CAPITOLO UNDICESIMO. LA FURIA DI VENTI.
Erano caduti in trappola.
Niobe del Falco, Argo del Cane e Gleno di Regula, tre Heroes della Quarta Legione, erano giunti nel kastro di Argo per trovare riposo e medicamenti per curare il loro comandante, Agamennone, ma vi avevano trovato una mortale nemica. Una donna alta e bella, con una morbida chioma fluente ed un viso delicato, i cui lineamenti però potevano cambiare continuamente, al punto da divenire una crudele e spietata regina, una fedele servitrice della sua Dea, la stessa che aveva dichiarato guerra ad Ercole. Costei era Didone, Somma Sacerdotessa di Era e reggente della città di Argo, che da secoli viveva rinchiusa nel kastro, dedita ai suoi studi di astronomia e di meditazione, e adesso si ergeva di fronte ai quattro Heroes intrappolati in una gabbia di infuocata energia, una gabbia che progressivamente si faceva sempre più stretta, fino a chiudersi su di loro, disintegrando le loro carni.
"È così che io servo la mia Signora, la Grande Dea Madre, da cui il mondo è stato generato!" –Esclamò Didone, girando intorno alla gabbia infuocata. E ad Argo e agli altri sembrò che Didone parlasse più con se stessa che con loro. –"Lei mi comprende! Sì, mi ha sempre compreso! Lei che ha sofferto indescrivibili pene d’amore, per colpa di uno sposo disattento e maschilista, lei capace di donare così tanto amore ad un uomo, pur sbagliato che sia! Lei ha consolato le mie lunghe notti di lacrime, salvandomi dalla perdizione e concedendomi una nuova vita, una vita dedita al suo servizio!"
"Lasciaci andare, Didone!" –Gridò Argo improvvisamente. –"Liberaci! O la furia di Ercole ti travolgerà!" –A quelle parole, Didone sembrò destarsi, quasi l’incantesimo delle sue parole fosse stato spezzato.
"La sua furia?! Ah ah ah! Stupidi mortali, credete forse che io, Didone, tema un così zotico uomo?" –Rispose Didone, ridendo con voce stridula. –"Ho imparato da tempo come trattare gli uomini, e non ve ne è nessuno che meriti diverso trattamento!" –Aggiunse, voltando loro le spalle e incamminandosi verso il trono.
"Didone!" –La richiamò infine Niobe, con voce calma e vellutata. –"Conosco anch’io il tuo dolore! Il dolore di aver perso una persona cara! Il dolore di aver visto partire l’uomo amato, senza poter far niente per fermarlo, senza essere un motivo, una ragione sufficiente, per farlo rimanere! Per farlo restare!"
"Cosa ne sai tu?!" –Gridò Didone, scompigliandosi selvaggiamente i capelli ed espandendo il proprio cosmo. Vasto, immenso, capace di riempire quell’erma fortezza e traboccare fuori, dalle finestre alte del palazzo, e avvolgere l’intero kastro sotto la sua protezione. Un cosmo dalle sfumature divine, più grande di tutti quelli che Niobe, Argo e Gleno avevano percepito fino ad allora. Secondo soltanto ad Ercole. –"Cosa ne sa di sentimenti d’amore una donna che ha rinunciato alla sua femminilità, per scelta, per una stupida scelta?! Tu, mortale ingrata, non dovresti neppure parlare di emozioni che non conosci, che non hai mai provato, perché per tua libera scelta le hai rifiutate, celandole dietro una maschera!"
"È vero! Non le conosco!" –Chinò il capo Niobe, parlando con tristezza. –"Non so cosa significhi perdere un amore, perché non ho mai avuto un uomo da amare e da osservare partire! Ma so cos’è l’amore, so cosa significa portarsi dentro un cumulo di sentimenti, spesso confusi e contrastanti, per persone che non ricambieranno mai tali mie emozioni! Per persone troppo lontane, o maledettamente troppo vicine, per raggiungere il nostro cuore! So cosa significa trascorrere le notti in un letto vuoto, ad attendere che la porta si apra e l’affascinante sagoma dell’uomo amato compaia sulla soglia, prima di sentirlo giacere al nostro fianco!" –Continuò Niobe, in ginocchio sul corpo ferito di Agamennone. –"Perciò, Regina di Cartagine, sappi che non sei sola nel tuo dolore! Ma il tuo è lo stesso di molte altre donne che come te sono state sconfitte dall’amore! Perché ad esso non sono state in grado di opporsi!"
"Niobe!" –Balbettarono Argo e Gleno, osservando la Sacerdotessa del Falco carezzare il volto ferito di Agamennone, sdraiato sulle sue gambe. E capendo.
"Se è per lenire la tua solitudine, la tua frustrante esistenza di lacrime, che ci hai rinchiuso in questa gabbia, allora puoi anche lasciarci andare! Perché essa non scomparirà con la nostra morte!" –Concluse Niobe, appoggiando delicatamente Agamennone a terra, e rimettendosi in piedi.
"Forse no!" –Rispose infine Didone, dall’alto del suo scranno. –"Ma avrò reso un enorme piacere alla Dea a cui la mia vita è adesso dovuta!" –Commentò, prima di battere le mani. In quel momento, dalle alte finestre della fortezza, iniziarono a soffiare violenti venti che smossero l’aria, facendo lampeggiare le fiammelle dei candelabri, accompagnati da giovanili risate. Dalla finestra rivolta a meridione entrò una raffica di vento carica di pioggia, mentre un uomo ricoperto da una meravigliosa armatura celeste, con colorate ali spiegate, faceva la sua comparsa.
"È Austro il mio nome celeste, Vento del Sud! Lo scrosciare impetuoso del mio cosmo è carico di pioggia, sempre pronto a scaricarla su terre e mari, rendendo ardua la navigazione!" –Esclamò l’uomo, planando sul pavimento della sala.
Subito dopo una nuova raffica di vento, calda e torrida, spirò dalla finestra rivolta ad occidente, mentre la leggiadra voce di un uomo anticipava il suo arrivo.
"Veloce come i cavalli di Achille, e particolarmente gradito agli uomini mortali poiché portatore di ristoro dopo i tormenti dell’inverno, io sono Zefiro, o Favonio, il leggiadro Vento dell’Ovest!" –Esclamò l’uomo, circondato da una calda aura lucente.
Terzo giunse Euro, il Vento dell’Est, avvolto in un turbinar di brezza, che portava pioggia e sole, ombra e luce, come il vento impetuoso che egli dominava.
"Euro son io, giudice implacabile dei comportamenti umani! Se fedeli e rispettosi agli Dei e alla via maestra, tracciata da Ananke nel libro del destino, gli uomini sono, io li ricompenso e ristoro con la mia brezza leggiadra! Altrimenti li condanno a stagioni di piogge torrenziali e patimenti!"
Ultima infine, dalla finestra rivolta a Nord, giunse una violenta tempesta, un’aria fredda e gelida che parve incupire ogni angolo del salone, accompagnata da cristalli di ghiaccio.
"Borea è il mio nome celeste, Vento del Nord, il soffio stesso degli Dei, e il più possente dei quattro figli di Eos! Lodato dagli ateniesi, per aver reso loro un servizio nella battaglia contro Serse ed i persiani, appaio circondato da un turbinante uragano di gelo! Lo stesso che calerà presto su tutti coloro che oseranno mettere in discussione la volontà degli Dei!" –Esclamò vanaglorioso il quarto Dio, scendendo al centro del salone.
"Siete i benvenuti, figli di Eos, Dea dell’Aurora!" –Esclamò Didone, inginocchiandosi ai piedi del palco alle quattro Divinità.
"I figli di Eos?!" –Balbettarono Argo e Gleno. –"Ma questo vuol dire allora che…"
In quel momento, un’impetuosa raffica di vento spalancò verso l’interno i portoni dell’ingresso principale, scaraventando dentro anche un paio di guardie, e obbligando tutti i presenti a coprirsi gli occhi con un braccio, per non esser travolti dal turbinare di energia che accompagnò l’arrivo di colui a cui i Quattro Venti erano fedeli, il loro Signore e Padre adottivo, che a Lipari da secoli risiedeva: Eolo, il Dio supremo dei Venti.
Maestoso, rivestito della sua azzurra Veste Divina, Eolo apparve cavalcando onde di turbinante energia, con le ali della sua corazza spalancate, e discese dal cielo come un angelo, posizionandosi a fianco della Regina Fenicia, di fronte alla quale si inginocchiò, baciandole la mano.
"Eolo, Signore dei Venti, al servizio della Grande Dea Madre!" –Esclamò l’uomo, dalla morbida barba grigia.
"Il mio regno è il tuo regno, Signore dei Venti!" –Affermò Didone, prendendolo scherzosamente a braccetto. –"E il nostro regno, come tutto ciò che al mondo è stato creato, appartiene ad Era, la Somma Regina degli Dei, sorella e sposa del Signore dell’Olimpo, e Divinità Madre e protettrice!"
"Ad Era sono fedele da sempre, fin da quando Ella mi concesse aiuto, permettendo a me, figlio di Ippote, di salire all’Olimpo assieme alle altre Divinità! Fu sempre lei, millenni or sono, ad affidarmi il controllo su tutti i venti, facendo di me la massima autorità competente in materia, riempiendomi di continue lodi di approvazione per il mio operato!" –Esclamò Eolo, volgendo lo sguardo verso la gabbia con i prigionieri.
"La nostra Signora sa essere misericordiosa e riconoscente con chi le dimostra fedeltà! Io ne sono la prova vivente!" –Continuò Didone, ma le voci di Argo e Gleno interruppero la conversazione tra i due.
"Già! Una gran misericordia quella della vostra Dea! Dichiarare guerra al massimo protettore degli uomini, per radere al suolo la sua città, sterminando centinaia di innocenti, e per fare cosa? Per porsi come nuova sovrana del mondo, instaurando un regime di terrore sull’intera superficie terrestre, abolendo ogni culto che non sia il suo! Un po’ troppe pretese, forse, per una Divinità che ha trascorso secoli fuori dal mondo degli uomini, venendo presto dimenticata!" –Esclamarono con decisione.
"Tacete, stupidi!" –Li zittì Borea, balzando davanti alla gabbia di energia, circondato dal suo freddo cosmo, capace di rendere gelida l’intera aria circostante. –"Esseri inferiori come voi non dovrebbero neppure aprire la bocca per parlare!"
"Come osi?!" –Esclamò Gleno, facendosi avanti, ma le fiamme incandescenti della gabbia si avvolsero attorno a lui, strappandogli un violento grido di dolore.
"Lascia che parlino!" –Commentò Didone con superficialità, osservando le maglie della gabbia di energia farsi sempre più strette. –"Presto non avranno più la possibilità neppure per far quello, e l’unico suono che udiremo sarà uno stridulo e patetico grido di aiuto!"
"Mai!" –Ringhiò Gleno, rimettendosi in piedi, aiutato da Argo, ed espandendo il proprio cosmo. Concentrò una sfera di energia cosmica sul palmo destro e la scagliò avanti, facendola schiantare contro la gabbia incandescente, su cui esplose, generando una leggera onda d’urto che spinse Borea indietro di qualche metro, obbligandolo a pararsi gli occhi dalle scintille di energia.
"Stupido mortale! Così tanto brami di scendere in Ade?" –Ringhiò il figlio di Eos. –"Ebbene sarò io il tuo Caronte!" –Gridò, espandendo il proprio cosmo. Mosse appena le dita della mano destra, creando una corrente di aria fredda che scivolò sul pavimento, lambendo i piedi di Gleno e avvolgendosi attorno al suo corpo, intorpidendo le sue membra.
"Ma cosa?!" –Si chiese Gleno, prima di venir sollevato da terra e trascinato avanti, con forza impetuosa, fino a schiantarsi contro la gabbia di energia. Le maglie infuocate stridettero sul suo corpo, distruggendo parte della sua corazza e bruciandolo in vari punti del corpo, mozzandogli anche un paio di dita, mentre il ragazzo si abbandonava a disperate grida di dolore.
"Prostrati!" –Esclamò Borea, depositando il ragazzo ai suoi piedi, ustionato e con l’Armatura danneggiata. –"Adorami e rendi grazia a me, servitore di Era, la Grande Dea Madre, tu che dalla natura sei stato generato!"
"Mai!" –Ringhiò Gleno, con tutto il fiato che aveva in corpo. Gettato ai piedi del Dio, il ragazzo si mosse, cercando di recuperare una posizione composta, e sollevò lo sguardo verso l’uomo, fissandolo con determinazione, senza paura alcuna. –"L’unica persona a cui devo rendere grazia, oltre ad Ercole che mi ha accettato nei suoi Heroes, addestrandomi e insegnandomi, è il mio migliore amico, Argo del Cane! Non certo ad una regina dispotica e frustrata!"
" Maledetto!" –Gridò Borea, schiacciando il ragazzo a terra con il suo cosmo. Sollevò il braccio destro, volgendo il palmo verso il pavimento ed esercitando tramite esso un’indescrivibile pressione, una fredda corrente che schiacciava Gleno a terra, facendo tremare tutto il suo debole corpo.
"Smettila, bastardo!" –Esclamò Argo, da dentro la gabbia. Ma non fece in tempo a muoversi di un passo che subito le fiamme incandescenti furono su di lui, avvolgendolo in un mortale abbraccio. –"Glenooo!!"
"Pochi attimi ancora!" –Sogghignò Borea, di fronte allo sguardo compiaciuto di Didone e dei suoi fratelli. –"Pochi attimi e il tuo corpo sarà polvere! La pressione che ti sta investendo è un’aria congelata che paralizzerà ogni muscolo del tuo corpo, fino a renderti rigido e a farti esplodere dall’interno! Perciò, ragazzo, accetta la sorte e muori, tu che hai osato sfidare gli Dei!"
"Lascialo andare immediatamente!" –Esclamò una decisa voce maschile, la cui fermezza e autorità apparvero così grandi che Borea placò immediatamente il suo cosmo ostile. Anche Didone, Eolo e i tre fratelli di Borea rimasero sorpresi nell’udire tale voce, che proveniva dall’interno della gabbia di energia, da un uomo, con l’armatura danneggiata e ferite sul corpo, rimasto silenzioso per tutto quel tempo. Dal secondo ufficiale della Quarta Legione: Agamennone del Leone. –"Lascia andare quel ragazzo, Borea! O verrò io stesso a liberarlo!" –Esclamò il giovane, rimettendosi a fatica in piedi.
"Ma sentilo, lo sbruffone!" –Lo derise il figlio di Eos. –"Ho riconosciuto le tue vestigia, Hero del Leone di Nemea! Ma non credere che il solo fatto di avere un nome così truce e battagliero ed un simbolo di forza ti metta in grado di fare la voce grossa con me, un Dio figlio di Dei, un essere infinitamente superiore alla gran massa di uomini comuni!"
"Io non sono un uomo, sono un Hero di Ercole, un Cavaliere dell’Onestà! E proprio per il nome che porto, e per il simbolo che batte ardente nel mio cuore, io ti combatterò!" –Esclamò fermamente Agamennone. –"Lascia quel ragazzo o gli Artigli del Leone di Nemea ti dilanieranno il cuore! Questa non è una promessa, è un giuramento!"
Borea mosse un piede all’indietro, per un momento disturbato, quasi spaventato, dalla luce di determinazione che splendeva negli occhi dell’Hero del Leone di Nemea. Ma poi si riprese, toccandosi il naso e sbeffeggiando l’uomo ancora prigioniero.
"Non dovresti promettere cose che non manterrai, spergiuro!" –Esclamò. –"Non vedo come tu possa impedirmi di scortare in Ade questo ragazzo, debole e inerme come sei e prigioniero di una gabbia che presto si chiuderà su te!" –E nel dir questo portò nuovamente il braccio destro avanti, volgendo il palmo aperto verso il basso, per schiacciare Gleno a terra con il suo freddo cosmo.
"Così!" –Gridò improvvisamente Agamennone, bruciando tutto il cosmo che teneva dentro e concentrandolo sul braccio destro, sotto forma di folgori incandescenti. Mosse il pugno con straordinaria velocità, liberando quelle che ai figli di Eos parvero le fauci aperte di un Leone e distruggendo la gabbia che lo teneva prigioniero, dirigendosi verso Borea, il quale, per non essere travolto, fu costretto ad incrociare le braccia avanti a sé, venendo comunque spinto indietro di qualche metro.
Gleno, ai piedi del Dio, riuscì a rotolare di lato, evitando l’assalto furioso del Leone di Nemea, prima di essere raggiunto da Argo e da Niobe, che lo aiutarono a rimettersi in piedi.
"Maledetto! Come osi?!" –Gridò Borea, mentre l’attacco di Agamennone scemava. Concentrò il cosmo attorno a sé e poi balzò avanti, in un turbinio di aria fredda e tempestosa.
Argo e Niobe, nel vedere il loro capitano, in piedi ma debole, investito da tale potente energia fredda, scattarono avanti, scagliando attacchi energetici contro il figlio di Eos, ma vennero intercettati dopo poco dai fratelli di Borea, che prontamente avevano preso posizione di fronte a lui, deviando gli attacchi di Argo e Niobe e atterrando i due Heroes.
"La vostra corsa termina qua!" –Esclamò Austro infine, osservando i due compagni rotolare inermi al suolo. –"Sarà questa mia limpida corrente a spazzare via i vostri deboli corpi!" –Aggiunse, sollevando l’indice destro al cielo, mentre cupe nubi si addensavano tutte intorno a lui.
"Fermati, Austro!" –Gridò Borea. –"Non intrometterti!!"
"Volevo soltanto aiutarti, fratello! Affinché si compia in fretta l’ineluttabilità del fato!" –Rispose Austro, abbassando il braccio e placando il proprio cosmo offensivo.
"Sono il più forte tra voi, perfettamente in grado di occuparmi di questi traditori! Rivendico il diritto di eliminarli dalla faccia della Terra, a cominciare da costui che ha osato ferirmi!" –Esclamò Borea, indicando Agamennone, che stava faticando nel rimettersi in piedi.
"Bel combattimento! Affronti un uomo che ha già un piede nella Bocca di Ade!" –Rise Austro. –"Ma se tu hai scelto il Leone come tuo avversario, io mi occuperò di questi tre ragazzini!" –E indicò Argo, Gleno e Niobe, riuniti tra loro, ad un lato della stanza.
"E noi ti daremo una mano!" –Intervennero Euro e Zefiro, ma la possente voce di Eolo li sovrastò.
"No!" –Tuonò il Dio, facendo voltare i figli di Eos. –"Non avete dunque orgoglio? In tre vorreste affrontare quei miseri umani? Basterebbe un soffio di vento per spazzarli via tutti! Lasciate ad Austro, che come Borea è desideroso di battaglia, tale compito e seguite me!" –Esclamò Eolo, spalancando le lucenti ali della sua corazza. –"Voleremo dove c’è la vera battaglia! Travolgeremo Tirinto con un poderoso vortice di energia a cui nessuno potrà opporsi! E quando dico nessuno intendo neppure il possente Ercole! Ah ah ah!" –E volò via, sulle ali del vento, seguito da Zefiro ed Euro, dalle spalancate ali colorate.
"E così siamo rimasti noi!" –Sorrise Austro, volgendo lo sguardo verso i tre Heroes riuniti. –"Tanto meglio! Potrò dedicarmi a voi con il massimo interesse!"-Ed espanse il proprio cosmo, sollevando le braccia al cielo, mentre tutto attorno cupe nuvole si radunavano, pronte per liberare un’immensa quantità di acqua. –"Piogge torrenziali! Spazzateli via!" –Gridò, e un oceano di acqua, dal suo cosmo generata, travolse i tre compagni, sbattendoli con forza contro il muro laterale e sommergendoli in fretta.
La pressione esercitata dall’acqua molto presto diventò insostenibile e le mura dell’edificio cigolarono sinistramente, prima di crollare e lasciare che le acque torrenziali si riversassero all’esterno. Austro, a tale scena, si librò in aria, spalancando le variopinte ali della sua Armatura, ancora avvolto da scure nuvole che continuavano a buttar fuori torrenti di pioggia, che scivolò in basso, scendendo lungo le vie del kastro, distruggendo mura e palazzi, travolgendo guardie e genti nascoste, mentre Austro rideva, divertito da tale apocalittica distruzione.
"Scendete, Piogge torrenziali!" –Gridò il Dio, mentre lampi e saette schizzavano nel cielo ombroso attorno a lui. –"E mondate questa terra dagli uomini!"
Il crollo delle mura laterali fece tremare l’intero edificio, e ben presto anche il soffitto e le altre mura perimetrali cedettero, travolte dalla pressione dell’acqua e dal turbinio di aria tempestosa generata da Austro.
"Austro! Che diavolo stai facendo?" –Gridò Borea, impegnato ad affrontare Agamennone, mentre pezzi di muro crollavano intorno a lui.
"Faccio il mio lavoro, Borea! Dovresti farlo anche tu!" –Rispose laconico l’umido Vento del Sud, disinteressandosi completamente alle sorti del fratello e della Regina Didone, la quale, non appena il palazzo aveva iniziato a cadere, si era spostata nella parte alta del palco, cercando di non rimanere coinvolta in quel crollo.
Per un momento, di fronte a quell’atroce spettacolo di distruzione, la Regina Fenicia ebbe un moto di sgomento e di preoccupazione per le genti della sua città. Per quegli innocenti che non avevano colpa alcuna, e che avevano ubbidito alla sua autorità per molti anni. Là, in quell’erma fortezza, si era rifugiata secoli addietro, dopo che la Somma Era l’aveva salvata dall’inferno in cui Enea, discendente di Troia, l’aveva precipitata. Dopo averlo amato così tanto, e così intensamente, ed essere da lui stata abbandonata, come un oggetto dopo l’uso, Didone si era data fuoco, nella sua antica città, la magnifica Cartagine. Arse il suo corpo, arse la sua morbida pelle, come arso e distrutto era il suo cuore, e di lei niente restò, soltanto le ceneri che il vento portò via. Ma Era, che di Enea seguiva ogni mossa, maledicendolo con continui assalti, udì il suo tormento, la straziante voce di una donna disperata, uccisa dall’amore di un uomo, e ne ebbe pietà, comprendendo che lo stesso dolore albergava frequentemente nel suo animo, quando Zeus la trascurava o, peggio ancora, la tradiva. Così la salvò, portandola a sé, onorandola come sua ancella, e Didone per secoli la servì, rimanendo al suo fianco, venerandola come una madre. Perché era così che Didone si sentiva, la figlia minore, protetta dall’immenso amore di una Divinità che aveva compreso i suoi tormenti e l’aveva salvata.
Da quel momento, Didone aveva dedicato la vita a servire Era, dimenticando Enea, dimenticando l’amore, dimenticando ogni uomo, e concentrandosi soltanto su di lei, sul suo futuro, divenendo in breve Sacerdotessa della Regina degli Dei, pari soltanto ad Argo, il Sommo Sacerdote, e a nessun’altro. Felice per tale nomina, onorata per quell’onorificenza che mai ad altro mortale era toccata, Didone affiancò Era in ogni battaglia, fisica o morale, finché non iniziò a sentire gli anni passare, per quanto l’Olimpica quiete riuscisse a cacciar via ogni segno del tempo. In quei giorni Era sembrava aver ritrovato un suo equilibrio, nel rapporto con l’amato Zeus, e Didone credette fosse il momento per salutarla. Discese sulla Terra e si insediò ad Argo, nell’erma fortezza di Larissa, dedicandosi a studi privati e personali, che spaziavano dall’astronomia alla meditazione, dall’anatomia al misticismo. Studi che ingenuamente alimentarono la diceria del popolino che vedeva in lei una strega, preferendo tenersi alla larga. Ma a Didone del giudizio degli uomini non importava molto. Aveva imparato da tempo a vivere in pace con se stessa, e così rimase per vari secoli, fino a quella mattina, quando sentì avvampare come mai era accaduto prima il cosmo della Signora, e si preparò. Per la guerra che sarebbe giunta.
Mentre l’edificio in cui aveva trascorso gli ultimi secoli crollò, e le immense piogge del Vento del Sud straripavano dalla cima di Larissa lungo le vie e i pendii irti della collina, Didone pensò che tutto ciò avveniva in nome di Era, poiché Ella l’aveva voluto e quindi, come tale, doveva accadere. In nome suo la Sacerdotessa avrebbe combattuto, per portare il suo messaggio, poco importava se nel farlo sarebbero morti umani innocenti. In fondo, secondo Didone, nessun uomo era realmente innocente.
"Come Poseidone, Signore dei Mari, nel Mondo Antico fece piovere per quaranta giorni sull’intera Terra, per spazzar via ogni essere vivente, così io, Austro, Vento delle Piogge, spazzerò via voi, ridicoli mortali, la cui debolezza è pari soltanto a quella delle bestie!" –Esclamò Austro, librandosi nel cielo tempestoso e scagliando fulmini verso il basso.
Folgori incandescenti si schiantarono contro edifici e palazzi, distruggendoli in pochi istanti, mentre le piogge torrenziali, che scendevano dalle nubi, travolgevano ogni cosa e il popolo di Argo si disperdeva nei fangosi flutti. Argo, Gleno e Niobe cercarono di aiutare la gente a mettersi in salvo, proteggendola dai fulmini di Austro e dalle impetuose ondate che scendevano dall’alto colle, ma presto realizzarono di non avere la forza per opporsi a così tanta distruzione. I loro poteri non potevano in alcun modo spazzar via tutte quelle acque rovinose.
"Maledizione!" –Gridò Argo, scagliando una nuova sfera di energia contro una massa di acqua che calava dal colle. –"I miei poteri sono inutili! L’energia cosmica che creo e che rilascio sotto forma di sfere incandescenti viene dispersa dall’acqua, senza riuscire a far presa su di essa!"
"Alcione e la Terza Legione si troverebbero a loro agio in tutto quest’oceano!" –Commentò Niobe, guardandosi intorno. –"In questo oceano di disperazione!"
La gente comune stava annaspando in quell’amara alluvione, lottando per non affogare, per non rimanere intrappolata tra edifici frananti e masse di fango che precipitavano rovinosamente verso valle. Cercava di reagire, di salvarsi dalla distruzione, di aiutarsi l’un l’altro, tendendosi una mano. Ma tutti parvero allontanarsi dagli Heroes, guardandoli con sospetto, accettando con titubanza il loro aiuto, quasi volessero incolparli della loro rovina.
"Avete portato la distruzione!" –Disse loro un uomo, sollevando il corpo esanime di sua moglie, morta schiacciata dal crollo di un edificio. -"Siete i Cavalieri del Dio dell’Onestà o del Dio della Guerra?!"
Niobe non ebbe cuore di rispondergli, immaginando che niente di ciò che avrebbe potuto dire lo avrebbe fatto sentire meglio. Che niente gli avrebbe ridato sua moglie, né avrebbe cancellato dal suo cuore il ricordo di quel giorno. Di quell’oscuro giorno senza sole.
"Se tanto soffri per la perdita della tua sposa, stupido mortale, io ti farò un prezioso dono!" –Esclamò Austro, piombando dall’alto sull’uomo in lacrime. –"L’opportunità di abbracciarla nuovamente! In Ade!!!" –Gridò, liberando violenti fulmini che lacerarono il corpo dell’uomo, facendolo urlare di dolore, prima di distruggere il suo corpo, di fronte agli occhi increduli dei tre Heroes di Ercole, che dal contraccolpo vennero spinti indietro. –"Folgori di Austro!!" –Urlò deciso il Vento del Sud, portando avanti il braccio destro.
Violente scariche di energia percorsero l’aria, elettrificando l’immensa massa di acqua in cui erano immersi fino alle cosce i tre Heroes di Ercole, che esplosero in disperate grida, mentre le loro corazze si schiantavano in più punti. Argo cercò di reagire, stringendo i denti, ma bastò uno sguardo di Austro per scaraventarlo indietro, facendolo schiantare contro un muro e crollare a terra, travolto da una massa di detriti e di fango.
In piedi su una roccia affiorante sul colle percorso da violenti torrenti di acqua, il Vento del Sud osservò soddisfatto il proprio operato, la distruzione dell’antico kastro e la resa indiscutibile di tre Heroes di Ercole.
"Chissà poi perché amano definirsi eroi?! Cialtroni! È questo l’appellativo che meritano esseri così deboli, adatti soltanto a sguazzare nel fango!" –Rifletté il Dio, osservando i goffi tentativi di Niobe, Argo e Gleno di rimettersi in piedi, aiutandosi l’un l’altro. Austro, deciso a farla definitivamente finita, concentrò il cosmo sotto forma di scariche di energia che avvolsero il braccio destro e fece per portarlo avanti, quando improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. Un fischio, leggero ma acuto, quasi il suono portato dal vento quando entra in una conchiglia.
Stupefatto, Austro si voltò verso il basso, verso il punto da cui sembrava che il suono provenisse, e assistette sconvolto ad un fatto incredibile. Le acque torrenziali che aveva finora riversato sul colle stavano turbinando intorno a lui, ribollendo di furore, mentre una grande energia, vasta e profonda, le stava investendo, liberandole dalla furia assassina del Vento del Sud e riportandole alla loro beatitudine originaria. Pochi attimi dopo, immense colonne di acqua si sollevarono verso il cielo, turbinando come vortici, quasi stessero danzando al richiamo del loro padrone, mentre un uomo si faceva largo tra di esse: Neleo del Dorado, la cui bocca stava intonando una leggiadra melodia con la conchiglia che teneva delicatamente tra le labbra.
"Come puoi fare questo?!" –Sgranò gli occhi Austro, sconvolto che un uomo potesse dominare a tal punto le acque, simbolo della natura e creazione quindi divina.
"Le acque del mare sono come le genti di questo pianeta! Amano essere libere! E non succubi di folli divinità!" –Sentenziò Neleo con voce calma. –"Non puoi disporre a tuo piacimento di questa immensa forza primordiale, poiché essa non è nata per portare distruzione!"
"Taci, i tuoi sermoni non mi interessano! Piogge torrenziali, spazzatelo via!" –Gridò Austro, incollerito, sollevando l’indice destro al cielo e facendolo lampeggiare.
Ma quel comando, che avrebbe dovuto consentirgli di scaricare immense onde di acqua su Neleo, si ritorse contro di lui, incitando le colonne di acqua a dirigersi rombando contro il Dio, travolgendolo, sbattendolo a terra con vigore, immergendolo nel fango da lui stesso creato, insudiciando la sua linda armatura. L’impatto scaraventò Austro lontano, stritolandolo all’interno di quel maremoto che Neleo pareva controllare semplicemente con leggeri soffi nella sua conchiglia, riuscendo a scuotere il profondo abisso dell’oceano, da cui i suoi poteri traevano origine.
"State bene?" –Domandò Neleo, avvicinandosi a Argo, Gleno e Niobe, che annuirono confusamente.
"Preoccupati per te, e non per chi ti seguirà presto in Ade!" –Esclamò una voce isterica, facendo voltare nuovamente l’Hero del Dorado.
Austro, Vento del Sud, era in piedi di fronte a lui, privo ormai dell’elmo della sua corazza, con il volto deturpato dall’odio che provava per lui, per aver osato opporsi al suo castigo divino e per essere riuscito a ritorcere contro di lui le sue stesse acque.