Capitolo 8
Anima e corpo
La dea dimenticata.
L’impetuosa corrente trascinò senza pietà Atena e i suoi cavalieri lungo il percorso tortuoso del fiume e la densità dell’ambrosia rendeva difficili i loro movimenti. Pareti sempre più ripide si alzavano dalle sue rive, mentre il sinistro nastro s’inoltrava sempre più all’interno della Dimensione degli Dei. Uscirne non era semplice.
Ikki: «Maledizione, dobbiamo fare qualcosa per uscire da questa brodaglia disgustosa! Shun, non riesci ad usare le tue catene per tirarci fuori di qui?!»
Shun: «Ci sto provando, ma le pareti sono troppo lisce! Non ci sono appigli!»
«Io un’idea c’è l’avrei! Ma devo utilizzare il mio cosmo! Atena che faccio?».
«Cosa hai in mente Hyoga? Non vorrai mica ghiacciare l’ambrosia con noi dentro!» disse la dea girando a fatica lo sguardo verso il suo cavaliere.
«Certo che no! Realizzerò una barriera per fermare la nostra deriva, ma ho bisogno di utilizzare i tridenti uniti al mio cosmo!»
«Preferirei usare il cosmo solo se fosse strettamente necessario!» replicò la dea.
Shiryu: «Allora è il momento giusto! La corrente sta aumentando! E questo vuol dire che..»
«C’è una cascata! Hyoga, fregatene di mia sorella e lancia quegli arnesi o finiremo per farci molto male!» urlò Seiya.
Il saint del Cigno non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver infuso il suo cosmo ai due tridenti, li lanciò, uno in corrispondenza della sponda sinistra e l’altro di quella destra. Le due armi gemelle entrarono in risonanza, creando un cordone di ghiaccio.
«Eh? Non era esattamente quello che avevo previsto...a quanto pare non è così facile manovrare a piacimento queste armi!» bofonchiò il saint.
«Hyoga va bene ugualmente! Cerchiamo di aggrapparci al galleggiante e metterci in salvo piuttosto!» sbraitò Ikki, che nel frattempo aveva raggiunto ed afferrato il cordone di ghiaccio. La Fenice venne subito seguita da Atena, Shiryu, Shun e Hyoga; solo Seiya mancò la presa, ma venne provvidenzialmente catturato dalla catena di Andromeda.
I sei, bagnati fradici, risalirono il pendio scosceso e si ritrovarono in una vallata incorniciata tra le colline; fiori dai colori cangianti e piante crescevano rigogliose.
«É meraviglioso» sussurrò Shun.
«Sì, ma è meglio stare allerta! Avverto una presenza venire dalla nostra parte!» disse Ikki.
Ed infatti, poco dopo, una figura femminile comparve all’orizzonte. Aveva lunghi capelli dorati come la sua veste trapuntata di fiori. Una corona di spighe le cingeva il capo. La donna camminava lenta e regale nella loro direzione ed un cosmo potente, ma non aggressivo, si sprigionava intorno a lei.
Quando arrivò di fronte al gruppetto assunse un’espressione stupita, come quella di Atena.
«Demetra!? Ecco il motivo di una valle così rigogliosa in mezzo a tanta desolazione. É merito tuo!» esclamò Atena.
«Vedo che qualcosa ti ricordi della tua esistenza divina. Che ci fai qui, Atena?» poi, scrutando i cinque compagni di viaggio della dea della giustizia aggiunse: «La vostra dea ha scelto un brutto momento per farvi fare una gita all’Olimpo!»
I cinque saint assunsero una posizione di difesa, cosa che suscitò ilarità in Demetra:
«Stolti, fossi in voi tornerei da dove siete venuti. Anche se le vostre armature sono intrise del sangue di Atena, e i vostri cosmi fossero all’altezza di quelli delle divinità, voi restate pur sempre mortali, mentre gli dei non conoscono la morte! L’unico modo per sconfiggere una divinità è separare il corpo dalla sua anima ed imprigionare quest’ultima.»
«Oppure togliere loro i poteri» disse pacata Atena.
Demetra guardò perplessa Saori, ma lo sguardo della dea, sicuro e determinato, non lasciava trasparire la minima incertezza. In più non poté non notare le armi che i cinque umani portavano con loro; da esse si sprigionava un’essenza più arcana degli stessi dei olimpici. Alla dea dei Raccolti balenò in mente un’ipotesi: «Esistono soltanto sei esseri in grado di fare ciò che tu dici...ma è dalla lotta contro i Titani che di loro non si hanno più notizie!»
«Se parli dei Figli del Fato...siamo qui per loro volere. Abbiamo il compito di porre fine a questa guerra prima che sia troppo tardi» disse severa Atena.
«E noi siamo stati forniti di armi create direttamente da loro» sottolineò Seiya mostrando l’arco «Quindi le divinità non ci fanno paura!»
Demetra li squadrò in silenzio. Rammentava quei sei esseri che favorirono la nuova stirpe di dei a sfavore di quella vecchia ormai degenere ed interessata solo più al potere.
«A quanto pare i miei fratelli si sono spinti troppo oltre con la loro mania di grandezza, e questo è il risultato, la condanna al Tartaro. Se sono nella lista dei puniti fate in fretta!»
Atena rimase stupita dalle parole di Demetra «Noi rappresentiamo una possibilità di redenzione. La nostra non è una missione punitiva, o meglio, i Figli del Fato vorrebbero evitare questo. Sperano vivamente che gli dei ritornino alla ragione e riprendano a svolgere correttamente il loro ruolo di guida benevola dell’umanità!»
«Capisco...» Demetra si sedette tra i fiori a riflettere «Quindi è per questo che si sono mossi, per difendere il genere umano. La cosa in fondo non mi stupisce e mi spiega perché tra tutti gli dei sei stata scelta proprio tu.»
«Quindi sei dalla nostra parte?» chiese Seiya.
«Parte? No, ragazzo qui non si tratta di parti. Qui si tratta di ruoli. Il mio è quello di amministrare il ciclo delle stagioni e svolgo il mio compito da quando mi è stato affidato, non posso intromettermi nei ruoli degli altri dei, non ne ho l’autorità.»
«Se ciò che dici è vero non ti dispiacerà specchiarti nel mio scudo.» disse Atena girando l’oggetto verso Demetra, che senza timore vi si specchiò. La specchio rimase vuoto.
«Questo vuol dire che siete sincera» osservò Shun, mentre gli altri saint si rilassarono.
«Ma se siete conscia del fatto che gli altri dei sbagliano perché non siete intervenuta per fermarli?» chiese però Seiya puntando il dito contro la dea.
«Come ti ho già detto non ne ho l’autorità! Non posseggo il metro di giudizio per fare una cosa del genere!» Demetra guardò lo specchio «In più io non sono una divinità aggressiva, il mio cosmo è benigno, mi serve per rinvigorire la sfera degli umani in primavera, non per combattere. Poi non posso biasimare l’ira di Zeus nei confronti dei suoi fratelli, essendosi avvicinati troppo agli umani hanno iniziato a compiere gesti fuori da ogni logica»
«Che intendi dire? Anche i Figli del Fato hanno accennato una cosa del genere, ma Poseidone e Ades odiano il genere umano!» disse Atena.
«Il fatto che lo odino non vuol dire che non si comportino come i peggiori di loro! Atena, venite con me e capirete!»
Demetra si alzò e condusse il gruppo davanti all’ingrasso di una grotta.
Lì Atena diede disposizione a Seiya, Shiryu, Hyoga, Shun e Ikki, di rimanere di guardia, mentre lei e Demetra entrarono all’interno. Un corridoio buio e umido si aprì innanzi a loro, mentre gocce d’acqua cadevano dalla volta con un ritmo cadenzato scandendo lo scorrere del tempo. Le due camminarono in silenzio, fin quando il corridoio non si aprì in una sala, al centro della quale troneggiava una teca di cristallo nero come la notte. All’interno si intravedeva la figura di una donna. Ai piedi della prigione una giara conficcata nel terreno con su scritto "Ade". La scritta era stata realizzata con il sangue del dio.
Atena si avvicinò incredula e si rivolse a Dementra: «Persefone?»
Demetra annuì: «Per saziare la sua sete di potere il dio degli inferi non ha avuto remore a sbarazzarsi nemmeno di sua moglie»
«Da quanto tempo è qui?» Atena fece scivolare le sue mani lungo la superficie liscia e nera della bara.
«Da diversi secoli. Ade separò l’anima dal corpo di sua moglie subito dopo la sua alleanza con Ipnos e Tanatos. Purtroppo da quando mia figlia è stata sigillata, il ciclo di morte e di rinascita della natura ha avuto diversi cambiamenti, finendo completamente nelle mani di Ade, che così è riuscito ad avere il controllo totale sull’aldilà»
«Allora sarà meglio liberarla. La sua anima è rinchiusa nella giara giusto?»
«Non è così facile Atena, se lo fosse stato non credi che l’avrei già fatto?»
«Lo immagino, ma voglio tentare ugualmente! Demetra stia indietro»
La dea della Giustizia puntò il bastone di Nike verso la giara espandendo al massimo il suo cosmo. Una luce dorata ed abbagliante si liberò per tutta la grotta, ma quando si diradò la teca era intatta.
«Vi avevo avvisato Atena, il cosmo di Ade non è da sottovalutare!» commentò Demetra.
«Ma come è possibile! Sono sempre riuscita ad avere la meglio sul dio degli Inferi!» imprecò Atena.
«L’Ade con cui ti sei scontrata ultimamente non è quello a cui io stessa diedi il compito di amministrare la giustizia nel mondo infero! Negli ultimi secoli si è indebolito per via delle sue reincarnazioni umane!» una voce, proveniente dallo specchio rispose ad Atena.
«Giustizia sei tu?» Atena guardò stupita insieme a Demetra nell’oggetto. Un viso, quasi un’ombra, si agitava al di là della superficie liscia.
«Sì, ve l’avevamo detto che tramite gli oggetti che vi abbiamo dato in dotazione possiamo comunicare con voi!»
Demetra era sconvolta e sussurrò: «Uno dei Figli del Fato!»
«Già è da un po’ che non ci si vede! Ma Forza è lieto di sapere che con te ha fatto la scelta giusta, dato che nonostante i millenni trascorsi, non hai mai perso di vista il tuo compito!»
«Giustizia esiste un modo per liberare Persefone dalla sua prigione?» chiese Atena.
«Se giri lo specchio magari vedo cosa ha combinato Ade!»
Saori fece come gli era stato richiesto, ma non ottenne la risposta sperata:
«Basta rompere la giara per liberare lo spirito della dea!»
«Questo lo sapevamo...e che non ci riusciamo! Il mio cosmo non è sufficiente!»
«Combinalo con le nostra essenza!»
«In che senso?» ma la dea non ottenne risposta, e lo specchio ritornò ad essere quello di sempre «A quanto pare mai niente più del necessario!» brontolò la dea della giustizia, ma le venne anche in mente un’idea: «Demetra rimanete qui, io torno subito, forse ho capito cosa intendeva dire Giustizia» e Saori corse verso l’uscita della grotta lasciando la dea delle messi alquanto perplessa.
«Atena, non ti arrendi mai neanche di fronte all’impossibile!» sospirò Demetra, che però nel contempo sorrise.
Trame nell’ombra
Nel frattempo...
Nell’ accampamento delle truppe di Ade ai piedi dell’Olimpo.
All’interno di una tenda, Tanatos discuteva animatamente con Ares e Efesto, alleatisi con Ade.
Ares: «Come procede il fronte a sud? La foresta dei Satiri di Bacco è sotto controllo?»
Tanatos: «Certamente sommo Ares, degli stupidi satiri non possono competere con le kere, le creature alate del nostro signore!»
«Già, ma se non separiamo l’anima di quelle capre, comunque sia, ritorneranno sempre in vita! Non capisco perché ti ostini a non intervenire!» commentò Efesto appoggiando la gamba zoppa su uno sgabello.
«Effettivamente in quel modo potremmo prendere definitivamente possesso della foresta e spostare il gruppo di kere in un’altra zona più a rischio!» rifletté Ares.
Tanatos fece spallucce: «Alle kere non dispiace continuare a dissanguare i satiri e a me lo spettacolo diverte, poi non è il caso di sprecare energie per quegli esseri. Vorrei ricordarvi che per separare l’anima di un immortale dal suo corpo, è necessaria un’ingente quantità di cosmo!»
«Già, finalmente ti sento fare un discorso sensato Tanatos! Ed è quindi meglio evitare di sprecare cosmo per i pesci piccoli e conservalo per imprigionare i pezzi grossi. Scusate l’intromissione, ma ho bisogno di discutere con mio fratello di una questione privata.» E Ipnos trascinò Tanatos verso l’uscita della tenda, ma venne fermato da Ares.
«Ipnos, dove diamine ti sei cacciato! Durante l’ultimo scontro contro Artemide e Apollo non ti ho visto sul campo di battaglia! I due figli di Zeus sono riusciti a mettere fuori gioco le Erinni!» sbraitò Ares puntando la lancia contro il dio del sonno.
Ipnos sorrise: «Ares, se mi sono assentato era per una buona ragione. Recatevi dal nostro signore e capirete»
I due gemelli uscirono dalla tenda seguiti dal dio della Guerra e dal dio Fabbro, ma presero direzione diverse. I fedelissimi di Ades uscirono dal campo, mentre Ares ed Efesto si recarono da Ade. Quando lo raggiunsero lo trovarono intento a rinchiudere un corpo all’interno di una teca nera. Ai suoi piedi una giara funeraria con sopra il suo sigillo. I due rimasero sbigottiti.
«Benvenuti mie alleati, come potete vedere abbiamo perso le Erinni, ma il loro sacrificio non è stato vano!» esordì Ades soddisfatto, ma visibilmente spossato e pallido per lo scontro contro Artemide e Apollo.
«Già, vedo!» sogghignò Ares «Bacco è una preda di tutto rispetto!»
«Come hai fatto ad imprigionare il dio del vino se eri con noi sul campo di battaglia? E perché non ne siamo stati informati?» chiese però Efesto.
«Ho ceduto temporaneamente i miei poteri ad Ipnos in modo da poter scendere in campo di persona insieme a voi, mentre il dio del sonno ha raggirato Bacco facendolo cadere in un sonno profondo. Così ha potuto separare facilmente la sua anima dal corpo. Io ho provveduto in seguito a sigillarlo definitivamente, come potete ben vedere» spiegò Ades sedendosi, sfinito, sul suo trono.
«Quell’ubriacone, senza la supervisione diretta di Zeus sul campo, non ha mia perso occasione per darsi alla macchia» constatò Ares, ammirando la teca e il suo contenuto.
«Bacco ha sempre preferito le feste alle battaglie e Ipnos, conoscendone l’indole, ne ha approfittato per sorprenderlo in compagnia delle ninfe» concluse il dio degli inferi.
«Sì, ma perché non ne siamo stati informati? E poi guarda come ti sei ridotto! Che ti è saltato in mente di scendere in campo con il cosmo al minimo?» intervenne però Efesto, che aveva poco gradito la cosa e che non si fidava un granché dei due gemelli fedeli ad Ade.
«Non è stata una cosa pianificata, ma un’iniziativa di Ipnos dettata dalle circostanze fortunate. Per questo non ve ne ho parlato e per vincere bisogna osare. Se non fossi sceso in battaglia i nostri nemici avrebbero sospettato qualcosa. Poi quel che conta è il risultato, no?»
«Esatto Ades! L’importante in una guerra è la vittoria!» sentenziò soddisfatto Ares.
«Sarà, ma ho l’impressione che voi diate troppo peso e libertà a quelle divinità gemelle. Fossi in voi sarei più prudente. Sbaglio o è una ferita da freccia quella che cercate di celare maldestramente?» osservò il divino Armaiolo.
Ade coprì con una ciocca dei suoi capelli il graffio sul collo, che l’armatura non nascondeva completamente: «Non è nulla di grave» tagliò corto il dio.
«Certo, ma se non avessi ceduto i tuoi poteri a Ipnos non te lo saresti procurato e poi, nel nefasto caso in cui fossero riusciti a neutralizzarvi, i vostri poteri sarebbero rimasti in possesso di Ipnos?»
«Efesto, cosa intendi insinuare?» chiese accigliato Ade.
«Nulla, stavo solo esprimendo una considerazione sui fatti...» e il dio zoppo uscì dalla tenda del sire del mondo dei morti, per recarsi nella sua.
Nel frattempo Ipnos aveva portato Tanatos in un’altura lontano da occhi e orecchie indesiderate.
«Cosa vuoi Ipnos?» chiese infastidito il suo fratello gemello.
«Ti ricordi il fascio di luce che tempo fa avevamo notato nei pressi della foresta dei satiri?»
«Sì e allora? Sarà stato un dei fulmini scagliati da Zeus, per aiutare Apollo e Artemide!»
«Invece no! Una delle kere è tornata al campo per fare rapporto e mi ha informato dell’arrivo di esseri umani in questa dimensione»
Tanatos guardò il fratello mettendosi a ridere: «Non essere ridicolo. Gli umani non possono accedere in questo mondo senza venirne uccisi»
«A meno che una divinità non versi il suo sangue per permettergli il passaggio tra le due dimensioni. E vorrei ricordarti che esiste..»
Ipnos si fermò bruscamente, mentre un brivido gelido gli corse giù per la schiena: «Tanatos, l’hai avvertito anche tu?»
«Sì fratello, quell’esplosione di cosmo lo riconoscerei fra mille, è Atena!»
«Già ed è in un posto in cui non dovrebbe essere. Andiamo, è meglio eliminarla prima che la liberi, o i nostri progetti andranno in fumo!»
E le due oscure divinità si alzarono in volo diretti alla grotta di Persefone.