Capitolo 29: Tori a confronto
Correvano già da alcuni minuti dentro la piramide i cinque guerrieri che avevano intenzione di sconfiggere Apophis ed i suoi seguaci, Anhur e Sekhmet guidavano il gruppo, seguiti a ruota da Esmeria, Joen e Golia, finché una presenza non li fermò.
"Qui fuori l’Avvoltoio sta per cadere, ma voi cinque, per vostra sfortuna, non avrete altrettanta fortuna del vostro amico ora che siete dentro il sacro tempio di Apophis, la sua piramide dove io, Ptah, mi mostro a voi come primo ed unico nemico", esordì il dio con la testa di toro, mostrandosi con decisi movimenti e sfidando gli avversari a farsi avanti con un gesto della mano.
"Non vedo fra voi colui che mi sfidò ieri, dov’è?", domandò poi il dio, "Mio fratello si sta battendo tuttora con Nechbet, al di fuori della piramide e noi ti chiediamo, Ptah, di cedere il passo e permetterci di continuare", rispose prontamente Esmeria di Suzaku, mostrandosi dal gruppo, "Non cederò di certo il passo senza combattere, se desiderate passare, almeno uno di voi qui deve restare e deve essere sufficientemente bravo da impedirmi di fermarvi tutti", replicò la divinità egizia con maligna determinazione.
I cinque si guardarono fra loro, la possente massa muscolare di Ptah non celava completamente le vie che si aprivano alle sue spalle: due grosse porte che conducevano a dei corridoi, "Divinità nemica di Ra, dimmi, dove conducono quei cunicoli?", esordì allora Sekhmet, "Portano da Apophis, ma, a seconda di quale prenderete, una diversa guardia fermerà il vostro cammino, se fino a loro si protrarrà", spiegò semplicemente il nemico.
In quel momento un cosmo molto possente si fece strada fra i cinque, rubando l’attenzione di Ptah, "Pharaons e voi, Cartaginesi, entrate nei due cunicoli, che almeno una coppia riesca a raggiungere ed affrontare Apophis, io resterò qui, ad occuparmi di questo toro nero", esclamò Golia, scattando in avanti verso il nemico.
Medesimo gesto fece Ptah, lanciandosi contro una furia contro il santo d’oro. Le mani dei due possenti guerrieri si strinsero in una morsa che serviva, all’apparenza, solo a determinare chi dei due fosse più forte fisicamente, ma che in realtà permise ai quattro alleati del cavaliere di Atena di avanzare, oltrepassando il nemico e correndo verso i due cunicoli.
Quando rimasero soli, Golia espanse il proprio cosmo, così da dividersi dal suo avversario, mollando la presa. "Sei forte, mortale, sarà un piacere per me affrontarti in battaglia", esclamò Ptah, osservandosi le mani, segnate dall’aura dorata ed incandescente dell’avversario.
"Sono pronto alla lotta, divinità egizia, fatti anche avanti", lo sfidò Golia del Toro, "Bene", replicò il dio nemico, "Carica divina", esclamò poi.
Golia quasi non vide il nemico raggiungerlo e ne fu completamente travolto, volando al suolo, stordito per l’impatto subito, "Come il tuo alleato di ieri, anche tu, mortale, sembri protetto da ben solide vestigia, hai subito una spallata e due colpi senza riportare danno alcuni, almeno così pare", osservò Ptah, preparandosi ad una nuova carica.
Il santo del Toro si rialzò di scatto ed in quel momento sentì il cosmo di Kain, proveniente dall’esterno della piramide, "Il figlio di Ikki ha raggiunto l’ottavo senso, questa è di certo la via per vincere", pensò il cavaliere, che già aveva scovato in se la via per il senso ultimo durante le battaglie contro Arawn prima e Smeagol dopo.
"Carica divina", esclamò di nuovo Ptah, ma in quel momento, il cavaliere seppe risvegliare in se il senso ultimo, "Bull’s run", replicò Golia, lanciandosi ad eguale velocità contro il nemico.
L’impatto tra i due nemici fu così potente da segnare anche le pareti circostanti, prima che i due contendenti cadessero al suolo, entrambi visibilmente feriti.
Fu Ptah il primo a rialzarsi, "Ti faccio i miei complimenti, mortale, riesci a seguire i movimenti di un dio dopo un solo scontro, di certo sei più vicino del mio precedente avversario alla piena conoscenza del tuo essere, ma non per questo ti permetterò di battermi", lo avvisò il dio, espandendo di nuovo il proprio cosmo, che ora si rilevava in una serie di fulmini e tuoni.
"Preparati, guerriero dorato, ora riceverai la potenza pura di un dio in tutta la sua furia, nemmeno la tua superficiale conoscenza di te stesso ti potrà aiutare in questa battaglia, se non saprai andare oltre le normali tecniche di battaglia", lo avvisò Ptah, mentre le corna sulla sua maschera si riempivano di scariche elettriche, prorompendo in una serie di tuoni, "Corna del Tuono", invocò il dio, scatenando il proprio attacco.
Golia non riuscì nemmeno a sollevare le proprie difese, fu travolto da una serie di scariche che oltrepassarono le vestigia dorate, travolgendone il corpo su cui si aprirono diverse ferite.
Ora il santo d’oro era a terra, sanguinante.
"Che succede, mortale? Le tue doti di guerriero si concludono così? Sei riuscito appena a rispondere al mio colpo base, ma dinanzi al più potente non puoi far altro che arrenderti? Se ti può consolare, comunque, finora solo Api, la divinità Toro a me opposta, aveva dovuto subire questo attacco", spiegò Ptah, avanzando verso il nemico.
"Non cantare ancora vittoria", esclamò il santo del Toro, espandendo il proprio cosmo, "Biggest Wall", invocò poi, mentre le immani difese dorate si alzavano intorno a lui.
"Una barriera d’energia? Sorprendente, ma ancora insufficiente", osservò con tono annoiato Ptah, le cui corna furono di nuovo percorse da corrente.
In quel momento, mentre la divinità egizia si preparava a colpire, Golia notò che, quando proruppero i tuoni, la sua barriera fu come distorta, per poi essere facilmente superata dai fulmini, che lo investirono di nuovo, gettandolo al suolo, stordito e ferito.
"Due tentativi, sei sempre più sorprendente, ma se posso darti un consiglio, mortale, non rialzarti, è inutile soffrire oltre", tagliò corto Ptah, avanzando di nuovo verso il nemico, che ormai non lo ascoltava più, poiché era svenuto.
La mente di Golia fu invasa da un ricordo, un’immagine del periodo degli addestramenti, un suo scontro personale con i passati compagni durante gli esercizi a cui li sottoponeva il loro maestro, Tige.
Quello era il primo giorno del suo terzo anno di addestramenti, dopo aver imparato a temprare il corpo e guidare il cosmo, adesso il giovane doveva imparare le tecniche di lotta e fra tutte, solo il Great Horn era stato tramandato, seppur in maniera indiretta, da Aldebaran, il suo predecessore, gli altri sarebbero dovuti essere colpi suoi, che lui doveva saper creare e formulare.
E proprio per questo Tige aveva mostrato anche a lui ed a Reptile, futuro generale dei Mari, come modellare il proprio cosmo così da renderlo una barriera, un muro, o uno scudo, comunque una difesa quasi insormontabile.
Quattro erano gli allievi del Goshasei sopravvissuto alla Grande Alleanza contro Ares: Golia, prescelto da un’intuizione di Shun per diventare il nuovo saint del Toro, Reptile, che Sorrento aveva trovato e di cui aveva notato le grandi doti psichiche, Joen, figlio di Tige e suo successore, e Rasuin, un ragazzo che lo stesso dio Ares, un tempo nemico del Goshasei, aveva scelto e che desiderava che fosse addestrato proprio da un avversario del passato di cui conosceva la forza.
"Miei giovani allievi, il segreto base che ora vi mostrerò, la tecnica che poi ognuno di voi dovrà plasmare secondo le sue necessità e quella che da ere i Guardiani del Pavone si tramandano, manovrandola attraverso i loro cosmi, cioè un colpo puramente difensivo, ma, che, se necessario, può diventare la più distruttiva delle armi", spiegò quella volta il passato Goshasei.
"Golia, Reptile, voi due siete i più esperti fra i miei allievi, poiché né mio figlio, né il futuro berseker sanno ancora percepire l’essenza stessa del cosmo, quindi chiedo a voi di lanciarmi contro i vostri attacchi, così vi mostrerò il segreto di questa tecnica, o almeno la sua forma base", spiegò Tige, invitandoli a colpirlo.
Gli allievi seguirono l’ordine del maestro ed espansero i loro due cosmi, lasciando esplodere degli attacchi energetici molto simili a quelli che poi sarebbero diventati il "Great Horn" e lo "Eyes shock".
Il Goshasei espanse il proprio cosmo, mostrando agli allievi la grande barriera che sapeva sollevare in propria difesa e con questa parò di due attacchi, annullandoli del tutto.
"Ora, allievi miei, avete visto questa difesa?", domandò con voce tranquilla Tige, "Provate voi stessi a sviluppare questa forza e scoprite cosa è insita in essa", suggerì il Goshasei.
Per tutto il giorno i quattro cercarono di ripetere quel colpo, finché, a notte inoltrata, Tige chiamò a se i giovani, per constatare come erano andati i loro allenamenti.
Quando fu il turno di Golia, il futuro saint del Toro era pronto, aveva sviluppato quella che sarebbe stata la prima forma della sua barriera dorata. "Solleva le tue difese, allievo, mostrami quanto sei portato a diventare un santo di Atena", esordì il Goshasei, lanciandosi in un attacco.
Golia sollevò le sue difese, ma, sorprendentemente, il maestro le superò con il proprio colpo, che lo travolse, gettandolo al suolo. Medesima cosa accadde poco dopo agli altri tre allievi del Guardiano di Era sopravvissuto alla Guerra contro Ares.
"Sapete perché ho superato i vostri attacchi?", domandò Tige, osservandoli uno dopo l’altro, "perché, per quanto vi siate potuti allenare, quella era solo una forma prima, una barriera eretta a difesa del proprio corpo in maniera quasi naturale, la più semplice da evitare con un sotterfugio, se così posso definire ciò che ho fatto", spiegò il Goshasei.
"Maestro", esordì Reptile, "esattamente, che ha fatto?", chiese il giovane ragazzo dalla forma insolita, "Ho plasmato il mio attacco in modo da deformare, con il primo impatto, la barriera e trapassarla al secondo", rispose semplicemente il Guardiano.
"Avete in voi la forza per superare questo tipo di sotterfugi, dovete solo capire come usarla", concluse Tige, mentre lentamente Golia tornava in se.
Il santo d’oro fu infatti svegliato da un lancinante dolore: il suo nemico, Ptah, lo aveva investito con la propria carica mentre egli era svenuto, ferendolo e danneggiando le sue vestigia dorate, di cui alcuni pezzi già iniziavano a crepitare, pronti a staccarsi.
Ptah stava per colpirlo di nuovo, probabilmente gli avrebbe inferto il colpo di grazia, ma fu fermato dallo sguardo deciso del nemico, "Sei tornato in te? Ancora una volta hai resistito al mio attacco più potente? Mi vedo costretto a complimentarmi con te, mortale, sei deciso e resistente, ma questo non ti salverà da morte certa", lo avvisò il dio egizio, espandendo di nuovo il proprio cosmo e producendo ancora una volta quei tuoni funesti.
"Mi dispiace per te, dio dalla testa di Toro, ma ho ormai compreso perché la mia barriera si è piegata a te, le parole di una persona cara mi hanno fatto capire ed ora non commetterò di nuovo lo stesso errore, stavolta non mi colpirai", replicò deciso Golia, espandendo il suo cosmo.
Il Biggest Wall si alzò a difesa del suo padrone e, proprio come la volta precedente, delle onde si formarono su di esso, ma i fulmini, però, non riuscirono ad attraversare la barriera dorata, cozzando contro la stessa, che sembrò illuminarsi ancora di più lasciando il dio chiaramente stupefatto, malgrado la maschera a forma di Toro non permettesse di vedere il suo volto.
"Com’è possibile?", domandò Ptah, "Sono state tre esperienze passate a permettermi di batterti adesso, dio egizio", replicò Golia, preparandosi al contrattacco, "Quali?", incalzò allora il nemico.
"Due di queste derivano dal periodo dell’addestramento", esordì il santo d’oro, "la prima è stata apprendere la difesa e le parole con cui il mio maestro ci spiegò come usarla, mentre la seconda riguardava un dialogo fra me ed uno dei miei compagni d’addestramento, il futuro mariner del Mare Antartico", iniziò a raccontare, "la terza riguarda invece le mie passate battaglie, dove ho assimilato la conoscenza ultima, che mi ha permesso di raggiungere l’ottavo senso", concluse Golia.
"Ora, divinità egizia, a te la difesa", minacciò il custode della Seconda Casa, "Great Horn", urlò poi, travolgendo il nemico con il colpo sacro del Toro d’Oro.
Ptah si schiantò contro una parete, incapace di difendersi da quell’attacco, "Com’è possibile? Dimmi quali sono state queste parole che hanno risvegliato in te la via", tuonò il dio egizio.
"Sono state le parole di un amico, che mi raccontava spesso la grandezza dei Mariner che lo avevano preceduto. Fra questi ve ne era uno, Baian di Seahorse, il quale sapeva creare una barriera di vento agitando le mani dinanzi a se e, per ciò che il suo Oracolo gli aveva raccontato, questo scudo sviluppava dei cerchi nei punti di contatto con l’energia nemica. Il modo in cui tu deformavi la mia barriera per poi lasciar passare il tuo fulmine attraverso quei punti colpiti, mi ha permesso di capire che erano i tuoni il tuo primo colpo, quello che indebolisce qualsiasi difesa per poi permetterti di superarla. Mi è bastato, quindi, ridare energia alla barriera in quella frazione di secondo fra il tuono ed il fulmine, poiché, per quanto è strano, tu riesci a far precedere il fulmine dal tuono, anziché il contrario, ma questo, ormai non ti sarà più utile", concluse Golia, pronto ad attaccare di nuovo.
"Ti faccio i miei complimenti per l’ennesima volta ed ora ti chiedo una degna fine per tale battaglia", esclamò Ptah, fermando i suoi movimenti, "Siamo entrambi protetti da Tori sacri, quindi che sia la carica fra due Tori a decidere il vincitore, se sei d’accordo", propose poi, espandendo il proprio cosmo.
"Carica divina", esclamò Ptah, portando il colpo con un’energia maggiore delle precedenti, "Bull’s run", replicò Golia, la cui potenza era acuita dall’ottavo senso.
I due corpi si schiantarono uno contro l’altro, ma stavolta nessuno dei due cedette e le loro teste cozzarono, spingendo ognuna delle due verso avanti. L’incontro dei cosmi produceva lampi, fiamme e bagliori, finché non si ebbe l’esplosione ultima della loro energia, che portò l’elmo del Toro a frantumarsi, insieme alle spalliere. Questi danni, però, non fecero cedere Golia, il quale spinse ancora di più, facendo più leva sul proprio cosmo che sul corpo, ma alla fine, quando l’energia vitale stava quasi per fondersi con quella cosmica, il cavaliere cadde al suolo, attraversando della nera cenere, tutto ciò che restava del suo nemico, la cui pressione dei cosmi ne aveva prodotto la decapitazione.