Capitolo 9: Fedele alla propria dea
Un gruppo di figure apparve fra le montuose terre indiane, erano sei individui dalle vestigia dai vari colori e tipi.
"Dunque questa è l’India? Non c’ero mai stata prima", rifletté l’ultima baccante seguace di Dioniso, Awyn della Vite, "Si, ebra, questa è l’India, anch’io, in effetti, non c’ero mai stata prima, ma per ora, purtroppo, non possiamo visitare i magnifici luoghi di questa terra, piuttosto, dovremo combattere, dopo aver trovato la Nera Torre di cui parlavano gli Horsemen", concordò Botan del Cancro, avvicinandosi alla seguace del dio del Vino.
"Il Nero castello, da ciò che ho saputo dalla divina Kalì tempo or sono, dovrebbe essere fra le montagne himalayane confinanti con il Pakistan", spiegò Koryo di Seiryu, proponendo la via da seguire fra le rocce, "Bene, amico mio, facci strada", concordò Jenghis, trovando d’accordo con se sia Endimon sia Tok’ra, gli altri due alleati che con loro erano arrivati fin in India.
Il gruppo camminò per parecchio tempo lungo le montagne, "Koryo, ci potresti dire qualcosa di più su questa Torre Nera?", domandò incuriosita Awyn, avanzando titubante fra le rocce.
"Si, ebra, ben poco si sa sulla Torre Oscura di Indra, ma potrò parlarvene", concordò l’allievo di Shiryu, "Indra? Ma non è una divinità positiva della cultura indiana?", domandò Jenghis, avanzando vicino al Beast Keeper, "Più esattamente è il dio delle Tempeste, che può portare insieme l’acqua che rianima le terre indiane, sia danneggiare, distruggendo tutto ciò che vede attraverso le inondazioni", replicò Tok’ra, "Esattamente", concordò Koryo.
"Il dio Indra, però, non è più tanto buono verso gli uomini. Circa duecentocinquant’anni fa, mentre in Europa Hades ed Atena si combattevano furiosamente, Indra si scatenò contro Shiva, Visnù e Kalì, unendo a se alcuni dei come Kumara, il figlio stesso di Shiva, che tradì il padre per dimostrargli la sua superiorità. In quella battaglia, i precedenti Beast Keepers si unirono per la prima volta con gli Indù Army per combattere sei dei, tutti convinti che la combinazione tra cultura ed evoluzione, propria dell’Illuminismo, che si stava sviluppando anche nel resto del Mondo, oltre che in Europa stessa, fosse un male.
Indra decise di distruggere gli uomini di allora per ricreare un’umanità più illuminata, la stessa idea che aveva Nettuno nel periodo in cui combatté il mio maestro Shiryu", spiegò il Beast Keeper di Seiryu.
"Ma se Indra vuole far rinascere la razza umana purificata, perché si è alleato con gli Horsemen, che desiderano solo Caos e distruzione?", domandò perplessa Botan di Cancer, "Non lo so, ma penso che ci siano due possibili spiegazioni", rifletté Tok’ra, "o il dio delle Tempeste non ha più intenzione di salvare la razza umana", iniziò il santo d’oro, "Oppure i Cavalieri lo sfruttano", concluse Jenghis, voltandosi verso i propri compagni.
Il gruppo continuò la camminata in silenzio, nel dubbio se il piano degli Horsemen fosse quello di utilizzare Indra ed i suoi seguaci, oppure, se quel dio indiano volesse diventare un loro alleato.
I passi del gruppo, però, furono fermati da un movimento della mano di Koryo, "Guardate, quella è la Torre", disse, indicando una gigantesca costruzione nera poco al di sopra di loro, su un picco di montagna, "La strada è quindi minore, forza, muoviamoci", esclamò Endimon, invitando i compagni a farsi avanti, un rumore, però, bloccò i passi di tutti.
Un rumore simile ad un sibilo si avvicinò ai cavalieri, esplodendo a pochi passi da Awyn, gettandola indietro.
"Che cos’è stato?", si domandò l’ebra, rialzandosi di scatto, ma nessuno le rispose, poiché un’altra esplosione distrusse il terreno vicino a Jenghis.
"Un arciere ci sta puntando", osservò Tok’ra, "Un’avanguardia, più che un arciere", esclamò una voce femminile che si espanse nell’aria, "Io sono una delle divinità seguaci di Indra e vi ordino di ritirarvi, o di arrendervi, cavalieri", continuò quella voce divina, "Lasciate a me costei", replicò allora Endimon, rivolgendosi ai suoi alleati, "Data la direzione delle frecce dovrebbe essere su quelle montagne alla nostra sinistra, voi correte verso la Torre, a lei penserò io", propose il Pretoriano di Venere, evitando un altro degli attacchi.
"Buona fortuna, Pretoriano", augurò Awyn della Vite, "Anche a voi, cavalieri", aggiunse Endimon, allontanandosi velocemente verso la divinità nemica.
Il Pretoriano corse, evitando diverse di quelle esplosioni e con un salto, oltrepassò una piccola montagna, arrivando dinanzi alla divinità nemica, che lo puntò con una freccia infuocata.
La dea apparve ad Endimon come una fanciulla indiana dai capelli biondi, lisci e lunghi fino alle spalle. Gli occhi erano spenti e neri, ma puntavano con decisione il Pretoriano, proprio come la freccia.
L’armatura rappresentava una gigantesca ape, le ali congiungevano sulla schiena, costituendo la corazza per il tronco del corpo, la cinta, invece, era coperta dal pungiglione, che arrivava fino alle gambe, coprendo le stesse come una gonna. Le zampe dell’ape costituivano le coperture per gli arti, mentre la testa dell’animale era la corona fra i biondi capelli.
"Chi sei, misero uomo?", domandò freddamente la divinità, "Endimon del Fagiano, Pretoriano di Venere", si presentò il seguace della dea dell’Amore, "Un mortale dedito alle perdizioni dei sentimenti, ottimo primo nemico per me, Rama, dea della Rettitudine", rifletté l’essere divino, pronto a colpire con i dardi infuocati l’avversario.
"Frecce di fuoco", invocò subito dopo la divinità, scoccando la prima freccia, ma, i movimenti di Endimon evitarono che il Pretoriano fosse colpito, grazie ai suoi veloci spostamenti.
"Vedo che oltre che seguace di una dea perversa come Venere, sei anche un codardo, mortale", osservò infastidita la dea, schioccando una seconda freccia, "ma, purtroppo per te, la velocità di cui sono fornita è di molto superiore a quella umana", concluse Rama, iniziando a scagliare una serie di frecce in successione con velocità di molto superiore a quella della luce.
Endimon evitò diverse frecce, ma alla fine fu quasi investito, poiché una di queste passò proprio dinanzi ai suoi piedi, lanciandolo in aria e lasciandolo ricadere al suolo gravosamente, tanto da lussargli una spalla.
Il Pretoriano, però, si rialzo determinato e pronto ad iniziare la vera battaglia.
"Complimenti, mortale, hai il coraggio di continuare malgrado la ferita, forse non sei poi così sporco per la presenza di quella tua dea", osservò quietamente Rama, inforcando un’altra freccia.
"Sai, dea della Rettitudine, per quanto tu sia una divinità ed una donna, se riprovi ad insultare Venere, ti posso assicurare che non vivrai tanto da vantartene", minacciò il guerriero del Fagiano, espandendo il proprio cosmo, "Pheasent Flap", urlò poi il guerriero, scatenando il battito d’ali dall’incredibile potenza di cui era padrone, capace di stordire vari cavalieri in una sola volta.
Rama, però, non era un cavaliere, bensì una dea, le bastò aprire le mani per bloccare quella immensa corrente e rimandarla contro il suo avversario sotto forma di un gigantesco vortice di fuoco.
Endimon fu stupito da questa risposta nemica, ma, con un salto acrobatico evitò il suo stesso attacco, portandosi sopra il capo della divinità e cercando di raggiungerla con un calcio. Rama si dimostrò, però, più veloce e, spostandosi sulla destra, evitò l’attacco, "Osi tu colpirmi? Uomo?", domandò infuriata, raggiungendo poi il Pretoriano con il proprio arco, che lo investì in pieno volto, lanciandolo in aria e lasciandolo cadere poco lontano, con la corona disciolta ed un’ustione sulla guancia sinistra.
"Per questo sono convinta che il sommo Indra abbia ragione nel suo piano di ripulire l’umanità, perché voi tutti avete dimenticato quale rispetto si debba dare agli dei. Ho persino saputo che tu, insieme a tutti i tuoi alleati, hai osato combattere Urano, Pontos e Gea, le tre grandi divinità Ancestrali su cui poggia la nascita stessa della specie immortale e di quella mortale", spiegò con tono critico la divinità, impugnando un’altra freccia, "Ora, però, potrai morire, augurandoti una reincarnazione meno empia", concluse la divinità induista, quindi portatrice della metempsicosi, "Freccia di fuoco", furono le sue ultime parole.
"Non posso accettare che una divinità simile possa esistere", ringhiò Endimon, scattando di lato, "Torpedo Clones", invocò poi, correndo verso la propria avversaria e sviluppando di continuo nuovi suoi cloni, che lo accompagnavano nell’avanzata.
Rama iniziò a scoccare le "Frecce di fuoco" ad una velocità addirittura superiore alla precedente, ma ogni Endimon colpito era un clone, che, esplodendo, sviluppava una corrente di vento tale da far barcollare la divinità stessa. "Per quante mie copie tu possa colpire, non mi raggiungerai con i tuoi colpi, perché per ogni mia entità che cade, se ne alzano altre due", esclamò il Pretoriano, mischiato nella folla di cloni.
"Alla fine, dea indiana, io ho raggiunto te", esclamò il Pretoriano, "Fagiano cacciatore", urlò poi. In quel momento, Rama fu travolta da un colpo energetico molto potente, simile ad un pugno, che la prese in pieno volto, lanciandola indietro di diversi passi, ferita.
I cloni, quando la dea fu gettata indietro, scomparvero, lasciando spazio all’unico vero Endimon, che si trovava in piedi dinanzi alla propria avversaria, pronto a continuare la lotta.
"Una dea picchiata da un uomo", sussurrò Rama, "poi, Visnù, Kalì e Shiva, parlano di perdonare le stupidità umane, che una sola vita non può portare all’illuminazione, che solo dopo tante trasmigrazioni, l’uomo può sperare nel paradiso, loro credono tanto negli uomini, ma quest’essere davanti a me, che forse più di altri segue desideri terreni e legati ai suoi appetiti, mi dimostra quanto Indra abbia ragione rispetto ai due residui della Triade di Brama", osservò innervosita la dea indiana, rialzandosi in piedi e pulendosi il volto con il palmo della mano.
Fra quelle fredde rocce indiane sembrò scoppiare un fuoco quando Rama iniziò ad espandere il proprio cosmo, "Ora, mortale, purificherò la tua mente, annullando quei pensieri osceni che la riempiono, poi, ti darò la morte, permettendoti di rinascere come essere più elevato", spiegò la dea, appoggiando l’arco sulla schiena.
Dinanzi agli occhi di Endimon iniziò una trasformazione in quell’armatura, di cui il tronco divenne simile al piccolo corpo di un’ape, giallo e nero, mentre l’arco si tramutava nella coppia d’ali e la mano sinistra si apriva, mostrando un gigantesco pungiglione energetico.
"Annullamento!", ordinò la dea, lasciando esplodere un fascio d’energia verso il suo nemico.
Endimon sentì improvvisamente la mente leggera, come se qualcosa la stesse derubando e, con sua gran sorpresa, vide scomparire dinanzi ai suoi occhi i ricordi. Prima la battaglia sull’Isola di Deathqueen e lo scontro con Araocle, poi, lentamente il periodo di pace passato a ristabilire l’ordine nei tempi di Venere, quindi lo scontro con Briareo, prima ancora la battaglia nel suo tempio con Leda, il titano Parassita, e con Daidaros, l’ultimo dialogo con Anchise, il parigrado e la stessa immagine della sua dea stava andando via dalla mente.
"Com’è possibile?", si chiese il Pretoriano, "come posso dimenticare tutto?", si ripeté più volte, cercando di riavvicinarsi ai propri ricordi, di prenderli, quasi fossero qualcosa di fisico, "Costei è una dea, mio vecchio amico, e come tale può tutto", sentì dire da una voce alle sue spalle, "Anchise?", urlò il guerriero del Fagiano, ma nel voltarsi non vide nessuno, solo rocce. Si trovava tra sogno e realtà il combattente di Era in quel momento, "Sei solo un uomo, Endimon, discendente di Adone, ma per te nostra madre ha un particolare interesse, poiché nella tua famiglia è sempre stato scelto il primo cavaliere che la proteggerà, così ora tu sei questo guerriero, come tuo padre prima di te", si sentì spiegare dalle voce di Eros ed Anteros, coloro che gli avevano dato l’investitura alla morte del padre, "Sommi figli di Venere", esclamò il Pretoriano, trovando nuovamente rocce intorno a se.
"Devo vincere questa forza divina", urlò il giovane guerriero, rivolgendosi a se stesso, "Sei forte, guerriero di Venere, ed un degno compagno di battaglia", gli disse una volta Daidaros, colui che prima gli era stato avversario e che gli aveva fatto conoscere l’amaro sapore della sconfitta, ma anche quella era una voce che si allontanava dalla sua mente.
"Il Fagiano, il simbolo del nostro casato, quell’elemento di nobiltà che grazie a Venere contraddistingue i discendenti di Adone, suo primo guerriero", continuò la voce di suo padre, prima di allontanarsi anch’essa.
In quel momento, Endimon cadde in ginocchio e dovette riprendere fiato, si sentiva soffocare per il caos dei ricordi che lo abbandonavano, "Non devo perdere la concentrazione, è una dea, ma il suo è pur sempre un attacco normale, psichico, ma normale, non posso scordare la mia intera esistenza, la fede in Venere, gli addestramenti paterni, le battaglie vinte e perse, tutto questo non deve abbandonarmi", urlò fra se il Pretoriano, finché un caldo cosmo non lo avvolse, disturbando l’attacco di Rama.
"Ricordati chi sei, Endimon, di chi sei seguace e quale fede in me ti fa credere", sussurrò alla sua mente la voce della dea Venere, colei per cui il Pretoriano aveva giurato di dare la vita, "Si", balbettò il giovane cavaliere, cercando di riprendere la concentrazione e riuscendoci, grazie all’aiuto divino.
In quel preciso momento, mentre si rendeva conto di quale fosse il sogno e quale la realtà, Endimon vide un dardo infuocato raggiungerlo all’armatura, esplodendo a contatto con la stessa, così da aprire un varco sul corpo del giovane guerriero, che cadde al suolo, stordito, ma cosciente.
"Quella misera dea olimpica osa intromettersi in una battaglia, quanta pena e disgusto mi fate voi, esseri perversi che avete l’uno bisogno dell’altro. I seguaci degli dei indiani non chiedono mai aiuto durante uno scontro", lo ammonì la divinità, preparando una nuova freccia.
"Tu parli tanto dei peccati umani, dea della Rettitudine e critichi Venere perché lei porta l’amore fra gli uomini, ma, per quel che so, nella vostra cultura l’amore non è un concetto rifiutato, anzi è innalzato a pura arte", osservò criticamente Endimon. "Come puoi dire queste cose su una dea, il cui unico desiderio è quello di rendere noi esseri umani felici, lasciandoci conoscere i piaceri della vita, come puoi auspicare ad un mondo di eletti e di illuminati se costoro sarebbero solo dei burattini regolati da principi così stretti e monacali, da sembrare disgustosi persino al più pio degli uomini? Tu, dea della Rettitudine, sei solo un’egoista, che ha perso il suo interesse per gli esseri umani, rimanendo ferma ad un tuo piccolo sogno riguardo a loro e perdendo la concezione della realtà, che è per sua stessa definizione varia e quindi stupende, poiché permette che esistano esseri simili a quelli che tu apprezzi, uomini che invece seguono le idee trasmesse da Venere, altri che deplorano tutto ciò che è bene, ed altri ancora, che, credendo in altri dei, raggiungono una forma di felicità che sia loro perfetta", la ammonì il giovane Pretoriano, preparandosi alla battaglia.
"Sai, mortale, è un errore far indispettire una dea come me, poiché sono la Rettitudine, non la pietà ed ora che le tue possenti vestigia sono aperte , ti mostrerò la punizione per chi segue i caldi piaceri della vita", minacciò Rama, scomparendo da dinanzi ad Endimon.
Pochi attimi dopo, il Pretoriano sentì un fuoco prorompere dalle sue viscere, la dea della Rettitudine aveva perforato lo stomaco scoperto e stava espandendo il proprio cosmo incendiante dentro il nemico, "Ora brucerai, ma non di passione, bensì di redenzione", lo ammonì la dea, che si trovava dinanzi a lui.
Il guerriero del Fagiano si trattenne dall’urlare e colpì con una testa la nemica, aprendo un’altra ferita sul capo di lei, "Come osi, mortale?", replicò infuriata la dea, lasciando esplodere ancora di più il suo cosmo, mentre la pelle di Endimon lentamente bruciava.
Il Pretoriano, però, aprì le braccia e strinse i denti, espandendo il proprio cosmo, "Pheasent Flap", invocò poi, scagliando il battito d’ali contro la nemica, che, a quella distanza, non poté difendersi, cadendo indietro con le vestigia danneggiate.
"Lo spirito e la mente di un uomo, persino di un seguace di Venere, sono più forti del corpo", avvisò Endimon, "Per quanto mortalmente tu mi colpisca, io ti batterò", minacciò il Pretoriano, "per onorare la dea in cui credo e grazie alla quale si sviluppa l’amore nel mondo", spiegò il guerriero.
"Torpedo Clones", invocò subito dopo il seguace di Venere, senza dare possibilità di risposta alla nemica, "Fagiano cacciatore", continuò con determinazione, investendo in più punti la dea Rama, che volò in aria per l’unione di più attacchi, cadendo al suolo con le vestigia danneggiate e diverse ferite.
"Dimmi, uomo, sai che non avrai alcuna possibilità di eliminarmi senza i sigilli del sommo Shiva?", domandò Rama, rialzandosi, "Si, ne sono cosciente, ma per questo non c’è problema", esclamarono all’unisono i dieci cloni, "ora ti renderò inoffensiva, poi ti porterò dinanzi a Kalì e Shiva, questo sarà il mio ultimo dovere come Pretoriano di Venere, abbattere colei che non crede nell’Amore professato dalla mia dea, dando la vita per questo", conclusero i cloni, aprendo le braccia.
"Pheasent Flap", urlarono all’unisono i diversi Endimon, circondando la nemica ed investendola con dieci battiti d’ali, che la compressero in una gigantesca corrente, capace di distruggerle le vestigia.
"Maledetto", urlò Rama, perdendo la calma e lanciandosi in un nuovo attacco, contro lo stomaco scoperto del Pretoriano.
Endimon non evitò quel colpo più lento dei precedenti, "Come ti avevo detto, Rama", esordì poi, bloccando le braccia delle nemica, "ti porterò da Kalì, sacrificandomi, ma lasciandoti morire", tuonò poi, lasciandosi esplodere verso il cielo, perdendosi nel cielo con la divinità avversa, la cui anima fu facilmente intrappolata dagli dei dominanti in quel territorio.
Uno scontro era finito, grazie al sacrificio di un nobile guerriero olimpico.