla colonna: "Gemelli".

La fissò e i volti posti ai lati dell'elmo lo impaurirono un po'. Il Sacerdote notò l'inquietudine del bambino e, poggiandogli le mani sulle spalle, come a rassicurarlo, iniziò a parlare:

"Quelle che hai visto fin qui sono le 88 armature di Atena, ispirate alle costellazioni della volta celeste e votate alla difesa dell'umanità. Ad ogni Cavaliere corrisponde una costellazione e di conseguenza l'armatura che la rappresenta. Tu sei l'erede di Gemini, custode della terza casa del Grande Tempio e membro della schiera più potente dell'esercito di Atena. Tu sei il mio successore, Calx!"

"Successore?", chiese il ragazzo, un po' confuso.

Il sacerdote annuì e spiegò: "Un tempo io ero Alexer di Gemini, ma il mio ruolo di Sacerdote e la mia età mi obbligano a trovare ed addestrare un nuovo custode dell'armatura. Se riuscirai a terminare l'addestramento e a sviluppare i requisiti necessari per indossarla, ossia muoversi alla velocità della luce e raggiungere il settimo senso, diverrai il nuovo custode della terza casa. Da oggi in poi, io sarò il tuo maestro e ti insegnerò a diventare un Cavaliere potente e valoroso".

Calx guardò il volto serio del Sacerdote ed annuì con decisione. Essere discepolo dell'uomo su cui aleggiava un alone di leggenda e di mistero lo inorgogliva, anche se un velo di timore gli copriva il cuore.

Dandogli una pacca sulla spalla, il Sacerdote lo distolse dai suoi pensieri. "Ora ti presenterò agli altri ragazzi che si stanno già addestrando per diventare tuoi parigrado", aggiunse poi, incamminandosi verso l'uscita della sala delle armature.

Durante il tragitto si rimise l'elmo dorato che aveva tenuto sotto il braccio nel corso dell'udienza con Calx.

Raggiunsero il campo di addestramento, dove tre ragazzi si stavano allenando con manichini imbottiti di paglia fissati su aste di legno.

Quello che sembrava essere il più grande dei tre, vedendo il Sommo Sacerdote, interruppe l'allenamento e s'inchinò, seguito a ruota dagli altri due.

Il Sacerdote li fece alzare e invitò Calx ad avanzare di un passo. Poi disse, con tono solenne: "Miei giovani apprendisti, sono lieto di presentarvi Calx, che sarà l'erede dell'armatura di Gemini e mio successore, se riuscirà a portare a termine l'addestramento. Non temete, però, continuerò a supervisionare anche il vostro allenamento".

I ragazzi si fecero avanti uno per volta: quello che sembrava il capo del gruppetto si avvicinò e tese la mano al futuro parigrado. Aveva i capelli neri e ricci, gli occhi marrone chiaro, un naso stretto ed un viso tondeggiante, solcato qui e là da lentiggini.

"Io mi chiamo Pelag, mi addestro per ereditare l'armatura del Sagittario, che fu del celebre e valoroso Himrar", disse con passione e fervore.

Poi fu la volta di un ragazzo dagli occhi grandi e di un bell'azzurro, dal naso lineare e dai capelli biondo cenere lunghi e fluenti fino alle spalle. Invece di porgergli la mano, come aveva fatto Pelag, s'inchinò leggermente e disse con tono distaccato:

"Perdonami se non ti porgo la mano, ma il mio addestramento m'impone di non avere contatti fisici con gli altri. Sono Vernalis, candidato all'eredità dell'armatura dei Pesci".

L'ultimo ragazzo, più piccolo dei precedenti due, aveva un piglio serioso e poco amichevole. I suoi capelli rossi arruffati e gli occhi nerissimi e piccoli gli davano un non so che di misterioso. Aveva un piccolo neo sulla guancia destra, le sopracciglia folte ed un naso piccolo e schiacciato. Si avvicinò con la fronte aggrottata e tendendo la mano quasi svogliatamente.

"Io sono Nashira, futuro Cavaliere d'Oro del Capricorno. Piacere di conoscerti!", si presentò con aria quasi seccata.

Calx fu contento di conoscere finalmente quei ragazzi che tante volte aveva visto addestrarsi e, accennando un sorriso, disse:

"E' un onore per me essere vostro compagno d'arme. Mi impegnerò al massimo per diventare un potente Cavaliere d'Oro!"

Pelag e Vernalis sorrisero e annuirono con lo sguardo; Nashira, invece, restò sulle sue, senza esprimere emozioni di sorta.

L'addestramento era duro e il Sacerdote, quando era presente, li spronava ad impegnarsi di più o gli insegnava i segreti del cosmo.

Calx sembrava apprendere molto in fretta: a differenza dei suoi tre compagni riusciva a manipolare il cosmo con poche difficoltà e superava, spesso, i suoi parigrado, sebbene si allenassero da molto prima di lui.

Nashira ne soffriva più degli altri due. Non riusciva a capacitarsi del fatto che in pochi mesi di allenamento Calx lo avesse già superato, benché lui si addestrasse da oltre un anno.

Cominciò ad impegnarsi ancora di più, continuando ad allenarsi anche quando gli altri smettevano.

A nessuno era stato rivelato il mistero che circondava l'erede di Gemini, neppure lui lo conosceva. Gli unici a conoscere la verità erano il Sacerdote, Jorkell, Irene e Kanaad.

Alcuni mesi dopo, giunsero al Grande Tempio tre nuovi aspiranti Cavalieri d'Oro: Hamal, candidato all'eredità dell'armatura di Aries; Sertan, figlio di un ex Cavaliere e aspirante erede di Cancer; ed Altager, addestrato a diventare successore di Jorkell e custode dell'armatura di Aquarius.

Hamal era un ragazzino taciturno; aveva capelli nerissimi lunghi fino alle natiche, occhi marrone scuro ed il naso all'insù. Aveva toni gentili e cordiali con tutti.

Sertan, essendo figlio di un ex Cavaliere, conosceva meglio degli altri lo stile di vita del Grande Tempio. Aveva capelli biondo platino ed occhi verde scuro, il naso piccolo ed un'espressione dura e scostante.

Altager, da ultimo, aveva capelli rossi corti ed occhi marrone chiaro ed un naso lineare. Era un ragazzo molto aperto e disponibile, sempre pronto ad aiutare gli altri.

Gli aspiranti Cavalieri si addestravano insieme, condividevano i pasti alla stessa tavola e dormivano sotto lo stesso tetto: dovevano imparare a conoscersi ed a diventare un gruppo unito e fedele alla causa di Atena.

Jorkell aveva chiesto di addestrare personalmente l'erede alla sua armatura, ma, all'inizio, Alexer aveva rifiutato. Le sue precarie condizioni di salute non gli consentivano di affrontare troppi sforzi. Il Cavaliere, però, aveva insistito, spiegando che soltanto lui poteva insegnargli come sfruttare al meglio i poteri del ghiaccio.

Da quando aveva combattuto contro Umma, il suo mondo era crollato. Si sentiva inutile, un peso per Alexer e per gli altri. Desiderava poter tornare ad essere il Cavaliere di un tempo, o meglio, dal momento che il suo destino sembrava ormai segnato, voleva almeno poter addestrare il suo successore.

Dopo molte insistenze, il Sacerdote aveva acconsentito e ad Altager venne permesso di accedere all'undicesima casa, dove si sarebbe addestrato sotto la guida di Jorkell.

Ben presto, Calx riuscì a legare con la maggior parte dei suoi compagni, tranne che con Nashira e Sertan, che sembravano interessati solo a diventare potenti e intrepidi Cavalieri.

Il loro comportamento, in parte, lo feriva: la meta di tutti loro era l'investitura a Cavaliere, eppure quei due sembravano dover conseguire un obiettivo più grande, un traguardo privilegiato e distante da quello degli altri.

Una sera, fattosi coraggio, il discepolo di Alexer si avvicinò a Sertan e gli rivolse la parola. Voleva capire da cosa nascesse quella freddezza e quel distacco nei confronti suoi e degli altri.

Sertan lo guardò con occhi curiosi; il trasporto e l'umiltà con cui il compagno gli si era rivolto, lo stupirono. Abbassando il capo ed accennando un sorriso, chiuse gli occhi e rispose:

"Hai interpretato male il mio comportamento e me ne dispiace. La barriera che ho posto fra me e voialtri non vuole essere un atto di superbia o di superiorità. Tutt'altro. Sono io a non sentirmi ancora degno di avere compagni come voi".

"Che significa?", esclamò l'erede di Gemini, sbigottito dalle parole di Sertan.

"Mio padre era un Cavaliere di Atena, ma tradì la causa a cui aveva giurato fedeltà e per questo l'armatura lo abbandonò. Poi scomparve nel nulla senza curarsi neppure di me e di mia madre.

Lo avevo sempre ammirato e guardarlo indossare l'armatura mi riempiva d'orgoglio; volevo diventare come lui.

Quando, però, la sua indole mutò e divenne un assassino senza scrupoli, nel mio cuore, da eroe si trasformò in demone.

Decisi, allora, che sarei diventato Cavaliere per riabilitare il nome della mia famiglia e l'onore infangato da mio padre. Ma per farlo, avrei dovuto prima dimostrare al Sacerdote e ai miei compagni di essere diverso da lui, di essere un uomo che vive per la giustizia e la difesa dei deboli.

Solo quando diverrò un Cavaliere migliore di mio padre potrò ritenermi degno della vostra amicizia e della vostra fiducia", replicò il futuro Cavaliere della quarta casa, abbandonandosi ai dolorosi ricordi.

Calx rimase impressionato dalle ragioni addotte dal suo futuro vicino di casa. Lo aveva sempre ritenuto un ragazzo superbo e spocchioso, fiero di poter vantare la discendenza da un Cavaliere di Atena, ma ora aveva compreso di essere in errore ed in cuor suo se ne rimproverava.

"Anche Nashira condivide il tuo stesso pensiero?", domandò, poi, con una certa esitazione, ormai sicuro di avere un'opinione sbagliata anche su di lui.

"No. Io e Nashira veniamo da storie completamente diverse. Suo padre era un abile spadaccino al servizio del re di León e fin dalla più tenera età lo ha addestrato all'uso della spada. Gli è stato inculcato di eccellere su tutti, compagni compresi, non per motivi di superiorità, bensì per non dipendere da nessuno od essere di peso agli altri.

Quando è giunto al Grande Tempio ed ha iniziato l'addestramento per diventare Cavaliere ha applicato lo stesso principio e si sentiva sicuro perché nessuno dei suoi compagni sembrava essere più bravo di lui.

Poi sei arrivato tu ed in poco tempo hai superato sia lui che gli altri. Ciò lo ha mandato in crisi ed ha sgretolato le sue certezze. Ha tentato in tutti i modi di sanare il divario che si è creato fra voi, ma invano.

Che lo voglia o no, il tuo cosmo è più potente del suo ed ormai sembra essersene fatto una ragione. Ciononostante, continua ad allenarsi senza sosta pur di raggiungere il grado di eccellenza a cui lo esortava il padre".

L'allievo del Sacerdote aveva ascoltato con attenzione le parole del compagno. Lo ringraziò per le spiegazioni che gli aveva fornito e si scusò per aver dubitato di loro. Poi se ne andò, pensando alla fatica e al dolore che i suoi compagni avevano dovuto sopportare nel corso della loro breve esistenza, e si ripromise di diventare un buon compagno per tutti loro.

In qualche modo, si sentiva diverso da tutti quelli che abitavano al Grande Tempio: ognuno di loro aveva esperienze, spesso dolorose, da condividere o da cui trarre insegnamento. Lui aveva ancora una madre, una persona cara a cui regalare affetto e premura, aveva avuto un'infanzia normale, lontana da tragedie o affanni, ed ora si trovava a convivere con storie e realtà che spesso non riusciva a comprendere appieno.

Tutto questo gli velava il cuore di un senso d'inadeguatezza e spesso lo faceva sentire fuori luogo. Che ci faceva uno come lui fra le schiere di Atena, votate al servizio dell'umanità? Era diventato indubbiamente forte, ma, da sola, la forza non poteva risolvere gli infiniti dilemmi dell'esistenza.

Tuttavia, ascoltare frammenti di vita e realtà a lui ignote lo aiutava a crescere ed a scegliere nel suo cuore la via da seguire.

Una mattina il Sacerdote lo convocò alla tredicesima casa. Calx fu sorpreso da questa convocazione: di solito Alexer preferiva allenarlo al campo d'addestramento, assieme ai suoi compagni.

Pervaso dalla curiosità, giunse sulla soglia della sala del trono. Ormai conosceva bene quei luoghi, ci aveva trascorso gran parte del suo tempo nell'ultimo anno e mezzo.

Entrò e, a passo lento, si diresse verso il trono. Notò che alla base degli scalini vi era l'armatura di Gemini in forma di totem e la sua curiosità s'intensificò.

"Maestro, eccomi al vostro cospetto", disse, inchinandosi rispettosamente davanti al trono.

"Ti starai chiedendo perché ti abbia convocato qui, Calx. Ebbene, oggi ti svelerò una caratteristica dei Cavalieri di Gemini che dovrai tenere sempre ben chiara nella mente. E' un segreto che solo i custodi della terza casa ed i Sacerdoti debbono conoscere, per questo ho voluto incontrarti alla sala del trono", parlò con tono grave Alexer, scendendo gli scalini ed avvicinandosi all'allievo.

"Vi ascolto, maestro", disse il ragazzo, guardando con attenzione il Sacerdote.

"Ti sei mai chiesto perché ai lati dell'elmo di Gemini siano posti due volti con espressioni diametralmente opposte?", esordì il messo di Atena, sondando il volto del discepolo.

"Sì, signore, molte volte mi sono posto questo quesito e sono lieto che me ne spieghiate le ragioni", rispose con tono deciso il nipote di Argiro.

"I volti dell'elmo di Gemini rappresentano la luce della giustizia e le tenebre dell'ambizione. Coloro che ereditano quest'armatura sono spesso dilaniati da conflitti interni oppure hanno un alter ego, un gemello dall'animo corrotto", proseguì il Sacerdote, sfiorando l'elmo dell'armatura che, al suo tocco, rifulse per un attimo.

"Come sarebbe?", chiese Calx, incredulo alle parole del suo maestro. "Mi state dicendo che i Cavalieri di Gemini rischiano di votarsi alle forze oscure? Perché mai Atena accetterebbe tra le sue fila uomini tanto ambigui?", incalzò il giovane, fissando negli occhi Alexer.

"Atena lascia ad ogni Cavaliere e ad ogni uomo facoltà di scelta, non costringe nessuno a seguire la via dell'onore e della rettitudine. Chi, però, nasce sotto le stelle della costellazione dei Dioscuri, si trova a dover affrontare il demone della propria ambiguità e non sempre lo risolve nel modo giusto.

La maggior parte dei Cavalieri di Gemini condivide questo dilemma con un fratello gemello che, solitamente, ha una visione distorta e corrotta della giustizia ed è spinto da ambizione e desiderio di rivalsa.

I restanti sono come me e te, che non abbiamo fratelli gemelli. Il nostro campo di battaglia è l'anima: il desiderio di vendetta, l'invidia, il rancore, l'odio possono spingerci a voltare le spalle alla giustizia e ad abbracciare la causa dell'oscurità", rispose Alexer con sguardo severo.

"Eppure a me non sembra che voi abbiate coltivato l'oscurità nel vostro cuore. Tutti parlano di voi con riverenza e devozione, additandovi a modello di giustizia e di onore", replicò il giovane apprendista, come per scacciare quella triste eventualità dalla sua vita.

A quelle parole, il Sacerdote abbassò lo sguardo, sprofondando in lontani ricordi: "Ti sbagli, Calx. Molti anni fa anch'io fui preda dell'odio e roso dal desiderio di vendetta".

"Che cosa?", esclamò Calx, incapace di credere alle asserzioni del messo di Atena.

"Avevo più o meno la tua età quando mia madre fu barbaramente uccisa dal mio patrigno. Era un uomo violento e dedito ai piaceri del vino, sempre pronto ad azzuffarsi con chiunque per il minimo capriccio.

Dopo quel tragico evento, fuggii dalla mia casa e dal mio villaggio, covando nel cuore un odio viscerale e un'indicibile brama di vendetta. Volevo diventare forte e costringerlo a chiedere perdono per tutti i crimini che aveva commesso nella sua nefasta esistenza e soprattutto per ciò che aveva fatto a mia madre.

Qualche giorno dopo la mia fuga incontrai un uomo vestito di bianco e con un elmo dorato: era il precedente Sommo Sacerdote. Disse di aver sentito dentro di me la forza delle stelle e mi invitò a seguirlo al Santuario di Atena per diventare Cavaliere della giustizia.

Accettai senza esitazioni: diventare forte era quello che più desideravo in quel momento. Già immaginavo la scena della mia rivalsa: lui, inginocchiato e in lacrime, con la voce rotta dalla paura ed implorante pietà; io, con gli occhi ardenti di rabbia ed una lama affondata fino all'elsa nel suo cuore marcio.

Cominciai ad allenarmi e in breve tempo diventai forte; tuttavia, notavo che negli occhi dei miei compagni rifulgeva una luce pura e scevra di qualsivoglia inquietudine.

Questa situazione mi tormentava, ma non capivo cosa mi differenziasse da tutti loro. Ero convinto che il mio senso di giustizia fosse identico al loro, ma mi sbagliavo.

Un giorno mi ritrovai a parlarne con quello che sarebbe diventato il mio più caro amico: Himrar.

La guerra gli aveva portato via tutti gli affetti, ma la sua risposta a quella tragedia non era stata la vendetta o il rancore, bensì la volontà di difendere e preservare la vita di tutti, anche di coloro che gli avevano strappato ogni cosa.

Capii che era quel sentimento ad alimentare l'intensa luce nei suoi occhi e lo pregai d'insegnarmi come raggiungere quel nobile intento.

«Devi solo scegliere. Se lasci che il tuo cosmo arda per vendetta o rancore, diventerai potente, ma il dolore e la tristezza non ti abbandoneranno mai; continuerai a vivere una vita a metà e prima o poi verrai consumato. Se, invece, lo fai ardere nel tepore della giustizia, nessun ostacolo riuscirà mai a vincerti, anche la situazione più disperata arriderà a tuo favore », mi disse con convinzione.

Fu allora che il mio cuore si liberò dall'oppressione e dal tormento, quando scelsi, finalmente, per chi far bruciare il mio cosmo", raccontò l'antico custode del terzo tempio, mentre l'allievo rifletteva su quanto gli era stato narrato.

"Decidi di ardere il tuo cosmo per amore e per giustizia e l'oscurità non prevarrà mai su di te, Calx. In ogni situazione, metti da parte l'odio, il rancore, la vendetta; sii sempre fedele ai principi che da secoli regolano la vita e il comportamento dei Cavalieri. Fai onore ad Atena e all'armatura che indossi! Solo così diverrai un potente difensore della Terra!", aggiunse infine Alexer, con decisione e fervore.

Il ragazzo annuì. Quella discussione col maestro gli aveva dato risposte che cercava da tempo. Aveva capito che non è importante chi si è, ma qual è il ruolo che si sceglie di rivestire.

Da quel giorno aveva cominciato a guardare i suoi compagni sotto un'altra luce: tutti loro, seppure avessero caratteri distinti e provenissero da luoghi ed esperienze diversi, avevano negli occhi la luce della giustizia e il desiderio di proteggere l'umanità.

Verso la fine di quell'anno giunse un nuovo aspirante Cavaliere: si chiamava Zosma ed era candidato all'armatura d'oro di Leo. Aveva capelli corti neri e grandi occhi color nocciola. Era un ragazzo dal passato burrascoso, ma con un forte senso di giustizia.

Calx aveva legato subito con lui ed i due erano diventati molto amici. Li si vedeva spesso parlare o allenarsi fianco a fianco.

Ai primi dell'anno successivo, Hamal partì per il Jamir, dove avrebbe appreso l'arte di riparare le armature, indispensabile in periodi di guerra.

La sua assenza, però, fu compensata, qualche mese più tardi, dall'arrivo di un ragazzo alto, dai capelli biondo scuro e dagli occhi azzurri, dal portamento fiero e dallo sguardo sprezzante: si chiamava Elnath e avrebbe dovuto allenarsi per ereditare l'armatura di Taurus.

All'inizio aveva rifiutato di aggregarsi alle schiere di Atena; non gli interessava salvare un mondo corrotto e privo di giustizia. Preferiva vederlo sprofondare nell'abisso del suo stesso marciume e restarsene in disparte ad osservare.

Aveva visto troppe persone oppresse dai capricci di altri esseri umani che, solo in virtù del loro ruolo, si erano sentite in diritto di angariare i deboli e farli soffrire.

"Perché dovrei difendere anche oppressori ed aguzzini?", ripeteva spesso al Sommo Sacerdote con asprezza.

Un giorno, Alexer lo portò a fare un giro fra i soldati e gli aspiranti Cavalieri; poi si recarono a Rodorio, dove il Sacerdote doveva far visita ad un vecchio moribondo che aveva richiesto la sua benedizione.

Nel vedere tutte quelle persone così impegnate nello svolgere le loro mansioni o quegli occhi colmi di serenità e risolutezza, Elnath provò un certo stupore. Non ci aveva mai fatto caso prima, forse perché troppo preso dai suoi pensieri.

Uscendo dalla casa dell'anziano a cui avevano fatto visita, Alexer disse al giovane: "Questo villaggio sarebbe dovuto sparire una cinquantina di anni fa, ma ci fu un uomo che sacrificò la sua giovane vita per assicurare nuove generazioni a questa gente.

I re, gli imperatori, coloro che credono di avere qualche diritto divino di opprimere e fare del male restano pur sempre uomini come me e te. Il loro potere non dura per sempre e spetta a noi insegnare l'amore ed il rispetto per l'altro attraverso le nostre gesta e la nostra abnegazione.

Perché credi che questa gente rimanga qui, pur sapendo di essere facile bersaglio di qualche nemico? Perché la loro fiducia nella giustizia e nella forza dei Cavalieri di Atena cancella la loro paura e gli infonde coraggio.

Tu disprezzi le angherie e i soprusi degli uomini, ma restartene in disparte non aiuterà il mondo a cambiare. Tutti noi abbiamo provato dolore e privazione, abbiamo toccato la morte e l'ingiustizia con mano, eppure abbiamo scelto di difendere la vita e di credere nel buono che alberga nell'umanità, anche se a volte risulta offuscato dalle tenebre della malvagità.

Atena si è sempre battuta per preservare la vita umana ed è arrivata a sfidare persino le altre divinità che avevano trovato nell'egoismo e nell'empietà degli esseri umani un valido motivo per spazzarla via. Ma ciò avrebbe comportato l'annientamento anche dei deboli e degli innocenti.

La tua coscienza approverebbe un atto del genere? Non credo, visto il tuo astio nei confronti dei soli potenti".

Elnath rimase in silenzio, riflettendo sulle accorate parole espresse dall'anziano vicario di Atena.

Aveva ragione: non muovere un dito avrebbe significato abbandonare ad un triste destino anche coloro che non lo meritavano. Ora capiva che il suo era solo un gesto egoista, un comportamento infantile. Aveva preso una decisione: si sarebbe allenato per diventare Cavaliere ed avrebbe dato una mano a preservare la pace sulla Terra.

Con un sorriso beffardo disse ad Alexer: "D'accordo. Diventerò un Cavaliere di Atena e difenderò i deboli, ma mi allenerò da solo, non mi piace avere compagnia!"

Il Sacerdote acconsentì e lasciò che si allenasse da solo. Benché fosse un tipo scostante e solitario, aveva un cuore nobile e sarebbe diventato un valido elemento nell'esercito di Atena.

Nella primavera dell'anno successivo furono assegnate le prime investiture. Alexer convocò tutti all'arena: Pelag, Nashira e Vernalis, assieme a quattro Cavalieri d'argento e due di bronzo, erano stati chiamati a superare l'ultima prova e conseguire l'investitura.

Le gradinate dell'arena erano gremite di soldati semplici, aprendisti e Cavalieri. Mancava solo Irene, rimasta a fare compagnia a Jorkell, impossibilitato a lasciare l'undicesima casa.

Il Sacerdote prese la parola, spiegando ai giovani, in piedi al centro dell'arena, cosa fare: "Giovani allievi, bruciate il vostro cosmo e toccate con un dito l'armatura per la quale vi siete allenati. Essa valuterà il vostro cuore e la vostra determinazione in accordo con gli spiriti dei precedenti possessori. Se sarete ritenuti degni, l'armatura si scomporrà e rivestirà il vostro corpo per donarvi solida protezione contro i nemici della giustizia; se, invece, sarete valutati non idonei, essa rimarrà immobile e il suo cosmo non si allineerà col vostro".

Ascoltate con attenzione le parole del sommo pontefice, i ragazzi si avvicinarono alle rispettive armature, bruciando i loro cosmi variopinti, mentre lo spiazzo s'illuminava di bagliori multicolori.

Passarono alcuni secondi prima che l'intensa luce si disperdesse e rivelasse nove figure ammantate di scintillanti armature. Dalle gradinate si levarono urla di gioia ed applausi.

Alexer si alzò e con un cenno del braccio destro calmò gli entusiasmi e con tono solenne disse: "Le armature della giustizia, forgiate per volere di Atena ai tempi del mito, hanno trovato nuovi custodi. Lode a voi, Cavalieri della speranza e difensori della pace sulla Terra! Che Atena possa sempre guidare il vostro braccio e il vostro cosmo al bene dell'umanità!"

Calx aveva osservato con curiosità la scena e vedere i suoi compagni vestire le nobili armature per cui tanto avevano faticato lo emozionò. Si congratulò con ognuno di loro, promettendo che presto anche lui avrebbe indossato la corazza di Gemini.

I nuovi Cavalieri d'Oro furono contenti del calore e dell'affetto del futuro parigrado. Nashira, che aveva avuto sempre un atteggiamento freddo ed ostile nei confronti dell'allievo del Sacerdote, gli si rivolse con parole che Calx non si sarebbe mai aspettato di sentire.

"Ognuno di noi ha dei limiti. Mio padre mi ha insegnato ad essere sempre un gradino al di sopra degli altri, ma ora comprendo che vi sono situazioni in cui non è possibile farlo. Tu mi sei superiore, anche se io indosso già un'armatura e tu no. Ormai l'ho accettato e sappi che sarò felice di combattere al tuo fianco!"

Calx rimase senza parole, ma dal suo viso traspariva commozione e stupore. Guardò istintivamente in direzione di Sertan, poco distante da loro, e lo vide sorridere ed annuire: era stato lui a parlare con Nashira e a fargli capire che questa rivalità latente nel suo cuore avrebbe potuto pregiudicare l'investitura.

Il ragazzo lo ringraziò con lo sguardo, mentre il futuro custode della quarta casa si allontanava.

All'undicesima casa, Irene era seduta accanto al letto di Jorkell. Dell'uomo che aveva conosciuto era rimasto ben poco: la chioma, un tempo bionda e folta, era diventata canuta e rada; gli occhi erano spenti e privi di vitalità, il volto solcato da profonde rughe.

L'addestramento di Altager aveva peggiorato la sua salute ed il suo cosmo ormai era al limite. Grazie ad una ferrea volontà e ad un'adamantina risolutezza era riuscito a sfuggire al destino di morte predettogli da Umma per quasi undici anni, ma la nera signora sembrava ormai prossima ad esigere la sua vita.

Irene lo guardava con infinita tristezza. Aveva capito di amarlo, nel corso di quei lunghi anni, ma aveva sempre represso questo suo sentimento, un po' per pudore, un po' per soggezione.

Conosceva bene il pensiero di Jorkell sull'amore: il sentimento più potente dell'universo, ma anche il più pericoloso ed infido. Un nettare che ottenebra la mente e la ragione, che può rendere un uomo beato o misero e vuoto.

Ripensando ai tanti momenti passati a parlare con lui o a guardarlo agitarsi nelle ombre dei suoi incubi, il suo viso si bagnò di calde lacrime.

Dalla finestra si sentì, d'improvviso, un boato di gioia e scroscianti applausi. Asciugandosi il volto, la donna si alzò e vi si affacciò.

Si vedeva solo una porzione dell'arena. Ai gesti e alle voci allegre degli astanti Irene contrapponeva il suo crudo dolore.

"Che succede, donna Irene?", esordì una voce stanca e flebile. Era Jorkell. Non si sorprese di trovare la ragazza al suo capezzale; in quegli anni spesso il suo risveglio era stato accolto dal sorriso dolce e malinconico della donna.

"Nulla. Si è appena conclusa la cerimonia d'investitura dei nuovi Cavalieri", rispose Irene con voce calma e atona.

Il Cavaliere la guardò ed accennò un sorriso: per un attimo ricordò il giorno in cui ottenne l'armatura di Aquarius. Erano passati quasi trent'anni, eppure l'emozione di quel momento era ancora viva nel suo cuore.

Poi si soffermò a guardare il volto della nipote di Argiro: sembrava più mesto del solito, come velato da un'angoscia opprimente.

"Cos'avete? Sembrate angosciata", le chiese Jorkell con un filo di voce.

Irene abbassò il capo, continuando a guardare dalla finestra. L'arena si era quasi svuotata ed il Sacerdote si era fermato a dare le ultime istruzioni ai nuovi Cavalieri.

"Non preoccupatevi, messere Jorkell, non è nulla", rispose con voce piatta, ma inquieta.

Il custode dell'undicesimo tempio rise e, nonostante il suo tono fosse ormai una pallida imitazione di quello scanzonato e cortese di un tempo, cercò di rincuorare la ragazza:

"Il mio maestro, una volta, mi disse che la morte non è la fine di tutto, ma solo un ulteriore stadio dell'esistenza. Il mio corpo ed il mio spirito hanno ormai raggiunto il limite ed il mio cosmo non alimenta più il mio desiderio di vivere e di continuare a combattere. Ma sono felice, felice di aver salvato gli innocenti. Felice di aver salvato voi e vostro figlio da un destino immeritato.

So che siete angosciata per la mia sorte, ma non dovete! La mia vita è giunta al capolinea, ma se sono riuscito ad arrivare fin qui e ad addestrare il mio successore è anche merito vostro! Pensate a questo, quando i miei occhi si chiuderanno per sempre: altri innocenti si salveranno perché l'armatura di Aquarius ha trovato un degno custode!"

Irene non riusciva più a trattenere le lacrime e si sciolse in un pianto muto. Jorkell vide le sue spalle magre tremare e si accorse del suo stato d'animo.

"Non piangete, donna Irene... vi... scongiuro. Non... lasciatemi morire... con questo... peso sul cuore", la esortò il Cavaliere, faticando a parlare. Il suo cuore sembrava impazzito, il respiro si era fatto pesante ed il petto sembrava lacerarsi.

Irene si girò, notando la fatica di Jorkell nel parlare. Si avvicinò al letto, col cuore in gola e gli occhi colmi di lacrime.

"Messere Jorkell, che vi succede?", iniziò a gridare la donna, sempre più terrorizzata all'idea che il momento fatale, che tanto aveva sperato non giungesse mai, stesse per arrivare.

Il corpo del Cavaliere era scosso da terribili convulsioni. Irene non sapeva cosa fare, riusciva solo a piangere e a gridare agli dei la sua rabbia.

D'un tratto, le convulsioni si calmarono ed il respiro si attenuò. Jorkell aprì gli occhi, fissò per un attimo la donna e reclinò il capo. Era spirato.

Un urlo terrificante riecheggiò nell'undicesima casa. Una guardia che passava davanti all'edificio durante la pattuglia accorse e trovò Irene china sul corpo del Cavaliere senza vita.

Senza farsi vedere corse fuori e si diresse verso la zona dell'arena, dove c'era ancora un folto assembramento.

"Sommo Alexer! Sommo Alexer! Presto, il nobile Jorkell!", gridò l'uomo, in affanno e madido di sudore.

Alexer si diresse subito alle scale private che conducevano alla casa del Sacerdote, ma avevano anche accessi sulle dodici case.

Non appena videro la scena, anche Laurion, Calx ed Altager lo seguirono.

Giunti a destinazione, videro Irene seduta al capezzale di Jorkell, gli occhi rossi ed il viso sconvolto.

Laurion fremeva e stringeva i pugni per la rabbia; Calx aveva il capo chino e, a passo lento, si era avvicinato a sua madre, abbracciandola; Altager era immobile, incredulo che il suo maestro fosse morto.

Il giorno successivo furono svolti i funerali. La gioia per le investiture era stata spazzata via e sui volti di tutti era calata una profonda tristezza.

Nel vedere quella lapide e lo sconforto disegnato sulle facce dei presenti, Alexer rivisse, per un attimo, la tragica sorte dei suoi compagni caduti nell'ultima Guerra Sacra.

Nei giorni seguenti, Irene si chiuse nel proprio dolore. Aveva perso il suo sorriso malinconico, non frequentava più le mogli dei soldati e preferiva restarsene da sola. Di tanto in tanto, fissava lo sguardo sul monte del Grande Tempio, in direzione dell'undicesima casa.

Una mattina Alexer percepì un cosmo oscuro provenire da oriente e convocò Midra e Laurion.

I due si presentarono immediatamente al cospetto del Sacerdote e, inchinatisi, chiesero il motivo della convocazione.

Dopo l'incontro con Umma avevano girato per il mondo in cerca di nuovi Cavalieri. Erano stati loro a riunire la maggior parte delle nuove leve, su indicazione del Sacerdote.

"Vi ho convocati qui perché ho percepito un cosmo oscuro. Dovrebbe trovarsi nella zona della mezzaluna fertile. Andate ad indagare e state attenti!"

I Cavalieri annuirono. Laurion sembrava particolarmente ansioso di affrontare finalmente un nemico vero. In lui era ancora viva la rabbia per la morte di Jorkell.

Congedati i due, Alexer si ritirò nello studiolo del suo appartamento. Aveva preso dei volumi dall'Altura delle Stelle che forse potevano fornirgli lumi sull'identità del misterioso nemico.

Trascorse ore a leggere, finché il sole non declinò all'orizzonte. Si alzò e si diresse verso la terrazza che dava sul Santuario. La brezza primaverile gli carezzava il volto ed il silenzio all'intorno donava al luogo un irreale senso di quiete.

D'improvviso avvertì un cosmo familiare. Era vicinissimo. Entrò nella sala del trono, ma non vide nessuno.

La porta si aprì ed entrarono due individui: un ragazzo ed un anziano.

"Finalmente ci rivediamo, amico mio!", disse il vecchio, con voce pacata ed eterea, uscendo dall'ombra della sala semioscura.

Aveva capelli bianchi lunghi fino alle caviglie, occhi nerissimi ed un tilak di colore rosso sulla fronte.

"Kanaad!", proruppe Alexer, incredulo alla vista dell'antico Cavaliere di Virgo. "Cosa ci fai qui? Non ti aspettavo", proseguì il messo di Atena.

"Sono venuto ad aiutarti. E' il momento che anch'io torni al mio ruolo di Cavaliere. Mentre venivamo qui ho avvertito un cosmo sinistro ed ho inviato Syrma, mio allievo e nuovo Cavaliere di Virgo, ad indagare", rispose l'uomo.

"Hai già ratificato la sua investitura?", disse con tono ironico Alexer, "Comunque anch'io ho inviato due Cavalieri di Bronzo ad investigare", concluse poi.

Kanaad fece avvicinare il ragazzo che lo accompagnava. Aveva all'incirca dodici anni, occhi a mandorla di un marrone chiaro, capelli neri corti e arruffati ed un naso piccolo e sottile.

"Questo è Yeng, si sta addestrando per ottenere l'investitura a Cavaliere di Libra", disse l'anziano Cavaliere, mentre il ragazzo s'inginocchiava davanti al Sacerdote e gli porgeva i suoi saluti.

"Kanaad, mi duole informarti che Jorkell...", iniziò con voce mesta Alexer, ma Kanaad lo fermò, dicendo con voce imperturbabile: "Lo so già. Ho avvertito il suo cosmo spegnersi, non serve aggiungere altro".

Midra e Laurion erano giunti nel luogo indicato loro dal Sommo Alexer. Si ritrovarono in un villaggio completamente distrutto, disseminato di cadaveri e pregno di un odore di morte.