Capitolo 5
Il reame dell'irreale
"Ho finalmente capito... sì... ti mostrerò tutta la mia determinazione!" Rispose Oneiros.
"Adesso so che non sto sognando solo per me stesso, ho compreso che dalle mie azioni dipende molto più di quello che pensavo...
Imprimerò nel mio cosmo e nel mio cuore le tue volontà!
E' giunto per me il momento di diventare un guerriero e di prendere sulle mie spalle tutte le responsabilità che non ho accettato nella vita reale.
Fatti avanti Phanatasos, adesso come non mai inizio a capire cosa sia il mondo dei sogni!"
Una breve smorfia, più di piacere che di rabbia, comparve sul volto della divinità, che non esitò a scagliarsi con tutta la forza che aveva in corpo verso il nemico.
Il pugno di Phantasos venne però bloccato dal palmo della mano di Oneiros.
"Te lo prometto, renderò vivo il mio ed il tuo sogno... tornerò da Hypnos dopo aver superato tutti i regni di questo luogo e assieme diventeremo degli dei!
Questo cosmo che si espande dentro di me lo dono a te ed al tuo dolore... il tuo sogno assoluto adesso è anche il mio".
Oneiros colpì la divinità con una forza che sembrava quasi irreale, il suo Io adesso era perfettamente in armonia con quel mondo in origine così irraggiungibile.
Phantasos sparì nel nulla, pronunciando le sue ultime parole:
"Adesso è tutto nelle tue mani, ma non credere di aver davvero compreso quello che si cela in questo mondo, la parte difficile arriva ora...
Da qui in avanti troverai ad attenderti veri e propri guerrieri e se non imparerai a lottare per te sarà impossibile arrivare al dio del sonno.
Cerca nell'Irreale un uomo che ha l'odore del muschio, sarà lui che ti insegnerà quello che ti serve... inoltre, sappi anche... che sei la seconda persona che ho amato nel mio sogno idilliaco".
Dopo queste parole, scomparve colui che delle illusioni aveva fatto la sua realtà ed una nuova porta si aprì nella landa desolata che un tempo era la gloriosa città di Meleb.
Il secondo dei sogni assoluti era stato finalmente compreso e adesso la via conduceva nel luogo in cui la realtà non era altro che mera utopia. Un regno di ozio e bella vita, questo apparve di fronte ad Oneiros una volta superata la soglia.
Tra gl'alberi illuminati dai tiepidi raggi del sole, uomini attorniati da belle donne, che offrivano loro in dote buon vino e sommo piacere, trascorrevano quello che pareva essere un pomeriggio di festa, o forse, un momento di celebrazione a seguito di un evento importante.
Il ragazzo si fece strada tra urla di piacere e corpi ammucchiati, sorpreso ed incapace di proferir verbo, in un'atmosfera che fino ad allora non aveva mai nemmeno immaginato.
Facendosi forza si rivolse verso un uomo di mezza età coi capelli ingrigiti, ma che ancora folti gli coprivano la nuca, il fisico era tonico come quello di un guerriero greco e i suoi vestiti erano nobili ed eleganti. Una bianca tunica gli scendeva sino a sotto il ginocchio e i sandali bardati di dorati fregi gli coprivano le dita dei piedi.
"State festeggiando una ricorrenza particolare?" chiese il giovane.
"Non è educato fare domande senza presentarsi, non credi"? fu la secca risposta che ricevette.
"Chiedo scusa, il mio nome è Oneiros e sono giunto qui dopo aver superato il mondo del illusione".
Non era più tempo di mentire e di studiare le vicende, in un mondo governato da divinità le sue gesta erano ormai note.
"Che cosa insolita, non sono tante le persone che riescono a ricevere i favori di Phantasos; devi essere un ragazzo speciale" l'uomo pronunciò quelle parole con un sorriso beffardo che a stento si notava sotto i baffi, ancora di un nero brillante a differenza del grigiore dei capelli.
"Il mio nome è Enest e no, non stiamo festeggiando nulla, questo è il modo in cui noi trascorriamo l'eternità".
"Ma tutto ciò è..." pensò Onerios
"Irreale vero?" ribatté il signore come se gli avesse letto nella mente "E' la cosa che pensano tutti quelli che giungono qui: piacere, ozio, belle donne e vino... un mondo privo di sofferenza e di guerre, dove il piacere è l'unica cosa che si respira.
Per quanto sia strano è tutto vero, questa è l' eternità donataci in dono dal nostro signore, in cambio di un piccolo pegno".
"Piccolo pegno?" chiese il fanciullo, "Sì, ma ora non è il momento di parlarne, unisciti a noi e resta qui a goderti la tua eternità".
Queste parole, così naturali, furono accompagnate da una fragorosa risata.
"Mi spiace, ma sono costretto a declinare il vostro invito; vorrei, se non sono troppo scortese, incontrare prima il vostro sovrano".
"Vedo che ci sono ancora dei dubbi nel tuo animo, ma non esitare, la felicità non è cosa che si possa comprare, ma di certo è da stupidi rifiutarla.
Prendi quel calice a abbeverati del piacere che solo questo regno ti può offrire. Una goccia, una semplice goccia di vino e tutto ti sarà più chiaro".
"Ora basta!" fu la risposta veemente del ragazzo "già in passato pensai di regalarmi una felicità fittizia e senza impegno, ma oggi è diverso, ho anche una promessa da mantenere e una missione da compiere".
"Ma che parole commuoventi, un piccolo uomo che crede di poter cambiare se stesso.
Chi di ozio e vanità è sempre vissuto, in ozio e vanità è destino che resti... ora e per sempre.
Quello che attrae gli esseri umani è solo qualcosa che si può credere momentaneamente di aver dimenticato, ma la realtà è ben diversa, le tue debolezze non le puoi sconfiggere e il fatto che io percepisca in te una forza così irrisoria ne è la prova".
Dal nulla era apparso pronunciando quelle parole il dio che impersonificava l'irrealtà stessa, Ikelos.
I capelli neri e corti erano tagliati in modo da non coprire l'aggressività del suo viso, la sua armatura, spigolosa e selvaggia, risplendeva di un verde scuro dal bagliore sinistro.
"Non capisco come tu possa aver sconfitto Phanatasos, so solo che morirai qui ed ora; quelli come te non mi sono mai piaciuti.
Hai un'unica occasione per salvarti, bere la coppa che Enest ti ha posto e rimanere per sempre in questo luogo".
"E credi davvero che io sia giunto sin qui per rimanerci?
Allora non hai capito proprio nulla. Fatti avanti Ikelos, presto anche il terzo sogno assoluto sarà mio".