Capitolo 31: Fuoco e Fiamme
I cavalieri d’argento si guardavano fra loro, interdetti dalle ultime parole che la loro avversaria, l’ultima degli Appalaku, Nanaja di Anzu, aveva appena detto.
"Un aiuto divino? Su questo, a tuo dire, può contare Sin?", domandò per primo Wolfgang dei Cani Venatici, "Sì, straniero, sull’aiuto di quello che, forse è l’essere più potente esistito nel piano degli uomini, così come fra le divinità!", replicò calma l’altra.
"Quale divinità potrebbe mai allearsi con un traditore? Qualcuno che ha portato distruzione nelle stesse schiere di cui faceva parte, uccidendo persino il proprio padre, ingannando chi lo aveva fra le persone più care; quale essere divino potrebbe mai allearsi con un individuo del genere? Forse il signore di un qualche oscuro Inferno!", obbiettò disgustato Menisteo di Eracle.
"Niente del genere, stranieri, che ben poco sapete delle vere divinità! Ne avete mai incontrata una? Un essere tanto potente da ascendere dal piano di mero mortale a quello di dio? Un essere capace di stringere nel proprio pugno il potere del Sole stesso? Come credete che un’entità del genere possa aver ottenuto tale potere? Con il solo impegno, con le mere capacità? No, ha sfruttato tutto ciò che poteva, dalla propria gente e chi non conosceva, ha usato tutto e tutti, proprio come me e Sin, per questo ha scelto l’Annumaki come Imperatore dell’esercito che gli sarà consacrato e me come sua Celebrante!", esultò piena di soddisfazione l’Appalaku, per poi guardare verso i nove avversari, che ancora sembravano interdetti, insicuri di cosa questa stesse parlando.
"Sei forse pazza, donna? Di che vai blaterando?", sbottò d’improvviso proprio Damocle di Crux, rivelando quello che era forse il dubbio di tutti i presenti, tanto che né Husheif, né Menisteo e Wolfgang stessi, poterono trattenere un sorriso accennato sul viso.
"Pazza? No, forse sono stata sciocca nello sperare che ciò a cui già da giorni stavate ormai assistendo vi avesse aperto gli occhi; sciocca nel credere che la vostra presenza qui fosse legata a quello che è il vero potere che sta per sorgere, tanto da ritenervi delle reali minacce. Pare proprio che vi abbia sopravvalutato, non spenderò più tempo per parole di rivelazione, piuttosto mi dedicherò a ciò che maggiormente mi procura piacere!", inveii con decisione l’Appalaku, espandendo un cosmo fiammeggiante intorno a se.
"Attenti, cavalieri, sta per attaccare!", avvisò pronto Leif di Cetus, rivolgendo contro la nemica il proprio gelido cosmo, subito seguito dagli otto compagni d’arme.
"Il vantaggio del numero è di certo vostro, ma la stanchezza che dopo tutti questi giorni appesantisce le vostre membra mi sarà compagnia nel darvi la giusta sconfitta!", rise divertita Nanaja, "Ci sottovaluti e ciò non ti sarà di vantaggio, guerriera!", la ammonì di rimando Zong Wu dell’Auriga, pronto anche lui alla battaglia.
"Credo siate voi, invece, a sottovalutare me, se in nove vi ritenete bisognosi di attaccarmi, proprio mentre il nobile Marduk va incontro a morte certa.", rise divertita l’Appalaku, costringendo i cavalieri a guardarsi fra loro, interdetti.
"Dobbiamo andare avanti, su questo, ha ragione.", osservò con voce preoccupata Husheif di Reticulum, "Anche se le sue parole potrebbero essere una trappola per attaccarci alle spalle…", ipotizzò Dorida della Sagitta, che già aveva avuto modo di provare su di se, come i compagni, il colpo a tradimento, ma, altresì, sapeva come quella stessa Appalaku aveva ucciso Ninkarakk.
"Ebbene, non tutti le volteremo le spalle, io resterò qui per combatterla.", propose allora Bao Xe della Musca, "Ma, maestra!", esclamò proprio la sacerdotessa dai capelli rossi.
"Nessun ma, mia allieva, andate, a costei penserò io!", sentenziò dura la guerriera allieva di Ascanus.
"Dunque tu sola credi, donna, di vincermi?", incalzò allora Nanaja, che aveva ascoltato con calma il parlare degli avversari, "E come mai potresti?", chiese divertita.
"Dimmi piuttosto tu, Appalaku, quali erano i tuoi veri sentimenti verso Etana di Nirah?", domandò di rimando l’altra, sbalordendo sia l’avversaria, sia Damocle e Menisteo, che ben sapevano di chi la parigrado stava parlando.
"Non sono argomenti di cui meriti d’aver risposta, straniera!", tagliò corto, dopo un primo istante di sorpresa, Nanaja, il cui cosmo fiammeggiante brillava minaccioso.
"A te dunque la battaglia, sacerdotessa di Musca, ti attenderemo dopo la vittoria tua e la nostra.", s’intromise allora Leif di Cetus, volgendosi poi verso gli altri compagni, per iniziare a correre tutti assieme verso le scale alla fine della sala, mentre già Bao Xe si lanciava sull’avversaria.
Nanaja, però, non si mosse per spostarsi, bensì sollevò le braccia al cielo, prima che dieci piccole scintille circondassero le sue dita, "Fiamme del Vizio, ghermite la preda!", invocò l’Appalaku, volgendo poi le mani verso il terreno, dove il fuoco saettò, perforando il pavimento stesso.
Era pronta la sacerdotessa di Musca per difendersi, ma non per quello che sentì prorompere alle sue spalle: le urla degli altri cavalieri, che, colti di sorpresa, erano stati intrappolati in tante lingue di fuoco, il cui colore stava ora mutando, diverso quasi per ognuno di loro che andava ad imprigionare.
L’allieva di Ascanus non ebbe nemmeno il tempo di intervenire in soccorso dei compagni che già due lingue di fuoco scaturirono dal terreno, pronte ad avvinghiarla fra loro con furente precisione.
Al contrario dei compagni d’arme, però, Bao Xe era ben pronta a difendersi, anche da un così subdolo attacco, tanto che riuscì, con un’agile capriola a spostarsi, portandosi in avanti, sempre più vicina all’avversaria, sorpresa da tale velocità di reazione.
"Volo di Myia! Compi il tuo tragitto!", invocò la sacerdotessa guerriero, senza dare tempo all’altra di difendersi in alcun modo, ma proiettandosi in avanti con tale velocità da oltrepassarla in un singolo istante, senza che questa potesse in alcun modo difendersi.
Nanaja ebbe appena un attimo per riaversi, prima di avvertire una sensazione che non le piaceva, anzi, l’esatto contrario, le provocava dolore: un dolore leggero, quasi una puntura d’ape, ma che, in pochi attimi, le spezzò il fiato, assieme all’elmo, che cadde in terra, diviso in due esatte metà, quando già una goccia di sangue le rigava il viso.
"Maledetta!", ringhiò carica d’odio l’Appalaku di Anzu, ma un gesto della sacerdotessa, che sollevò dinanzi a se la mano, in segno di fermarsi, bloccò, più per la sorpresa, la guerriera mesopotamica.
"Aspettare, Appalaku, prima di continuare la nostra battaglia, te ne prego, lascia andare i miei compagni d’arme, è fra noi sole questo scontro.", affermò con tono pacato Bao Xe.
"Lasciarli andare?", domandò divertita Nanaja, "Perché mai dovrei? Che brucino nel fuoco dei loro vizi, come presto succederà anche a te.", minacciò alla fine, lanciandosi all’attacco dell’avversaria.
Un primo gancio sinistro fu portato per colpire il volto della sacerdotessa della Musca, ma questa si mosse abbastanza veloce da evitare un attacco così evidente, semplicemente piegandosi sulle ginocchia, ciò che, però, la guerriera di Atene non si aspettava erano le immani fiamme, simili ad ali di un volatile maestoso, che proruppero dall’avambraccio, una volta che l’attacco era andato a vuoto, rischiando di ustionarla.
Bao Xe, per evitarli, dovette lasciar scivolare al suolo le gambe, compiendo una spaccata, con cui si portò al di fuori della fiammata, ma non dell’avversaria, che lesta cercò di investirla con un calcio sinistro in pieno sterno, colpo che, stavolta, la sacerdotessa non poté fare molto di più che parare con gli avambracci, subendone la violenza e le fiammate che da quella gamba proruppero, scagliandola indietro di qualche passo.
Con un urlo di perfida gioia, Nanaja si lanciò di nuovo sull’avversaria, ancora stordita dal calcio subito, colpendola con un violento pugno alla base dello stomaco, un pugno ricolmo di quella calda energia cosmica che esplose, a contatto con le vestigia e le vesti, lacerando le seconde ed incrinando gravemente le prime, prima di gettare al muro Bao Xe stessa con la violenza prodotta da tale attacco.
Non diede nemmeno un attimo di respiro all’avversaria l’Appalaku, che subito piantò il proprio gomito nella gola dell’altra, lasciando che il cosmo prorompesse dallo stesso, incandescente ed ustionante. "Lo senti?", domandò a quel punto Nanaja, "Senti il calore che già ti brucia la pelle? L’ardente crepitio delle tue carni? E’ dolce musica per me, melodia di un banchetto per i miei sensi tutti.", sussurrò con un filo di voce, avvicinando il proprio volto alla maschera argentea dell’altra.
Lo sguardo dell’Appalaku era un misto di eccitazione e rabbia, un confuso combinarsi di sentimenti fra loro particolarmente diversi, ma in quella guerriera così simili da confondersi l’uno nell’altra.
Entrambi quei sentimenti, però, ben presto lasciarono il posto a qualcosa di diverso: stupore e dolore; lo stupore per vedere l’avversaria non agitarsi, non divincolarsi, nemmeno perdere parzialmente la concentrazione che sembrava esserle propria ed il dolore, per il duro pugno che la raggiunse alla zona della cinta, prima, e poi al fianco sinistro, spezzandole il fiato, permettendo così a Bao Xe di portare un forte calcio al ginocchio sinistro dell’Appalaku e poi un secondo allo sterno, quando ormai l’aveva sbilanciata, riuscendo a quel punto a liberarsi.
Con un rapido calcio, fu di nuovo la sacerdotessa di Musca ad andare a segno, colpendo lo sterno dell’avversaria, ormai priva della sicurezza iniziale, prima che un veloce montante la raggiungesse al viso, lasciandola barcollare indietro, sanguinante dal volto.
Nanaja si portò, allora, una mano al viso e, appena percepita la quantità di sangue che ne usciva, inveì con rabbia contro la sacerdotessa guerriero, prima di lanciarsi all’attacco con un nuovo diretto destro allo sterno, un colpo che, stavolta, Bao Xe evitò senza nemmeno pararlo, spostandosi sul fianco sinistro dell’avversaria e sferrando così un calcio a spazzare all’altezza delle ginocchia di quest’ultima.
L’Appalaku, però, fu lesta nel poggiare le mani al suolo, facendo leva sulle stesse per rimettersi in piedi con una rapida capriola, voltandosi poi con un singolo movimento del corpo, sferrando un pugno con le nocche a spazzare, un colpo che lasciò dietro di se una scia di fuoco, quasi fosse la coda di un maestoso volatile, andando però a perdersi, mentre già, abbassatasi a sufficienza, la sacerdotessa d’argento sferrava un primo pugno destro allo stomaco della nemica, subito seguito da un sinistro al fianco e poi da un altro destro alla base del collo, nella zona priva di protezione, dove rimase un livido piuttosto evidente.
Per la forza della serie di colpi, Nanaja barcollò indietro, fino a toccare a sua volta il muro, ma, quando stava per rispondere, difendendosi, con un secco colpo ad ascia della mano destra, l’altra le bloccò la mano con il proprio avambraccio sinistro, portando poi avanti la mano libera a raggiungere sotto l’ascella sinistra l’Appalaku.
"Diptera Venefica!", affermò secca Bao Xe, espandendo la nube delle stelle gemelle della Musca, una nube che ricoprì del tutto il viso dell’Ummanu di Anzu.
"Arrenditi, guerriera di Accad, richiama le fiamme che dilaniano i corpi dei miei compagni e ti eviterò una terribile sorte, che unica ti attende finché respirai il terribile morbo delle stelle della Mosca.", minacciò con voce decisa la sacerdotessa guerriero.
Non vi fu, però, risposta da parte di Nanaja, semplicemente il cosmo di lei esplose, in fiamme incandescenti, dinanzi le quali Bao Xe dovette soffocare un urlo di dolore per le proprie braccia, prima che, cosa più stupefacente, la nube venefica andava perdendosi verso l’alta, intrappolata dal fuoco del cosmo nemico.
Il volto dell’Appalaku appariva ora simile a quello di un demone, o di ciò che più poteva paragonarsi ad un demone, sorridente di folle eccitazione, circondato dalle fiamme del suo stesso cosmo, rese di un colore marrone a causa della nube che andava evaporando fra esse. Questo paragone fece, nella propria mente, Bao Xe, prima che un acuto dolore la costringesse a piegare il capo verso la zona addominale, lì dove la mano sinistra di Nanaja aveva affondato le proprie dita nella pelle.
Non ci furono parole, solo le perverse grida di gioia della guerriera di Anzu, prima che cinque fiammate devastassero le interiora della sacerdotessa di Atene, spingendone indietro il corpo, ora dilaniato all’altezza dell’addome per quelle ferite ustionanti; poi, Nanaja sollevò il braccio destro al cielo e di nuovo le dita furono circondante da scintille incandescenti, "Fiamme del Vizio! Ecco la vostra preda!", urlò l’Appalaku, rilasciando la devastante potenza di quelle lingue di fuoco, che s’avvolsero intorno alla guerriera nemica, intrappolandola fra le loro spire, sempre più brillanti.
Si avvicinò con calma alla nemica avvolta dalle fiamme, girando intorno a quel falò umano che lei stessa aveva aiutato a genere ed appoggiando quasi una mano dinanzi a tal calore, per poi accennare un sorriso.
"Non è mio il problema di liberare te, o i tuoi compagni, donna. Sia perché è stato ordinato che dovevo eliminarvi, sia perché non da me ormai queste fiamme traggono linfa vitale, bensì dalle vostre emozioni.", iniziò a spiegare Nanaja, guardando con superiorità all’avversaria intrappolata, "Devi sapere che ho sempre avuto un’innata empatia, o almeno tale la definì il mio Signore Baal, quando mi conobbe; una capacità di percepire le sensazioni ed i sentimenti di chi mi stava intorno, seppur non era qualcosa di ben sviluppato e controllato, né di cui mi sia mai preoccupata di affinare.
Piuttosto, ho appreso come trasmettere questa percezione attraverso il cosmo, così da sviluppare un potere simile a fiamme, immense e devastanti, fiamme che posso inglobare e scatenare in battaglia, oppure posso dirigere, affinché si nutrano delle emozioni altrui per liberarsi in un abbraccio di morte, ardendo fino all’ultimo senso di sofferenza il corpo di chi in esse viene imprigionate. È un martirio, se vuoi, quello che vi sto offrendo, una sofferenza che si concluderà solo nel momento in cui riuscirete a non provare più niente, nemmeno la più sottile delle emozioni, nel momento della vostra morte.", concluse l’Appalaku, allontanandosi di qualche passo, per essere certa che l’altra potesse vederla bene in volto.
"Passando alla tua domanda di poco fa, straniera, la domanda su Etana… direi che abbiamo tutto il tempo perché io ti risponda.", aggiunse a quel punto la guerriera di Accad.
"Non posso negare che Etana fu il primo uomo che io abbia mai amato, così come sono certa di essere stata l’unica donna che lui abbia mai amato; ma, purtroppo per lui, il tempo porta a maturare ed il giovane Appalaku di Nirah pare che non abbia mai compreso questa lezione della vita.", iniziò a raccontare Nanaja.
"Probabilmente fu la differenza dal resto della gente ad avvicinarsi, entrambi avevamo quello che poi, scoprimmo, era un cosmo, seppur sopito in noi, ma eravamo ben più portati, della maggioranza della gente del nostro insulso villaggio, a padroneggiarlo.
Fu per quello che ci avvicinammo e che lentamente quella vicinanza e quella complicità mutò in qualcosa di ben più profondo e piacevole.", ricordò con un sorriso malizioso.
"Quella nostra unità non pareva doversi spezzare, passavamo il giorno e la notte assieme, pressoché sempre, finché non arrivò uno straniero nel villaggio, un uomo che narrava di antenati dai grandi poteri e di lui lontani e ricchi di un tesoro costituito da armature magiche. Parole che mi incantarono inizialmente, lo ammetto, ma a cui seppi andare oltre, spinta da quella cosa chiamata empatia, o almeno così la chiamò lui, il mio signore Baal, che parve sorpreso del coraggio con cui gli dissi che vedevo una grande sete di potere sopita in lui, qualcosa che inebriava la mia vista ogni volta che lo avevo davanti.
Il mio Signore mi spiegò del cosmo, che in me si rivelava con quelle percezioni, un cosmo che mi aiutò a controllare; fu così che mi avvicinai al potere, ricevendone conoscenza e piacere al qual tempo, allontanandomi da Etana, ma tenendolo sempre abbastanza vicino a me da poterlo, se necessario, usare, per coprire le mie fughe giornaliere con l’Onnipotente Baal, o per, alla fine, seguirmi e venire a morire in questo luogo.", concluse con una risata divertita Nanaja.
"Certo, all’inizio, ho amato il guerriero di Nirah, nella nostra fanciullezza, ma, quando il mio Signore mi aprì gli occhi sul vero potere e su come sarebbe potuto essere mio, attraverso la devozione a lui, allora lentamente, assaggiando ed assaggiando del nettare della vita, scoprendo ciò che mi dava piacere e ciò che mi risultava superfluo, o doloroso, trovai che restare in quel villaggio con Etana sarebbe stato stupido e rifiutare l’abbraccio di quanti più individui potessi, per il mio tornaconto, sarebbe stato superfluo.
La vita è una sola, perché viverla come sempre moglie di un pastore, quando posso diventare la Sacerdotessa di una divinità? Colei che per prima parla al Sole che Domina in queste terre accadiche?", domandò alla fine con un sorriso soddisfatto sul volto.
Avrebbe voluto continuare a parlare Nanaja, ma, nell’eco dei lamenti dei diversi cavalieri d’argento, d’improvviso una voce iniziò a stonare, una voce assente, una voce che fino a poco prima non aveva notato, proprio perché la sua sovrastava ogni altra, nelle sue attenzioni, una voce che scoppiò in un ordine secco: "Diamond Dust!".
Fu un attacco a sorpresa che travolse l’Appalaku, scagliandola a qualche metro da Bao Xe, con il braccio sinistro leggermente intorpidito per il gelo, mentre già gli occhi infuriati cercavano l’autore di quel colpo e lo trovavano in Leif di Cetus.
"Come hai fatto?", ringhiò la donna guerriero, "Troppo ci hai sottovalutato, Ummanu, spiegando quale era la fonte di quel fuoco che ci dilaniava, troppo hai chiesto alla sorte e questa ti si è ritorta contro! Per un allievo di Vladmir dell’Acquario, controllare le proprie emozioni è cosa da poco.", affermò con sicurezza il cavaliere di origini nordiche, espandendo il proprio cosmo freddo.
"Forse sarà cosa da poco, ma che mi dici riguardo alle forze del corpo?", incalzò, con sicurezza, Nanaja, rialzatasi in piedi, "Sei ferito, ustionato dai miei colpi, non potrai di certo dare il meglio di te nel prossimo attacco.", lo derise ancora, espandendo il proprio cosmo fiammeggiante e convogliandolo nelle mani, sollevate sopra il capo.
"Nemmeno tu potrai fare altrettanto, con quel braccio congelato.", osservò di rimando il santo di Cetus, pronto a sferrare il proprio colpo migliore, "Davvero? Forse mi sottovaluti, considerando al pari di Zisutra, o magari di qualsiasi altro guerriero tu abbia sconfitto? Troppo poco sai di chi è stata resa potente dall’Eccelso Sole di Mesopotamia!", replicò l’altra, pronta al confronto.
"Aurora Ice Whirl!", invocò allora Leif, senza altro aggiungere, "Globo delle Passioni! Travolgi!", ordinò di rimando Nanaja, prima che una gigantesca sfera di fuoco, con un diametro pari quasi all’altezza dell’Appalaku stessa, si lanciasse furioso contro i vortici di ghiaccio che nascevano dal santo d’argento.
Il gigantesco globo di fuoco, che riempiva per dimensioni l’intera stanza, fu rallentato nella propria corsa dalla corrente fredda della Balena, ridimensionato nella stazza, ma non fermato: alla fine, la stanchezza ebbe la meglio sulla virtù di Cetus, che fu travolto dalla forza incandescente di quel colpo, rovinando poi a terra, con diverse ferite ed ustioni sul corpo e con vestigia ormai sempre più danneggiate.
Una risata proruppe allora dalle labbra dell’Appalaku, osservando il nemico al suolo, circondato dai fuochi che intrappolavano gli altri sette cavalieri, intenti ad urlare e dimenarsi.
Una risata che interrotta da un rumore poco lontano, prima, e da una chiara visione dopo: Bao Xe, di nuovo in piedi.
Nanaja si permise un sorriso di sfida verso la guerriera, "Complimenti…", la schernì, "anche tu allieva del medesimo maestro di quello sciocco?", chiese, indicando il cavaliere di Cetus, al suolo.
"No, un insegnante diverso è stato il mio, ma pari per virtù al santo di Acquarius, seppur, in cuor suo, il mio maestro non puntava a rendermi fredda come il gelido ghiaccio, bensì ad entrare in contatto con il mondo tutto, comprenderne le bellezze e le magnificenze e trovarmi in pace con le stesse.", spiegò lesta la sacerdotessa guerriero, "Proprio rimembrando quelle lezioni, ho capito che non serve spegnere ogni emozione per sopire il fuoco che ci lanci contro, bensì basta controllarle e pacificarle.", concluse con sicurezza.
"Ancora complimenti, ma, questo non cambia che ormai sei ben più ferita di quando abbiamo iniziato lo scontro, come speri di vincermi?", domandò ancora Nanaja, espandendo il proprio cosmo.
"Con una mossa estrema, qualcosa che speravo di non dover usare, ma le tue azioni, più delle tue parole, dimostrano come tu non sia degna della medesima incertezza che m’appesantiva il cuore combattendo con Enki di Zu. Mi dispiace, Appalaku, ma prenderò la tua vita.", affermò decisa Bao Xe, espandendo il proprio cosmo fra le mani, ricevendo solo un sorriso di scherno dall’avversaria.
"Nova Muscae!", esclamò, con il cosmo luminoso stretto fra i palmi, la sacerdotessa guerriero, rilasciando dinanzi a se quel potente accecante, che si andò a lanciare con precisione contro l’Appalaku, così come aveva fatto, tempo prima, contro l’Annumaki di Zu.
"Globo delle Passioni!", fu l’unica risposta che, qualche attimo dopo, si udì provenire dall’altra.
L’attacco, però, non raggiunse mai la sacerdotessa d’argento e, quando la luce si dissolse, non vi furono urla di dolore, bensì solo fuoco, una gigantesca sfera infuocata, simile a quella che aveva usato per attaccare, ma che, incredibilmente, era stata sfruttata per difendersi!
"Cercavi qualcuno, straniera?", rise una voce alla sinistra di Bao Xe, ancora disorientata dalla sorpresa, prima che, voltatasi, vide Nanaja, priva di nuove ferite, con le braccia circondate da una tale quantità di fiamme da sembrare quasi due immense ali di fuoco.
"Come hai potuto evitare il mio attacco?", domandò sbalordita la sacerdotessa guerriero, "Sapevo che quella tecnica si basa su una luce per distrarre il nemico, colpendolo poi con una serie di innumerevoli e sottili attacchi venefici, così come sapevo già che la nube di veleno si sollevava soggetta al calore.", rispose beffarda l’Appalaku, "Ho assistito al tuo scontro con Enki, per puro caso, dopo aver finito Ninkarakk, ma ho assistito al tuo scontro e scoperto i segreti dei tuoi attacchi.", rise divertita l’Ummanu di Anzu.
"Ed ora, donna, è tempo di concludere lo scontro, tempo che il battito di fuoco della Fenice bicefala ti raggiunga e di te lasci solo dolci ceneri!", minacciò decisa Nanaja, muovendo le braccia, come fossero veramente delle ali, mentre già le fiamme s’alzavano ancora ed ancora, diventando sempre più maestose: "Estasi di Fuoco!", urlò alla fine l’Appalaku.
Una gigantesca ondata di fiamme prese la forma di un rapace a due teste, un maestoso volatile che sembrava nascere dal mito stesso, per travolgere nel proprio volo la sacerdotessa di Musca, che ben poco poté fare, stremata dal proseguire dello scontro.
"Flechas Ardientes!", invocò a quel punto una voce, prima che decine di dardi infuocati travolgessero Nanaja, scagliandola a qualche metro di distanza, a sbattere il bel viso contro il pavimento.
"Maldecida!", ruggì la voce di Dorida della Sagitta, la prima che l’Appalaku riconobbe rialzandosi in piedi ed osservando gli otto cavalieri tutti di nuovo dinanzi a lei, persino Leif, sostenuto da Wolfgang e Zong Wu.
"Che cosa? Come potete esservi liberati?", ringhiò infastidita Nanaja, "Grazie al cavaliere di Cetus, ha saputo raffreddare l’accesa presa della tua tecnica.", spiegò con superiorità Husheif di Reticulum, "Tecnica che, aggiungerei, non avrebbe mai preso alcuno di noi se non ci avessi attaccato alle spalle, patetica via di mezzo fra una guerriera ed una cortigiana.", aggiunse sornione Damocle di Crux.
Le parole, però, morirono in quello stesso momento in gola ai cavalieri, quando avvertirono il cosmo di Shamash scomparire, dopo essere arrivato al parossismo.
Ci furono attimi di silenzio, in cui i santi d’argento si guardarono preoccupati, quasi stupiti, coscienti di aver fallito. L’unico suono ancora presente nella sala era, adesso, l’eco delle risate di vittoria di Nanaja, almeno finché un cosmo non esplose, pochi metri più in alto, rivelando la presenza dell’essenza divina in quel luogo.
"Shamash…", osservò preoccupata Gwen del Corvo, "No, donna, non Shamash!", esultò, ebra di soddisfazione, l’Appalaku, sorprendendo tutti i presenti.
"Che cosa vuoi dire?", domandò subito Husheif, serio nel tono della propria voce, "Non è forse del vostro Divino Giudice questo cosmo?", incalzò.
"No, non del Giudice che gli altri Ummanu venerano, o almeno non tutto suo! Il potere della divinità è stato rubato dal mio signore e padrone, dal grande Baal! Egli è la divinità, è lui l’uomo che ho seguito, non perché aveva in se la volontà di far tornare un dio, che nell’alto delle nuvole non merita nemmeno di risiedere, bensì perché voleva rendere se stesso un essere celeste, sollevarsi al di sopra degli altri uomini e diventare il Sole stesso di questo mondo! Ed anche grazie a voi, che tanto ardentemente avete combattuto, oltre che a me e Sin, che abbiamo portato il caos sfruttando la fiducia degli Ummanu, grazie a tutti noi, ora Baal non è più solo il Sovrano Dorato, egli è il Sole di Accad!", esclamò, al culmine della gioia, l’Appalaku.
"Esultate, stranieri, quest’oggi lo Zenit si avrà proprio a due passi da voi, potrete abbandonarvi alla lucentezza dell’Astro più splendente, poi egli passerà sui suoi nemici, rendendoli cenere, e toccando con affetto e fiducia gli individui a lui consacratisi!", concluse, con gli occhi che brillavano di follia.
"Questa è follia…", balbettò sbalordito Zong Wu, "Una follia che non possiamo permettere vada a termine.", aggiunse Husheif, "La vera battaglia ci attende alla fine di queste scale, quindi non perdiamo oltre tempo con costei.", concluse.
"Andate, cavalieri, lasciate a me la battaglia.", esordì allora Dorida della Sagitta, "A te? Che già ho visto combattere? Sì, andate, lasciate a me l’incenerimento di costei, prima, e poi le vostre cerimonie funebri.", rise divertita, di rimando, Nanaja.
"Non preoccuparti di questo, Appalaku, non avrai modo di celebrare alcun funerale che non sia il tuo.", la minacciò subito la sacerdotessa spagnola, "Troppo dolore hai già portato, cercando solo la tua gioia! La mia maestra è per mano tua ferita, al suolo; Ninkarakk è morta! E per questi due peccati, più che per ogni altro, pagherai.", minacciò guerriera della Sagitta.
"Non scherziamo, mocciosa, non potrai mai vincermi, né nessuno di voi potrà!", affermò indispettita l’Ummanu, sollevando le braccia sopra di se, "Globo delle Passioni! Travolgi!", urlò alla fine, scagliando la gigantesca sfera di fuoco contro il gruppo di cavalieri d’argento ancora in piedi.
"Stavolta no!", fu l’unico commento di due dei guerrieri che, al di là del globo infuocato, si portarono dinanzi ai compagni, "Dermaton Liontarides!", evocò Menisteo di Eracles, sollevando la barriera di vento, "Klubi Nematon!", aggiunse Husheif di Reticulum, unendo la rete d’energia al vortice d’aria, ampliando così la capacità di ambo le difese, contro cui si schiantò la sfera di fuoco, producendo scintille, ma senza travolgere nessuno dei cavalieri d’argento.
"Flechas Ardientes!", urlò alla pari Dorida, scagliando decine di dardi di fuoco, che si diressero con velocità contro l’unico bersaglio, che dovette muoversi con velocità per evitare d’essere travolta dall’attacco.
"A te la battaglia, Sacerdotessa!", furono quelle le ultime parole del cavaliere di Eracles, allontanandosi con gli altri sei compagni, Leif compreso, lasciando lì la sacerdotessa e la sua insegnante.
"Ti hanno lasciato dinanzi ad una morte certa, ragazzina, penso tu non debba fare molto di più che maledirli, nei tuoi ultimi istanti di vita.", la derise allora Nanaja, espandendo di nuovo il proprio cosmo fra le mani, "Istanti che voleranno via come ceneri, le tue ceneri.", minacciò.
"Globo delle Passioni, compi il tuo tragitto!", esclamò l’Appalaku, rilasciando la gigantesca sfera incandescente, che corse verso la sacerdotessa d’argento, forte della propria potenza e maestosità.
Dorida, però, non provò in alcun modo ad evitare quel colpo, né a difendersi, bensì gli si lanciò contro, correndo con tutte le forze che le restavano in corpo, "Flechas Ardientes!", urlò una prima volta la sacerdotessa di Atene, investendo la gigantesca sfera di fuoco, prima di essere dalla stessa inghiottita.
Una seconda volta, parve quasi a Nanaja di sentire la nemica pronunciare il nome di quel particolare attacco, sbalordita da tale azione, a suo dire suicida, finché, proprio nel bordo più esterno del gigantesco globo infuocato, non si delineò una sagoma, che pareva intento a concludere un salto, una sagoma che portò le braccia a congiungersi sopra il proprio capo.
"Flecha Grande de Fuego!", sentì allora urlare l’Appalaku, prima che, prima un grosso dardo infuocato, e poi la sacerdotessa della Sagitta, apparissero dinanzi a lei, l’uno perforandole il fianco e schiantandola al suolo, l’altra cadendo rovinosamente sulle ginocchia, con il corpo segnato da più e più ustioni.
Un semplice sguardo ci fu fra le due guerriere, ora entrambe ferite ed incapaci di muoversi, in quel momento; "Ho combattuto il fuoco con il fuoco, Ummanu, niente di più di questo, ho semplicemente lanciato più volte il mio attacco base contro quella gigantesca sfera, facendomi strada al suo interno, subendone la potenza, ma non lasciando che mi travolgesse.", spiegò, alzandosi a stento, Dorida.
"Credi forse di avere ancora il frammento di Khuluppu a difenderti, ragazzina? Una simile azione è stata sconsiderata, oltre che inutile, poiché non cambierà la tua sorte!", la minacciò l’altra, sollevandosi in piedi e tenendo con la mano la grossa ferita che ora le lacerava il costato, "Anzi, la cambierà, ma in peggio, poiché non mi accontenterò di ridurti in cenere, prima, ti farò soffrire.", minacciò, sollevando la mano libera, la sinistra, e puntandola contro la sacerdotessa guerriero, aperta.
"Fiamme del vizio! Legatevi come dolorosi guinzagli al collo di questa bestia!", ordinò con odio Nanaja, rilasciando la potenza di cinque lingue di fuoco, che andarono ad avvinghiarsi ad una fin troppo stanca Dorida, che nemmeno riuscì a parare quel nuovo assalto, trovandosi stretta fra le spire di quelle catene fiammeggianti, che s’alimentavano della frustrazione e del dolore che provava.
L’Ummanu di Anzu, però, non ebbe tempo di gioirne, con sufficienza, infatti, il suo sguardo si volse verso la figura di Bao Xe, che stava rialzandosi.
"Mi stai giungendo a noia, donna… rialzarti, dopo aver subito il più potente dei miei attacchi, è pura follia, mi basterà ben poco per eliminarti ora, basterà una leggera scintilla perché si perdano le ultime forze che ancora ti tengono in piedi.", la ammonì con durezza la guerriera mesopotamica, poggiando la mano sulla ferita.
"Al contrario, l’ultimo colpo della mia allieva ti ha segnato nel corpo, Appalaku, ora sarai ben meno lesta di prima, non avrai modo di colpire con veemenza e fiammeggiante potenza!", replicò con voce stentata l’altra.
"Non ho bisogno di veemenza, ma di fiammeggiante potenza ancora abbondo!", urlò rabbiosa Nanaja, lanciandosi in avanti, con il pugno libero ricolmo di energia cosmica.
La mano destra cauterizzò con rabbia la profonda ferita nel corpo, che lasciava una scia di sangue ad ogni nuovo movimento, prima che il pugno sinistro si scatenasse in un gancio verso lo stomaco della sacerdotessa guerriero, uno stomaco che produsse fiammeggianti scintille, rigettando indietro l’allieva di Ascanus, facendola cadere seduta al suolo con profonde striature, frutto di ustioni, sull’addome ormai scoperto.
Bao Xe si piegò a metà per il dolore, poi, però, il piede dell’Appalaku, che premeva con ustionante pressione sulla gamba scoperta della sacerdotessa, le strappò la concentrazione, portandola ad urlare.
"Sì, urla, invoca pietà! Che le tue ultime parole siano suppliche, che le tue sofferenze siano l’annuncio nell’Irkalla del tuo arrivo! Sin si fidava di Arazu ed Erra? Due bestie che gioivano nel depredare e distruggere, niente di più, due animali! Io, io non porto semplice distruzione, io riduco in polvere qualsiasi ostacolo mi si pari davanti, disperdo le ceneri della fiducia e della lealtà, solo tetre e neri sagome restano di eroi e giustizieri, dopo il mio passaggio!", esultò Nanaja, andandosi a sedere poi sulla sacerdotessa, piantando la mano sinistra nella zona ferita dell’addome di lei e lasciando che il cosmo incendiario si propagasse nello stesso.
Le urla di gioia dell’Appalaku si confusero, in quel momento, con quelle di dolore di Bao Xe, ed entrambi arrivarono alle orecchie di Dorida.
Era immobile, incapace di fare alcunché, di aiutare la propria insegnante, e questo, forse più del dolore che le fiamme del Vizio producevano, rendeva quella trappola impossibile da vincere, specie per chi, come Dorida, era fin troppo emotiva per riuscire a contenere ogni emozione ed assopire così il fuoco che la incatenava.
"Maestra Bao Xe…", poté appena mormorare la sacerdotessa della Sagitta, prima che il dolore e la disperazione spingessero la sua mente al di fuori del presente, nel passato che aveva in comune con quella che ora era anche una sua compagnia di sventura, nelle mani di quella comune nemica.
Ricordi del passato, della sua infanzia fra le vie di Madrid, piccola orfana assieme ad altri che avevano avuto la stessa triste sorte.
E lei, di quel piccolo gruppo di orfanelli che sopravvivevano con piccoli furti era, di certo, il capo indiscusso, il capo che, però, alla sola età di sette anni, si ritrovò già solo, dopo che, ad uno ad uno, i suoi amici d’infanzia erano morti per gli stenti, o avevano avuto la fortuna di essere adottati, grazie a qualche orfanotrofio dove, di quando in quando, finivano, se beccati nel compiere i loro soliti furti.
Sola, all’età di sette anni, Dorida non aveva grandi aspettative dalla vita, anzi, non ne aveva alcuna, semplicemente andava avanti, nelle sue vuote giornate, sfidando la sorte che vedeva come avversa, costantemente, finché, non ebbe la brutta idea di provare a derubare uno strano signore dai capelli amaranto.
Non riuscì nemmeno a sfilargli la sacca che pendeva dalla cinta di quel tizio tanto elegante, che subito due mani le bloccarono il polso: una era quella dell’uomo, l’altra, quella di una donna, o almeno tale gli era parsa, giacché, al di là di un ampio scialle che ne celava il viso, vi era una maschera che spaventò non poco la bambina.
Quei due individui così strani, però, ascoltarono le suppliche della piccola dai capelli rossi e non la portarono dalla polizia, bensì, la donna mascherata le chiese dove fossero i suoi genitori e, una volta scoperto che quella bambina, di nome Dorida, era priva di alcun legame, l’altra le propose di seguirla, che le avrebbe offerto cibo, alloggio e, cosa più importante, una vita migliore di quella.
In quel momento, la piccola bambina spagnola non immaginava cosa intendesse dire, ma ben presto, già durante il viaggio in nave dalla Spagna verso la Grecia, la piccola scoprì che quella ragazza, di nome Bao Xe, le avrebbe offerto qualcosa in più di quanto lei avrebbe mai sognato: uno scopo per vivere.
Fu quello il loro primo incontro e fu quello il momento in cui la riconoscenza di Dorida per la sua insegnante iniziò a germogliare, una riconoscenza che divenne un fiore sempre più splendente e vigoroso, un fiore che adombrava l’orgoglio, la boria, tutte quelle cose che rendevano la sacerdotessa della Sagitta rinomata per i suoi modi al Santuario, ma che si quietavano dinanzi ai doveri che aveva verso Atena e, prima ancora, verso la donna che le aveva concesso una vita: Bao Xe della Musca.
Ora proprio quella sacerdotessa stava urlando, soggetta alle torture di Nanaja, mentre già i cosmi dei compagni d’arme esplodevano in una battaglia poco lontana, di certo con il Principe Rosso, e ben più distante echeggiava il duellare delle energie di Marduk e Baal, o almeno quello che Dorida immaginava essere il loro duello. Non poteva lei restare immobile, intrappolata fra le spire di fuoco che l’Appalaku le aveva cinto intorno, non poteva arrendersi a quel destino, proprio la sua maestra le aveva dimostrato che nessuna sorte è immutabile, le aveva dato la forza per riprendere la propria vita e renderla migliore ed ora quella stessa forza doveva essere usata per salvare Bao Xe!
Quella determinazione riportò alla mente di Dorida l’unico mezzo per vincere quelle catene: la sua forza, il suo cosmo!
Lo aveva già fatto prima, in fondo, contro il Globo delle Passioni: combattere il fuoco con il fuoco; fu così che, concentrandosi, bruciando le proprie forze come non aveva più fatto dopo essersi liberato dalle Radici del Dolce Oblio di Ninkarakk, espandendo il proprio cosmo fino ai limiti ultimi della costellazione della Sagitta, la sacerdotessa d’argento proruppe in un urlo, lasciando esplodere le proprie energie.
Nanaja a quella terza voce interruppe le proprie risate, sollevando il capo: un’esplosione la costrinse ad allontanare le mani da Bao Xe, che ripararsi il viso, prima che folate di calore la investissero. L’altra avversaria aveva lasciato espandere il proprio cosmo, liberandolo in un’ondata di energia tale da inglobare le Fiamme del Vizio al suo interno, rendendole invisibili alla vista dell’Appalaku.
Fu proprio quando aveva compreso cosa Dorida avesse fatto, che un leggero fastidio punse la gamba dell’Ummanu di Anzu; abbassato il capo, vide la mano dell’altra nemica affondare nella sua gamba, con ben tre dita.
"Cosa speri di fare?", domandò indispettita Nanaja, colpendo con un pugno incandescente il pettorale destro di Bao Xe, che urlò di dolore, mentre già l’avversaria si allontanava da lei.
"Ed anche tu, ragazzina, che credi di ottenere? Ho già visto quella tecnica, so che proverai a colpirmi come hai fatto con Ninkarakk, ma io non sono quella sciocca, io non lascerò che il tuo fuoco mi tocchi, bensì ti divorerò con fiamme ben più potenti!", minacciò, ora in piedi dinanzi alla pira che celava Dorida.
Non giunsero parole dalla sacerdotessa d’argento, solo la maschera della stessa cadde al suolo, oltre Nanaja, "Tutto inutile, ragazzina, il volo della Fenice Bicefala ti strapperà anche l’ultimo alito di vita, la fiamma che puoi generare e leggera scintilla rispetto al chiaro calore della Sacerdotessa del Sole! Io ho visto un fuoco che renderà il mondo un immenso deserto, ho visto il portatore di un’eterna estate di sventura e ne annuncerò l’avvento! Osserva il mio volo e spira fra fiamme!", ringhiò decisa l’Appalaku. "Estasi del Fuoco! Travolgi!", ordinò poco dopo, scatenando il proprio attacco migliore.
La sacerdotessa d’argento, allora, si lanciò in avanti, espandendo ancora di più il proprio cosmo e le fiamme che la circondavano con esso, "Flecha Llover!", urlò semplicemente, caricando contro le gigantesche fiamme del volatile a due teste.
La corsa della guerriera di Atene, però, non si fermò dinanzi all’ostacolo, bensì passò attraverso le due teste, affondando fra le fiamme che componevano il corpo della mitica creatura, ampliando la potenza della Freccia Cadente, che di quel fuoco nemico si nutrì, per ampliare la vastità del rogo che la circondava.
In picchiata, poi, la sacerdotessa d’argento si diresse contro l’avversaria, ma questa era già pronta ad evitare l’attacco, ad allontanarsi in tempo perché quel colpo si perdesse sul terreno, con le ultime forze della nemica.
Grande fu lo sgomento di Nanaja nello scoprire che non solo le gambe non rispondevano ai suoi ordini, ma addirittura un forte senso di nausea le rallentava i riflessi e distorceva le percezioni, giacché, malgrado la distanza che sembrava dividerla da Dorida, il calore delle fiamme già avvampava sul suo corpo, sciogliendo le vestigia dorate di Anzu.
Abbassò lo sguardo l’Appalaku, volgendolo alle gambe, sorde alla sua volontà, e lì trovò, dove Bao Xe aveva affondato le dita, segni marroni, marchi del venefico cosmo della sacerdotessa che s’era disperso nel corpo dell’Ummanu, intorpidendolo, complice anche l’eccessivo uso del cosmo della nemica stessa.
Con la consapevolezza di morire per mano di due avversarie, l’unica cosa che ancora Nanaja poté fare, fu urlare, prima che la Freccia Cadente la travolgesse, riducendo in cenere l’intera parte sinistra del suo corpo, disperdendo stavolta la sua vita nell’aria, come tetre polveri dopo un incendio.
Anche Dorida, superata e travolta l’avversaria, cadde al suolo, le fiamme del cosmo ormai spente, le vestigia ridotte a pochi frammenti, il corpo dilaniato da ferite e ferite; annaspò con le mani la guerriera spagnola, recuperando la maschera d’argento e volgendo il capo verso la propria maestra, trovando il suo capo rivolto verso di lei.
In cuor suo, la giovane guerriera sperava che l’insegnante fosse ancora viva e le rivolse un sorriso sincero ed affettuoso, prima di riportare la maschera a celarne il viso. Aveva combattuto per vendicare una nemica per cui aveva provato rispetto e la maestra che le aveva permesso di essere tutto ciò che era ora. Con queste consapevolezze in cuore, Dorida poggiò il capo a terra, assopendosi per il peso dello scontro e delle ferite.
Bao Xe osservò il sorriso dell’allieva, felice che avesse ancora le forze per questo, felice che quella piccola orfana, incontrata per caso dopo un viaggio di ambasceria con il proprio maestro, avesse ottenuto una forza tale da vincere una simile nemica e difendere la Giustizia. In cuor suo, la sacerdotessa della Musca pregò la dea Atena di salvare almeno la vita dell’allieva, poi poggiò la nuca al suolo, espirando pesantemente, prima di lasciare che i suoi sensi si perdessero per il dolore delle ferite e la stanchezza dello scontro.
Fu così che quel campo di battaglia, dove risate ed urla avevano echeggiato, venne invaso dal silenzio, rotto solo dagli scontri lontani e dal crepitare delle ultime fiamme che si spegnevano.