Melodia degli abissi
Non ricordo il giorno in cui arrivai all'orfanotrofio, ero piccolissimo, appena qualche mese. Mi dissero che ero arrivato una sera di gennaio. Nevicava e la città faceva splendere le sue luci attraverso il bianco mantello che la ricopriva. Mi aveva portato lì un ragazzo ancora molto giovane, tenendomi stretto stretto fra le braccia. Disse che i miei genitori erano morti in un incendio e che non avevo nessuno che fosse in grado di prendersi cura di me. Mi lasciò lì e se ne andò senza dire chi fosse.
Gli anni in orfanotrofio non furono poi così terribili, non so perchè ma tutti sembravano essere più sereni vicino a me, e dunque erano anche tutti molto più gentili che con altri. L'edificio era un vecchio palazzo vicino al centro di Vienna e così ogni tanto, soprattutto durante qualche uscita, riuscivo a scappare per perdermi un po' tra la folla e vedere la città prima di essere puntualmente riacciuffato. Che meraviglia tutte quelle strade piene di gente di ogni tipo; tutti quei palazzi enormi, ricchi di disegni e colori; le statue eleganti e... le colonne di quella chiesa, che ai miei occhi sembravano arrivare fino al cielo... certo sono poca cosa di fronte a questa colonna che devo difendere ma... è così diversa la sensazione che provo nel vedere questa...
Ovviamente queste mie escursioni finivano sempre con qualche punizione ma a me non importava; là fuori c'era un mondo intero da scoprire ed io volevo vederlo e poi... e poi c'era quella musica.
La sera, prima di addormentarmi, una strana musica mi risuonava nelle orecchie. La sentivo, a volte lontanissima altre vicina, sempre, dolce e tristre, ma confortante allo stesso tempo. Piano piano mi avvicinavo alla finestra e guardavo fuori nella speranza di vedere chi la stesse suonando, ma c'erano solo gli alberi del cortile ed il cielo sopra di loro.
Era questo che cercavo là fuori ma, nonostante Vienna sia piena di musicisti agli angoli di ogni strada, non riuscivo mai a trovarla.
A volte, camminando, mi sembrava di sentirla in lontananza ed allora iniziavo a correre fra la gente che mi guardava curiosa per poi arrivare in una piazza o in una strada e non sentire più nulla tranne i suoni di voci e passi.
Poi arrivò Heinrich. Era più grande di me ed era già stato in molti orfanotrofi prima di arrivare qui, grazie al suo carattere terribile. Era sfrontato e altezzoso, non parlava spesso, ma quando lo faceva le sue parole erano come lame che colpissero chi gli stava davanti e... era il mio migliore amico.
Non so perchè, ma io ero l'unico con il quale riusciva a rasserenarsi e un po' anche a confidarsi. Si sentiva solo, ma aveva paura di chiedere aiuto, paura di perdere un giorno chi glielo aveva offerto.
Portava sempre con se uno strano oggetto, custodito all'interno della giacca logora, urlava e diventava violento se qualcuno tentava di scoprire cos'era, finché un giorno raccolsi tutto il mio coraggio e glielo chiesi. Credevo si sarebbe arrabbiato e invece no, mi guardò per un attimo e poi estrasse dalla giacca il suo tesoro.
"E' un flauto dolce, l'unico ricordo di mia madre... ti piace?"
Rimasi stupito. "Lo sai suonare?"
Rise e iniziò a suonare un'allegra melodia mentre io lo guardavo incantato.
"Credi che anch'io sarei capace di suonarlo?"
Si mise a ridere: "Che viennese sei se non sai suonare neanche uno strumento?"
Così imparai, così in fretta da stupire anche Heinrich. Volevo imparare perchè ora sentivo quella melodia sempre più vicina, ogni notte. Poi Heinrich se ne andò.
"Sei proprio sicuro?" gli chiesi quella notte.
Mi sorrise consegnandomi un pacchetto:
"Non è stato facile averlo, fai attenzione."
"Ma..."
Appoggiò l'indice sulle mie labbra, poi si voltò e non lo rividi più.Il pacchetto conteneva un flauto di legno con una frase incisa: "Amici, per sempre".
Ricominciai dunque a cercare la fonte di quella musica. Ora riuscivo anch'io a suonarla, ma avevo sempre un qualcosa di diverso, qualcosa che non riuscivo a riprodurre. Iniziai a spingermi sempre più lontano all'interno della città, fermandomi ogni tanto a suonare per udire una risposta che mai arrivava. Ed ecco che un giorno d'estate fu lei a trovare me.
Mi trovavo nell'immenso parco di Schloss Schonbrunn. Era lontano dall'orfanotrofio e raramente potevo andarci, ma era diventato ormai l'unico posto dopo riuscivo a rimanere veramente sereno. Mi sentivo ora più solo che mai e più sentivo quella musica più l'ansia per la mia solitudine cresceva... Ma lì era diverso: mi sedevo fra gli alberi, iniziavo a suonare e così mi sentivo felice; spesso molti si fermavano ad ascoltarmi, incuriositi dal quel bambino solo che suonava musiche che nessuno aveva mai prima sentito. Quel giorno fu diverso.
Dopo aver varcato il cancello ed ammirato per un attimo, come ogni volta, la maestosa fontana di Nettuno iniziai a correre verso la collina per seguire poi uno dei sentieri laterali ed inoltrarmi in uno dei boschetti. Non mi accorsi però che qualcuno mi seguiva: erano tre ragazzi sui quindici anni. Mi accerchiarono e mi spaventai. Cosa volevano? Non avevo niente, solo il mio flauto che iniziai a tenere stretto al petto con entrambe le mani: era il mio tesoro, MAI l'avrei lasciato!
Ed ecco che quella musica riapparve, vicinissima e terribile. I teppistelli mi lasciarono e li vidi accasciarsi a terra e contorcersi, stringendo le mani sulle orecchie, poi una voce, "Via!", calma eppure terribile. I tre si alzarono e fuggirono.
Ancora sconvolto mi girai lentamente e vidi un uomo seduto sull'erba, la schiena appoggiata ad un albero.
"Vieni qui" la voce era diventata dolce e gentile ora.
Mi avvicinai e vidi che era giovane, poco più che ventenne. Era bello ma non fu questo che mi colpì, bensì la sensazione di serenità e saggezza che emanava il suo volto. La testa era leggermente inclinata verso l'alto, gli occhi chiusi, la linea della bocca atteggiata ad un sorriso. Lunghi capelli neri gli incorniciavano il viso.
"Ti aspettavo" Lo guardai stupito. "Mi hai cercato ma era ancora troppo presto, non eri pronto"
Pronto per cosa? Chi era? Era lui la fonte di quella musica che mai aveva lasciato la mia vita? Avevo così tante domande ma qualcosa mi impediva di chiederle.
Aprì gli occhi di scatto e girò la testa verso di me, sorridendo:
"Suoni bene per essere così piccolo, sai?"
"Si ma..."
"Ma c'è ancora qualcosa che non va"
"Sì" Come lo sapeva?
Sorrise nuovamente e prese tra le mani ciò che teneva in grembo: un flauto traverso. Iniziò a suonare e poi si fermò di scatto, guardandomi con i suoi profondi occhi ametista, quasi volesse sondare la mia anima.
"Nella musica risiede un potere che pochi immaginano: può toccare il cuore e la mente, arrivare fino all'anima, incantare, rendere felici o .. far soffrire."
"In pochi sanno usarla veramente" riprese "tu puoi farlo, lo so."
Era la sua musica che aveva ridotto i ragazzi in quello stato?
"Potrei anch'io suonare come te?"
Ero così confuso, una moltitudine di sentimenti riempiva il mio cuore: felicità, emozione... paura.
"Mi hai sentito anche quando ero mille miglia lontano, il tuo cuore mi ha sentito. Vuoi venire con me ed imparare?"
Guardai i suoi occhi e qualcosa scattò dentro di me: potevo fidarmi, dovevo fidarmi, perchè sapevo che mi era sempre rimasto vicino! Conoscevo la sua musica meglio di qualunque altra cosa e sentivo di conoscere anche lui, nonostante non sapessi chi fosse, buffo no?
"Chi sei?"
"Ha importanza?"
Scossi la testa. No, non m'importava allora, ma so che l'avrei scoperto quando sarebbe giunto il momento, così come lo avevo trovato all'improvviso dopo tante ricerche, dopotutto.. è bello avere qualcosa che si vuole scoprire.
"Bene, un giorno capirai"
Annuii. "Mi chiamo Sirya" gli dissi. Non capisco ancora bene perchè decisi di non dirgli il mio vero nome nè tanto meno perché scelsi quel nome che mai avevo sentito, forse perchè indispettito dal fatto che lui non volesse rivelarmi il suo.
Il giovane mi guardò sorpreso e mi fissò negli occhi.
"Sirya? Va bene"
Viaggiammo per tutta l'Europa e m'insegnò tutto ciò che sapeva: come concentrare il cosmo che rende cavalieri e come usare la musica per difesa e... offesa. Mi raccontava storie di cavalieri ed eroi di paesi lontani: Perseo e Medusa, Achille, Ulisse e le sirene...
Ero felice. Poi una sera sentii una voce che mi chiamava, una voce che veniva dal mare. C'era anche lui sulla spiaggia.
"Quando suonerai io ti sentirò. C'è un legame fra noi che niente può spezzare. Ora vai."
Lo guardai un'ultima volta prima di avvicinarmi all'acqua; qui mi sentii trascinare giù, sempre più giù, ma la discesa era dolce e una melodia mi accompagnava.
Ora che queste assurde guerre sono finite penso spesso ad ogni sua parola, ad ogni suo gesto, a quegli occhi color ametista. Adesso posso finalmente venire da te, ora che ho capito... fratello.