Capitolo 13: Resurrezione

"Chi sei?", balbettò stupito Leda, fermando il sangue con la mano sinistra, "Come osi interrompermi?", tuonò infuriato, minacciandolo con la mano destra.

"Ma tu sei", balbettò Minosse, appena cosciente, "Pa…", balbettarono i due gemelli, "Non è possibile", furono le uniche parole di Daidaros, mentre Endimon, le amazzoni ed Edoné osservavano ignari il misterioso salvatore, "Re", fu l’unica parola detta dai Guardian Goshasei.

"Re?", ripeté perplesso Leda, mentre la minacciosa figura, circondata da un cosmo infuocato si faceva avanti, "Non puoi essere il loro re, tu sei morto fra le fiamme, così mi ha raccontato Belinda", affermò spaventato il Parassita.

"Sono tornato così tante volte dal mondo dei morti che ormai non ci si dovrebbe nemmeno sorprendere di ciò, ma stavolta anche penso di non farcela a ritornare dal fuoco in cui mi ero gettato con Sinope", affermò il guerriero mostrando.

I lunghi capelli blu erano scossi da un vento impercettibile, gli occhi scuri dilaniavano lo spirito di Leda, terrorizzato dal nemico appena giunto, la cicatrice sulla fronte brillava di una luce fioca per il possente cosmo infuocata che circondava l’intero corpo del guerriero, trasmettendo un possente bagliore dall’armatura della Fenice Divina. Egli era Ikki.

"Tu sei morto", tuonò Leda, scagliando l’imitazione dello "Scarlet needle" contro il santo divino.

Phoenix fu più veloce e si spostò alle spalle del nemico, prima ancora che il colpo fosse partito dalla sua mano. "Phoenix no Ken", sussurrò il santo della Fenice, lanciando un pugno al centro della schiena di Leda.

Un terribile dolore sbalzò in avanti il titano, il quale si fermò facendo perno sulle braccia, "Come può essere?", si chiese, notando che la copertura delle spalle si scioglieva lentamente, "Quest’armatura dovrebbe resistere a temperatura addirittura superiori a quelle del nucleo solare", tuonò il titano.

"Sopravvaluti i poteri di quelle vestigia", lo derise Ikki, fermo e determinato nello sguardo, "io stesso ho avuto modo di constatare quanto in fondo sia facile bruciarle, proprio per questo ho avuto la fortuna di sopravvivere", spiegò in maniera sibillina il santo divino.

"Muori, ora", urlò infuriato Leda, "No, tu morirai, fra atroci sofferenze, di cui solo la prima hai assaporato, la minore, per onorare il pretoriano che hai ucciso", ribatté Ikki, minacciando con il dito.

Leda si sentì infastidito da quelle parole, quindi sollevò ambedue le mani, "Imitazione", tuonò il titano, scatenando lo "Storm of needles", di Gallio contro il santo divino, che riuscì facilmente ad evitare gli attacchi, correndo, però, verso il titano.

Leda saltò subito addosso al santo e gli conficcò le sue profonde dita nella pelle, "Ora sarò io a distruggerti con il tuo cosmo", lo minacciò il titano, "Traspirazione", urlò poi.

Ikki cadde a terra, "Ora muori, cavaliere", urlò il Parassita, alzando le mani verso il santo della Fenice. Accadde però qualcosa d’inaspettato: Leda prese fuoco ed iniziò ad ardere, urlando inesorabilmente per il dolore.

Il titano cadde in ginocchio, ma non appena si tolse le mani dal volto, capì che il corpo non era in fiamma, ma gli si era semplicemente frantumato l’elmo.

"Piacevole vedere l’inferno?", domandò la voce di Ikki alle sue spalle, "Ti ho permesso di sentire un dolore molto minore a quello che ha provato Medea nel morire senza poter difendere la sua regina", sentenziò il santo divino, guardando negli occhi il nemico.

Ormai il Parassita non era più così pieno di coraggio, le sue vestigia erano danneggiate, lo spirito era stato danneggiato da quest’ultimo attacco e gli rimanevano solo due tecniche di Gallio da poter imitare.

Leda si concentrò, tentando di allontanare il terrore che lo stava assalendo, "Imitazione", tuonò, utilizzando la "Restriction" di Gallio.

"Se non puoi muoverti, non puoi colpirmi, o evitare i miei colpi", lo derise il titano.

Il corpo di Ikki fu circondato dalle fiamme del suo cosmo, che presero la forma di una possente fenice che s’innalzava verso il cielo, mentre il santo divino avanzava verso il suo nemico.

"Vent’anni fa fu Hyoga del Cigno a scoprire come si può annullare questa tecnica e d’allora nessuno ha perfezionato questo colpo, né Gallio, né tu", sentenziò Ikki, avanzando verso il suo nemico, che indietreggiava spaventato.

"Adesso, puoi pagare per la morte di Gallio di Scorpio, la terza ammenda che ti devi subire", sentenziò il santo divino, aprendo la mano destra.

Una folata di vento caldissimo sciolse completamente l’armatura del titano, che si ritrovò disarmato dinanzi al potentissimo nemico.

"Come può essere? Sei forse un dio?", balbettò Leda, stupito dalla facile sconfitta subita, "No, titano, sono un uomo, che diverse volte ha rischiato la morte, l’ultima contro Sinope, con cui mi ero innalzato verso la costellazione della Fenice, dove insieme ci saremmo dovuti spegnere nella luce accecante", rispose il santo divino.

"Con Sinope, un comandante di 3° grado hai quasi sacrificato la vita e con me, Leda il Parassita, comandante titano di 2° grado, no? Non lo accetto", tuonò il vile assassino alzandosi in piedi.

"Adesso nemmeno Sinope sarebbe un pericoloso nemico per me, poiché in questi giorni ho avuto modo di temprarmi, proprio come gli altri cavalieri, che sono riusciti a tenerti teste egregiamente, finché non hai usato i tuoi vili colpi contro un santo d’oro", sentenziò Ikki.

"Silenzio, ora muori", tuonò Leda, "Imitazione!".

La potenza della "Scorpio Nebula", proruppe dal corpo del titano, ma il santo divino la fermò con una sola mano, "Una volta Shaka definì la mia tecnica più potente simile ad un brezza estiva, probabilmente intendeva proprio quello che provo adesso dinanzi alle tue patetiche copie dei colpi di nobili guerrieri", sussurrò Ikki con una rabbia nello sguardo.

"È giunta l’ora titano, pagherai il peccato più grande che hai commesso nei miei confronti, l’omicidio della mia amata Didone, preparati, poiché stavolta le fiamme che ti bruceranno sono vere", tuonò Ikki, prima di scatenare le "Ali della Fenice".

Leda subì in pieno il portentoso battito d’ali della Fenice ed il suo corpo si carbonizzò in pochi secondi, lasciando solo l’eco delle urla del titano e poche ceneri, che si sparsero nel vento.

"Padre", sussurrano i due gemelli senza riuscire ad alzarsi.

Ikki arrivò vicino ai figli in pochi attimi, "Abel, Kain", affermò con viso duro, poi si abbassò verso di loro e li abbracciò con tutta la tenerezza di cui era capace. Lacrime di gioia e dolore insieme scesero sulle guance dei tre nobili guerrieri.

La dea Venere camminò fra i diversi cavalieri ferito, accarezzando i loro volti, così da ridonargli nuova forza, fece ciò anche con i due figli del santo della Divina Fenice.

"Non vi posso curare cavalieri, ma come ha detto quell’orribile titano, quel suo veleno non era letale, lui doveva esserlo. Io posso, però, attenuare il dolore, finché un vero medico vi curerà", spiegò la dea.

"Ora, se me lo concedete, terminerò il mio racconto sull’antico rituale fatto da Zeus", aggiunse Venere, "Te ne preghiamo, dea dell’Amore", concordò Edoné, rivolgendosi a lei con gentilezza e rispetto.

"Se devo dirvi la verità, prima vorrei sentire la storia di costui che mi ha salvato la vita e dice di essere tornato dalla morte", chiese la dea, rivolgendosi ad Ikki.

Il santo divino divenne triste ed iniziò a raccontare il lungo scontro nella casa dell’Ariete, alla fine del quale egli volò in cielo insieme al suo nemico Sinope, entrambi circondati dalle fiamme.

"I nostri corpi bruciavano, credevo di non farcela, poiché già mi sentivo cenere, senza le mie vestigia.

<Cavaliere, sei stato un nobile avversario, forse gli uomini meriterebbero una seconda possibilità, se fossero tutti come te, ma chissà, temo che le idee di Prometheus ora siano anche le mie >, mi disse con tono cupo il mio avversario, parole che allora non capì, finché non vidi i suoi occhi, tristi e pieni di lacrime che evaporavano per l’alta temperatura, ebbi la sensazione che non volesse uccidermi.

<Non posso riportare in vita tuo fratello Shun, cavaliere, ma posso evitare che la tua vendetta nei miei confronti sia nulla, poiché il tuo coraggio e la tua lealtà, tale da farti sacrificare un’armatura, ti rendono degno di sopravvivere >, mi disse, mentre le sue vestigia si scioglievano, ho ancora le ustioni sulle dita con mi tenevo a lui, <Addio, santo divino, tu hai in te la forza per sconfiggerci, usa con ponderazione >, sentenziò Sinope, mentre il suo corpo, non più protetto dalle bianche vestigia, andava in cenere.

Caddi sulle rive del Pireo, svenuto. Quando mi ripresi, scoprì di aver dormito per ben tre giorni, allora corsi subito al Santuario di Atena, dove trovai solo macerie e tombe, oltre a quattro guerrieri titani. La rabbia nel vedere le lapidi di Seiya, Shiryu, Shun e tutti gli altri cavalieri fece esplodere nuovamente il mio cosmo a nuova vita; eliminai quei quattro insetti e le vestigia della divina Fenice ritornarono da me, resuscitando dalle loro ceneri.

Andai allora a Cartagine, dove scoprì con estremo dolore la tomba della mia amata Didone e quella di Medea, ma venni anche a sapere che oltre ad Abel, anche Rume era ancora viva. Già tre donne della mia vita mi era state portate via da destini avversi, ciò fece aumentare ancora di più la mia rabbia ed il mio furore.
Entrai allora nel regno di Nettuno, dove trovai le tombe di Sorrento e dei due generali morti, scoprendo che anche tu, Kain, eri ancora vivo.

Ma il dolore e la rabbia si espansero quando giunsi a Corinto, dove trovai la tomba di Remor, l’unico mio figlio caduto finora.

Passai due giorni per compiere questi viaggi, poiché non volevo sforzare oltre modo il mio fisico, risorto per un miracolo, quindi un altro giorno lo passai a Cartagine, per onorare il meglio possibile mia moglie Didone.

Ieri ritornai a Deathqueen Island, per un veloce allenamento, tale da potenziarmi ancora di più e stamattina quando fui di nuovo in terra di Grecia, sentii alcuni cosmi espandersi qui a Cipro, così sono giunto da voi", concluse Ikki.

"Bene, cavaliere, grazie del racconto. Ora parlerò io, spiegandovi cosa fece Zeus in quel giorno antico", sentenziò la dea dell’Amore.

"Vi ho detto che io, insieme a Nettuno, Zeus ed Hades, raggiungemmo la cima del monte Olimpo, dove il sommo padre degli dei pose sull’unico altare presente la Clessidra di Crono.

Un oggetto d’oro in cui il tempo fluisci lungo i suoi condotti attraverso un sottile fiume di luce argentea, un oggetto fra i più belli che abbia mai visto.

Zeus lo appoggiò sulla colonna, tenendolo da un lato, mentre dall’altro fu Hades a sostenerlo, mentre Nettuno gli porgeva un testo antico, che il sommo signore dell’Olimpo lesse con la sua voce dura e tonante.

Dopo aver compiuto tale gesto, Zeus nascose la Clessidra nel trono d’oro su cui si sedeva, al suo interno, lì accanto pose il testo antico che avrebbe potuto porre nuovamente il simbolo del Comando", concluse la dea dell’Amore.

"Grazie, divina Venere", ringraziarono i cavalieri, "C’è un ultima cosa, cavalieri, una volta aperti i quattro sigilli, il varco si canalizzerà nella città di Sparta, l’unico luogo da cui Urano potrà essere rigettato nel Tartaro", concluse la dea.

I dieci cavalieri si allontanarono, portando con loro le dorate vestigia dello Scorpione, che avrebbero raggiunto le altre due dell’Ariete e dei Pesci.

"Cavalieri", urlò Endimon, mentre il gruppo si allontanava, "sappiate che se vi servirà il mio aiuto, avrete in me un compagno fedele", sentenziò il pretoriano del Fagiano, "Grazie, ma tu hai un compito più grande che aiutarci, difendere Venere", disse semplicemente Ikki, scomparendo.

"Ma chi sono le tre donne di cui parlava il santo divino?", domandò Elettra a Connor, lungo il viaggio di ritorno, "Si dice che sire Ikki abbia amato una fanciulla da giovane, che morì per salvarlo, quella fu la prima; la figlia che il destino gli rubò anni or sono la seconda e la regina l’ultima", rispose Joen di Pavone, mentre tutti i cavalieri si allontanavano da Cipro.