CAPITOLO DICIANNOVESIMO: LA STORIA DI NESSO.

Nesso del Pesce Soldato era appena arrivato ad Argo, avendo sentito, mentre si avvicinava alle coste greche, i cosmi inquieti dei suoi compagni. Ed era giunto in tempo per salvare Gleno di Regula da morte sicura, poiché le Folgori di Austro non lo avrebbero certamente risparmiato. Niobe del Falco, Sacerdotessa di Ercole, si avvicinò al ragazzo, ringraziandolo per il suo intervento, mentre Argo del Cane si trascinò a fatica fino al corpo esanime dell’amico, per sincerarsi delle sue condizioni disperate. Se non fosse stato curato entro breve, Gleno sarebbe morto sicuramente.

"Quanti altri?" –Domandò Nesso, con voce preoccupata. –"Quanti altri Heroes erano con voi?"

"Altri tre!" –Rispose Niobe, sospirando. Parlare, e ricordare i tragici eventi di quella giornata interminabile le faceva stringere il cuore. –"Neleo del Dorado, che è caduto difendendo noi, suoi compagni, senza arretrare di un passo di fronte al suo superbo nemico! E Agamennone del Leone, nostro capitano, il cui cosmo ho sentito calare d’intensità.. spegnersi…" –Mormorò Niobe confusa, prima di scoppiare in un pianto di sfogo. Argo la raggiunse, reggendo Gleno in braccio, pregandola di essere forte e conservare le lacrime per i giorni che verranno, poiché quello era un giorno di guerra, e il ricordo dei caduti avrebbe soltanto fortificato il loro spirito. Ma non lo avrebbe piegato.

"E il terzo?" –Domandò Nesso. E Argo e Niobe si scambiarono un’occhiata complice, prima di sospirare con tristezza.

"Il terzo era Tindaro del Cigno Nero, ma ha tradito la causa di Ercole, ribellandosi a lui e attaccando noi, suoi compagni! Neleo lo ha sconfitto fuori dalle mura di Larissa, ma il ricordo di quel tradimento pesa ancora su tutti noi, gli Heroes della Quarta Legione! Gli Heroes della Legione di Fede!" –Commentò Argo, acidamente.

"Un traditore, eh?!" –Rifletté Nesso, prima di raccontare a Niobe e ad Argo la sua storia. –"Non è l’unico, a quanto pare! Poche ore prima, mentre con i miei compagni della Legione del Mare ero sulle tracce della Lama degli Spiriti, un altro Hero si è inaspettatamente ribellato, Lica della Seppia, e ha cercato di uccidere tutti noi!"

"Incredibile!" –Esclamò Niobe, sinceramente preoccupata per questo evento non preso assolutamente in considerazione. –"Cosa sta accadendo? Perché costoro si ribellano ad Ercole? Che sia sete di vendetta per qualche abuso che il Dio abbia involontariamente commesso nei loro confronti?"

"Vendetta, dici, Niobe del Falco?" –Commentò Nesso, prima di ricominciare a narrare. –"No! Io credo che il loro tradimento non sia una questione personale, ma faccia parte di un piano messo in atto da Era stessa per minare la solidità delle Legioni di Ercole! Sì, ne sono convinto! Era ha corrotto un certo numero di Heroes all’interno di ogni Legione, convincendoli a ribellarsi e a dare un forte scossone alla sicurezza del suo rivale, colpito, oltre che fisicamente, soprattutto negli affetti! Poiché, lo sappiamo certamente tutti, non esiste altro che Ercole ami quanto ama i propri Eroi! E un attacco al cuore colpisce molto più di un attacco fisico!"

Niobe annuì con il capo, riflettendo sulle parole di Nesso, sinceramente preoccupata che, in quello stesso momento, potessero esservi degli scontri in atto tra Heroes che finora avevano marciato insieme, sotto la stessa bandiera, lottando per lo stesso ideale. Scosse la testa per non pensarci, e per non pensare neppure ad Agamennone, e tornò ad ascoltare il racconto di Nesso, che narrò le vicende della Terza Legione nelle lontane terre dell’Asia.

Dopo essere stato travolto dalla violenta slavina che Boopis, la Grande Vacca, aveva provocato, semplicemente entrando in contatto con l’ambiente circostante, Nesso era riuscito a liberarsi, a cacciar fuori la testa da quel cumulo disordinato di neve e di pietra. E la Lama degli Spiriti era ancora in mano sua, quasi come non volesse separarsi da quella confortevole presa. Nesso guardò il caotico ammasso che era franato verso valle, trovando con lo sguardo la maggior parte dei suoi compagni, sbattuti sulle sporgenze della montagna o precipitati malamente verso valle. Con un balzo, raggiunse il sentiero sottostante, dove il suo capitano, Gerione del Calamaro, era crollato e lo avvicinò, sollevandogli la testa, per aiutarlo a parlare. Il ragazzo era molto debole, ma vedendo che Nesso era sano e salvo, privo di ferite profonde, gli disse solo poche parole, ma decise.

"Porta a termine la missione, Hero del Pesce Soldato! L’onore della Terza Legione è nelle tue mani adesso!" –Gerione parlò a fatica, sputando sangue e tossendo violentemente, e incitò Nesso a correre via, senza preoccuparsi di loro. –"Mentre perdiamo tempo a medicarci e a recuperare i caduti, precipitati in chissà quale anfratto di quest’impervia montagna, i Kouroi e i servitori di Era distruggono Tirinto e uccidono gli Heroes nostri compagni!"

Nesso annuì, comprendendo bene le parole del suo capitano, ma esitò ancora un momento, dispiaciuto dal dover abbandonare i suoi compagni in così estreme difficoltà. Ma prima che Gerione lo incitasse nuovamente gli diede le spalle, iniziando a correre lungo l’impervio sentiero della montagna, gettando indietro i suoi compagni e tutte le sue incertezze. Con agilità e destrezza, e molta prudenza, Nesso balzò da un sentiero all’altro, grazie alle sue gambe scattanti e all’ottima forma fisica, fino a ritrovare il tracciato verso il Sentiero del Silenzio, percorso obbligato per superare la massiccia catena del Karakoram e portarsi sul versante meridionale. All’ingresso del sacro percorso, si fermò per un attimo a porgere il suo saluto a Galena del Pesce Angelo, primo Heroes della Terza Legione caduto quel giorno. E, tremò Nesso, senza voltarsi indietro, temo che non sarà l’ultimo! Commentò, prima di gettarsi nelle profondità della montagna, sfrecciando lungo la galleria dalle pareti azzurre, ove il suono dei suoi passi, per quanto veloci e leggeri fossero, risuonava come un tamburo, grazie ad un gioco di echi.

Giunto nella caverna dove gli Heroes si erano radunati di fortuna, per medicare le ferite di Termero del Pesce Picasso, Nesso proseguì con attenzione, sotto il tetto basso e spiovente, fino a portarsi all’apertura di essa, dove il sentiero bruscamente terminava. Forti correnti ascensionali sferzarono l’aria, scuotendo il suo viso da ogni torpore e ricordandogli le difficoltà del percorso. Nesso strinse i pugni, determinato ad andare avanti, per onorare la memoria e le gesta di tutti coloro che avevano contribuito al compimento di quella missione. Per Galena, per Eretteo e per Ettore, uccisi a tradimento o in battaglia. Per Gerione ed Alcione, che avevano combattuto anche per loro, senza arretrare di fronte ai nemici, pur superiori che fossero. E infine per tutti gli altri compagni che lo avevano accolto, seppure egli, nonostante fosse un membro della Terza Legione, non aveva mai avuto con loro alcun rapporto, alcun legame particolare.

Nesso infatti non aveva fatto parte del gruppetto di Heroes che Gerione ed Alcione avevano condotto a Spinalonga, per guidare la ribellione contro i Turchi Ottomani, ma era stato un’aggiunta tardiva di Ercole, per portare a quindici il numero di Heroes della Terza Legione, equiparandola alle altre. La missione ricevuta, l’unica fino a quel giorno, lo aveva portato nel Mar Tirreno, a controllare Eolo, sospetto alleato di Era, e per qualche anno Nesso aveva creduto che essa si sarebbe rivelata l’unica della sua vita. Confinato nell’Isola del Vento, schiavo malvisto dei figli di Eos, esposto alle burle e alle buffonate di Borea e agli ordini oppressivi di Austro, Nesso aveva inghiottito un boccone amaro dopo l’altro, subendo in silenzio pesante umiliazioni. Per non compromettere la missione che Ercole gli aveva assegnato. Per spirito di sacrificio e gioco di squadra, termine questo che Nesso non aveva ben chiaro cosa rappresentasse fintantoché, quella mattina, non era giunto a Spinalonga, e non aveva conosciuto l’affiatato gruppo di Heroes guidato da Alcione della Piovra, il suo Comandante. Una donna che, per Nesso, era più una leggenda che una guida reale, avendola incontrata soltanto una volta, il giorno in cui ottenne l’Armatura dell’Eroe del Pesce Soldato.

"Grazie per essere venuta, Alcione!" –Aveva commentato Ercole, il giorno dell’investitura di Nesso. –"Questo è il quindicesimo Hero! L’ultimo della tua compagnia!" –E gli aveva presentato il ragazzo, allora quattordicenne.

"Un po’ gracilino!" –Aveva sorriso Alcione, osservandolo. –"Ma ha negli occhi uno sguardo di vittoria! E gli Dei soli sanno quanto tale impeto è necessario per sopravvivere in questo mondo di guerra perpetua!"

"Non turbarlo subito!" –Aveva scherzato il Dio dell’Onestà. –"Nesso, per l’età che ha, possiede ottime qualità, non soltanto fisiche, ma anche psichiche! È per questo motivo che l’ho assegnato alla tua Legione, poiché ritengo sia quella nella quale si troverà più a suo agio!"

Alcione non aveva aggiunto altro, troppo presa dai suoi problemi personali, troppo coinvolta nell’imminente rivolta che avrebbe organizzato assieme a Gerione e ai capi della ribellione cretese contro l’Impero Ottomano. Si era limitata ad un cenno di assenso, scomparendo poco dopo, avvolta nel suo mantello. A Nesso, quella stessa sera, avevano riferito che era tornata a Creta, dove aveva trascorso i suoi ultimi anni, lontana da Tirinto, lontana da Ercole e, adesso, lontana anche da lui. Dispiaciuto, Nesso non aveva comunque avuto troppo tempo per pensare ad un Comandante sbadato, incapace di guidare al meglio le proprie truppe, poiché Ercole gli aveva assegnato una missione prioritaria, confinandolo sull’Isola del Vento. Da quel giorno non si era più mosso dal Mar Tirreno.

"E adesso mi trovo in cima al Karakoram!" –Ironizzò Nesso, scuotendosi dal freddo glaciale che aveva iniziato a divorarlo. Non mangiava da dodici ore e aveva percorso diecimila chilometri in mezza giornata, attraversando mari e monti, torridi deserti asiatici e interminabili catene montuose. Sorrise, cercando con lo sguardo un appiglio per tentare la discesa, quando un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione. –"Cos’è?" –Domandò, voltandosi di scatto e ricevendo un getto di liquido nero proprio sugli occhi. Si agitò, incapace di vedere e capire cosa stesse accadendo, mentre un violento calcio tra le gambe lo piegò in due, spingendolo indietro. Mise un piede sul bordo dell’apertura della caverna e il terreno gli mancò sotto i piedi, precipitando nell’abisso con un urlo, avvolto nelle fredde correnti ascensionali.

Lica della Seppia raccolse la Lama degli Spiriti, che Nesso aveva perso nella caduta, e la strofinò con il proprio mantello strappato, stringendola in mano con passione, soddisfatto per essere riuscito a recuperarla, proprio quando tutto sembrava perduto.

"Buon viaggio verso l’abisso!" –Commentò Lica, fissando la vallata solcata da grigie nuvole e impetuosi venti, che rendevano difficoltosa la visualizzazione. Se avesse potuto vedere più in profondità, avrebbe notato che Nesso non era ancora spacciato.

Il ragazzo infatti, precipitato bruscamente verso l’abisso, aveva cercato di afferrare qualcosa nella sua caduta, trovando però soltanto una grezza parete di ghiaccio eterno, priva di appigli o di sentieri, su cui Nesso stava scivolando sopra a gran velocità, venendo ferito da ogni spuntone o sporgenza appuntita con cui si scontrava. Riuscendo a togliersi finalmente il nero di seppia dagli occhi, sollevò lo sguardo verso l’alto, scorgendo soltanto un luccichio spento, probabilmente il diamante della Lama degli Spiriti. Ritrovando lucidità e determinazione, dopo lo spavento iniziale, sollevò il braccio destro, dal cui bracciale emersero degli arpioni affilati, e lo sbatté contro la parete di ghiaccio, su cui stava continuando a scivolare sopra, affinché frenasse la sua discesa verso l’abisso. Stringendo i denti per lo sforzo e per il dolore, Nesso riuscì a rallentare la sua caduta, fino a fermarsi completamente, centinaia di metri più in basso rispetto all’uscita del Sentiero dei Sogni. Sollevando anche il braccio sinistro, provvisto anch’esso di arpioni retrattili, lo conficcò nella parete di ghiaccio, sopra il braccio destro, iniziando la scalata più difficoltosa della sua vita.

Lica, nel frattempo, rimase ad ammirare per qualche secondo lo splendore della Lama degli Spiriti, il meraviglioso lavoro di intarsio con cui la fodera e l’elsa erano state decorate, al punto da far impallidire qualsiasi manufatto divino. La avvolse nel suo mantello stracciato e si gettò in basso, atterrando su un sentiero nascosto dalle nebbie e iniziando a correre, proseguendo con attenzione lungo il fianco della montagna. Probabilmente la vecchia mulattiera che conduceva al Sentiero del Silenzio era crollata tempo addietro, travolta da una slavina improvvisa, ma Lica aveva potuto trovare il punto in cui essa ricominciava. E lo aveva fatto per caso, sfruttando il destino che non era riuscito a condannarlo a morte.

Dopo che infatti aveva subito il proprio Vortice Nero, ribattuto dallo Scudo d’Oro della Bilancia, nello spiazzo all’esterno del Sentiero del Silenzio, ed era precipitato nell’abisso, sull’altro versante della Montagna Sacra, Lica si era visto spacciato, condannato a morte certa. In quel momento di massima paura, l’Hero traditore si era sorpreso di invocare il nome di Era, quasi fosse quello di una madre a cui vanno gli ultimi pensieri di un figlio in procinto di scomparire dal mondo. Ed Era, o forse le Moire, avevano ascoltato il suo grido disperato, allungando il filo della sua vita. Di qualche ora ancora. Precipitando verso l’abisso, Lica aveva sbattuto violentemente contro i fianchi della montagna, percorse da forti correnti ascensionali, ma quelle stesse correnti, soffiando impetuosamente dal basso, avevano rallentato la sua caduta, e grazie ai tentacoli della sua Armatura della Seppia era riuscito ad aggrapparsi ad una sporgenza rocciosa, proprio prima di precipitare nel vuoto. Usando le ventose dei suoi tentacoli, Lica era scivolato lungo lo spuntone, con molta cautela, prima di trovare un anfratto nella Montagna Sacra ove rintanarsi. Ferito, con graffi su tutto il corpo e l’Armatura crepata in più punti, Lica si era rannicchiato nell’oscurità per qualche ora, per recuperare le proprie forze e per meditare vendetta. La sua missione era fallita, ed Era, che in lui tanta fiducia aveva infuso, non sarebbe stata affatto felice nell’apprendere che gli Heroes della Terza Legione erano ancora vivi.

Cosa devo fare, adesso? Si era chiesto l’Hero traditore, o Shadow Hero, come Partenope del Melograno aveva soprannominato lui e gli altri guerrieri che avevano accettato di ribellarsi ad Ercole, divenendo soldati di Era operanti nell’ombra. Tornare da Alcione e affrontarli frontalmente sarebbe stato un suicidio! Non avrebbe certamente potuto contrastare dieci guerrieri contemporaneamente! E poi c’era quel Cavaliere d’Oro, Dauko della Bilancia, la cui forza era decisamente superiore alla sua! No, Lica doveva trovare un altro modo per portare a compimento la missione. E forse, si disse, credo proprio di aver trovato la via migliore! Li lascerò fare! Sì, lascerò che trovino la Lama degli Spiriti, che a me non sarà mai concessa, e poi li pedinerò, approfittando del momento migliore per carpirla loro!

E il momento migliore si era palesato quando un’improvvisa slavina aveva annientato l’intera Legione del Mare, travolgendola alle porte del Sentiero del Silenzio. Là, Lica, nascosto in un anfratto riparato, aveva visto Gerione e gli altri rotolare caoticamente verso il baratro, augurandosi che cadessero dritti all’inferno. Là, contrariamente alle sue rosee previsioni, aveva visto Nesso emergere dall’ammasso di nevi e di roccia, stringendo ancora in mano la Lama degli Spiriti. Lo aveva quindi seguito, scivolando con le sue ventose adesive lungo le lisce pareti del Sentiero del Silenzio, e lo aveva neutralizzato, recuperando la Lama. Adesso doveva soltanto raggiungere Samo, dove Era lo avrebbe ricompensato, ponendolo a capo del suo esercito. In quel modo, Lica avrebbe potuto finalmente emergere e dominare un suo lembo di terra. Non aveva grandi pretese, né era interessato ad imperare sul mondo; si sarebbe accontentato di un piccolo regno, magari un’isola come Creta, dove farsi adorare come un Dio sceso in terra, dove i suoi sentimenti, di gloria e potenza e di fasto imperiale, che Ercole aveva sempre disprezzato, avrebbero potuto trovare completamento.

Mentre correva lungo la mulattiera, sui bordi della Montagna Sacra, improvvisamente udì un suono stridere nell’aria. Un fischio. Con la coda dell’occhio vide qualcosa svolazzare nel cielo sopra di lui, uno stormo di aquile che girava in cerchio. Non gli diede troppo peso e continuò a correre, anche quando le aquile si avvicinarono, portandosi proprio a ridosso della parete rocciosa. Con le loro immense ali diedero colpi alla Montagna Sacra, facendo cadere cumuli confusi di pietra e di neve sull’Hero traditore, obbligandolo a fermarsi e a sollevare le mani per ripararsi. Ma le aquile non avevano intenzione di dargli tregua, continuando a colpire il fianco della Montagna, quasi volessero risvegliare la sua furia sopita. Lica tentò di cacciar via i rapaci, spruzzando dal bracciale destro dell’armatura un liquido scuro, nero come la notte, ma a causa dei forti venti che percorrevano l’aria l’oleosa sostanza tornò indietro, macchiandolo sul volto e sul petto, mentre l’uomo imprecava, maledicendo le aquile e tutta la Montagna. In quella un’allegra risata risuonò poco distante, mentre un’aquila più maestosa delle altre, dallo splendido piumaggio argenteo, comparve sopra di lui, planando verso l’Hero ribelle. Lica ritenne fosse dovuto alla stanchezza o ad un gioco di luci, ma per un momento gli parve di vedere un uomo a cavallo del rapace.

"Ci rivediamo, Lica della Seppia!" –Esclamò una squillante voce, mentre la grande aquila dava un brusco colpo d’ala alla montagna sopra il servitore di Era, facendo cadere altra neve e altra roccia.

"Ma tu… sei ancora vivo?!" –Sgranò gli occhi Lica, riconoscendo Nesso del Pesce Soldato, a cavallo della grande aquila.

"Potrei dire lo stesso di te! L’ultima volta che ti ho visto stavi precipitando nell’abisso! È un peccato che tu non sia caduto all’Inferno!" –Commentò Nesso, carezzando il morbido tappeto di piume della grande aquila.

"I gironi di Ade non sono posto adatto ad un dominatore come me! Ma è un luogo che potresti raggiungere presto, ragazzino, se continui ad intralciare i miei piani!" –Tuonò Lica, cercando di spaventare Nesso, per quanto in quel momento la situazione del traditore fosse tutt’altro che positiva. Era in piedi, a stento, su un sottile corridoio di terra, a ridosso di una Montagna che più la guardava più sembrava incutergli paura, circondato da uno stormo di aquile inferocite, guidate da un Hero fedele ad Ercole. –"E a quanto pare anche molto abile!" –Rifletté il traditore.

"Pagherai per tutti coloro che hai tradito, Lica! Pagherai per il sangue che è stato ingiustamente versato!" –Esclamò Nesso, sollevandosi sulla schiena dell’aquila. –"La Montagna Sacra non consente ai traditori di transitare liberamente entro i propri confini!"

"Ma davvero?! Ah ah, inventane un’altra, sbruffone! Se vuoi la Lama degli Spiriti dovrai venire a prendertela, sconfiggendomi in battaglia, non raccontandomi stupide fandonie!" –Rise Lica di gusto.

"Fandonie, dici? Tutt’altro! Le mie parole sono verità! Poiché esse escono direttamente dal cuore di questa Montagna, di cui le aquile sono custodi e servitrici! Loro mi hanno salvato, scegliendomi come Cavaliere che le avrebbe condotte in battaglia per punire chi ha offeso e oltraggiato la loro sacra terra! Ed io onorerò il debito nei loro confronti, sconfiggendoti e recuperando la Lama degli Spiriti!" –Esclamò Nesso, espandendo il suo cosmo.

"Non farmi ridere, bamboccio!" –Ghignò Lica, sollevando il braccio destro e evocando il proprio cosmo. Attorno al braccio iniziò a roteare un vortice di energia, nera come la notte, prima che Lica lo dirigesse con forza verso Nesso e le aquile, nel tentativo di travolgerli. –"Vortice Nero!"

Nesso, che si aspettava un attacco di quel genere, balzò immediatamente in alto, scavalcando il gorgo di energia, che travolse qualche aquila che non riuscì a fuggir via in tempo, scagliandole con forza brutale contro il fianco della montagna. Superando il vortice, e portandosi qualche metro in alto rispetto a Lica, Nesso puntò il bracciale sinistro verso i piedi del traditore, lanciando un rampino che si arrotolò attorno a una gamba dell’uomo, proprio mentre Nesso, non avendo trovato alcun appiglio, precipitava verso il basso, sbattendo contro il fianco della montagna. Essendo legato al ragazzo, Lica venne trascinato in basso con lui, perdendo la presa della Lama degli Spiriti, che cadde sulla mulattiera, mentre i due uomini precipitavano lungo il versante della Montagna Sacra. Nesso, usando gli arpioni sporgenti del bracciale destro, e avendo già in mente come procedere, frenò la sua discesa, strusciando il braccio dentato contro la parete rocciosa, fino a fermarsi completamente, mentre Lica, con la gamba impigliata nell’arpione, penzolava a testa in giù sotto il ragazzo.

"Non mi lasciareee!!!" –Gridò Lica, consapevole che la sorte non avrebbe potuto arridergli due volte, ed un volo da quell’altezza avrebbe significato morte certa anche per un Cavaliere. –"Ti prego!!"

"Tu preghi me?!" –Ironizzò Nesso, parlando piano e a fatica, per l’enorme sforzo che stava sostenendo. Era aggrappato a un fianco della Montagna Sacra grazie agli arpioni sporgenti del bracciale destro dell’Armatura del Pesce Soldato, una delle poche con armi particolari in dotazione, e con il braccio sinistro teneva una fune a cui Lica era appeso per una gamba. –"Meriteresti davvero di cadere in quel baratro, traditore!!!" –Gli urlò contro Nesso, prima di calmare il tono della propria voce. –"Ma io sono un Eroe di Ercole, come il mio Dio e maestro prima di me, non un assassino!" –E iniziò a ritirare la corda, facendola rientrare nel bracciale sinistro della corazza, trascinando lentamente Lica verso l’alto.

Aiutandosi anche con le braccia, dotate di ventose adesive, Lica riuscì a mantenersi in equilibrio, fino a ritornare in posizione corretta, liberandosi infine dell’arpione di Nesso. Adesso erano fianco a fianco, appesi alla Montagna Sacra, sospesi su un indefinito baratro da cui soffiavano violente correnti ascensionali, che facevano rabbrividire entrambi. Lica approfittò di un momento di distrazione di Nesso, in cui il ragazzo aveva sollevato lo sguardo verso l’alto, per misurare la distanza che li separava dal sentiero, per espandere il proprio cosmo e sollevare il braccio destro, ricreando il nero vortice della seppia.

"Avresti dovuto saperlo!" –Gridò l’uomo, abbassando il braccio sul ragazzo. –"Che non esiste giustizia all’Inferno!" –Ma prima che il vortice raggiungesse Nesso, questi staccò il braccio destro dalla parete, lasciandosi cadere verso il basso, sorprendendo Lica per tale mossa, apparentemente disperata.

Con agilità, mentre precipitava verso l’abisso, Nesso lanciò subito un rampino dal braccio sinistro, conficcandolo nella parete rocciosa sopra Lica e fermando la sua caduta con le gambe, come un perfetto scalatore. L’Hero traditore, nuovamente giocato dalla maestria del ragazzo, gridò di rabbia, bruciando il cosmo per travolgerlo dall’alto, ma Nesso lo superò in velocità, puntando il braccio destro verso di lui e usando per la prima volta il proprio colpo segreto.

"Frecce del Mare!" –Esclamò, mentre il suo cosmo azzurro dava vita ad una raffica impetuosa di dardi, apparentemente composti da limpida acqua di mare, che saettarono nell’aria trafiggendo Lica in ogni parte del proprio corpo. L’Hero traditore fece per dire qualcosa, per balbettare parole sconce, ma sentì di non avere più forza neppure per quello. Un possente potere, profondo come gli abissi del mare, era entrato dentro di lui, facendo ribollire il suo sangue, mentre il suo corpo vibrava senza che egli riuscisse a far niente per fermare tale agitazione.

"Cosa.. cosa mi succedeee?!" –Gridò Lica, con voce spaventosa, mentre il suo volto iniziò a deformarsi, in preda a violente convulsioni. Fece per chinarsi, mentre un conato saliva dal suo stomaco, ma cadde in avanti, precipitando nell’abisso ed esplodendo tra le nebbie del Karakoram pochi attimi più tardi.

Nesso non lo compatì affatto, per la triste fine in cui era incorso. Le Frecce del Mare erano un colpo mortale, per la stragrande maggioranza degli uomini, poiché, a meno che uno non riuscisse a deviarle prima di essere colpito, una volta che penetravano in un corpo, la combinazione di cosmo e di acqua, di cui le Frecce erano composte, veniva iniettata direttamente nel sangue, agendo da elemento estraneo e disturbatore. L’eccessiva quantità di liquido nel corpo faceva esplodere progressivamente le vene, e poi le arterie, causando violente convulsioni alla vittima, che spesso la portavano alla pazzia, prima di farla esplodere dall’interno. Nesso non amava ricorrere a quel potere, poiché detestava il macabro spettacolo degli uomini in preda a feroci spasimi mortali. E perché, per quanto fosse un guerriero, preferiva sempre cercare un’altra strada, che non fosse quella dello scontro fisico.

Ma Lica non gliene aveva dato la possibilità. Li aveva traditi una volta, condannando a morte Galena del Pesce Angelo e, fosse stato per lui, l’intera Legione, e anche dopo averlo salvato da morte certa aveva tentato comunque di attaccarlo, confermandosi pericoloso. Nesso scosse la testa, iniziando a risalire la montagna, facendo scorrere la corda dentro la cavità interna del bracciale sinistro e aiutandosi con le gambe e i rampini sul bracciale destro. Quando raggiunse la mulattiera, dove la Lama era caduta pochi minuti prima, era molto debole e stanco, per lo sforzo sostenuto e reso più faticoso dalle difficoltà respiratorie. Non si concesse comunque molto tempo per riposare, ben consapevole delle proprie responsabilità. Raccolse la Lama degli Spiriti, fissando il fodero alla cintura dell’Armatura, e fece per correre via, quando un verso stridulo richiamò la sua attenzione. Le aquile, custodi della Montagna Sacra, volavano sopra di lui e parvero sorridergli, indicandogli la giusta via da seguire. Nesso scambiò un gesto di intesa con la più grande delle aquile, il capo del branco, discendente delle antiche aquile che un tempo abitavano nei nidi attorno al Sentiero del Silenzio, quando ancora era trafficato dai monaci delle vallate interne, che spesso si fermavano a dialogare con loro. Nesso era l’unico Hero, e forse uno dei pochi uomini di quel secolo, a saper dialogare con le aquile, come sapeva parlare con i delfini, i pesci e molti altri animali.

"Essere guerrieri non significa soltanto saper maneggiare una spada!" –Amava ripetere il ragazzo. –"Ma sapere per cosa lottiamo, sapere cos’è che vogliamo difendere! E per farlo dobbiamo essere in grado di usare tutto ciò che può rivelarsi utile, dall’ambiente alla natura circostante, dagli animali alla vegetazione, poiché tutto può essere un alleato utile in battaglia!" –Per questo aveva sviluppato forti capacità extrasensoriali che gli permettevano di ascoltare il vento, di leggere i movimenti del terreno e di comunicare con gli animali.

Quando Nesso ebbe terminato il racconto, Niobe del Falco si congratulò per l’ottimo risultato conseguito, sicura che Ercole avrebbe apprezzato notevolmente. Quindi incitò i compagni a correre a Tirinto, per portare la Lama degli Spiriti dal Dio dell’Onestà, fermandosi sulla sommità di Larissa per constatare le condizioni di Agamennone, il cui cosmo, parve ai presenti, era praticamente scomparso dopo lo scontro con Borea.

"Qualunque cosa troveremo… devi essere forte!" –Esclamò Argo del Cane, rivolgendosi a Niobe, mentre i tre guerrieri, con Gleno sulle spalle di Argo, correvano verso la cima del colle, ove un tempo era sorto il palazzo di Didone. Per un momento, Argo e Niobe si chiesero che ne fosse stato della Regina Fenicia, poiché non avevano più percepito il suo cosmo fin da quando la battaglia contro i Figli di Eos era iniziata. Nonostante fosse loro nemica, e avesse tentato di venderli ad Era, Niobe non riuscì ad augurarle alcun male, anzi, in fondo al cuore, si augurò che la donna stesse bene e che riuscisse, se non ora magari in futuro, a ritrovare quella serenità persa troppi secoli addietro.

"Agamennone!" –Gridò Argo, alla vista del corpo esanime del capitano della Quarta Legione. L’uomo era debolissimo, con l’Armatura distrutta, a causa della bassissima temperatura di gelo raggiunta da Borea, in grado persino di distruggere una corazza composta di oro e di frammenti di Glory, e il volto era bianco e pallido. –"Sta morendo congelato!" –Commentò Argo. –"Se non gli diamo subito calore, non resisterà!"

"Calore?!" –Sgranò gli occhi Nesso. –"Non abbiamo niente qua per scaldarlo! Potremmo accendere un fuoco! Ma non c’è niente che ci possa essere utile! Tutto è stato congelato e lentamente si sta squagliando, diventando acqua e fango, come l’intera collina! Non troveremo rami secchi a Larissa! Dobbiamo condurlo a Tirinto!"

"Non sopravvivrà così a lungo!" –Sentenziò Argo, fissando il volto emaciato di Agamennone, così diverso da quel viso solare, carico di vita e di ardore, in cui sempre aveva amato specchiarsi.

"Lasciate che me ne occupi io!" –Commentò infine Niobe. –"Voi correte a Tirinto! Ercole ha bisogno di quella Lama! Adesso! Vi raggiungeremo quando Agamennone si sarà ripreso!"

"Lasciarlo a te? E come pensi di curarlo?!" –Gridò Argo, non capendo. Ma Nesso, che aveva intuito le nobili intenzioni della Sacerdotessa, per quanto fossero tristi, gli posò una mano su una spalla, incitandolo a proseguire, senza fare altre domande.

"Andiamo! Abbi fiducia nei tuoi compagni!" –Esclamò Nesso, incamminandosi.

Argo esitò ancora un momento, combattuto sul da farsi, ma poi, sospirando, decise di seguire l’Hero del Pesce Soldato, voltandosi un’ultima volta verso Niobe.

"Il Dio dell’Onestà non vuole il nostro sacrificio, Niobe! Ercole vuole la nostra felicità! Almeno quanto noi vogliamo la sua!" –Commentò, con le lacrime agli occhi, prima di correre dietro a Nesso, con Gleno sulle spalle, con un triste presentimento nel cuore. La consapevolezza che forse non si sarebbero rivisti mai più.

Niobe, il volto nascosto dalla maschera d’oro bianco, sorrise, stringendo a sé il corpo esanime di Agamennone, ed espanse il suo cosmo, al massimo, ove mai lo aveva portato prima. L’aria attorno ai due si tinse di un rosa acceso, diventando calda e piena di vita, mentre la ragazza teneva a sé il capitano, donandogli tutto il calore di cui aveva bisogno, grazie al proprio cosmo. Restarono così per un tempo indefinito, finché Niobe non iniziò a barcollare, stanca per la lunga prova, e già provata dalle battaglie precedenti. Sarebbe caduta in avanti, distesa sul petto di Agamennone, se un poderoso sbatter d’ali non l’avesse distratta. Voltandosi verso destra, verso il luogo dove giaceva il corpo di Borea, vide un uomo, rivestito da una lucente armatura celeste, planare nell’aria e posarsi proprio accanto al fratello sconfitto. Le ali arcobaleno si chiusero dietro di lui, mentre un vivido cosmo, dal colore celeste e bianco, circondava il corpo maestoso ed elegante di Euro, il Vento dell’Est, quarto dei figli di Eos.