CAPITOLO SEDICESIMO: ASSALTO A TEBE.
Ila del Tulipano
stava osservando lo splendore dei giardini di Tebe, dall’alto della terrazza panoramica della residenza degli Heroes di stanza in quella città. Adorava svegliarsi ogni mattina con i delicati effluvi che i fiori da lui impiantati, nelle aiuole e nei giardini di Tebe, emanavano nell’aria, contribuendo a migliorare quella caotica e male amministrata città. Ila era il giardiniere ufficiale di Ercole, colui che, grazie all’aiuto degli Heroes suoi compagni, aveva curato la sistemazione dei fiori e delle piante all’interno della Reggia di Tirinto, scegliendo alberi secolari, dal tronco grande e dal fusto robusto e ombreggiante, a significare la potenza del Sommo Ercole e la sua capacità di resistere al trascorrere del tempo, saldo nel terreno. Ma Ila, per quanto ammirate fossero le sue qualità dal Dio, non amava vivere a Tirinto, poiché, secondo lui, vi erano troppi pochi giardini, troppi pochi spazi verdi, e si sentiva soffocato dalle quattro mura della fortezza. Per questo, su approvazione di Ercole stesso, aveva seguito i suoi compagni a Tebe, dove la Quinta Legione si era stabilita qualche anno prima.Tebe, in Beozia, a sessanta chilometri a nord-ovest di Atene, era una città molto animata e vitale, soprattutto da un punto di vista economico e commerciale, con un alto numero di scambi di merci, a causa della sua posizione centrale e strategica, che ne faceva un punto obbligato per i traffici di prodotti tra il Mediterraneo e l’Europa centrale. Era una città attiva, ma anche molto caotica, dove la popolazione, da sempre dedita al culto degli Dei, quasi con una sfrenata passione maniacale, era facilmente suggestionabile agli oroscopi e agli oracoli dei Sacerdoti degli antichi templi, anche in un secolo in cui i culti ancestrali parevano scomparire, travolti da questioni più importanti, di rilevanza internazionale, come la dominazione Ottomana sulla penisola greca.
Grazie a questa suggestionabilità, in passato numerosi Sacerdoti fasulli avevano estorto ingenti somme di denaro ai cittadini inesperti, soprattutto a quelli facoltosi, che abitavano i quartieri residenziali della città beota, per ingraziarsi i favori degli Dei, mentre la povera gente era ridotta allo stremo e a fatiche continue per un pezzo di pane. I sacerdoti prosperavano, costruendo torri e palazzi, protetti da soldati scelti, e pagati con i soldi del popolo, mentre l’amministrazione della città scadeva nel malcostume e nella corruzione, con poche risorse a disposizione per intervenire a difesa dei ceti più bisognosi e nello sviluppo del territorio. L’istruzione, in passato uno dei punti di forza della società tebana, era molto curata, ma limitata alle famiglie ricche e soggetta ad una rigida disciplina, che prevedeva pene corporali molto pesanti. Per far fronte a questa grave situazione, di abbandono di un popolo nelle mani di ricchi Sacerdoti, disinteressati a qualsiasi miglioramento, Ercole aveva deciso di inviare una Legione di Eroi nella città della Beozia, con il compito di smascherare gli Oracoli fasulli, di recuperare il denaro ingiustamente estorto e amministrarlo in modo corretto, secondo principi di onestà e giustizia.
Tereo di Amanita, Comandante della Quinta Legione, era stato incaricato di questo compito, affiancato da Ermione del Girasole, uomo dotato di una grande cultura e soprattutto di una raffinata abilità oratoria, che gli permetteva di arringare vaste folle, suscitando sempre il loro interesse. Da anni i due uomini vivevano nell’antica residenza di Ercole, quella in cui il Dio aveva abitato durante la sua gioventù a Tebe, e molto presto erano stati raggiunti da tutti gli altri Heroes della Quinta Legione, compreso Ila del Tulipano, e il palazzo di Ercole era cresciuto, diventando una piccola colonia, una roccaforte di serenità nella caotica Tebe.
I terrazzi e i tetti erano ricoperti di piante e di fiori, sul modello dei giardini pensili di Babilonia, che Ila del Tulipano aveva diligentemente studiato e cercato di ricreare, estendendo tale pratica a molti altri edifici della città. Per la gente comune, per la massa ignorante e bisognosa di aiuti economici, la residenza degli Heroes era come un paradiso di ricchezze, un nuovo Eldorado, che gli Dei avevano ricreato a Tebe, affidando a uomini scelti dalle stelle il compito di governare su tutti loro, guidando le loro coscienze. Ma Tereo e gli altri Heroes, uomini modesti e privi di qualsivoglia inclinazione battagliera, ripetevano continuamente di non essere né signori né padroni della città, ma semplicemente persone comuni che cercano, con le loro possibilità, di fare il meglio per i loro concittadini. Non tutti i tebani però vedevano di buon occhio la presenza di una guarnigione di Heroes di Ercole nella città e spesso tentavano di sollevare la massa, presentandoli come dominatori, come brutali guerrieri il cui unico scopo era sostituire l’attuale amministrazione con il loro impero, prima di estenderlo al resto della penisola ellenica.
"Un altro impero Ottomano!" –Esclamavano con enfasi costoro, puntando il dito contro le presunte ricchezze di Tereo. –"Ecco cosa ci aspetterà! Se concediamo loro un margine ulteriore di autonomia, diverremo sudditi e schiavi! Più di quanto lo siamo adesso!"
Ma la massa del popolo aveva problemi ben più gravi da affrontare e le idee di restaurazione della vecchia classe dirigente non trovavano mai molti consensi, poiché tutti vedevano di buon occhio la presenza degli Eroi di Ercole, venerati quasi come Dei. Tutti avevano modo di verificare l’utilità della loro presenza, i miglioramenti continui della città, l’abbellimento estetico e ambientale, la saggezza da loro dimostrata nell’amministrare e dispensare giustizia.
"È stato un Dio a portarvi tra noi!" –Ripeteva spesso la povera gente, mentre Tereo e gli altri Heroes scendevano nei quartieri poveri della città.
"In un certo senso…" –Sorrideva sempre Tereo di Amanita. –"Possiamo dire anche così!"
Quella mattina, Ila del Tulipano, in piedi sulla terrazza panoramica della residenza degli Heroes, respirava a fondo gli effluvi dei fiori che decoravano il giardino del palazzo e degli edifici circostanti. Ogni mattina, spaziare con lo sguardo sui tetti fioriti della città era il primo gesto che compiva, quasi un rito scaramantico. Poi scendeva le scale esterne, portandosi sul retro della residenza, nel giardino privato degli Heroes, dove Ila, con l’aiuto dei suoi compagni, custodiva gelosamente i suoi segreti di giardiniere, in serre appositamente costruite, per ospitare tantissime specie di fiori e di piante, alcune molto rare nelle terre del Mediterraneo. Ila ne era orgoglioso e dedicava molto tempo alla cura delle sue creature, quasi fossero figli suoi, facendone spesso dono al Sommo Ercole o distribuendo vasi e semi agli abitanti della città, sperando che i suoi bei fiori potessero portare un po’ di colore nelle loro tristi vite.
Stava annaffiando con cura una splendida orchidea, quando un rumore proveniente dal retro della serra lo distraette, obbligandolo ad interrompere la sua attenta opera. Si voltò e incontrò lo sguardo di un uomo che non aveva mai avuto troppo in simpatia: Partenope del Melograno, un Hero privo del culto della bellezza, privo dell’amore per i fiori che Ila metteva al centro della sua esistenza. L’Hero del Tulipano fece per rivolgergli parola, ma si accorse che Partenope lo fissava con la sua solita aria di superiorità, con il collo cinto da quella ridicola collana che Ila proprio detestava.
"Ho un dono per te!" –Lo sorprese Partenope, parlando con voce quasi estranea, e stupendo Ila, che non comprese a cosa si stesse riferendo.
Lo vide avvicinarsi lentamente, sollevando il braccio destro e mostrando il palmo aperto verso l’Hero del Tulipano, che indietreggiò istantaneamente, osservando ciò che Partenope sorreggeva con noncuranza. Fece per voltarsi, per fuggire da quella spiacevole situazione, ma si accorse di essere in trappola. Dietro di lui c’era un altro uomo, Pericle dell’Abete, che gli sbarrò la strada, sollevando il sopracciglio destro, in segno di disappunto. Ila sospirò, realizzando che quel giorno non avrebbe potuto prendersi cura di nessuna orchidea, di nessun giardino. Il pugno deciso di Pericle gli sfondò la cassa toracica, a poca distanza dal cuore, proprio mentre Ila si chiedeva quante altre famiglie povere avrebbe potuto far sorridere con i propri doni, con i propri fiori. Cadde a terra, toccandosi il petto in fiamme, mentre il sangue copriva la sua Armatura scarlatta, di fronte allo sguardo imperturbabile di Pericle dell’Abete e di Partenope del Melograno, due uomini che, seppure non vi fosse mai stato in confidenza, aveva sempre creduto fossero suoi compagni. Aveva sempre creduto fossero fedeli ad Ercole. Sbagliando.
"Accetta il mio dono, Ila del Tulipano! E muori!" –Esclamò Partenope, mostrando uno splendido fiore rosso di melograno, ebbro del suo mortifero cosmo. Quasi danzando nel vento, il fiore si sollevò, svolazzando nell’aria, prima di posarsi sul cuore di Ila ed iniziare a cibarsi della sua stessa vita, proprio come l’Hero aveva temuto, riconoscendo la specie particolare di fiore che Partenope gli aveva mostrato.
"Ora, occupiamoci degli altri!" –Esclamò Pericle, seguendo Partenope fuori dalla serra e lasciando Ila sul pavimento, a contorcersi dal dolore, ancora per mezzo minuto, prima che il fiore assassino divorasse il suo cuore.
In quello stesso momento, nell’atrio del palazzo degli Heroes, Tereo di Amanita conversava preoccupato con Ermione del Girasole, riguardo ad alcuni problemi di disciplina negli istituti scolastici tebani.
"Un ragazzo stava parlando in classe e il maestro lo ha preso, lo ha fatto mettere in ginocchio, togliendogli il panno, e lo ha bacchettato sulle natiche più volte, davanti a tutta la classe! Il bambino è scappato via in lacrime, e per tale gesto verrà sospeso dal corso di studi! Dobbiamo intervenire oggi stesso! Mi chiedo quanti altri abusi perpetuati a danni di infanti siano commessi nelle scuole di questa città!" –Sbuffò Ermione, prima di rivolgersi nuovamente a Tereo, quasi come se il Comandante non lo stesse ascoltando. –"Qualcosa non va?!"
"Una vibrazione!" –Rispose Tereo, concentrando i propri sensi. –"Una vibrazione nel cosmo!"
In quel momento la porta d’ingresso della residenza degli Heroes si aprì e un ragazzetto ne entrò, correndo a più non posso. Piccolo e magrolino, con lunghi capelli grigi, Sileo del Giglio si inginocchiò ansimando di fronte a Tereo, scusandosi per aver interrotto la loro conversazione.
"Qualcosa si muove nel Peloponneso, Comandante Tereo! Le acque del Canale di Corinto sono inquiete e molti mercanti, giunti da sud, sostengono di aver sentito la terra rimbombare, come se fulmini si fossero schiantati tutti attorno a loro, come se qualche demone infernale stesse tentando di uscire dal suolo!" –Esclamò agitatamente Sileo del Giglio, l’informatore ufficiale della Quinta Legione.
"Terre in movimento?!" –Commentò Ermione. –"Sarà stato un terremoto! Mi auguro solo che non abbia provocato troppi danni!"
"Un terremoto, dici?!" –Rifletté Tereo di Amanita, toccandosi il pizzetto bruno, non troppo convinto. Cos’è questo fremito che sento nel cosmo? Cosa stanno cercando di indicarmi le stelle che io, troppo inesperto in tal senso, non riesco a comprendere?
Tereo di Amanita era un ottimo Comandante, dal carattere pacato e modesto, un uomo che non amava affatto stare al centro della scena, preferendo rimanere dietro le quinte, a muovere i fili della rappresentazione, senza prendersi eccessivi meriti o lodi. Amava ciò che faceva, perché gli permetteva di mettersi al servizio degli altri, perché era convinto che il fine ultimo di un uomo, e ancora di più di un Cavaliere, fosse servire i bisognosi, fosse aiutare chi non riesce a camminare da solo, diventando il suo bastone d’appoggio. Per questo ammirava Ercole, un Dio che aveva rinunciato agli agi e agli ozi olimpici per scendere sulla Terra e vivere come un uomo, dividendo con i suoi simili le stesse sofferenze e le stesse paure. Come se volesse scontare un martirio per tutta la vita! Rifletteva spesso Tereo, anch’egli convinto, come altri Heroes, che il Dio intendesse espiare la colpa che sentiva gravare su se stesso per aver abbandonato Deianira, ed averla costretta alla pazzia e alla morte.
Ammirava Ercole e voleva essere come lui. Anzi, Tereo voleva spingersi più in là dello stesso Ercole. Non per essergli superiore, ma per portare all’estrema realizzazione gli ideali del Dio, quegli ideali di giustizia e di onestà di cui Ercole, impegnato quotidianamente con mille e più faccende, non aveva necessariamente tempo di occuparsi. Tereo amava camminare per le strade di Tebe, fermandosi ad ogni angolo, a parlare con gli uomini e le donne che gli si facevano incontro, per scambiare sorrisi con persone con cui la vita era stata avara, per ascoltare le sofferenze di chi, a differenza di lui, era stato meno sfortunato. Tereo trascorreva le sue giornate nei quartieri poveri della città, aiutando le famiglie a costruire o a riparare le proprie case, per proteggerli dal vento e dalla pioggia, per dare un tetto sotto cui allattare i loro figli. E insegnava loro, aiutato spesso da Kore del Cipresso, botanico esperto, come coltivare al meglio la terra che avevano a disposizione, per ottenerne i risultati migliori. Era un uomo fatto per stare con gli uomini, e tutti gli Heroes della sua Legione lo rispettavano, venerandolo più per la sua generosità che non per le sue doti combattive.
In battaglia infatti Tereo non era un campione, soprattutto se confrontato con il muscoloso e titanico Nestore dell’Orso, o con l’atletica e brillante Alcione della Piovra, o con il guerriero per eccellenza, Chirone del Centauro, guida della Sesta Legione. Ma a Tereo non importava combattere, anzi si augurava sempre di non doverlo fare, di non dover ricorrere all’uso delle armi, ma di riuscire sempre, con la forza delle parole, a convincere gli altri a chiarirsi, a parlarsi, ad aprire il cuore in modo da evitare conflitti, che nient’altro provocano se non devastazione e morte, soprattutto a svantaggio del popolo.
"Una parola vale più di mille spade!" –Amava ripetere ai suoi Heroes, e costoro, rifuggendo la battaglia come il loro Comandante, concordavano con lui, vivendo in armonia tra loro, come in un piccolo mondo perfetto, e sforzandosi di esportare all’esterno di tale circolo l’armonia e l’affetto che sembravano caratterizzarlo.
Un boato improvviso disturbò la conversazione tra i tre Heroes di Ercole, facendo tremare con forza i muri dell’edificio. Un secondo tuono e la terra tremò sotto i loro piedi, mentre grida disperate provenivano dalla città. I tre Heroes corsero all’esterno, fermandosi in cima alla rampa di scale che conduceva alla strada, osservando lo sconcertante spettacolo di fronte a loro. La gente stava scappando, fuggendo in ogni direzione, mentre una gigantesca sagoma, non troppo definita, avanzava per la città, distruggendo edifici e costruzioni, tra le grida impaurite degli abitanti.
"Un Gigante?!" –Sgranò gli occhi Ermione del Girasole, ritenendo che tali esseri fossero da tempo scomparsi dalla Grecia.
"Non un Gigante qualsiasi!" –Precisò Tereo, mentre la figura si avvicinava, illuminata dai raggi del sole che, quel mattino, parvero baluginare fiochi, reticenti testimoni di una strage che presto si sarebbe consumata.
Il Gigante era immenso, alto almeno dieci metri, con un corpo tozzo e a tratti deforme, e costellato da tantissimi occhi, disposti su tutto il corpo, che parevano risplendere di viva luce sotto il cielo di Tebe. Giunto nella grande piazza ove sorgeva la residenza degli Heroes, il Gigante rallentò la propria andatura, fermandosi proprio di fronte a Tereo, Ermione e Sileo, che sentirono improvvisamente su di loro il peso di cento occhi, quasi fossero trafitti da cento frecce infuocate. In un attimo, i tre Heroes vennero attaccati da una miriade di raggi energetici, diretti dagli occhi del Gigante, e furono obbligati a separarsi, scattando ognuno in direzione diversa per non essere colpiti.
"Che succede? Da dove proviene questo mostro?!" –Gridò Sileo del Giglio, impaurito nel trovarsi in tale situazione.
"Dal mito, io credo!" –Commentò Tereo, evitando i raggi energetici del Gigante. –"Se la memoria non mi inganna, questo è Argo Panoptes, "colui che tutto vede", il Gigante dai cento occhi!"
"Argo?! E cosa ci fa qui? Perché non riposa nel Tartaro ove fu confinato?" –Domandò Sileo, schizzando come un fulmine nella fitta pioggia di dardi energetici, prima di venir raggiunto ad una spalla ed essere scaraventato a terra, con il coprispalla danneggiato.
"Attento, Sileo!" –Esclamò Ermione, correndo ad aiutare il ragazzo. Bruciò il proprio cosmo, evocando una distesa infinita di girasoli, che dispose attorno a sé e all’Hero del Giglio, fino a creare una cupola difensiva, contro cui far infrangere i raggi energetici del Gigante. Ma bastarono un paio di colpi di media intensità, da parte di Argo Panoptes, per annientare l’effimera protezione di Ermione del Girasole.
Non siamo abituati a combattere! Commentò Tereo, stringendo i pugni. Abbiamo perso questa prerogativa, dedicando i nostri ultimi anni ad altro! E forse abbiamo sbagliato, anche se credevamo di operare per il bene del popolo! Perché così facendo ci siamo esposti a pericoli che adesso non siamo in grado di affrontare, mettendo a rischio non solo la nostra vita, e quella di Ercole, ma anche quella degli abitanti di Tebe che contano su di noi! A tali pensieri, Tereo si scosse, espandendo il proprio cosmo, dal colore giallo ocra, e sollevando il bracciale sinistro della corazza.
Questo aveva l’aspetto vagamente simile alla testa di un fungo e si caricò di tutto il potere del Comandante della Quinta Legione, espandendosi, fino a divenire una barriera di energia, a forma di arco, contro cui si infransero i raggi energetici del Gigante Argo. Tereo fece un cenno ad Ermione e l’oratore e il ragazzo raggiunsero il Comandante, ponendosi dietro di lui, riparati dal suo ombrello difensivo.
"Quale viltà!" –Esclamò una voce all’improvviso, mentre il Gigante pareva rallentare il proprio attacco. –"Dei guerrieri di Ercole che rifiutano la battaglia, difendendosi dietro una barriera a forma di fungo! Ho sempre creduto che gli umani fossero inutili e arroganti, ma mai prima d’ora avevo assistito ad una tale prova di vigliaccheria!"
A quelle parole, cessando la pioggia di raggi energetici, Tereo abbassò leggermente il braccio sinistro, desideroso di conoscere il suo interlocutore. Questi lo sorprese, apparendo proprio di fronte a lui, a pochi centimetri dal suo viso stupito. Tereo non riuscì a pronunciar parola che venne scaraventato via in un lampo di luce, assieme ad Ermione e a Sileo del Giglio, travolti da un’accecante onda di energia che danneggiò le loro corazze.
"Bastava che Era mi affidasse il compito di distruggere le truppe di Ercole! Lo avrei eseguito alla perfezione in pochi attimi!" –Commentò l’uomo, osservando i patetici tentativi di Tereo di rimettersi in piedi, ansimando per lo sforzo. Quando il Comandante riuscì a rialzarsi, si perse nello sguardo carico di astio di Argo, Sommo Sacerdote di Era, braccio destro e armato della Regina degli Dei.
L’uomo, rivestito dalla sua veste bianca e verde, privo della sua Armatura Divina, lo fissava con aria superba, quasi infastidito dal dover lottare contro esseri così inferiori, non meritevoli neppure di uno sguardo. Con un gesto di distacco, Argo si spostò i capelli bruni dal volto, rivelando un sorriso malizioso che impaurì Tereo, prima di sollevare il braccio destro e puntare il dito indice contro il Comandante della Quinta Legione.
"Addio!" –Mormorò semplicemente, mentre un lampo di luce esplodeva dal suo indice destro.
Tereo, vistosi spacciato, per un momento socchiuse gli occhi, attenendo la fine che, rapida quanto inaspettata, sarebbe giunta. Ma li riaprì di scatto, alla vista di Sileo del Giglio, scattato con un balzo a difendere il suo Comandante, colpito in pieno dalla bomba di energia di Argo. Lo vide esplodere, urlando di dolore, mentre la sua Armatura e tutto il suo giovane corpo venivano annientati dallo strapotere del Sacerdote di Era.
"Sileooo!!!" –Gridò Tereo, muovendosi per raggiungere il corpo distrutto del ragazzo, ma Argo non gli concesse neanche il tempo per una lacrima.
"Non piangere! Adesso lo rivedrai!" –Commentò l’uomo, puntando l’indice contro l’Hero di Ercole.
"Ruota del Girasole!" –Esclamò una voce, costringendo il Sacerdote di Era a voltarsi verso destra, mentre Ermione dirigeva contro di lui un ridicolo assalto costituito da centinaia di girasoli di energia che roteavano attorno ad una linea retta immaginaria. Argo lo derise, senza perdervi troppo tempo, annientando anch’egli con un lampo dal suo dito. I girasoli esplosero, disintegrati sul colpo, mentre il corpo ferito di Ermione veniva scaraventato in alto, schiantandosi a terra poco dopo, in una pozza di sangue.
Tereo corse verso di lui, chinandosi sull’amico, mentre ruscelli di lacrime gli solcavano il volto. Ermione lo sentì stringerlo a sé e parlò al suo cosmo con le sue ultime forze.
"Sono un oratore io, non un guerriero!" –Commentò Ermione. –"Perdonami per non aver saputo difenderti, né aver saputo difendere Ercole! Ma tu sei il nostro Comandante, tu sei un Eroe, e credimi, amico mio, adesso è il momento di esserlo fino in fondo!" –Quindi si spense, con gli occhi aperti, fissando il cielo di Tebe.
"Ti ho concesso un minuto, stupido mortale, per onorare coloro che chiami compagni! In realtà sono soltanto il gradino più basso di un’infima comitiva di briganti che adesso annienterò!" –Esclamò Argo, con freddezza assoluta.
"Ma cosa vuoi? Perché ci stai attaccando?!" –Gridò Tereo, reprimendo violenti singhiozzi.
"Sono Argo, Sacerdote di Era, e tutto ciò che faccio è onorare il legame che mi unisce alla mia Dea, portando nel mondo la sua volontà! E, dimmi, tu, Tereo di Amanita, hai fatto altrettanto?" –Commentò Argo. –"Hai onorato il tuo Dio, lottando anche per lui? O hai preferito una morte rapida e misericordiosa, una morte dove la viltà ha piantato la sua pallida bandiera?!"
"Cosa stai dicendo? Non ti permetto di insultarmi in questo modo!" –Esclamò Tereo di Amanita, bruciando il proprio cosmo. –"Sono un Hero di Ercole, non un vigliacco, ma un uomo che ha dedicato la vita a trasformare in realtà gli insegnamenti del mio Dio!"
"Bravo! Riceverai i suoi complimenti all’Inferno, ove presto vi ricongiungerete!" –Sibilò Argo, abbandonandosi ad una risata maliziosa, prima di sollevare l’indice destro e puntarlo contro l’uomo. –"Muori!" –E lanciò una violenta bomba di energia, a cui Tereo cercò di opposi, caricando la mano destra di energia cosmica e dirigendola di scatto contro Argo.
Lo scontro tra i due poteri elettrizzò l’aria circostante, sollevando pietre e polvere. Tereo stava mettendo tutto se stesso in quelle scariche di energia con cui tentava di contrastare lo strapotere di Argo, mentre il Sacerdote di Era stava tenendo impegnato l’Hero con la sola forza di un dito, senza sforzarsi minimamente. Quindi, stufo di quel gioco, che nient’altro era per lui se non un ritardo, sbuffò, spostandosi i capelli all’indietro con un soffio, prima di aumentare l’intensità del suo attacco. L’onda di energia generata travolse Tereo, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare malamente sulla scalinata che conduceva all’ingresso della residenza degli Heroes. In quel momento, il Gigante Argo Panoptes si agitò, sbattendo i suoi enormi piedi sul selciato, attirando l’attenzione del Sacerdote di Era.
"Lo lascio a te, adesso, mia adorabile creatura deforme! Annienta tutti gli Heroes di questa città ed Era perdonerà le tue colpe, liberandoti dai tormenti dell’Inferno!" –Esclamò Argo, istigando il Gigante ad avanzare verso Tereo di Amanita.
Proprio in quel momento, un dolce suono si diffuse nell’aria, distraendo l’attenzione del Sacerdote di Era, e persino del Gigante Panoptes. Era una nenia, una cantilena leggera, accompagnata da un inebriante e delicato odore soffuso, che pareva rilassare ogni muscolo, addolcire ogni parola, condurre lentamente verso il riposo. Argo stesso, teoricamente immune ad ogni suggestione di tipo psichico, si sorprese nel rendersi conto che persino i suoi occhi stavano chiudendo le loro palpebre, vittime inconsapevoli di un arcano affascinante quanto pericoloso. Scosse la testa, per distogliere l’attenzione da quella cantilena soporifera, e squarciò l’aria con un grido acuto, invitando i nuovi arrivati a rivelarsi.
"Nascondersi è inutile!" –Esclamò Argo. –"Non esiste niente che possa sfuggire alla vista di Era e ai cento acuti occhi di Panoptes!"
"Non esserne troppo convinto! La boria in battaglia non aiuta a raggiungere la vittoria!" –Risposero due giovanili voci, precedendo l’arrivo, dall’alto di un tetto vicino, di due Heroes di Ercole, dalle figure snelle e lanciate.
"Non confondete l’umana vanagloria con l’indiscussa superiorità degli Dei!" –Precisò Argo, prima di chiedere i nomi dei due nuovi arrivati.
"Sono Eco della Margherita!" –Esclamò il ragazzo dai folti capelli rossi, subito seguito dal compagno dalla cresta verde: Eumolpo della Spiga.
"Siete arrivati in tempo per condurre il vostro miserevole Comandante nella Valle di Ade! Ringraziatemi, vi permetterò di unirvi al suo ultimo viaggio!" –Esclamò Argo, incitando il Gigante ad avanzare e a distruggerli. Ma Argo Panoptes non si mosse, emettendo soltanto un lungo sospiro ed obbligando il Sacerdote di Era a voltarsi verso di lui e a scoprire, con somma sorpresa, che il Gigante aveva chiuso gli occhi.
"È caduto in un sonno eterno!" –Commentò Eco della Margherita. –"Grazie al canto della mia voce! Un vellutato incantesimo capace di assopire anche l’animo più irrequieto!"
"Dunque tua era la voce melodiosa che poco fa è giunta al mio orecchio?" –Esclamò Argo. –"Una tecnica interessante, te ne do atto! Eri quasi riuscito ad incantare anche me, che di natura sono refrattario ad attacchi di tipo psichico!"
"Eumolpo ed io siamo giunti pochi minuti fa sul tetto dell’edificio adiacente, attirati dall’esplosione dei cosmi dei nostri amici! Con dolore e tristezza abbiamo osservato l’uccisione di Sileo ed Ermione, abbattuti dal pianto e dallo sconforto, e forse dalla consapevolezza di non poter essere all’altezza di fronteggiare un nemico così potente, un nemico dal cosmo oscuro e profondo come il tuo!" –Confessò Eco, con una certa tristezza nel cuore. –"Ma poi, Eumolpo mi ha ricordato il mito di Panoptes e il modo in cui Hermes, il Messaggero degli Dei, lo aveva vinto!"
"Argo Panoptes era uno dei figli di Gea, la Terra, e possedeva cento occhi che non dormivano mai, permettendogli di rimanere sempre all’erta! Era lo aveva posto a sorvegliare Io, l’amante di Zeus da lui mutata in giovenca. Così il Sommo Zeus per liberarla affidò a Hermes il compito di liberarla, che l’astuto Dio portò a termine con sottile astuzia! Hermes infatti si avvicinò ad Argo suonando la sua magica zampogna, dai poteri soporiferi, obbligando quindi il Gigante a chiudere tutti i suoi cento occhi! Una volta reso inerme, Hermes lo uccise, trafiggendo ciascun occhio con la sua Spada, ed Era, per onorare la memoria di Argo, prese i suoi cento occhi e li mise sulla coda del pavone, animale a lei sacro!" –Spiegò Eumolpo.
"Così abbiamo agito noi, avvicinandoci piano, con astuzia, e neutralizzando il Gigante!" –Terminò Eco. –"Per la verità, avremmo voluto addormentare anche te, ma fin dall’inizio del mio canto mi è stato chiaro che il tuo cosmo non avrebbe ceduto così facilmente, che non sarebbe stato facile rilassarlo ed impedirgli di offendere! C’è tanto odio dentro di te, Sacerdote di Era, così tanto che non basterebbero tutti gli Inferni di questo mondo per contenerlo!"
"Tacete! La vostra astuzia vi ha permesso di neutralizzare Argo, è vero! Ma non crediate che vi sarà facile mettere a dormire me, il Sommo Sacerdote di Era!" –Gridò l’uomo, espandendo il proprio cosmo, prima di chiamare il Gigante a gran voce.
"Non possiamo permetterlo! I cento occhi di Argo sono stati chiusi e più non si riapriranno!" –Gridò Eumolpo della Spiga, bruciando il proprio cosmo, dalle scintillanti sfumature argentee. –"Spighe d’Argento! Colpite nel segno!" –E migliaia di spighe apparvero intorno a sé, saettando nell’aria come dardi affilati, fino a penetrare i cento occhi di Argo, mentre il Gigante, risvegliato bruscamente, emetteva un terrificante urlo di dolore.
Eco della Margherita, dal canto suo, intonò nuovamente il canto che aveva assopito Panoptes, aumentando l’intensità del suono, espandendo al massimo il proprio cosmo. Per un attimo, i movimenti di Argo vennero nuovamente fermati e il Sacerdote sembrò sentire un richiamo dal profondo del suo animo, un invito a riposarsi, a rilassare il cuore agitato che da millenni non trovava pace. Quel richiamo, a cui Argo non prestò ascolto, non durò che una manciata di secondi, ma fu sufficiente per impedirgli di agire, di prestare aiuto al Gigante Panoptes, i cui occhi vennero trafitti da migliaia di spighe argentate, prima di crollare al suolo, esanime, in una macabra pozza di sangue.